Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.10426 del 03/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35236-2018 proposto da:

CIZA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GRAMSCI 7, presso lo studio dell’avvocato NACHIRA ALBERTO, rappresentata e difesa dall’avvocato MAGGIULLI ORONZO VALENTINO;

– ricorrente –

contro

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANNACCARI SALVATORE ROSARIO;

– controricorrente –

contro

TOP CONSULTING SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, U.V.F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GREGORIO VII 500, presso lo studio dell’avvocato CORRADO CORRADO, rappresentati e difesi dall’avvocato VITO FABIO URSO;

– controricorrenti –

contro

N.F., LE MUSE DI Z.R. SAS, Z.R., M.I.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 881/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 12/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 28/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. RUBINO LINA.

RILEVATO

Che:

La Ciza s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, contro Top Consulting s.r.l., avv. U.V.F., C.S. e N.F., nonchè Le Muse s.a.s. di Z.R., Z.R. e M.I.M., avverso la sentenza n. 881/2018 depositata il 12.9.2018 dalla Corte d’Appello di Lecce, che confermava l’accoglimento dell’azione revocatoria proposta da numerosi creditori della Ciza s.r.l., in relazione all’atto con il quale la Ciza aveva conferito il proprio ramo d’azienda alberghiero alla società Le Muse s.a.s. di Z.R., del valore di circa 2.000.000 Euro, per un controvalore di 7.000,00 Euro pari alla partecipazione sociale maggioritaria in quest’ultima società e al successivo atto di cessione dalla soc. Le Muse a Z. e M..

Sia la Top Consulting che il Cito si costituiscono, con separati controricorsi. La Top Consulting ha anche depositato memoria. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di manifesta infondatezza dello stesso. Il decreto di fissazione dell’udienza camerale e la proposta sono stati comunicati.

CONSIDERATO

Che:

Il Collegio condivide le conclusioni contenute nella proposta del relatore nel senso del rigetto del ricorso.

Sono stati impugnati con azione revocatoria, da parte di diversi creditori della società Ciza s.r.l., due successivi atti dispositivi che avevano conseguito l’effetto complessivo di spogliare la Ciza di beni del valore di circa 2 milioni di Euro per un controvalore pari a circa 7.000 Euro: dapprima, nell’arco di un mese, la Ciza aveva conferito il proprio ramo di azienda alberghiero, del valore di circa 2 milioni (nel quale rientrava la piena proprietà di un complesso turistico alberghiero), alla società le Muse s.a.s. in cambio della partecipazione societaria maggioritaria di tale società valutata al valore nominale in 7.000 Euro, quindi anche tale partecipazione societaria maggioritaria era stata ceduta ai sig. Z. e M..

La corte d’appello accertava che il patrimonio della Ciza avesse senz’altro subito una variazione qualitativa tale da integrare il presupposto dell’eventus damni, passando,per un corrispettivo esiguo e del cui pagamento non c’era neppure certezza, da un complesso immobiliare di cospicuo valore, pur gravato da ipoteca, ad una quota societaria e poi ad una esigua somma di denaro del cui effettivo versamento nelle casse sociali non vi era neppure certezza, nè la ricorrente aveva fornito diversa prova di aver mantenuto, nonostante la dismissione, una sua solidità economica. Per il resto confermava, sulla base delle presunzioni, che potesse ritenersi provata, in capo agli acquirenti, una piena conoscenza della idoneità dell’intera operazione a pregiudicare i creditori di Ciza, anche a prescindere dall’ulteriore elemento della enorme sproporzione di valore tra i beni che facevano parte del ramo d’azienda ceduto e la partecipazione societaria poi anch’essa ceduta.

La Ciza s.r.l. ricorre con tre motivi.

Con il primo si denuncia la violazione dell’art. 295 c.p.c. e la nullità del procedimento per mancata sospensione del giudizio revocatorio in presenza di crediti litigiosi.

Con il secondo, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2901, 2697 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, laddove la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente l’eventus damni, ed in particolare ha ritenuto che gli atti di disposizione abbiano comportato una variazione sia qualitativa che quantitativa del patrimonio della debitrice disponente.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ovvero la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione in ordine alla presunzione utilizzata per dimostrare la diminuzione quantitativa del patrimonio di Ciza s.r.l.

Come anticipato nella proposta, il primo motivo è infondato, in quanto il credito litigioso, che trovi fonte in un atto illecito o in un rapporto contrattuale contestato in separato giudizio, è idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore abilitato all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto dispositivo compiuto dal debitore, sicchè il relativo giudizio non è soggetto a sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. in rapporto alla pendenza della controversia sul credito da accertare e per la cui conservazione è stata proposta domanda revocatoria, poichè l’accertamento del credito non costituisce l’indispensabile antecedente logico-giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, nè può ipotizzarsi un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell’allegato credito litigioso, dichiari inefficace l’atto di disposizione e la sentenza negativa sull’esistenza del credito (v. Cass. 2673 del 2016).

Il secondo e il terzo motivo parimenti appaiono infondati, non essendosi la corte territoriale distaccata dalla consolidata giurisprudenza di legittimità sul punto (v. da ultimo Cass. n. 16221 del 2019): il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria ordinaria (cd. “eventus damni”) ricorre non solo nel caso in cui l’atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l’onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato l’inefficacia dell’atto di compravendita di un immobile stipulato dal debitore convenuto, il cui patrimonio immobiliare residuo risultava gravato da un fondo patrimoniale e da iscrizioni ipotecarie, reputando irrilevante che il credito sottostante a una di tali iscrizioni fosse stato contestato dal debitore medesimo, in seno ad un giudizio instaurato successivamente all’atto dispositivo).

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis e comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico della parte ricorrente le spese di giudizio sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 7.200,00 per compensi, oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020

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