Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.33413 del 17/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19888/2015 proposto da:

SCANDELLARI s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato PIERINO ROSARIO ARRU;

– ricorrente –

contro

P.M., M.G.M., M.R., M.P. in proprio e quale procuratore speciale di MA.RO., M.M.T., aventi diritto di M.Q. e di MA.PA., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G.G. BELLI, 27, presso lo studio dell’avvocato PAOLO MEREU, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALBERTO SAVIOZZI;

– controricorrenti –

contro

PA.NA., V.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 251/2015 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI SEZ. DIST. di SASSARI, depositata il 29/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/05/2019 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PIERINO ROSARIO ARRU, difensore della ricorrente, che si è riportato agli atti depositati;

udito l’Avvocato PAOLO MEREU, difensore dei controricorrenti, che si

è riportato agli atti depositati.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Cagliari – sez. distaccata di Sassari, con sentenza pubblicata il 29 maggio 2015, ha parzialmente accolto l’appello proposto da P.M., M.G.M., M.R., M.P., in proprio e quale procuratore di Ma.Ro., M.M.T. avverso la sentenza del Tribunale di Sassari n. 395 del 2010, e nei confronti di Pa.Na., V.A. e di Scandellari s.p.a..

1.1. Il giudizio era stato promosso dai consorti P. – M. per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito dell’infortunio mortale occorso al congiunto M.Q., investito – mentre lavorava presso il cantiere edile V. – da un blocco di cemento movimentato da una gru manovrata da T.A. e sotto la direzione di Pa.Na..

1.2. Il Tribunale aveva riconosciuto la responsabilità dei convenuti Pa. e V., non anche della società venditrice.

2. La Corte d’appello ha riformato la sentenza.

2.1. Previo rigetto dell’eccezione di prescrizione del diritto azionato dagli eredi M., la Corte territoriale ha accertato che la gru era stata venduta dalla Scandellari “chiavi in mano”, vale a dire con l’obbligo di provvedere al montaggio, e che il Pa. era stato inviato presso il cantiere V. dalla Scandellari perchè provvedesse al montaggio della gru, sulla base delle indicazioni fornite dalla stessa società. La società risultava pertanto responsabile dell’accaduto, ai sensi dell’art. 2049 c.c. e la scelta del Pa., che non era in grado di svolgere tale attività, integrava gli estremi della culpa in eligendo.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre la società Scandellari sulla base di sei motivi, ai quali resistono con controricorso P.M., M.G.M., M.R., M.P. in proprio e quale procuratore speciale di Ma.Ro., M.M.T.. Non hanno svolto difese in questa sede Pa.Na. e V.A.. Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è denunciata violazione degli artt. 183,184,184-bis e 210 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis, e si contesta la sussistenza dei presupposti della rimessione in termini, sotto il duplice profilo della mancanza di prova della data di rinvenimento del documento, e dell’assenza della “causa non imputabile”. Il ritardo nella ricerca e nel reperimento del documento era ascrivibile alla parte istante, che non si era avvalsa dello strumento previsto dall’art. 210 c.p.c..

2. Con il secondo motivo è denunciata violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 345 c.p.c. e si contesta la decisività del documento in oggetto, che non dimostrerebbe affatto che la società Scandellari avesse avuto un ruolo nell’affidamento delle operazioni di montaggio della gru al Pa., e tantomeno che fosse a conoscenza dell’inidoneità dell’impresa Pa. a svolgere tale attività. Più radicalmente, non sarebbe dimostrato che il preventivo del 24 settembre 1991 ed il contratto di leasing finanziario prodotto dalla società Scandellari riguardassero la gru oggetto del giudizio.

3. Con il terzo motivo è denunciata violazione degli artt. 1667,1669,2043,2049 e 2697 c.c. e si contesta l’affermazione di responsabilità della Scandellari fondata sulla circostanza che la società avesse affidato il montaggio della gru all’impresa Pa., pur essendo a conoscenza della inidoneità. Si tratterebbe di circostanza neppure allegata nella citazione introduttiva e comunque non provata dagli originari attori, sui quali incombeva il relativo onere.

