Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.11261 del 11/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1327/2015 proposto da:

Comune di Campo nell’Elba, in persona del vice sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Carlo Poma n. 2, presso lo studio dell’avvocato Massimiliano Pucci, rappresentato e difeso dall’avvocato Lorenzo Calvani, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Odorizzi Porfidi S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Monte Santo n. 68, presso lo studio dell’avvocato Massimo Letizia, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Anita Bazzicalupo, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 165/2014 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 27/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 29/01/2020 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso depositato il 19/10/2005 la Odorizzi Porfidi S.p.A. chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Trento un decreto ingiuntivo nei confronti del Comune di Campo nell’Elba per il complessivo importo di Euro 66.517,60, a saldo di una serie di fatture (n. ***** per Euro 8.836,39; n. ***** per Euro 12.553,57; n. ***** per Euro 49.141,98) emesse all’esito della fornitura di pavimentazione nell’ambito di lavorazioni appaltate per la realizzazione di un parcheggio in località *****, nel Comune di *****.

L’Amministrazione ingiunta proponeva opposizione deducendo che la prima fattura, la n. *****, risultava, in parte, già pagata vantando il Comune un credito, alla data di emissione, di Euro 4.103,88 e, in altra parte, assorbita dalla trattenuta del decimo dell’importo, a cauzione e garanzia di cui alla L. n. 109 del 1994, art. 30, comma 2 ed al D.P.R. n. 554 del 1999, art. 101, comma 1; rappresentava altresì che non era stato ancora emesso il certificato di regolare esecuzione dell’opera.

Le altre due fatture, la n. ***** e la n. *****, non sarebbero poi state in alcun modo giustificate perchè emesse per somme reclamate per l’esecuzione di opere che il Comune non aveva mai deliberato e commesso in appalto e rispetto alle quali non vi era alcun ordine o contratto dell’Amministrazione.

L’ente comunale aveva affidato in appalto alla ditta “F.lli C. S.a.S.” la realizzazione di un parcheggio, opera rispetto alla quale la Odorizzi Porfidi aveva fornito le piastrelle della pavimentazione e la ditta appaltatrice avrebbe poi, in via autonoma, eseguito ulteriori opere di ampliamento dell’originario parcheggio, per le quali essa aveva commissionato alla Odorizzi Porfidi ulteriori forniture che, come tali, non avrebbero potuto imputarsi al Comune e tanto nell’indefettibilità della forma pubblica richiesta ad substantiam per i contratti conclusi dalla P.A..

2. Il Tribunale di Trento con sentenza n. 765/2010 rigettava l’opposizione proposta dal Comune e confermava il decreto ingiuntivo.

La fornitura per cui era domanda era relativa alla realizzazione di lavori aggiuntivi, consistenti nello smantellamento e rifacimento della pavimentazione di un parcheggio contiguo e preesistente a quello realizzato ex novo e commesso alla ditta “F.lli C.”, e santo era avvenuto su iniziativa del direttore dei lavori che, agendo in rappresentanza della committenza pubblica, aveva provveduto al relativo computo consuntivo.

Il Comune non aveva contestato i lavori così come individuati, quanto alla loro esecuzione, con la perizia del direttore dei lavori e, in ogni caso, avrebbe tratto utilità dalle opere realizzate, come attestato dal comportamento adottato che si era tradotto nella utilizzazione a parcheggio dell’intera area, vecchia e nuova, sulla quale era intervenuta la Odorizzi Porfidi S.p.A..

Integrati i presupposti per l’azione di arricchimento ingiustificato, il tribunale aveva riconosciuto tutti gli importi fatturati anche per i lavori aggiuntivi oltre che quelli, relativi a spese regolarmente impegnate.

3. La Corte di appello di Trento con sentenza n. 165 del 2014, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta dal Comune di Campo nell’Elba ed in riforma della sentenza di primo grado, revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava il Comune a pagare alla società appellata la somma di Euro 17.286,08 a saldo di due delle fatture azionate, le nn. ***** e *****, e, ancora, la somma di Euro 42.051,00 a titolo di arricchimento senza causa, con rivalutazione alla data della sentenza.

In siffatta misura la Corte di merito riteneva provata la diminuzione patrimoniale sofferta dall’impresa su cui commisurava l’indennità liquidabile ex art. 2041 c.c., previa detrazione, dai prezzi delle opere, dell’utile di impresa.

4. Ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza il Comune di Campo nell’Elba con due motivi cui resiste con controricorso la società Odorizzi Porfidi a r.l..

