Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.31570 del 03/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 201/2016 proposto da:

D.L., elettivamente domiciliata in Roma, Via Martelli n. 40, presso lo studio dell’avvocato Ricci Andrea, rappresentata e difesa dall’avvocato Gronda Sergio, giusta procura in calce al ricorsa;

– ricorrente –

contro

B.M., elettivamente domiciliata in Roma, Via G. Antonelli n. 50, presso lo studio dell’avvocato Pozzi Massimo, che la rappresentate difende unitamente all’avvocato Catella Caraffa Gianfranco, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1703/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 28/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/09/2019 dal cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

FATTI DI CAUSA

1. – B.M. evocava in giudizio D.L. deducendo di aver stipulato un contratto di conto corrente, con annesso conto titoli, presso la Banca Popolare di Novara e un distinto contratto di conto corrente, cui pure accedeva un conto titoli, con la Banca Lombarda Private Investment (poi UBI Banca); rilevava che i conti erano stati intestati, in via fiduciaria, alla convenuta; lamentava che questa rifiutasse di restituire le somme versate sui conti e il controvalore dei titoli; domandava pertanto la condanna di D.L. al pagamento della somma di Euro 233.492,76 e al risarcimento del danno.

La convenuta negava la natura fiduciaria dell’intestazione dei rapporti bancari e chiedeva il rigetto delle domande contro di lei proposte.

Il Tribunale di Biella accoglieva parzialmente dette domande riconoscendo la natura fiduciaria dell’intestazione con esclusivo riguardo al rapporto di conto corrente intrattenuto con UBI Banca.

2. – Interposto gravame da parte di entrambe le contendenti, la Corte di appello di Torino respingeva l’appello principale di D.L. e, in parziale accoglimento di quello incidentale spiegato da B.M., condannava la prima al pagamento della somma complessiva di Euro 232.507,89. Il giudice del gravarne, in estrema sintesi, riteneva provato il pactum fiduciae intercorso tra le parti: rilevava come lo stesso non dovesse essere stipulato per iscritto, avendo ad oggetto il trasferimento di denaro, e desumeva la conclusione di esso dalle deposizioni testimoniali assunte, oltre che dalla documentazione dei versamenti con cui era state alimentato il conto corrente acceso presso la Banca Popolare di Novara.

3. – Contro tale pronuncia D.L. ha proposto un ricorso per cassazione fondato su cinque motivi. Resiste con controricorso B.M.. La ricorrente ha depositato una breve memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONEE 1. – Il primo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2725 c.c.. Osserva la ricorrente che il pactum fiduciae deve rivestire la stessa forma della convenzione cui accede: nella fattispecie esso era inerente a contratti bancari i quali erano soggetti alla forma scritta ad substantiam. L’istante contesta due affermazioni della sentenza impugnata: quella secondo cui l’obbligo di trasferimento assunto in via fiduciaria debba rivestire la forma scritta solo quando abbia ad oggetto beni immobili; quella per cui il trasferimenti posto in essere aveva ad oggetto non già i contratti banca i bensì la provvista su di essi costituita.

Il motivo non ha fondamento.

In termini generali, il pactum fiduciae con il quale il fiduciario si obbliga a modificare la situazione giuridica a lui facente capo a favore del fiduciante, o di altro soggetto da costui designato, è sostanzialmente equiparabile al contratto preliminare per il quale l’art. 1351 c.c., prescrive la stessa forma del contratto definitivo (Cass. Cass. 11 aprile 2018, n. 9010; Cass. 25 maggio 2017, n. 13216; Cass. 7 aprile 2011, n. 8001): deve quindi escludersi che esso sia sottoposto a rigore formale se abbia ad oggetto un trasferimento di denaro, per cui non è prescritto il contratto scritto. Nè rileva che l’intestazione abbia ad oggetto somme giacenti su contratti bancari, soggetti a forma scritta ex art. 124 T.U.B., giacchè quel che nella fattispecie rileva come ha ben colto la Corte di appello non è la cessione dei contratti bancari, ma, per l’appunto, il trasferimento degli importi che su di essi erano affluiti.