4. Con il quarto motivo, che denuncia violazione dell’art. 2947 c.c. e art. 310 c.p.c., la ricorrente lamenta l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello nel ritenere che il diritto al risarcimento del danno non fosse prescritto. La società Scandellari non aveva partecipato al processo penale, e perciò non trovava applicazione nei suoi confronti il termine previsto dell’art. 2947 c.c., u.c., nè poteva riconoscersi efficacia interruttiva agli atti indirizzati ai condebitori solidali Pa. e V., essendo diversi i titoli di responsabilità.

5. Con il quinto motivo è denunciata violazione dell’art. 1227 c.c. e si contesta che la Corte d’appello non aveva tenuto conto della condotta della vittima M.Q., che con il suo comportamento imprudente aveva concorso a causare l’incidente.

6. Con il sesto motivo di ricorso è denunciata violazione dell’art. 111 Cost., artt. 83 e 84 c.p.c. e si contesta che la Corte territoriale aveva ritenuto valida la procura ad litem rilasciata dagli originari attori ad un medesimo procuratore, trattandosi di parti in potenziale conflitto di interessi.

7. Deve essere esaminato prioritariamente il quarto motivo di ricorso, che pone la questione preliminare della prescrizione del diritto azionato, il cui accoglimento renderebbe superfluo l’esame delle rimanenti questioni.

7.1. Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha accertato che il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria, decorrente dalla data della morte di M.Q. (19 luglio 1991), era stato più volte interrotto: gli eredi M., oltre ad essersi costituiti parte civile nel giudizio penale svolto a carico di Pa. e V., avevano inviato richiesta di risarcimento alla Scandellari in data 15 giugno 1995 e ancora, dopo il passaggio in giudicato della sentenza penale, avevano inviato lettere raccomandate ai coobbligati solidali, con cadenze tali da impedire la prescrizione.

I rilievi sono sufficienti ad escludere la prescrizione.

La responsabilità solidale per fatto dannoso richiede soltanto che il fatto sia imputabile a più soggetti, ancorchè le condotte lesive siano autonome e i titoli di responsabilità diversi: l’unicità del fatto dannoso, che è alla base della solidarietà (art. 2055 c.c.), è nozione riferita unicamente al danneggiato (ex plurimis, Cass. 16/12/2005, n. 27713; Cass. 13/01/2015, n. 286). L’art. 2947 c.c., a sua volta, si riferisce a tutti i possibili soggetti passivi della pretesa risarcitoria, e quindi anche a coloro che sono tenuti al risarcimento del danno a titolo di responsabilità indiretta. E infine, l’art. 1310 c.c., comma 1, prevede che l’atto con il quale il creditore interrompe la prescrizione nei confronti di uno dei debitori in solido ha effetto anche nei confronti dei condebitori. Non è conducente, pertanto, l’argomento della ricorrente secondo cui la diversità dei titoli di responsabilità avrebbe impedito l’estensione, nei suoi confronti, dell’effetto interruttivo derivante sia dall’azione civile promossa dagli eredi M. nel giudizio penale a carico di Pa. e V., sia dagli atti successivi al giudicato penale.

8. I primi due motivi del ricorso, da esaminare congiuntamente per l’evidente connessione, sono inammissibili.

8.1. Come si legge a pagina 11 della sentenza impugnata, la Corte d’appello ha accertato che la società Scandellari aveva venduto la gru con obbligo di provvedere al montaggio sulla base di plurimi elementi di prova, tra i quali anche il preventivo in data 19-24 settembre 1991, di cui è contestata l’ammissione.