5. Con memoria in data 15 gennaio 2020, la difesa della Odorizzi Porfidi S.r.l. ha comunicato l’intervenuto fallimento della rappresentata, giusta sentenza del Tribunale di Trento pubblicata il 14 maggio 2018 che ha provveduto ad allegare.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare, ed in adesione a pacifica giurisprudenza di legittimità, va escluso che nel giudizio di Cassazione rilevi la sopravvenuta dichiarazione di fallimento della parte.

Nel giudizio di legittimità, segnato dall’impulso d’ufficio, non trova applicazione l’istituto dell’interruzione del processo là dove la sussistenza della causa interruttiva potrà assumere rilievo nel giudizio di rinvio (massimate sul principio: Cass. 27/04/1992 n. 5012; Cass. 21/10/1995 n. 10989; Cass. 20/05/1997 n. 4480; Cass. 14/04/1999 n. 3697; tra le altre, in motivazione: Cass. 23157/2018 considerato n. 1; Cass. 4795/2020, par. 1 delle “Ragioni della decisione”).

L’intervenuta dichiarazione di fallimento della controricorrente non esplica pertanto effetto alcuno nel presente giudizio.

2. Il Comune di Campo nell’Elba articola una premessa e due motivi di ricorso.

In premessa l’Amministrazione contesta l’inadempienza delle ditte Odorizzi Porfidi e C. per avere eseguito opere, e fornito materiali, non richiesti, mai commissionati e riconosciuti, in quanto relativi ad un parcheggio già esistente e contiguo a quello ex novo commissionato, non interessato da Delibera di incarico e da un atto scritto, richiesto in ossequio alla forma scritta ad substantiam prevista per i contratti conclusi dalla P.A..

Le opere non erano state collaudate.

La mancanza di un arricchimento in capo all’Amministrazione non avrebbe neppure consentito di procedere al riconoscimento del debito fuori bilancio nei termini di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 194, comma 1, lett. e) e sarebbe mancato un atto formale dell’organo amministrativo di riconoscimento dell’utilità e del vantaggio dell’opera e, ancora, una utilizzazione da parte degli organi rappresentativi dell’ente.

L’azione di indebito arricchimento contro la P.A. richiederebbe quale “condizione imprescindibile, il riconoscimento dell’utilitas mediante una inequivoca, ancorchè implicita, manifestazione di volontà al riguardo promanante da organi amministrativi dell’amministrazione interessata”.

L’indicato estremo non sarebbe stato integrato dalla mera evidenza che un quivis de populo si trovasse ad utilizzare il parcheggio, peraltro preesistente e soltanto pavimentato in esito al contestato intervento.

2.1. Tanto esposto, con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degii artt. 2697 e 2041 c.c..

La Corte di appello, in un quadro che onera la parte richiedente l’indennizzo di cui all’art. 2041 c.c., avrebbe travisato l’espletata prova per testi ritenendo provate circostanze che tali non sarebbero state.

I giudici di appello avevano infatti erroneamente ritenuto come “riconosciuti” dall’Amministrazione i lavori non previsti dalla Delibera in ragione dell’utilizzo dell’area a parcheggio pubblico a pagamento i cui proventi avrebbe riscosso il Comune.

A siffatta conclusione la Corte di merito era giunta: a) su evidenze generiche rappresentate dai testi escussi, quali la presenza di auto parcheggiate sull’area in questione, per un servizio i cui proventi avrebbe riscosso il Comune e tanto riferito dai testimoni anche per notizia appresa dai giornali; b) ricorrendo ad una impropria nozione del “notorio” per la quale i parcheggi a pagamento vengano gestiti dalle Amministrazioni comunali proprietarie delle aree o da privati quali concessionari e che, in ogni caso, i parcheggi a pagamento siano fonte di entrata per i Comuni stessi.

2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c..

I giudici di appello, nel quantificare l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c., avevano erroneamente fatto coincidere i termini del “pregiudizio subito” e dell'”effettivo arricchimento” avendo riguardo al valore dei beni realizzati e dei servizi utilizzati o, ancora, all’aumento percentuale dei prezzi correnti di mercato subito nel periodo considerato.

In tal modo sarebbe rimasta inosservata la regola sancita dalla giurisprudenza di legittimità che vuole che il riconoscimento dell’indennizzo ex art. 2041 c.c., avvenga nella minore misura tra la diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido – non comprensiva dei guadagni non conseguiti, degli utili ripromessi o delle spese generali e con esclusione di quanto l’esecutore avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto fosse stato valido ed efficace – e l’effettivo arricchimento dell’altra parte.

