Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.28498 del 06/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

S.C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LORENZO PICCOTTI;

– ricorrente –

contro

UNIVERSITA’ STATALE DEGLI STUDI DI PISA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 29, presso lo studio dell’avvocato BARBARA PICCINI, rappresentata e difesa dall’avvocato STEFANO PULIDORI;

– controricorrente –

e contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.f. *****, in. persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO;

– resistente con mandato –

e sul ricorso 22325-2012 proposto da:

UNIVERSITA’ DI PISA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 29, presso lo studio dell’avvocato BARBARA PICCINI, rappresentata e difesa dall’avvocato STEFANO PULIDORI;

– ricorrente principale –

contro

P.R., O.R.M.R., PA.LU., T.P., L.R.M.C., J.M.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato LORENZO PICOTTI;

– controricorrenti – ricorrenti incidentali –

e contro

– PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia ope legis in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N. 12;

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. *****, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO;

– resistenti con mandato –

e contro

UNIVERSITA’ DI PISA;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

e contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. *****, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 715/2012 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 20/06/2012 R.G.N. 996/2010.

RILEVATO

CHE:

il Tribunale di Pisa, decidendo in cause separatamente proposte (una, introdotta da S.C.A. e, l’altra, dalle restanti parti private indicate in epigrafe) e poi riunite fin dal primo grado, ha respinto tutte le pretese avanzate, consistenti nei riconoscimento dell’esistenza, con l’Università di Pisa, di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, di lettorato con il pagamento delle differenze retributive, gradatamente esposte rispetto al trattamento dei professori associati o dei ricercatori;

la Corte d’Appello di Firenze, giudicando sull’appello proposto da tutte le predette parti e riformando parzialmente la sentenza di primo grado, ha invece deciso come segue:

quanto al S., la Corte ha dichiarato il difetto di giurisdizione, per il periodo dal 1990 al 1994, rispetto alla domanda con cui il medesimo, lettore di lingua italiana per stranieri in forza di contratto di lavoro autonomo, aveva chiesto accertarsi che il suo rapporto doveva essere inquadrato ai sensi del D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28 e che, previo accertamento dell’invalidità dei termini apposti ai contratti predetti ed accertamento della nullità successivo del contratto di C.E.L. (Collaboratore esperto linguistico) del 4.11.1994, fosse dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ab origine, con adeguamento ex art. 36 Cost. della retribuzione ed in subordine applicazione del D.L. n. 2 del 2004, art. 1;

sempre rispetto al S. e con riferimento alle medesime domande, ma in relazione al predetto contratto di C.E.L., la Corte d’Appello, ritenendo la propria giurisdizione, rigettava le pretese del ricorrente, sul presupposto del pieno rispetto da parte dell’Università della disciplina legale (D.L. n. 120 del 1995) e collettiva del rapporto e della mancanza, a differenza di quanto era per gli altri litisconsorti, di un giudicato favorevole sulla preesistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato che imponesse il mantenimento di una certa retribuzione;

quanto agli altri ricorrenti, già lettori di lingua straniera, la Corte ha accolto la loro pretesa, condannando l’Università di Pisa al pagamento delle differenze retributive, da calcolarsi sulla base di quanto previsto per i ricercatori a tempo definito, senza la riduzione al 77 % applicata dall’Università in ragione delle ore svolte e con condanna al pagamento delle differenze retributive, debitamente quantificate, oltre accessori successivi ed oltre alla regolarizzazione contributiva;

la Corte riteneva in proposito che il diritto a percepire gli emolumenti in misura piena derivasse dal giudicato precedentemente formatosi inter partes sulla natura del rapporto e sul diritto retributivo in questione, non superato da alcun intervento novativo, sicchè non poteva trovare applicazione la disciplina del D.L. n. 2 del 2004, art. 1 e il criterio di calcolo proporzionale ivi previsto e poi applicato dall’Università;

la Corte rigettava altresì l’eccezione di prescrizione sollevata dall’Università e riconosceva interessi e rivalutazione sui relativi crediti, tenuto conto della natura di dipendenti privati propria dei collaboratori linguistici, cui riteneva non potessero applicarsi le limitazioni di cui alla L. n. 724 del 1994;

da altro punto di vista, la Corte riteneva infondata la pretesa, anche risarcitoria, avanzata dai lavoratori sul presupposto che non fosse stata loro riconosciuta la qualifica di docenti, profilo, il predetto, che essa riteneva non essere pregiudicato dal pregresso giudicato inter partes, in quanto inerente soltanto l’adeguatezza della retribuzione;

in consequenzialità con ciò, il giudice di appello respingeva anche la domanda risarcitoria rivolta contro la Repubblica Italiana per (così la sentenza di appello) violazione del diritto comunitario;

la Corte distrettuale valutava infine come non fondata la pretesa di annullamento delle sanzioni disciplinari applicate per il rifiuto indebito dei lavoratori di firmare il registro elettronico, addotto anche in ragione del fatto che analogo incombente non fosse preteso dai docenti universitari, registro la cui adozione, secondo il giudice di appello, rientrava appieno nel potere di autorganizzazione dell’Università che aveva altresì regolarmente condotto il procedimento disciplinare e adeguatamente determinato le sanzioni;

avverso la sentenza della Corte d’Appello hanno proposto distinti ricorsi per cassazione il S., con quattro motivi, e l’Università di Pisa, con sedici motivi, ricorsi avviati a trattazione congiunta ai sensi dell’art. 335 c.p.c.;

l’Università di Pisa ha resistito con controricorso all’impugnativa del S., mentre le restanti lavoratrici e l’erede di Little Blanton Price, oltre a resistere con proprio controricorso avverso l’impugnazione proposta dall’Università, hanno avanzato ricorso incidentale nei riguardi della medesima pronuncia, sulla base di sei motivi, cui l’Università ha replicato con ulteriore controricorso;

l’I.N.P.S., già litisconsorte nel giudizio di merito, ha depositato procura e la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha presentato memoria, al fine di partecipare all’udienza di discussione;

tuttavia, anche in esito all’avvio della causa a trattazione camerale, nè l’I.N.P.S., nè la Presidenza del Consiglio dei Ministri hanno svolto attività difensiva.

CONSIDERATO

CHE:

le impugnative del S., da un lato, e quella, dall’altro lato, delle restanti lavoratrici e dell’erede di Pr.Li.Bl. vanno trattate distintamente, in quanto le relative posizioni, sebbene confluite, per effetto della riunione disposta dal Tribunale, in unitarie sentenze di primo e di secondo grado, sollecitano questioni di fatto e diritto tra loro sensibilmente differenti;

ricorso R.G. 22239/2012 (Università di Pisa contro S. e I.N.P.S.).

1. il S., secondo quanto da lui dedotto in causa, ha operato presso l’Università di Pisa, in forza di quattro contratti a tempo determinato, indicati come inerenti una “prestazione autonoma” ed intercorsi con tra il 1990 ed il 1994, quale incaricato dell’insegnamento e coordinamento della lingua italiana nell’ambito del progetto ERASMUS e LINGUA;

successivamente, a partire dal novembre 1994, l’Università ha applicato nei suoi confronti la nuova disciplina del C.E.L. (Collaboratori ed Esperti Linguistici) di cui al D.L. n. 120 del 1995, art. 4 attraverso la sottoscrizione di contratto di lavoro di natura subordinata ed a tempo indeterminato, ma – prosegue il ricorrente – le “prestazioni affidate e le modalità di espletamento” erano di fatto rimaste le medesime, salvo il demansionamento progressivamente attuato dall’Università a partire dall’anno 1995/96 ed erano consistite nello svolgimento di corsi di lingua italiana per studenti stranieri;

egli aveva quindi agito per ottenere il riconoscimento dell’esistenza di un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, in ragione della nullità dei termini apposti ai contratti a tempo determinato e della natura subordinata delle prestazioni rese e ciò fin dal 1990 e con la qualifica di lettore universitario di cui al D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28 previo accertamento della nullità e/o annullabilità anche del contratto quale C.E.L., stipulato a suo dire senza causa, proprio per la preesistenza di altro rapporto di lavoro, nei sensi di cui sopra;

il S. insisteva altresì per l’accertamento del proprio diritto alla ricostruzione della carriera fin dall’inizio dell’unitario rapporto, con riconoscimento delle corrispondenti differenze retributive sulla base del parametro del trattamento economico del professore associato a tempo definito o a quello del ricercatore universitario confermato, con regolarizzazione della posizione previdenziale ed assistenziale e con applicazione, in via subordinata, del D.L. n. 2 del 2004, art. 1;

il ricorrente chiedeva infine che fosse dichiarata l’illegittimità dell’imposizione dell’utilizzo, non richiesto alle altre categoria di docenti in servizio, di un registro elettronico, che non permetteva la regolare attestazione delle attività effettivamente svolte;

2. la Corte d’Appello di Firenze, riformando la sentenza di primo grado che aveva rigettato le domande così dispiegate, ha ritenuto che, per quanto riguardava l’asserita esistenza di un rapporto di lavoro prima del 1994, il Tribunale avesse erroneamente omesso di dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, pur se, sulla base degli assunti delle Sezioni Unite di questa Corte, la natura pubblica del datore di lavoro avrebbe determinato automaticamente il carattere pubblicistico del rapporto di lavoro;

con riferimento al rapporto di C.E.L. stipulato nel 1994, la Corte territoriale, ritenendo la propria giurisdizione, rigettava come detto ogni domanda;

con il primo motivo di ricorso il S. denuncia la violazione delle norme sul riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo (art. 360 c.p.c., n. 1), nonchè violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2 con riferimento al D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28 ed all’art. 12 c.d. preleggi, il tutto sul presupposto che anche i rapporti a termine intercorsi tra il 1990 ed il 1994 avevano natura privatistica e che comunque, l’esigenza di concentrazione del giudizio rispetto ad un contratto di cui egli assumeva l’unicità giuridica anche dopo il 31.12.1998, data di transito della giurisdizione sui rapporti di lavoro con la P.A. presso il giudice ordinario, imponeva di riconoscere l’esistenza di un’unica giurisdizione, appunto quella ordinaria, sull’intero lasso temporale;

3.1 va premesso che, con decreto 10 settembre 2018, il Primo Presidente ha disposto che fossero assegnati a questa Sezione i ricorsi che pongono questioni di giurisdizione attinenti al settore del pubblico impiego privatizzato ed è su tale base, con particolare riferimento al richiamo, nel predetto decreto, agli indirizzi in tema di “discrimine temporale del 31.12.1998”, che in questa sede si procede, senza remissione alle Sezioni Unite, alla disamina dei corrispondenti profili;