2. – Col secondo mezzo è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2721 c.c. e art. 2729 c.c., comma 2. Osserva l’istante che la Corte di appello aveva ignorato la regola per cui la prova per testimoni dei contratti non è ammessa quando il valore dell’oggetto ecceda la somma di Euro 2,58; rileva, in proposto, che, per quanto all’autorità giudiziaria sia consentito di ammettere la prova testimoniale anche oltre il limite anzidetto, l’esercizio di tale potere discrezionale da parte del giudice impone l’adozione di congrua motivazione al riguardo. La ricorrente rileva, inoltre, che il giudice distrettuale aveva omesso di apprezzare l’attendibilità dei testimoni: e ciò avendo particolarmente riguardo ai rapporti di parentela degli stessi con la controparte.

Il motivo è inammissibile.

Parte ricorrente assume di aver eccepito, in primo grado, l’inammissibilità della prova per testimoni, ma non assume di aver sollevato specificamente la questione relativa al limite di valore di cui all’art. 2721 c.c.. In ciò la censura appare carente di specificità, giacchè non dà preciso conto dell’eccezione formulata avanti al Tribunale e non consente quindi alla Corte di valutare se tale eccezione valesse a precludere l’esperimento della prova testimoniale. Occorre rammentare, al riguardo, che il limite di cui al cit. art. 2721, non attiene all’ordine pubblico, ma è dettato nell’esclusivo interesse delle parti private, con la conseguenza che, qualora, in primo grado, la prova venga ammessa oltre i limiti predetti, essa deve ritenersi ritualmente acquisita, ove la parte interessata non ne abbia tempestivamente eccepito l’inammissibilità in sede di assunzione o nella prima difesa successiva, senza che la relativa nullità, oramai sanata, possa essere eccepita per la prima volta in appello (neppure dalla parte che sia rimasta contumace nel giudizio di primo grado) o, a maggior ragione, nel giudizio di legittimità (Cass. 19 febbraio 2018, n. 3956 che ha rigettato il motivo di ricorso per cassazione, fondato sull’immotivata deroga, in primo grado, all’art. 2721 c.c., proprio evidenziando che la parte ricorrente si era limitata a dedurre in modo generico l’inammissibilità della prova, senza però indicare di avere sollevato la specifica eccezione sopra descritta: evenienza si ripete

– che in questa sede non si è in grado di apprezzare).

Sotto un diverso riflesso, l’eccezione risulta comunque preclusa in quanto, come riconosciuto dalla stessa ricorrente, essa è stata bensì svolta in appello, ma solo con la comparsa conclusionale (pag. 11 del ricorso). Ora, l’art. 346 c.p.c., nel prevedere che le eccezioni non accolte in primo grado si intendono rinunciate se non sono espressamente riproposte in appello, non fa alcuna distinzione tra eccezioni di merito ed eccezioni concernenti la validità e l’ammissibilità delle prove: deve di conseguenza presumersi rinunciata l’eccezione di inammissibilità della prova testimoniale disattesa dal giudice di primo grado, e non riproposta in appello (Cass. 25 febbraio 2009, n. 4496; cfr. pure Cass. 7 agosto 1990, n. 7961). D’altro canto, nel processo ordinario di cognizione risultante dalla novella di cui alla L. n. 353 del 1990 e dalle successive modifiche, le parti del processo di impugnazione sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia, a riproporre ai sensi dell’art. 346 c.p.c., le domande e le eccezioni non accolte in primo grado con il primo atto difensivo, e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel thema probandum e nel thema decidendum del giudizio di primo grado (Cass. Sez. U. 21 marzo 2019, n. 7940). Di qui la tardività dell’eccezione siccome articolata, si ripete, in comparsa conclusionale.

Quanto alla doglianza vertente sull’apprezzamento della credibilità dei testimoni escussi, essa investe l’apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito: peraltro, in materia di prova testimoniale, non sussiste alcun principio di necessaria inattendibilità del testimone che abbia vincoli di parentela o coniugali con una delle parti, atteso che, caduto il divieto di testimoniare previsto dall’art. 247 c.p.c., per effetto della sentenza della Corte Cost. n. 248 del 1974, l’attendibilità del teste legato da uno dei predetti vincoli non può essere esclusa aprioristicamente in difetto di ulteriori elementi dai quali il giudice del merito desuma la perdita di credibilità (Cass. 17 dicembre 2015, n. 25358; Cass. 20 gennaio 2006, n. 1109).