La sentenza dà atto che il contenuto del preventivo è convergente con le produzioni documentali della stessa società odierna ricorrente e con le dichiarazioni testimoniali rese nel giudizio in esame ed in quello penale, come apprezzate dalla Corte di merito, con riguardo anche all’attendibilità dei testi.

La non decisività del documento, che ha rappresentato uno dei mezzi di prova ma non l’unico nè il principale, comporta l’inammissibilità delle questioni della legittimità della rimessione in termini e della violazione dell’art. 345 c.p.c., in quanto entrambe inidonee ad incrinare l’accertamento che è alla base della decisione impugnata.

9. Il terzo motivo di ricorso, che attinge direttamente il giudizio di responsabilità, è infondato.

9.1. All’esito della ricostruzione dei fatti e sulla base dell’apprezzamento del materiale probatorio, come è noto insindacabile in sede di legittimità, la Corte d’appello ha ritenuto configurabile la responsabilità della società Scandellari – venditore della gru con obbligo di montaggio – per il fatto commesso dal Pa., soggetto incaricato del montaggio dalla stessa società, facendo applicazione dell’art. 2049 c.c.. La stessa Corte ha anche evidenziato l’inidoneità del soggetto incaricato, donde il richiamo alla nozione di culpa in eligendo, che avrebbe caratterizzato l’agire della società.

In disparte l’inutile ed improprio richiamo alla colpa, la decisione è conforme alla giurisprudenza consolidata di questa Corte regolatrice secondo la quale, ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2049 c.c., è sufficiente che il fatto illecito sia commesso da un soggetto legato da un rapporto di preposizione con il responsabile, ipotesi che ricorre non solo in caso di lavoro subordinato ma anche quando per volontà di un soggetto (committente) un altro (commesso) esplichi un’attività per suo conto, essendo sufficiente che sussista un nesso di occasionalità necessaria tra l’illecito ed il rapporto che lega i due soggetti (ex plurimis, Cass. 14/02/2019, n. 4298; 12/10/2018, n. 25373; 15/06/2016, n. 12283). Perdono di significato, in questa prospettiva, le contestazioni sulla prova e sul riparto del relativo onere, essendo irrilevanti i temi della incapacità del Pa. e della conoscenza o conoscibilità di tale incapacità da parte della società committente.

10. Il quinto motivo è inammissibile per carenza di specificità.

10.1. Nella sentenza impugnata non v’è cenno della questione del concorso di colpa della vittima, e la ricorrente si limita a riferire di aver “riproposto” la relativa eccezione nella comparsa di costituzione in appello senza ulteriori precisazioni quanto alla formulazione dell’eccezione e, soprattutto, alla sua reiterazione in sede di precisazione delle conclusioni. Sulla base delle allegazioni della ricorrente non è possibile stabilire se la Corte d’appello sia stata investita della questione, e ciò impedisce l’esame del motivo (ex plurimis, Cass. 13/06/2018, n. 15430; Cass. 18/10/2013, n. 23675).

11. Risulta inammissibile anche il sesto motivo di ricorso.

11.1. Oltre alla totale carenza di allegazione circa l’avvenuta deduzione della questione della validità del mandato difensivo nel giudizio di merito, il potenziale conflitto di interessi è prospettata sulla base di una erronea ricognizione della materia. E’ vero, infatti, che il conflitto d’interessi può essere anche potenziale, ma tale potenzialità va intesa non come astratta eventualità – è il caso del prospettato ipotetico il disaccordo tra gli aventi causa della vittima sulla ripartizione dell’importo liquidato a titolo risarcitorio – bensì in stretta correlazione con il rapporto esistente in concreto tra le parti i cui interessi risultino suscettibili di contrapposizione (ex plurimis, Cass. 22/01/2018, n. 1530; 24/01/2011, n. 1550; 14/06/2005, n. 12741).

12. Al rigetto del ricorso segue la condanna della società ricorrente alle spese del presente giudizio, nella misura liquidata in dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 9.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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