3.2 la domanda avanzata, come si è detto, si fonda sulla richiesta di accertamento dell’esistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, di lettorato, dal 26.3.1990 in poi ed ancora alla data del ricorso;

a tal fine il S. sostiene la nullità dei termini volta a volta apposti ai contratti stipulati D.P.R. n. 382 del 1980, ex art. 28 e, poi, la nullità anche del rapporto a tempo indeterminato di C.E.L. successivamente instaurato o, in subordine, qualora dovesse applicarsi la disciplina dei C.E.L., il diritto al trattamento di salvaguardia di cui alla L. n. 63 del 2004;

a tale domanda fanno seguito consequenziali pretese economiche e previdenziali, ma ciò che rileva, per la questione di giurisdizione, è la causa petendi sottostante di accertamento dell’esistenza del predetto rapporto di lavoro unitario a tempo indeterminato con l’Università;

3.3 sul tema, in fattispecie non dissimile dalla presente, Cass., S.U., 14 febbraio 2007, n. 3200 ha affermato che “ai sensi del D.L. 21 aprile 1995, n. 120, art. 4, comma 1, convertito nella L. 21 giugno 1995, n. 236, è stata prevista, con decorrenza dal primo gennaio 1994, la facoltà per le Università di provvedere all’assunzione di collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre mediante la stipula di contratti di lavoro subordinato di diritto privato a tempo indeterminato ovvero, per esigenze temporanee, a tempo determinato, con la conseguente attribuzione della giurisdizione per le controversie attinenti a tali contratti conclusi successivamente a detta data al giudice ordinario, mentre, con riferimento alla disciplina antecedente riguardante il suddetto personale, restano devolute alla giurisdizione amministrativa le questioni concernenti i contratti stipulati tra le parti anteriormente alla individuata data, poichè, in assenza di una disposizione di legge derogativa, la natura pubblica del datore di lavoro determinava automaticamente il carattere pubblicistico del rapporto di lavoro” (Cass., S.U., 14 febbraio 2007, n. 3200);

ciò è stato così deciso sul presupposto che il caso del lettorato universitario di lingua italiana per stranieri, quale è anche quello di specie, non potesse rientrare nell’ambito del D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28 che delinea un rapporto di diritto privato ma solo con riferimento ai lettori di madre lingua diversa dall’italiano, sicchè il rapporto, anteriormente alla stipula del contratto privatistico di C.E.L., non avrebbe che potuto essere di natura pubblicistica e come tale devoluto alla cognizione del giudice amministrativo;

ciò ha giustificato, all’epoca, l’allontanamento dalla contestuale giurisprudenza secondo cui “le controversie fra università e lettori di lingua straniera sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario anche quando si tratti di stabilire se il rapporto di lavoro, che è di natura privatistica per espressa qualificazione del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28 debba essere riconosciuto come rapporto subordinato a tempo indeterminato”;

tale allontanamento era però soltanto apparente, essendo evidente che le conclusioni assunte rispetto al lettore di lingua straniera non valevano più allorquando il rapporto, riguardando un lettore di lingua italiana per stranieri, non era ritenuto, per le ragioni sopra dette, da riportare alla fattispecie dell’art. 28 cit. ed era invece ritenuto di natura pubblicistica;

3.4 l’orientamento di Cass. 3200/2007 cit., in sè efficacemente sorretto dalle argomentazioni appena richiamate e dal criterio della c.d. causa petendi sostanziale, di cui è stata fatta in quella sede lineare applicazione, va riletto, in punto giurisdizione, alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte dell’ultimo decennio;

le Sezioni Unite hanno in effetti mano a mano consolidato una diversa lettura, nel senso per cui, per interpretare la disciplina di subentro del giudice ordinario a quello amministrativo rispetto ai rapporti di lavoro con la P.A., deve essere valorizzata l’unitarietà della giurisdizione, allorquando si presentino situazioni che si collochino “a cavallo” dell’epoca di discrimine temporale tra le due giurisdizioni e ciò anche al fine di evitare una divaricazione della cognizione, con attribuzione di essa per un periodo ad un giudice e per altro periodo ad un diverso giudice, nonostante la situazione prospettata, pur protrattasi nel tempo, presenti elementi di unitarietà che ne manifestino l’inscindibilità;

nel caso di specie il ricorrente, come detto, ha chiesto il riconoscimento di un rapporto di lavoro che, nella prospettazione, è preteso come unico a partire dal 1990 e fino quanto meno a 2008, epoca del deposito del ricorso introduttivo e ciò pur se lo stesso ricorrente ammette, per quanto in via subordinata, che ad esso potrebbe in ipotesi poi trovare applicazione la disciplina novativa di cui al D.L. n. 2 del 2004, art. 1;

ne deriva che l’oggetto del contendere intercetta la questione attinente al discrimine temporale tra le giurisdizioni di cui al D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45, comma 17, sostanzialmente trasfusa, in seguito, nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7;

3.5 tale problematica è stata più volte esaminata dalle Sezioni Unite che hanno, negli ultimi anni – si cita da Cass. 17 novembre 2015, n. 23459 – ” operato un revirement in materia superando il criterio del frazionamento per regolare il riparto di giurisdizione”, in cui il “decisivo punto di svolta è…. rappresentato” da Cass. S.U. 1 marzo 2012, n. 3183 ove si è rimarcato – le citazioni sono ora tratte da quest’ultima sentenza – come la “sopravvivenza della giurisdizione del giudice amministrativo in tema d’impiego pubblico contrattualizzato ha costituito, nelle intenzioni del legislatore, un’ipotesi assolutamente eccezionale che impone di leggere la norma in chiave restrittiva”, sicchè “in caso di fattispecie sostanzialmente unitaria dal punto di vista giuridico e fattuale, la protrazione della vicenda anche oltre il 30/6/1998 radica la giurisdizione dell’AGO pure per il periodo precedente, non essendo ammissibile che sul medesimo rapporto abbiano a pronunciarsi due giudici diversi con conseguenti possibilità di risposte differenti ad un’identica domanda di giustizia”;

conseguentemente, Cass. 23 novembre 2012, n. 2076 ha affermato che il sistema individua di “regola, la giurisdizione del giudice ordinario, per ogni questione che riguardi il periodo del rapporto successivo al 30 giugno 1998 o che parzialmente investa anche il periodo precedente, ove risulti essere sostanzialmente unitaria la fattispecie dedotta in giudizio, e lascia residuare,come eccezione, la giurisdizione del giudice amministrativo, per le sole questioni che riguardino unicamente il periodo del rapporto compreso entro la data suddetta”, sicchè “il criterio della fattispecie sostanzialmente unitaria è, quindi, elevato, in regime transitorio, a canone distintivo” e non sussistono “due criteri paralleli e simmetrici, attributivi della giurisdizione, bensì un canone generale, che assegna alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie del lavoro pubblico privatizzato, ed uno a carattere residuale, come eccezione alla regola, che conserva ad esaurimento al giudice amministrativo la giurisdizione sulle controversie che pongono questioni che riguardano solo il periodo fino al 30 giugno 1998”;

tutto ciò è confluito in un consolidato e condiviso indirizzo di queste Sezioni Unite secondo cui “in tema di pubblico impiego contrattualizzato, la sopravvivenza della giurisdizione del giudice amministrativo, regolata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, costituisce, nelle intenzioni del legislatore, ipotesi assolutamente eccezionale, sicchè, per evitare il frazionamento della tutela giurisdizionale, quando il lavoratore deduce un inadempimento unitario dell’amministrazione, la protrazione della fattispecie oltre il discrimine temporale del 30 giugno 1998 radica la giurisdizione presso il giudice ordinario anche per il periodo anteriore a tale data, non essendo ammissibile che sul medesimo rapporto abbiano a pronunciarsi due giudici diversi, con possibilità di differenti risposte ad una stessa istanza di giustizia” (Cass., S.U., 29 dicembre 2017, n. 31230 che cita, tra le altre successive alle pronunce già sopra esaminate, Cass., S.U., 22 marzo 2017, n. 7305; Cass., S.U., 15 marzo 2016, n. 5074);

va menzionata infine, per la similitudine rispetto al caso di specie, in cui come detto i contratti originari riguardano una “prestazione professionale”, Cass., S.U., 28 marzo 2012, n. 4942, la quale ha riconosciuto senza limiti la giurisdizione ordinaria rispetto ad un caso in cui era chiesto il riconoscimento del carattere subordinato di un rapporto di lavoro formalmente qualificato come autonomo che aveva avuto corso in un ampio arco di tempo, prima e dopo il 31 dicembre 1998;

3 6. riprendendo quindi più da vicino la domanda dispiegata dal S., si ricorda ancora come essa sia stata formulata sostenendosi che, fin dalla originaria stipula dei contratti per prestazioni professionali, dal 1990 in poi, sarebbe sorto un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, di cui si pretende la qualificazione come di lettorato D.P.R. n. 382 del 1980, ex art. 28 protrattosi poi anche successivamente al 31.12.1998, data di discrimine tra le giurisdizioni;

la Corte territoriale, declinando la giurisdizione rispetto al periodo fino al 1994, non ha pronunciato su tale pretesa nella sua unitarietà e reale consistenza, sicchè, sulla base di quanto finora detto, è evidente il ricorrere dei presupposti affinchè, anche per tutto quanto accaduto prima del 31.12.1998 e con effetti che si assumono protratti anche dopo tale data, va dichiarata la giurisdizione ordinaria;

3.7 esaminando il periodo successivo alla stipula del contratto di C.E.L., la Corte territoriale ha poi ha ritenuto che, rispetto ad esso, non potevano avere comunque rilievo gli accadimenti pregressi, in quanto il S. -“a differenza dei suoi litisconsorti” non poteva – si legge nella sentenza – “far valere un giudicato che gli assicurasse una condizione stipendiale di miglior favore”;

tuttavia un giudicato in tal senso è proprio quello perseguito dal ricorrente con la domanda che fa leva sui fatti antecedenti al 1994, al fine di ottenere il riconoscimento dell’esistenza di un rapporto unitario anche successivamente a quella data ed oltre il 31.12.1998;

è pertanto evidente che la cassazione della sentenza rispetto alla declinatoria di giurisdizione per il periodo fino al 1994 comporta la necessità di una nuova disamina anche rispetto al periodo successivo, per verificare se quanto da decidere rispetto ai contratti più risalenti incida o meno, ed eventualmente come, sul periodo successivo al 1994 e dal 31.12.1998 in poi;

la fondatezza delle pretese del S. va definita in sede di rinvio, anche in ragione della peculiarità di una prestazione che riguarda un lettorato di lingua italiana per stranieri e non un lettorato di lingua non italiana per gli studenti dell’Università, ma su tutto ciò, quale che ne sia la fondatezza, il S. ha appunto diritto ad ottenere la pronuncia di merito;

3.8 da quanto sopra deriva l’assorbimento del secondo e del quarto motivo del ricorso in esame, riguardanti l’asserita violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda come complessivamente impostata (secondo motivo) e l’omessa applicazione della L. n. 63 del 2004, art. 1 (quarto motivo);

i temi così proposti sono infatti sovrapponibili (secondo motivo) o consequenziali (quarto motivo) a quanto si rimette di valutare al giudice del rinvio, che appunto dovrà affrontare la controversia tenuto conto anche del periodo antecedente al 1994 e, qualora necessario, verificare se al rapporto quale delineato dal S. debba o meno trovare applicazione la disciplina sopravvenuta di cui al D.L. n. 2 del 2004, art. 1;

non diversamente, deve ritenersi assorbito anche il terzo motivo di ricorso per cassazione, con cui il S. lamenta che la Corte territoriale non abbia motivato in merito alla domanda ex art. 36 Cost., con riferimento all’adeguatezza della retribuzione percepita rispetto alla qualità e quantità delle mansioni svolte;

è infatti evidente come la cassazione con rinvio mantiene incerta la misura della retribuzione giuridicamente spettante al S., il che pregiudica ogni valutazione rispetto alla adeguatezza o meno di essa rispetto ai menzionati parametri costituzionali, sicchè anche tale profilo non potrà che essere esaminato una volta definito quanto rispetto ad esso è preliminare;

Ricorso R.G. 22325/2012 (Università di Pisa contro P.R. e altri.