3. – Il terzo motivo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1 e dell’art. 2697 c.c.. Assume la ricorrente che il giudice di appello avrebbe violato la prescrizione che consente l’utilizzo delle presunzioni solo se gravi, precise e concordanti, attribuendo rilievo al fatto che essa istante fosse accompagnata in banca dal marito dell’appellata; si duole, altresì, del mancato accertamento, da parte della Corte territoriale, dell’esistenza di un distinto autonomo obbligo di trasferimento in adempimento del presunto patto fiduciario. A tale riguardo rileva come la distinta di versamento di Euro 250.000,00 non dimostrasse affatto che il versamento fosse stato effettuato direttamente da B.M., come invece ritenuto.

Il motivo è inammissibile.

L’esistenza di un obbligo di ritrasferimento delle somme giacenti sui due conti è implicato nell’accertamento del pactum fiduciae in cui detto obbligo si inscrive: e quest’ultimo accertamento non è sindacabile nella presente sede. Quanto al sindacato sulle presunzioni, esso incontra un limite nel margine di discrezionalità riservato al giudice del merito: come è stato infatti osservato (in materia tributaria, ma l’osservazione è spendibile anche su di un piano generale), lo schema logico della presunzione semplice offre all’interprete uno strumento di accertamento dei fatti che può anche presentare qualche margine di opinabilità, posto che, guardo anche quest’ultimo margine è escluso per la rigidità della previsione deduttiva, si ha il diverso fenomeno della presunzione legale (Cass. 7 febbraio 2013, n. 2895; cfr. pure, ad esempio, Cass. 31 ottobre 2011, n. 22656 e Cass. 6 febbraio 2019, n. 3513, secondo cui ai fini della prova per presunzioni semplici non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, in quanto è sufficiente che il fatto da provare sia cesumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità).

Sotto tale aspetto, non coglie nel segno il rilievo secondo cui la Corte di merito avrebbe conferito indebitamente rilievo al fatto che essa istante si recasse in banca non solo con D.L. ma, a volte, insieme al marito della medesima: infatti anche tale circostanza, su di un piano logico, può certamente assurgere a elemento indicativo della gestione fiduciaria dei conti intestati a B.M. e tanto basta per escludere la lamentata violazione dei criteri cui deve conformarsi il ragionamento presuntivo.

Sfugge, poi, al sindacato di legittimità, la censura vertente sulla distinta di versamento: come è noto, infatti l’esame e la valutazione dei documenti di causa, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito (per tutte: Cass. 31 luglio 2017; Cass. 2 agosto 2016, n. 16056).

4. – Con il quarto motivo è lamentata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 c.c.. Si oppone il disconoscimento della conformità all’originale di due documenti prodotti in copia e viene dedotto che essi non potessero essere utilizzati ai fini della decisione.

Il motivo è inammissibile.

Parte ricorrente non chiarisce quale sia il contenuto dei documento cui allude, sicchè questa Corte non è in grado di apprezzare la decisività delle censura (tra l’altro riferita alla produzione di un originale che si assume essere tardiva senza spiegare, in punto di diritto, perchè lo sia). Inoltre, la ricorrente afferma che non era necessario riproporre l’eccezione nel proprio atto di appello. Ma ciò è errato: la mancata reiterazione dell’eccezione in sede di gravame determina, a norma dell’art. 346 c.p.c., che essa debba ritenersi rinunciata e, come si è osservato in precedenza, tale effetto non è impedito dalla riproposizione del mezzo di difesa nella comparsa conclusionale di appello; in conseguenza, l’eccezione in parola non potrebbe essere comunque posta a fondamento del motivo di ricorso in esame.

5. – Il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.. Si collega al precedente ed è incentrato sul rilievo pur cui l’illecito utilizzo, da parte della Corte di appello, delle copie disconosciute dai documenti avversari, aveva determinato l’inosservanza della regola di ripartizione dell’onus probandi, esonerando, nella sostanza, la controparte dall’incombente processuale di tempestiva produzione degli originali.

Il motivo va disatteso.

Il medesimo si fonda su di un assunto: quello di un disconoscimento ritualmente svolto in primo grado, che non era necessario riproporre in appello. Poichè la doglianza formulata col quarto motivo non può trovare ingresso, cade la possibilità di accogliere il quinto mezzo.

6. – In conclusione, il ricorso è respinto.

7. – Segue la condanna alle spese della ricorrente, in base al principio di soccombenza.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2019

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