4. Pr.Li.Bl. (cui ora è succeduta l’erede e parte in causa P.R.), L.R.M.C., J.M.R., O.R.M.R., T.P. e Pa.Lu. hanno ottenuto, dal Tribunale di Pisa, una prima sentenza, sul punto passata in giudicato, di riconoscimento della nullità dei termini apposti ai contratti di lettorato intercorsi con l’Università di Pisa tra il 1983 ed il 1994;

quindi, in esito a ulteriori gradi di giudizio, essi hanno ottenuto, dal Tribunale di Lucca, in sede di rinvio ex art. 392 c.p.c., sentenza di condanna della controparte al pagamento delle differenze retributive, parametrate su quanto dovuto al ricercatore a tempo definito, con effetto fino al 31.10.1994;

i medesimi ricorrenti hanno quindi adito di nuovo il Tribunale di Pisa, esponendo di avere successivamente concluso, sempre con l’Università di Pisa, contratti quali Collaboratori ed esperti linguistici (C.E.L.) secondo la disciplina del D.L. n. 530 del 1993, poi decaduto, e dei successivi dd.ll., infine fatti salvi, nei propri effetti, dalla legge di conversione dell’ultimo di essi (L. n. 236 del 1995);

conseguentemente, al sopravvenire del D.L. n. 2 del 2004, convertito in L. n. 63 del 2004, l’Università aveva applicato, nei loro confronti, il trattamento del ricercatore confermato a tempo definito, ma nella misura dei 77 % e ciò sul presupposto dello svolgimento, da parte loro, solo di 385 ore delle 500 prese a riferimento dalla normativa citata;

i lavoratori chiedevano viceversa il riconoscimento dell’unicità del rapporto di lavoro di lettorato ai sensi del D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28 per come convertito a tempo indeterminato in forza della sentenza del Tribunale di Pisa e quali docenti, sul presupposto dell’invalidità dei contratti di C.E.L., in quanto successivamente sottoscritti sotto la costrizione psicologica di perdere il lavoro e comunque nulli per difetto di causa, stante la preesistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato nei termini sopra detti;

oltre a ciò, veniva richiesto il pagamento delle differenze retributive, anche ex art. 36 Cost., sulla base del trattamento destinato ai professori associati a tempo definito o, in subordine del ricercatore confermato a tempo pieno o a tempo definito, in questo caso secondo le regole di cui alla L. n. 63 del 2004, ma senza decurtazione in base all’orario svolto, seppure inferiore a quello ordinario di 500 ore, il tutto oltre risarcimento de. danni da demansionamento o per perdite economiche o previdenziali nonchè, verso lo Stato italiano, per violazione della normativa comunitaria;

5. la Corte d’Appello di Firenze ha osservato che con la sentenza, passata in giudicato, del Tribunale di Lucca, resa in sede di rinvio ex art. 392 c.p.c., era stata accolta la domanda di rideterminazione del trattamento retributivo, proposta dai lettori ai sensi dell’art. 36 Cost. e la retribuzione era stata riparametrata all’intero stipendio spettante al ricercatore confermato a tempo definito;

ha poi precisato che la Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso proposto avverso detta sentenza, aveva evidenziato che, per il periodo anteriore al 10 gennaio 1994, non doveva essere applicato il D.L. n. 2 del 2004, perchè il Tribunale aveva rispettato il trattamento economico minimo previsto dal legislatore;

il giudice di appello ha altresì ritenuto che, in forza del precedente giudicato, le ricorrenti fossero divenute titolari di un trattamento economico individuale di miglior favore, salvaguardato dalla normativa succedutasi nel tempo ed ha precisato al riguardo che, in occasione della sottoscrizione dei contratti di collaborazione linguistica, gli ex lettori ebbero cura di precisare che non intendevano rinunciare al contenzioso all’epoca pendente, aggiungendo che detta riserva si giustificava anche alla luce del disposto del D.L. n. 120 del 1995, art. 4 che prevede la conservazione de: diritti acquisiti nei precedenti rapporti;

la Corte territoriale ha quindi sostanzialmente ritenuto inapplicabile alla fattispecie il D.L. n. 2 del 2004, art. 1 come anche la L. n. 240 del 2010, art. 26, comma 3, sottolineando come al momento di entrata in vigore della norma di interpretazione autentica le appellanti non avevano alcun giudizio in corso, avendo già conseguito la determinazione giudiziale in via definitiva della loro giusta retribuzione;

la Corte di appello ha anche respinto l’eccezione di prescrizione, perchè il relativo quinquennio era stato interrotto dagli atti che essa elencava in motivazione ed ha condannato l’Università al pagamento delle somme, quali calcolate in esito a c.t.u., oltre agii interessi ed alla rivalutazione monetaria, cumulati in considerazione della ritenuta natura privatistica del rapporto di lavoro;

la Corte territoriale ha invece respinto la pretesa delle ricorrenti di rettifica della loro posizione professionale di C.E.L. e di ripristino della originaria qualifica di lettori o comunque di docenti, ritenendo non solo che ciò non fosse imposto dal pregresso giudicato inter partes, ma anche che non fosse precluso alla legge di innovare le figure professionali già esistenti;

su tali premesse, oltre che su considerazioni inerenti la regolarità del procedimento e l’adeguatezza delle misure adottate, veniva altresì respinta l’impugnativa delle sanzioni disciplinari, che erano state irrogate (tre sanzioni, consistenti nella sospensione dal servizio per cinque giorni, poi per sei giorni e quindi per otto giorni) in ragione dell’inosservanza da parte dei lavoratori dell’obbligo imposto dall’Università di compilare un registro elettronico appositamente istituto per la rilevazione delle attività svolte;

6. con il primo motivo l’Università ha denunciato la violazione e/o falsa applicazione del giudicato esterno (Trib. Lucca 1339/02; Cass. 12346/1999), in relazione all’art. 2909 c.c., nonchè dell’art. 12 disp. gen. e ss. ed altresì violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 120 del 1995, art. 4, comma 2, nella parte in cui rinvia al c.c.n.l. per la determinazione del contenuto degli eventuali obblighi di esclusiva dei collaboratori esperti linguistici (compresi gli ex lettori) e dello stesso art. 51, comma 8, del c.c.n.l. 1994-1997 comparto Università che ha disciplinato detti obblighi e tuttora li disciplina; sulla premessa che il giudicato può essere direttamente interpretato dal giudice di legittimità, la ricorrente ha rilevato che il Tribunale di Lucca, ai fini del giudizio di adeguatezza della retribuzione, aveva valutato non solo la qualità e quantità dè lavoro prestato, ma anche il vincolo di esclusiva che i lettori erano tenuti ad assicurare e su detto vincolo aveva fondato il riconoscimento dell’intero trattamento economico attribuito al ricercatore confermato a tempo definito;

ha aggiunto poi che, al contrario, i collaboratori esperti linguistici, sulla base della normativa di legge e contrattuale, possono svolgere altre prestazioni di lavoro, senza necessità di autorizzazione, avendo solo un onere di comunicazione all’amministrazione;

la Corte territoriale, pertanto, avrebbe dovuto considerare, secondo l’Università, che il giudicato non poteva riguardare anche il periodo successivo al 31.10.1994, nel quale era cambiato, con l’intervento anche dei nuovi contratti di C.E.L., un dato essenziale posto a fondamento della decisione;

con il secondo motivo l’Università ha sostenuto che la sentenza sarebbe inficiata da omessa o insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), in quanto in essa, pur affermando di voler valorizzare le lettere di riserva formulate dai lavoratori all’atto della stipula dei contratti quali C.E.L. al fine di far constare l’assenza di intento novativo, non ha dato conto del contenuto di quei documenti, mentre inadeguato era anche il richiamo alla perseveranza dei lavoratori nel coltivare i giudizi instaurati precedentemente, anche dopo la firma di quei contratti, trattandosi di comportamento in realtà privo di rilievo;

il terzo motivo è destinato dalla ricorrente principale alla denuncia di violazione degli artt. 1362 c.c. e ss, nonchè degli artt. 1321,1372 e 1230 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), affermandosi che la Corte territoriale non avrebbe potuto escludere la novazione facendo leva su atti unilaterali;

inoltre – ha aggiunto la ricorrente principale – le “riserve” erano finalizzate solo a chiarire che la sottoscrizione del nuovo contratto non implicava rinuncia al ricorso pendente e, quindi, non avevano la finalità di intervenire sul nuovo rapporto, precludendone la validità o l’efficacia;

con il quarto motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente ha lamentato la “violazione dell’art. 112 c.p.c. nella parte in cui la sentenza ha fatto salvi gli effetti del giudicato del Tribunale di Lucca facendo leva sulla salvezza dei diritti quesiti di cui alla L. n. 236 del 1995, nonostante gli attori abbiano fatto valere i pretesi effetti espansivi del giudicato anteriore senza mai qualificare quel trattamento come diritto quesito”, sostenendosi che a fondamento della domanda i lavoratori avessero unicamente dedotto l’effetto espansivo del giudicato sino all’anno 2004, sicchè la Corte non avrebbe potuto modificare la causa petendi;

con il quinto motivo è stata invece denunciata ex art. 360 c.p.c., n. 3, la “violazione e/o falsa applicazione della L. n. 236 del 1995, art. 4, e dell’art. 2077 e 2103 c.c.”, sostenendosi che la Corte territoriale avrebbe errato nell’interpretare la L. n. 236 del 1995 ed i decreti legge che l’avevano preceduta, perchè il legislatore, al fine di ottemperare alla pronuncia resa dalla Corte di Giustizia, aveva voluto solo salvaguardare l’anzianità maturata dai lettori ed a quest’ultima andava riferita l’espressione per cui il C.E.L. “conserva i diritti acquisiti in relazione ai precedenti – rapporti”;

l’Università ha precisato ancora, con il medesimo motivo, che nel rapporto di lavoro non è interdetta al legislatore o ai contraenti collettivi la modifica, anche in peius, della posizione di una delle parti, perchè può parlarsi di diritto quesito solo con riferimento a situazioni che siano entrate a far parte del patrimonio del lavoratore, come nel caso di corrispettivi di prestazioni già rese e non in presenza di situazioni future o in via di consolidamento;

con il sesto motivo del ricorso principale è stata sostenuta la violazione (art. 360 c.p.c., n. 3) dell’art. 2697 c.c., affermandosi che i lavoratori, al fine di ottenere l’applicazione del pregresso giudicato al successivo rapporto, avrebbero dovuto dimostrare non solo la generica equivalenza delle mansioni, ma anche l’equivalenza delle condizioni normative, tra cui anche del vincolo di esclusiva che caratterizzava il rapporto oggetto della pronuncia su cui le parti originarie ricorrenti avevano fatto leva;

il settimo motivo è stato dedicato alla censura, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, di violazione della L. n. 63 del 2004, degli artt. 2909, 2697,2077 e 2103 c.c. e degli artt. 36 e 97 Cost., sostenendosi, in estrema sintesi, che il trattamento più favorevole a quale si riferisce la L. n. 63 del 2004 va sempre mantenuto nei limiti della proporzionalità, tanto più che, considerata la modestia dell’orario di lavoro, una volta venuto meno l’obbligo di esclusiva, una retribuzione sganciata dall’orario di lavoro non avrebbe alcun fondamento ontologico e costituzionale;

con l’ottavo motivo, articolato in più punti, è stata denunciata la violazione (art. 360 c.p.c., n. 3) della L. 63 del 2004, art. 4 per come interpretata dalla L. n. 240 del 2010, art. 26, comma 3, nella parte in cui la Corte ha ritenuto che la disciplina non fosse applicabile alla causa e quindi non ha dichiarato l’estinzione del giudizio da detta norma prevista o, comunque, non ha rigettato la domanda e ciò sul presupposto che la normativa sopravvenuta non avrebbe potuto essere ritenuta inapplicabile solo perchè esisteva un giudicato fra le parti, atteso che detto giudicato si riferiva solo al rapporto di lettorato e non aveva impedito che si instaurasse una nuova controversia, nella quale assumeva rilievo la L. n. 63 del 2004, invocata dalle ricorrenti, come anche la disposizione di interpretazione autentica di cui alla Legge del 2010 cit.;

la Corte territoriale, pertanto, avrebbe dovuto dichiarare estinto il giudizio o respingere nel merito la domanda perchè, alla luce della legge di interpretazione autentica, anche qualora si fosse considerato il parametro stipendiale del ricercatore al 100%, così come affermato dalla sentenza del Tribunale di Lucca, non ci sarebbero state differenze retributive da riconoscere in favore delle originarie ricorrenti;

l’Università, al riguardo, ha precisato di avere sempre applicato la L. n. 63 del 2004 in termini più favorevoli rispetto a quanto poi stabilito dal legislatore, avendo tenuto conto del parametro indicato in modo “dinamico” e non limitandosi a salvaguardare l’eventuale differenza rispetto al trattamento previsto dalla contrattazione collettiva nazionale e di ateneo, ma riconoscendo, in favore dei lavoratori, assegni ad personam;

il nono, decimo e undicesimo motivo del ricorso principale riguardano il tema della prescrizione, rispetto al quale l’Università di Pisa ha lamentato che il riconoscimento dell’interruzione della stessa sarebbe stato basato anche su atti non ritualmente prodotti (nono motivo ex art. 360 c.p.c., n. 4), oggetto di una disamina e motivazione insufficiente (decimo motivo ex art. 360 c.p.c., n. 5) e definito attribuendo valore alle mere riserve formulate rispetto agli effetti del giudizio, in realtà prive del valore di diffida, oltre che ad un atto collettivo in cui si reclamavano risarcimenti del danno, ma non si avanzavano pretese retributive, sostenendosi altresì che la Corte avesse erroneamente ritenuto che gli atti interruttivi, rispetto ai periodi prescrizionali la cui decorrenza era successivamente mano a mano ripresa, fossero intervenuti con una continuità idonea ad impedire la maturazione della prescrizione (undicesimo motivo ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione degli artt. 2943, 1291 c.p.c. e art. 2945 c.p.c., comma 1);

il dodicesimo motivo ha censurato la sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2118 e 2120 c.c., nella parte in cui essa ha ritenuto che nella base di calcolo del t.f.r., spettante iure hereditario all’erede di Pr.Li.Ba., deceduto in corso di causa, andasse inserita, come aveva fatto il c.t.u. il cui elaborato era stato ripreso dalla sentenza, anche l’indennità di preavviso di cui all’art. 2118 c.c., di cui non poteva affermarsi il carattere retributivo, spettando esso iure proprio ai superstiti;

il tredicesimo motivo ha addebitato alla sentenza impugnata (art. 360 c.p.c., n. 3) la “violazione e falsa applicazione dell’art. 429 c.p.c. e della L. n. 724 del 1994, art. 22, comma 36 come risultante anche dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 459/2000 e, in quanto richiamato, della L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6, e del D.M. n. 352 del 1998, nella parte in cui ha ritenuto di condannare l’Università al cumulo tra rivalutazione ed interessi calcolati sulla somma periodicamente rivalutata”;

la ricorrente in proposito ha richiamato giurisprudenza di questa Corte, per sostenere – che il divieto di cumulo è legato alla natura del datore di lavoro, sicchè non rilevava la qualificazione in termini di diritto privato del rapporto intercorrente con i collaboratori esperti linguistici;

la medesima rubrica è poi stata anteposta al quattordicesimo motivo, con il quale l’Università ha evidenziato che, ai sensi del D.M. n. 352 del 1998, interessi e rivalutazione devono essere calcolati non sul capitale lordo, bensì sulla somma al netto delle ritenute fiscali e delle trattenute previdenziali;

infine il quindicesimo ed il sedicesimo motivo sono inerenti la condanna alla regolarizzazione previdenziale, sostenendosi (quindicesimo motivo, ex art. 360 c.p.c., n. 4) che la sentenza sarebbe nulla, perchè il limite della prescrizione di tale diritto era indicato solo in motivazione e non nel dispositivo, sicchè tra i due atti si determinava contrasto e comunque affermandosi (sedicesimo motivo ex art. 360 c.p.c., n. 5), con riferimento al quanto indicato nel dispositivo, la violazione della L. n. 355 del 1995 e dell’art. 2935 c.c. per non avere la sentenza dichiarato d’ufficio la prescrizione dei contributi;

7. il primo motivo del ricorso incidentale proposto dalle lavoratrici e dall’erede di Pr.Li.Bl. sostiene la violazione e/o falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) degli art. 1418 e 1419 c.c., in relazione alla L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 3 e L. n. 236 del 1995, art. 4 in riferimento alla parte della sentenza che ha rigettato le domande volte a far accertare l’invalidità dei contratti di C.E.L. ed il diritto dei lavoratori a mantenere le qualifiche acquisite di lettori D.P.R. n. 382 del 1980, ex art. 28 sul presupposto che in realtà quei contratti dovessero considerarsi nulli per difetto di causa, essendo essi intervenuti quando tra le parti già esistevano rapporti di lavoro subordinato e tempo indeterminato per le medesime prestazioni, come accertato dalla intercorsa sentenza passata in giudicato;

il secondo motivo adduce la violazione dell’art. 2103 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), sostenendosi che il mutamento di inquadramento da lettori e C.E.L., senza una concreta riduzione delle mansioni svolte, avrebbe leso il diritto alla qualifica dei lavoratori, con passaggio da una posizione di docenza ad una tecnico-amministrativa; il terzo motivo è formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e afferma la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla richiesta condanna dell’Università al risarcimento per danno previdenziale ex art. 2116 c.c.;

con il quarto motivo di ricorso incidentale si sostiene (art. 360 c.p.c., n. 3) la violazione dell’art. 39 (già 48) del Trattato CE (ora 112 TFUE), con riferimento al rigetto della domanda di risarcimento dei danni contro lo Stato per mancato tempestivo adeguamento dell’ordinamento italiano alla disciplina comunitaria;

il quinto ed il sesto motivo di ricorso incidentale sono invece relativi alle sanzioni disciplinari irrogate per l’inosservanza delle disposizioni impartite per l’uso del registro elettronico, sostenendosi (quinto motivo) la violazione e falsa applicazione dell’art. 48 (già art. 48) del Trattato CE (ora 112 TFUE), anche in relazione all’art. 2103 c.c., per essersi importo l’uso di un registro che non permetteva la fedele indicazione delle attività svolte, per giunta con scelta discriminatoria rispetto agli altri lavoratori nazionali e dei docenti, che, pur svolgendo analoghe mansioni, non erano a ciò obbligati, oltre che con lesione della libertà, dignità e personalità umana dei lavoratori, denunciandosi infine (sesto motivo ex art. 360 c.p.c., n. 5) l’insufficiente motivazione della sentenza, anche con violazione (art. 360, n. 3) della L. n. 300 del 1970, art. 7 in punto di tempestività, specificità e chiarezza delle contestazioni, nonchè in relazione al difetto di proporzionalità delle sanzioni irrogate;

8. preliminarmente va disattesa l’istanza con cui le parti ricorrenti incidentali hanno chiesto di rimettere la decisione alle Sezioni Unite, in quanto le pur svariate censure sollevate riguardano temi già trattati in altre decisioni, mentre non può dirsi che quanto stabilito da Cass. 17 agosto 2018 n. 20765 si ponga in contrasto con la giurisprudenza pregressa, sulla quale viceversa tale pronuncia espressamente si basa, come risulta dai richiami di seguito riportati ai vari passi delle motivazione della medesima;

9 ciò posto, ha quindi carattere pregiudiziale, rispetto a quello delle altre censure, l’esame dell’ottavo motivo del ricorso principale, nella parte in cui assume che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare estinto il giudizio L. n. 240 del 2010, ex art. 26, comma 3;

le Sezioni Unite di questa Corte, con la recente sentenza n. 19164/2017, in continuità con l’orientamento già espresso da Cass. 20 maggio 2016, n. 10452 e Cass. 28 settembre 2016, n. 19190, hanno evidenziato che la previsione processuale si pone in stretta correlazione con la disciplina delle pretese sostanziali, sicchè non devono essere dichiarati estinti tutti i processi intentati dagli ex lettori nei confronti delle università, ma solo quelli nei quali rilevi il nuovo assetto dato dal legislatore alla materia, senza che ne derivi una vanificazione dei diritti azionati;

è, quindi, imprescindibile che la pretesa fatta valere in giudizio sia esattamente coincidente con quanto stabilito dalla norma di interpretazione autentica in merito alla quantificazione del trattamento economico spettante agli ex lettori;

l’esegesi della disposizione, infatti, deve essere orientata alla salvaguardia del diritto di azione, costituzionalmente garantito, sicchè l’estinzione può operare solo “in ragione, del pieno riconoscimento a favore degli ex lettori di madrelingua straniera del bene della vita al quale i medesimi aspirano con la proposizione del contenzioso” (Corte Cost. 23 febbraio 2012, n. 38);

nella fattispecie, al contrario, gli originari ricorrenti, assumendo di essere stati destinatari di un trattamento di miglior favore rispetto a quello previsto dalla L. n. 63 del 2004, come interpretata autenticamente dalla L. n. 240 del 2010, rivendicano differenze retributive ulteriori, il che impedisce, sulla base dei principi sopra richiamati, l’estinzione del giudizio, in quanto questa si risolverebbe in un’ingiustificata lesione del diritto di azione;

l’ottavo motivo, in parte qua, è dunque infondato;

10. la questione che si pone poi come logicamente preliminare è quella relativa all’incidenza, rispetto all’individuazione della normativa applicabile, delle sentenze passate in giudicato che, in epoca antecedente o anche successiva all’abrogazione del D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28 hanno disposto, sulla base dei principi affermati dalla Corte di Lussemburgo, la conversione dei rapporti di lettorato da tempo determinato a tempo indeterminato (qui risalente alla sentenza del Pretore di Pisa del 17.1.1995) ed hanno, come nella fattispecie, determinato anche la “giusta” retribuzione spettante ai lettori ex art. 36 Cost. (qui risalente alla successiva sentenza del Tribunale di Lucca del 20.1.2003);

deve infatti valutarsi se il sopravvenire della sentenza di accertamento del tempo indeterminato abbia travolto la stipula del contratto da C.E.L. e se dunque il rapporto debba restare disciplinato, quanto agli aspetti economici, dalle statuizioni contenute nella citata sentenza del Tribunale di Lucca, pronunciata in sede di rinvio disposto da questa Corte con la sentenza n. 12346/1999;

come osservato da Cass. 20765/2018, cit, qui condivisa, il contrasto sorto nellà giurisprudenza di questa Corte, evidenziato nell’ordinanza di rimessione di Cass. 23 novembre 2016, n. 26935, è stato risolto da Cass., S.U., 2 agosto 2017, n. 19164 secondo cui la continuità normativa e l’analogia tra la posizione degli ex lettori di lingua straniera e quella dei collaboratori linguistici non consente di configurare una sorta di ruolo ad esaurimento per il rapporto di lettorato, sicchè, anche qualora l’ex lettore abbia ottenuto l’accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato in ragione della nullità della clausola di durata, va comunque applicata la disciplina dettata per i collaboratori esperti linguistici;

le Sezioni Unite hanno escluso l’eccepita nullità, per assenza di causa, del contratto di lavoro individuale stipulato ai sensi della nuova normativa ed hanno precisato che, pur a fronte di un rapporto unitario ed ininterrotto, le parti possono modificare il regolamento pattizio perchè nel rapporto di lavoro, che è un rapporto di durata, si può parlare di diritti quesiti solo in relazione a prestazioni già rese o ad una fase già esaurita;

in tal modo è stato superato il diverso orientamento espresso da quelle decisioni che avevano affermato, quanto al parametro retributivo, l’ultrattività del precedente giudicato, escludendo l’applicazione della normativa dettata dalla decretazione di urgenza, ritenuta non applicabile ai rapporti a tempo indeterminato sorti sulla base della disciplina previgente;

10.1 già da dette preliminari considerazioni discende la fondatezza del primo motivo del ricorso principale, nella parte in cui si addebita alla Corte territoriale di non avere tenuto conto della sopravvenienza di una nuova normativa, di fonte legale e contrattuale, con susseguente assorbimento del sesto motivo;

ripercorrendo inoltre analoga motivazione svolta Cass. 20765/2018 cit., può rilevarsi altresì che, senza dubbio, “in ordine ai rapporti giuridici di durata ed alle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscano il contenuto, com’è nel caso del rapporto di lavoro subordinato e delle conseguenti obbligazioni retributive, il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale, ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro. Pertanto, l’autorità del giudicato impedisce il riesame di questioni già risolte con il provvedimento definitivo, che esplica la sua efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, venendo meno soltanto a fronte di sopravvenienze, di fatto o di diritto, che mutino il contenuto materiale del rapporto o ne modifichino il regolamento” (tra le molte: Cass. S.U., 16 giugno 2006, n. 13916, Cass. 23 luglio 2015, n. 15493);

tuttavia, la portata precettiva della decisione, intangibile quanto ai diritti già maturati, esplica dunque i suoi effetti per il futuro solo rebus sic stantibus, ossia a situazione normativa e fattuale immutata, sicchè a fronte di sopravvenienze che riguardino le premesse della precedente statuizione “il giudice del merito che ritenga preclusa l’indagine in virtù del giudicato applica erroneamente la regula iuris sottesa all’art. 2909 c.c.” (Cass. 21 aprile 2017, n. 10156; Cass. 3 giugno 2013, n. 13921;

10.2 di detti principi non ha tenuto correttamente conto la Corte territoriale che, nell’affermare l’ultrattività del trattamento economico riconosciuto in favore degli ex lettori dalla sentenza del Tribunale di Lucca non ha considerato che l’equiparazione piena al ricercatore confermato a tempo definito è stata disposta, pur a fronte di una prestazione per un orario complessivo annuale di 352 ore, valorizzando l’obbligo di esclusiva, contrattualmente stabilito;

questa Corte, già con la sentenza n. 12346/1999, nel cassare la precedente decisione del Tribunale di Pisa aveva osservato che non risultava, tra l’altro, che il giudice di secondo grado avesse tenuto conto della circostanza che i lettori, contrattualmente, non avrebbero potuto svolgere altra attività lavorativa, in base alle disposizioni all’epoca vigenti – circostanza questa pure dedotta dai ricorrenti – affermando altresì, sempre la S.C., che tale elemento avrebbe potuto essere rilevante, ai fini della dedotta sufficienza della retribuzione;

oltre ciò il Tribunale di Lucca, come riportato anche da Cass. 20765/2018, decidendo in sede di rinvio in esito a tale pronuncia ha rilevato che i lettori erano tenuti per contratto “a svolgere il proprio lavoro con vincolo di esclusività; dunque se è vero che il loro impegno orario settimanale era limitato, non avevano però la facoltà di impiegare il notevole tempo libero a disposizione per reperire ed esercitare altra attività lavorativa”;

è, poi, indubbio che il Tribunale abbia limitato la statuizione “dalla data di decorrenza del rapporto alla data di scadenza prevista nei contratti sottoscritti per l’anno accademico 1993/1994”, aggiungendo che in relazione al periodo successivo “il rapporto è disciplinato in maniera esaustiva dal D.L. 21 aprile 1995, n. 120 il quale all’art. 4 non soltanto ha disposto l’abrogazione del più volte menzionato art. 28 del D.P.R. n. 382 del 1980 ma ha stabilito a decorrere dal 10 gennaio 1994 una completa regolamentazione sia normativa che economica del rapporto di lavoro dei collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre”;

infatti le parti collettive, in forza della delega conferita dal legislatore, con l’art. 51 del CCNL 21.5.1996, oltre a fissare retribuzione e orario minimo di lavoro (stabilito in 250 ore annue) hanno anche stabilito che ai collaboratori “è consentito previa comunicazione all’amministrazione, l’esercizio di altre prestazioni di lavoro che non arrechino pregiudizio alle esigenze di servizio e non siano incompatibili con le attività istituzionali dell’amministrazione stessa”;

è quindi venuto meno l’obbligo di esclusiva e la possibilità di svolgere altre attività, sia pure nei limiti previsti dallo stesso contratto, è stata evidentemente considerata dalle parti collettive nella quantificazione del trattamento economico, accompagnata dalla previsione di un monte ore minimo di ore lavorative;

si è dunque in presenza di una sopravvenienza inerente la disciplina del rapporto, idonea ad impedire al giudicato di estendere i suoi effetti anche per il futuro;

10.3 dai principi sopra espressi deriva anche la fondatezza del secondo e terzo motivo del ricorso principale, da esaminare congiuntamente in quanto entrambi incentrati sulla critica della sentenza impugnata nella parte in cui essa ha ritenuto di valorizzare le riserve formulate dagli ex lettori, al momento della stipula dei contratti di C.E.L. quale elemento utile a far constare l’inesistenza di una volontà novativa;

in realtà, l’evolversi dei rapporti di lettorato in rapporti di C.E.L. è stata oggetto, pur con le salvaguardie retributive parimenti disposte, di una disciplina di fonte legale (il D.L. n. 2 del 2004, art. 1 – come autenticamente interpretato dalla L. n. 240 del 2010, art. 26), destinata ad applicarsi addirittura in caso di mancata sottoscrizione del contratto D.L. n. 120 del 1995, ex art. 4 (Cass. 8 giugno 2018, n. 15019; Cass., S.U., 23 ottobre 2017, n. 24963), sicchè è evidente la totale irrilevanza, al verificarsi dei presupposti di legge, della contraria volontà dei lavoratori rispetto all’evolversi del rapporto nel senso dettato dalle norme;

10.4 fondato è altresì il quinto motivo, nella parte in cui addebita alla sentenza impugnata di avere errato nell’interpretazione del D.L. n. 120 del 1995, art. 4, comma 3, ove si prevede che il collaboratore esperto linguistico “conserva i diritti acquisiti in relazione ai precedenti rapporti”;

riprendendosi anche da questo punto di vista la qui condivisa motivazione di Cass. 20765/2018 cit., si rileva come le Sezioni Unite abbiano già osservato che non appartiene alla categoria dei diritti quesiti l’ammontare della retribuzione percepita nel corso del rapporto di lettorato, perchè “nell’ambito del rapporto di lavoro sono configurabili diritti quesiti, che non possono essere incisi dalla contrattazione collettiva in mancanza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte dei singoli lavoratori, solo con riferimento a situazioni che siano entrate a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato, come nel caso dei corrispettivi di prestazioni già rese, e non invece in presenza di quelle situazioni future o in via di consolidamento, che sono frequenti nel contratto di lavoro, da cui scaturisce un rapporto di durata con prestazioni ad esecuzione periodica o continuativa, autonome tra loro e suscettibili come tali di essere differentemente regolate in caso di successione di contratti collettivi” (Cass., S.U., 21 settembre 2017, n. 21972);

la disposizione normativa, pertanto, è stata interpretata alla luce di quanto statuito dalla Corte di Giustizia con le sentenze richiamate al punto n. 15, e la garanzia della conservazione dei diritti maturati nella precedente fase del rapporto è stata limitata “a tutti quegli istituti contrattuali che valorizzano l’anzianità di servizio e quindi, in sostanza, la classe di stipendio di riferimento, gli scatti biennali contrattualmente previsti, i parametri di calcolo del trattamento di fine rapporto (T.F.R.) e con riferimento ai profili concernenti la contribuzione previdenziale”;

il principio di diritto, sebbene affermato in un giudizio nel quale veniva in rilievo non il rapporto di lettorato D.P.R. n. 382 del 1980, ex art. 28 bensì la diversa tipologia di contratto di lettorato disciplinato dalla L. n. 62 del 1967, art. 24 deve trovare applicazione nella fattispecie, perchè ai c.d. lettori di scambio è stata ritenuta applicabile la normativa dettata dal D.L. n. 120 del 1995;

va al riguardo sottolineato che la nozione di diritto quesito accolta dalle Sezioni Unite coincide con quella indicata dalla Corte di Lussemburgo, che con la sentenza 26.7.2001, in causa C – 212/99, ha precisato che “se i lavoratori beneficiano in forza della L. n. 230 della ricostruzione della loro carriera per quanto riguarda aumenti salariali, anzianità e versamento da parte del datore di lavoro dei contribuL, previdenziali fin dalla data della loro prima assunzione, gli ex lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori linguistici, devono altresì beneficiare di una ricostruzione analoga con effetti a decorrere dalla data della loro prima assunzione” (punto 30);

ha, quindi, errato la Corte territoriale nel ritenere che l’estensione del giudicato al periodo successivo all’anno accademico 1993/1994, potesse fondarsi sulla clausola di salvaguardia contenuta nel D.L. n. 120 del 1995;

10.5 venendo al settimo motivo del ricorso principale, si osserva, ancora sulla scia di Cass. 20765/2018 cit. che il legislatore, a seguito della richiamata sentenza della Corte di Giustizia del 26.7.2001, è intervenuto nuovamente a disciplinare la ricostruzione della carriera degli ex lettori divenuti collaboratori linguistici e con il D.L. n. 2 del 2004, oltre a prevedere che “con effetto dalla data di prima assunzione” dovesse essere assicurato il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito “tenendo conto che l’impegno pieno corrisponde a 500 ore”, ha “fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli”;

con la successiva legge di interpretazione autentica ha, poi, chiarito che detto trattamento deve essere assicurato “sino alla data di instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici” e che “a decorrere da quest’ultima data, a tutela dei diritti maturati nel rapporto di lavoro precedente, i collaboratori esperti linguistici hanno diritto a conservare, quale trattamento retributivo individuale, l’importo corrispondente alla differenza tra l’ultima retribuzione percepita come lettori di madrelingua straniera, computata secondo i criteri dettati dal citato D.L. n. 2 del 2004, e, ove inferiore, la retribuzione complessiva loro spettante secondo le previsioni della contrattazione collettiva”;

il D.L. n. 2 del 2004, a differenza del D.L. n. 120 del 1995, si riferisce espressamente al trattamento economico ed indica un parametro per l’intera ricostruzione della carriera, salvaguardando eventuali trattamenti più favorevoli, parametro che la Corte di Giustizia ha ritenuto adeguato anche in considerazione della clausola di salvaguardia (sentenza 18.7.2006 causa C-119/04 punto 38);

nel caso di specie, pertanto, ai fini dell’applicazione della norma in commento, rileva che, per effetto della sentenza n. 1399/2002 del Tribunale di Lucca, alle controricorrenti fosse stato attribuito, pur a fronte dei pacifico svolgimento di sole 352 ore di lavoro annue, la medesima retribuzione corrisposta ai ricercatori confermati a tempo definito, poichè detto trattamento, che riguarda il periodo interessato dalla ricostruzione della carriera disposta dal legislatore, si risolve nel riconoscimento di una retribuzione oraria di importo maggiore rispetto a quella prevista dal decreto legge, e, quindi, in quanto di miglior favore, deve essere conservato sulla base della clausola di salvaguardia contenuta nello stesso decreto;

non può essere invece condivisa l’interpretazione prospettata dall’Università ricorrente secondo la quale, una volta esclusa l’ultrattività del giudicato, lo stesso non poteva rivivere a seguito dell’entrata in vigore della nuova normativa;

quest’ultima, infatti, oltre a porre rimedio agli effetti, negativi per i lettori, che aveva prodotto la discrezionalità concessa alle Università dal D.P.R. n. 382 del 1980, art. 28 nella quantificazione del trattamento retributivo (la norma, infatti, prevedeva solo un parametro massimo di commisurazione della retribuzione), ha voluto escludere qualsiasi reformatio in peius nel passaggio fra il rapporto di lettorato e quello c.p. collaborazione linguistica, salvaguardando il livello economico acquisito alla data di sottoscrizione del nuovo contratto;

a detti fini, pertanto, la retribuzione giudizialmente riconosciuta con sentenza passata in giudicato deve essere equiparata a quella concordata in sede contrattuale, che poteva essere di miglior favore rispetto al criterio indicato dal legislatore, atteso che l’art. 28 indicava come parametro massimo di commisurazione il livello retributivo iniziale del professore associato a tempo definito;

il settimo motivo del ricorso principale va dunque respinto;

10.6 la conservazione del trattamento più favorevole, peraltro, opera nei limiti fissati dalla legge di interpretazione autentica e, quindi, non comporta il definitivo “aggancio” alla retribuzione piena prevista per i ricercatori confermati a tempo definitivo, in relazione agli sviluppi contrattuali successivi alla stipula del contratto di collaborazione linguistica;

il legislatore, infatti, ha chiarito la questione, obiettivamente incerta, del rapporto fra la previsione contenuta nel D.L. n. 2 del 2004 e la disciplina dettata dalla contrattazione collettiva, a ciò autorizzata dal D.L. n. 120 del 1995, precisando che a far tempo dalla sottoscrizione del contratto di collaborazione linguistica l’eventuale trattamento più favorevole viene conservato a titolo individuale nella misura corrispondente alla differenza fra quanto percepito a detta data come lettore di madrelingua straniera, ai sensi del richiamato D.L. n. 2 del 2004, e la retribuzione dovuta al collaboratore linguistico sulla base della contrattazione collettiva nazionale e decentrata;

in tal modo il legislatore, da un lato, ha impedito che il passaggio dal lettorato alla collaborazione linguistica potesse risolversi in una reformatio in peius del livello retributivo raggiunto, dall’altro ha ribadito la specificità propria del collaboratore linguistico, non equiparabile al docente, specificità che giustifica la differenziazione retributiva rispetto a quest’ultimo ed il conferimento del potere alle parti collettive di individuare la retribuzione proporzionata alla qualità e quantità della prestazione, a prescindere dal raffronto con il trattamento economico riservato al personale docente; si tratta, sostanzialmente, di un assegno ad personam, non dissimile da quello in passato garantito nell’impiego pubblico contrattualizzato in caso di mobilità e da quello che le parti collettive avevano previsto con l’art. 51 del CCNL 21.5.1996 per consentire ai collaboratori esperti linguistici assunti prima della stipula dello stesso contratto di conservare il trattamento più favorevole concordato a livello di Ateneo;

è, quindi, fondato l’ottavo motivo del ricorso principale nella parte in cui con esso si addebita alla Corte territoriale di avere liquidato le differenze retributive senza tener conto della legge di interpretazione autentica;

11 ragioni logiche consigliano a questo punto, prima di affrontare le questioni consequenziali di cui ai motivi da nove a sedici del ricorso principale, di definire, sulla scorta dei principi e delle conclusioni appena assunte, i primi due motivi del ricorso incidentale;

11.1 quanto argomentato rispetto al primo motivo di ricorso principale impone intanto di rigettare il primo motivo del ricorso incidentale, tenuto conto altresì che le Sezioni Unite di questa Corte hanno escluso che la stipula del contratto di C.E.L. in presenza di un pregresso rapporto di lettorato a tempo indeterminato comporti la nullità del primo (Cass. S.U. 19164/2017);

11.2 con il secondo motivo di ricorso incidentale, come detto, è stata invece censurata la sentenza di appello nella parte in cui essa ha disconosciuto il diritto al risarcimento del danno per perdita, da parte degli addetti, del diritto alla qualifica di docenti universitari, al momento del loro inquadramento come C.E.L.;

ciò sul presupposto che l’applicazione della nuova qualifica fosse avvenuta “senza una concreta riduzione delle mansioni svolte, che non sono infatti state modificate di fatto” e che l’attività demandata dalla legge ai C.E.L. sia qualitativamente inferiore a quella che “può” avere svolto il lettore assunto D.P.R. n. 382 del 1980, ex art. 28;

tuttavia, la modificazione qualificatoria (da lettori a C.E.L.) è conseguenza di un’evoluzione normativa in tal senso, sicchè non si vede come da essa possa essere derivato un danno ingiusto, ma comunque la formulazione del motivo è del tutto ipotetica, facendo riferimento a prestazioni che avrebbero (asseritamente) potuto essere attribuite ai lettori e non poi ai C.E.L., ma riconoscendo al contempo che in concreto le attività svolte erano rimaste le stesse;

d’altra parte, attraverso il sistema di cui all’art. D.L. 2 del 2004 cit. ed alla L. n. 240 del 2010, art. 26 il legislatore ha comunque assicurato che per gli ex lettori non si determinasse, al mutamento di normativa, una perdita di retribuzione, sicchè va escluso che il mero mantenimento di una qualifica o denominazione di essa possa essere oggetto di un diritto intangibile del lavoratore;

la stessa Cass. 22 gennaio 1994, n. 601, richiamata dalle controricorrenti a proprio favore, viceversa esclude, con orientamento che va qui confermato, la configurabilità di un diritto soggettivo a mantenere una data qualifica già attribuita e, correlativamente, a non vedersi assegnata una qualifica propria del diverso ruolo di destinazione, specie allorquando ciò avvenga sulla base di normativa che consenta o (a fortiori) preveda una tale evoluzione nell’inquadramento;

è del resto evidente come non possa ammettersi, al di là di casi particolari espressamente regolati in tal senso o in cui vengano in evidenza le tutele proprie di talune specifiche professioni (ad es. avvocato di un ente etc.), il diritto all’attribuzione o al mantenimento di una certa denominazione formale rispetto ad un dato inquadramento in sede lavorativa;

ciò senza contare che risulta evanescente anche il preciso titolo (patrimoniale/non patrimoniale) rispetto al quale il danno sia stato chiesto e sul presupposto di quali concreti pregiudizi (v. analogamente, in fattispecie simile, Cass. 23 marzo 2012, n. 4712);

anche tale motivo va dunque disatteso;

12. in definitiva, procedendo ad una prima sintesi rispetto ai motivi fin qui esaminati, l’accoglimento del primo motivo del ricorso principale ed il rigetto del primo motivo del ricorso incidentale comportano che l’accertamento con sentenza passata in giudicato dell’esistenza di un rapporto di lettorato per il quale fosse dovuta la retribuzione parametrata a quella del ricercatore a tempo definito non è impeditivo, come erroneamente ritenuto dalla sentenza impugnata, nè della stipula di validi ed efficaci contratti di C.E.L. ai sensi del D.L. n. 120 del 1995 e norme correlate, nè, secondo quanto discende dall’accoglimento in parte qua dell’ottavo motivo dei ricorso principale, dell’applicazione della disciplina di cui al D.L. n. 2 del 2004, art. 1 anche come poi autenticamente interpretata;

è del resto priva di rilievo, come deriva dall’accoglimento del secondo e terzo motivo del ricorso principale, l’eventuale assenza di volontà novativa in capo ai lavoratori che abbiano proseguito nell’attività di collaborazione didattica nei termini di cui alla figura dei C.E.L., come anche infondata la questione (sempre primo motivo del ricorso incidentale) di nullità per un (insussistente) difetto di causa nella stipula dei contratti di C.E.L. pur in presenza di pregressi contratti di lettorato da considerare a tempo indeterminato per effetto (anche) della pronuncia inter partes passata in giudicato;

è però parimenti da affermare, in forza dell’accoglimento del quinto e del rigetto del settimo motivo del ricorso principale, che, restando i profili retributivi regolati dall’art. 1 cit., il maggior trattamento economico assicurato precedentemente alla stipula del contratto di C.E.L., va mantenuto, come eventuale emolumento di miglior favore, pur con applicazione della regola di riassorbimento di cui alla L. n. 140 del 2010, art. 26, comma 3;

il rigetto del secondo motivo di ricorso incidentale esclude invece il diritto al mantenimento, dopo la stipula del contratto di C.E.L., di diverse qualifiche formali (lettore; docente etc.) che caratterizzassero il rapporto nella precedente fase di c.d. lettorato, il che comporta il disconoscimento di ogni ipotetico diritto risarcitorio per il relativo mutamento;

il quarto ed il sesto motivo del ricorso principale restano invece assorbiti;

13. i motivi dal nono all’undicesimo del ricorso principale sono dedicati al tema della prescrizione e muovono tutti dal presupposto che fossero mancati, nel corso del tempo, idonei e continui atti interruttivi;

i predetti motivi sollecitano questioni non rilevanti;

in materia è stato infatti affermato da questa Corte e va quindi ribadito che “in tema di trattamento economico degli ex lettori di madre lingua straniera delle Università, disciplinato dal D.L. n. 2 del 2004, art. 1 conv. con modif. in L. n. 63 del 2004, come interpretato autenticamente dalla L. n. 240 del 2010, art. 26 il termine di prescrizione per l’esercizio del diritto a percepire tale trattamento comincia a decorrere solo dalla data in cui il diritto stesso poteva essere esercitato, vale a dire dall’entrata in vigore della nuova normativa, atteso che le sentenze della Corte di giustizia UE che avevano in precedenza accertato la violazione del principio di non discriminazione in relazione al mancato riconoscimento dei diritti quesiti non avevano tuttavia indicato nè le modalità con cui detti diritti dovevano essere garantiti nè l’esatto ammontare della retribuzione da riconoscere” (Cass. 25 maggio 2018, n. 13175);

pertanto, poichè appunto la domanda fu introdotta e notificata nel 2008 (anche la costituzione in giudizio dell’Università si colloca in quello stesso anno, nel cui ambito evidentemente si ebbe la notifica del ricorso) ed il termine di prescrizione è quinquennale, nessuna prescrizione può essere maturata dall’entrata in vigore del D.L. n. 2 del 2004 cit., prima norma che delinea i diritti retributivi posti a salvaguardia degli lettori e sui quali soltanto, alla luce di quanto precedentemente detto rispetto alle ragioni giuridiche azionate in causa, dovrà proseguire il giudizio;

14. il dodicesimo motivo del ricorso principale riguarda la sola posizione di P.R., quale erede di Pr.Li.Ba., deceduto in corso di causa e per il quale è stato calcolato anche il t.f.r.;

il motivo concerne l’asserita illegittima considerazione, nel calcolo del predetto t.f.r., dell’indennità di preavviso di cui all’art. 2118 c.c., che si assume non dovesse essere considerato, spettando essa iure proprio ai superstiti;

il motivo si fonda su un asserito errore in tal senso commesso dal c.t.u. e trasfuso nella sentenza impugnata ma esso, non risultando riportato il tenore della perizia nella parte in cui essa avrebbe considerato proprio quella specifica indennità, risulta inammissibile per difetto di specificità (art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6);

peraltro, stante l’effetto di cui all’art. 336 c.p.c. che deriva dall’accoglimento di profili pregiudiziali, la questione è destinata a dovere essere esaminata ex novo, senza preclusioni di sorta, allorquando in sede di rinvio dovessero riconoscersi e determinarsi, sulla base delle valutazioni qui svolte, diritti retributivi (o per t.f.r.) ancora insoddisfatti;

15. il tredicesimo e quattordicesimo motivo del ricorso principale, relativi all’avvenuto riconoscimento del cumulo di rivalutazione ed interessi sui crediti per differenze retributive sono fondati, nei limiti di cui infra;

15.1 va qui ancora ribadito quanto affermato da Cass. 20765/2018 cit., ove si è inteso dare continuità all’orientamento ancor prima espresso da questa Corte che, pronunciando in fattispecie sovrapponibile a quella oggetto di causa, ha evidenziato che “la pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale n. 459 del 2000, per la quale il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi non opera per i crediti retributivi dei dipendenti privati, ancorchè maturati dopo il 31 dicembre 1994, non può trovare applicazione per i dipendenti privati di enti pubblici non economici (nella specie, lettori di lingua dell’Università degli studi), per i quali ricorrono, ancorchè i rapporti di lavoro risultino privatizzati, le “ragioni di contenimento della spesa pubblica” che sono alla base della disciplina differenziata secondo la ratio decidendi prospettata dal Giudice delle leggi” (Cass. 10 gennaio 2013 n. 535 e Cass. 5 luglio 2011 n. 14705);

una volta valorizzata, ai fini dell’individuazione della normativa applicabile, la natura pubblica del datore di lavoro e ritenuto operante il divieto di cumulo, deve trovare applicazione il D.M. n. 352 del 1998 con il quale è stato adottato il “regolamento recante i criteri e le modalità per la corresponsione degli interessi legali e della rivalutazione monetaria per ritardato pagamento degli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale a favore dei dipendenti pubblici e privati in attività di servizio o in quiescenza delle amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 1, comma 2”;

l’art. 3, comma 1 richiamato D.M. prevede che “gli interessi legali o la rivalutazione monetaria sono calcolati sulle somme dovute, al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali ed erariali”;

Cass., S.U. 9 giugno 2017, n. 14429 ha del resto escluso la sussistenza di “ragioni di contrasto tra la norma delegante (L. n. 724 del 1994, art. 22, comma 36) e quella delegata (D.M. n. 352 del 1998, art. 3, comma 2), atte ad ipotizzare una disapplicazione di quest’ultima, tanto più che la prima richiama il meccanismo già previsto della L. n. 412 del 1991, art. 16, comma 6, e rimette all’autorità amministrativa il compito di individuare i criteri e le modalità di applicazione del divieto di cumulo”, evidenziando altresì che la disposizione tiene conto delle esigenze di contenimento della spesa pubblica e dei vincoli imposti alla contrattazione di comparto e decentrata, esigenze che vengono in rilievo anche nella fattispecie, sebbene si discuta di rapporto qualificato dal legislatore come di diritto privato;

15.2 la conclusione vale peraltro per i soli crediti retributivi posteriori al 31.12.1994, in quanto, dal riferimento contenuto nel dispositivo di appello a crediti maturati tra il 1.11.1994 ed il 31.12.1994 e dunque in epoca anche anteriore rispetto al divieto di cumulo tra interessi e rivalutazione monetaria previsto dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 22, comma 36, deriva che tale cumulo, fino al 31 dicembre 1994, per i crediti di cui si accerti eventualmente la sussistenza, non può viceversa essere escluso;

15.3 il giudice del rinvio si adeguerà quindi, nel definire la controversia ed ove dovessero essere riconosciuti diritti per differenze retributive, ai principi qui enunciati in tema di accessori dei crediti pecuniari in questione;

16. il quindicesimo e sedicesimo motivo, attinenti, sotto il profilo della prescrizione, alla condanna alla regolarizzazione contributiva sono ininfluenti;

16.1 quanto argomentato rispetto alla prescrizione dei crediti retributivi (supra, punto 13) vale infatti rispetto ai crediti contributivi, essendo evidente che, se l’obbligo contributivo sorge in ragione di un certo diritto retributivo è solo con il nascere di quest’ultimo che può maturare il debito previdenziale e decorrere la relativa prescrizione;

pertanto, poichè come detto i diritti retributivi sono sorti solo nel 2004, anche i conseguenti obblighi contributivi non possono essere antecedenti e dunque neppure rispetto ad essi può avere utile ingresso l’eccezione di prescrizione, sicchè ogni questione rispetto ad essa agitata risulta superflua;

17 quanto appena precisato rende ininfluente anche il terzo motivo del ricorso incidentale, con il quale si è lamentata l’omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno ex art. 2116 c.c. per il caso in cui fossero maturate prescrizioni rispetto ai crediti contributivi, in quanto se tale prescrizione non è prospettabile rispetto ai diritti che possono essere giuridicamente riconosciuti in causa, è evidente che non resta spazio per questioni risarcitorie;

18. il quarto motivo del ricorso incidentale lamenta l’erroneità in diritto della sentenza impugnata nella parte in cui essa non ha accolto la domanda volta ad ottenere “il risarcimento dei danni patiti per mancato adeguamento tempestivo dell’ordinamento italiano alla disciplina comunitaria”;

il motivo si sviluppa evidenziando come i danni da considerare sarebbero quelli da riconnettere all’incertezza cagionata dalla stipulazione (evidentemente nel periodo del c.d. lettorato) di plurimi contratti muniti di termini poi riconosciuti come illegittimi e quindi con creazione di indebita incertezza rispetto alla conferma nel tempo del rapporto di lavoro ed al risalire di esso, anche per anzianità, fin all’inizio del rapporto con l’Università di Pisa;

il motivo è inammissibile, in quanto esso non precisa dove, come e quando tali profili di danno, riguardanti essenzialmente il tardivo adeguamento della normativa interna rispetto al diritto Eurounitario, fossero stati come tali dedotti in giudizio;

la sentenza impugnata fa riferimento generico ad una domanda risarcitoria verso la Repubblica Italiana, ma non precisa la esatta causa petendi di essa;

vale dunque il principio per cui “qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima cu esaminare il merito” (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675);

l’assolvimento di tale onere imponeva il rispetto dei presupposti giuridici e di rito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, e dei principi di autonomia del ricorso per cassazione (Cass., S.U., 22 maggio 2014, n. 11308) che la predetta norma nel suo complesso esprime, con riferimento in particolare, qui, ai n. 4 della predetta disposizione, da cui si trae, nel contesto comune del principio di specificità predetto, l’esigenza che il motivo contenga il richiamo preciso agli atti ove la pretesa impugnata era stata esercitata ed ai tratti fondamentali del relativo contenuto;

tale onere non è stato assolto, per quanto sopra detto, in quanto il motivo consta di difese prive di puntuali richiami ad esatte deduzioni ed allegazioni, di cui si indichi con precisione dove tali richieste siano state così formulate;

il motivo non contiene infatti alcun richiamo ai passaggi del ricorso di primo grado eventualmente interessati, nè tanto meno a quanto sviluppato, sul punto, con l’atto di appello;

19. gli ultimi due motivi del ricorso incidentale sono destinati alle questioni relative alle sanzioni disciplinari (consistenti, come detto, nella sospensione dal servizio per cinque giorni, poi per sei giorni e quindi per otto giorni) applicate ai lavoratori per il fatto di non essersi adeguati alla disposizione dell’Università di utilizzare uno speciale registro elettronico per registrare le attività svolte;

19.1 da un primo punto di vista, con il quinto motivo, si sostiene la violazione dell’art. 49 (già art. 48) del Trattato CE (ora 112 TFUE), anche in relazione all’art. 2103 c.c., lamentando che il registro non consentiva di registrare lezioni ed esami e comunque non permetteva di certificare le reali ed effettive attività lavorative prestate;

si tratta di censura inammissibile, in quanto essa non precisa che cosa il registro consentisse di attestare;

nel motivo si fa riferimento a menu fissi e chiusi che non avrebbero consentito di registrare lo svolgimento di “lezioni”, “esami” ed altro, ma non è precisato che cosa il registro permettesse di indicare;

viceversa, tali profili risultano necessari per un apprezzamento in termini di inadeguatezza del predetto registro o di una sua capacità di essere di pregiudizio ai lavoratori, anche perchè non vi è violazione diretta dell’art. 2103 c.c., nè delle norme Eurounitarie sulla libera prestazione dei servizi citate nella rubrica del motivo, ma semmai di regole di buona fede e correttezza nella richiesta in parte qua di un comportamento accessorio alla prestazione di lavoro;

violazione la quale, per essere apprezzata come contraria a diritto, non può fondarsi su deduzioni incomplete, dovendosi valutare se quanto registrabile fosse realmente pregiudizievole o se, tenuto conto che di certo non è solo il registro a poter fornire prova del lavoro svolto, la lacune o le difformità non potessero essere colmate in alcun modo o rettificate;

non è poi vero che la richiesta di compilare un registro elettronico sia lesiva della “libertà, dignità e personalità umana dei lavoratori”, trattandosi tra l’altro di incombente materiale di poco impegno, mentre la peculiarità delle figura del C.E.L., di cui si è accennato anche al punto 11.2, esclude che possa avere fondamento una comparazione tra esso e il docente universitario, come anche rispetto ai ricercatori, in riferimento ai quali l’equiparazione, nei casi rientranti nella disciplina di cui al D.L. n. 2 del 2004, è da intendersi come riferita al solo trattamento retributivo;

nè può essere seguito l’assunto secondo cui, trattandosi di regole, quella sull’uso del registro elettronico, destinate a rivolgersi a lavoratori tendenzialmente di nazionalità straniera, quali i lettori di lingue estere, si determinerebbe una discriminazione basata sulla nazionalità;

infatti, l’assenza di elementi concreti che consentano di affermare che il registro elettronico non costituisse, come deve presumersi, una forma di disciplina per una figura in sè speciale, ma, come sosterrebbero i lavoratori, un mezzo di vessazione, esclude comunque che si possa anche solo ipotizzare, rispetto ad esso, un qualche tratto di portata discriminatoria anche nel senso da ultimo indicato;

19.2 il sesto motivo di ricorso riguarda, sotto un primo profilo, le questioni sulla regolarità del procedimento di applicazione delle sanzioni disciplinari;

i ricorrenti incidentali sostengono in particolare che la Corte di merito avrebbe insufficientemente motivato intanto sulla tempestività della contestazione degli addebiti;

di tale aspetto, nella sentenza, in effetti non vi è menzione;

analogamente, nel ricorso incidentale si afferma la violazione dei termini di durata massima del procedimento disciplinare nonchè delle regole sulla recidiva, di cui non vi è menzione in sentenza, atteso che il riferimento della pronuncia, nel motivare sulla gravità, alla “reiterazione” delle condotte ostruzionistiche è cosa diversa dal fondarsi della sanzione, quale elemento costitutivo della fattispecie, su una “recidiva”, ovverosia sul ripetersi di un comportamento già precedentemente sanzionato;

il fatto che la sentenza non si occupi di tali aspetti rende tuttavia applicabile il principio già sopra menzionato, in ordine alla necessità che i motivo sia corredato dell’indicazione esatta di quanto e come esso sia stato dedotto nei gradi di merito, onde consentire di apprezzare già sulla base della formulazione della censura la tempestività della sua deduzione e la ritualità dell’insistenza sui relativi punti nel passaggio, dal rigetto in primo grado, alla fase di appello;

a tal fine non è sufficiente la generica affermazione contenuta, nel caso di specie, nel corpo del motivo e premessa unitariamente alla relativa esposizione, secondo cui le censure erano state “già dedotte nei precedenti gradi” o che “nel ricorso di primo grado e nel successivo ricorso in appello” fossero state “ripercorse” le varie fasi dei procedimenti disciplinari;

l’osservanza dei già richiamati principi di autonomia e specificità del ricorso per cassazione imponeva viceversa che fossero quanto meno indicati gli esatti luoghi processuali, nell’ambito degli atti introduttivi di primo e secondo grado, ove erano state svolte le deduzioni che asseritamente si provvedeva a riproporre poi in cassazione, ma di ciò non vi è traccia;

19.3 da altro punto di vista è affermato che, in difformità di quanto ritenuto dalla Corte di merito, ovverosia che la contestazione, anche per le interlocuzioni precedentemente avute tra le parti, fosse sufficientemente chiara e circostanziata l’atto fosse insufficiente ad individuare il comportamento asseritamente illegittimo, in relazione almeno agli aspetti essenziali al fine di individuarne i connotati, anche temporali, cui era attribuito rilievo sotto il profilo disciplinare;

il motivo non riporta tuttavia il contenuto della contestazione, sicchè già da questo punto di vista vi è violazione del requisito di specificità di cui, in questo caso, all’art. 366 c.p.c., n. 4;

19.4 infine sono svolte censure rispetto alla proporzionalità delle sanzioni irrogate; in relazione a tale aspetto la sentenza impugnata ha affermato che la sentenza di primo grado non meritava censura “anche nella parte in cui ha ritenuto la adeguatezza delle sanzioni disciplinari irrogate”, stante la “gravità della reiterata e radicale contestazione ostruzionistica” da parte dei lavoratori, richiamandosi altresì, sul punto, “le considerazioni svolte dalle ordinanze cautelari…. in sede collegiale e di reclamo – del Tribunale di Pisa”;

si tratta di motivazione elaborata sostanzialmente richiamando il contenuto delle motivazioni svolte dai precedenti giudici, rispetto alla quale opera il principio condiviso secondo cui “in tema di ricorso per cassazione, ove la sentenza di appello sia motivata per relationem alla pronuncia di primo grado, al fine ritenere assolto l’onere ex art. 366 c.p.c., n. 6, occorre che la censura identifichi il tenore della motivazione del primo giudice specificamente condivisa dai giudice di appello, nonchè le critiche ad essa mosse con l’atto di gravame, che è necessario individuare per evidenziare che, con la resa motivazione, il giudice di secondo grado ha, in realtà, eluso i suoi doveri motivazionali” (Cass., S.U., 20 marzo 2017, n. 7074);

viceversa, il motivo contiene in sostanza l’esposizione di una diversa posizione rispetto alla valutazione di gravità della sanzione e, mancando qualsiasi riferimento alle motivazioni richiamate per relationem dalla Corte territoriale, esso finisce per mancare ai portata impugnatoria critica e specifica rispetto alla pronuncia di secondo grado ed è come tale inammissibile;

20. procedendo quindi ad ulteriore sintesi, a completamento di quanto già detto al punto 12, vanno dunque respinti, in relazione al ricorso principale, i motivi dal nono al dodicesimo, nonchè il quindicesimo ed il sedicesimo, mentre si accolgono il tredicesimo ed il quattordicesimo motivo:

quanto al ricorso incidentale, vanno disattesi, oltre al primo e secondo motivo su cui si è precedentemente detto, anche i motivi dal terzo al sesto, con finale integrale reiezione del ricorso incidentale stesso;

21. alla cassazione della sentenza segue il rinvio alla medesima Corte d’Appello, in diversa composizione, affinchè definisca il giudizio sulla base dei principi e di quant’altro qui stabilito.

PQM

La Corte, con riguardo al ricorso R.G. 22239/2012, così provvede:

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri e dichiara la sussistenza della giurisdizione ordinaria. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Con riguardo al ricorso R.G. 22325/2012, così provvede:

accoglie il ricorso principale, nei sensi di cui in motivazione e rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese de giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2019

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