La liquidazione equitativa sarebbe stata possibile solo nel caso in cui il danno non avesse potuto essere provato nel suo preciso ammontare.

3. Il primo motivo è infondato nei termini di seguiti indicati e precisati.

Per la questione introdotta dal proposto motivo, si tratta di stabilire se il privato, che in difetto di contratto ed autorizzazione di una pubblica Amministrazione committente abbia realizzato un’opera pubblica, possa avvalersi del rimedio di cui all’art. 2041 c.c..

Secondo indirizzo di questa Corte di legittimità, che ha conosciuto in tempi recenti affermazione e consolidamento, la domanda deve essere scrutinata in applicazione della fattispecie del cd. arricchimento imposto.

Nel dare definizione all’indicata ipotesi e nel delimitare di questa i contenuti, anche in punto di onere della prova nei rapporti tra privato, preteso depauperato, ed amministrazione, pretesa arricchita, le Sezioni Unite di questa Corte di legittimità, nei comporre un pregresso contrasto di orientamenti per soluzioni non estranee al sistema, hanno stabilito che: “il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicchè il depauperato che agisce ex art. 2041 c.c., nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, esso potendo, invece, eccepire e provare che l’arricchimento non fu voluto o non fu consapevole, e che si trattò, quindi, di “arricchimento imposto” e tanto in considerazione, anche, delle esigenze di tutela delle finanze pubbliche e delle dimensioni e complessità dell’articolazione interna della P.A. su cui deve parametrarsi l’osservanza del buon andamento ex art. 97 Cost. (Cass. SU 26/05/2015 n. 10798; Cass. 27/06/2017 n. 15937; Cass. 24/04/2019 n. 11209).

Nell’affermazione dell’indicato principio, ecco che il focus della fattispecie di cui all’art. 2041 c.c., là dove il soggetto che si pretenda arricchito sia una pubblica Amministrazione, si sposta dal riconoscimento dell’utilità conseguita – attraverso una manifestazione, anche implicita, di volontà promanante dagli organi amministrativi, per un utile soggettivo relativo all’interesse dell’accipiens alla cui valutazione esso è rimesso (ex plurimis: Cass. 14/10/2008 n. 25156) – al dato obiettivo dell’arricchimento, destinato come tale a rilevare quale fonte dell’obbligazione ex art. 2041 c.c., salva la prova da parte dell’Amministrazione dell’imposizione o della inconsapevolezza della prestazione.

L’azione diviene in tal modo rimedio generale di situazioni giuridiche altrimenti ingiustamente private di tutela e si coniuga con l’esigenza, altrettanto fondamentale, del buon andamento dell’attività amministrativa, là dove affida alla stessa pubblica Amministrazione l’onere di eccepire e provare il rifiuto dell’arricchimento o l’impossibilità del rifiuto per la sua inconsapevolezza (Cass. SU 10798 cit., p. 13).

4. In applicazione degli indicati principi, va data correzione alla motivazione impugnata ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., che resta ferma, nel resto, nella bontà dell’operata decisione.

La sentenza impugnata da una parte muove dall’esistenza del parcheggio – che, per caratteristiche pacifiche in giudizio, è contiguo a quello regolarmente approvato dall’Amministrazione comunale ed è stato pavimentato dalla ditta Odorizzi Porfidi S.r.l. – per poi apprezzare l’esistenza di un riconoscimento dell’utilità dell’opera da parte dell’Amministrazione comunale.

La Corte di merito compone, ai fini indicati, esiti di espletate prove per testi con una nozione di notorio, i cui contenuti si vogliono destinati a valere nella materia della gestione dei parcheggi a pagamento nei territori comunali.

Ciò posto, l’indicata motivazione va corretta nel senso di seguito indicato.

Per i segnalati passaggi motivatori e per il fatto ivi definito, quanto emerge è che, ferma la realizzazione del parcheggio in territorio comunale e per essa il conseguimento di un obiettivo arricchimento da parte del Comune, l’Amministrazione territoriale non abbia alcunchè dedotto, in quel grado, sul carattere “imposto” dell’arricchimento, deducendo dell’opera l’esecuzione contro la sua volontà o, comunque, nella propria inconsapevolezza e che pertanto la sentenza vada sul punto confermata non attinta da un motivo di ricorso per cassazione che ancora insiste, in modo irrilevante, sul difetto del requisito soggettivo del riconoscimento dell’utilità dell’opera da parte dell’Amministrazione.

Il motivo di ricorso va pertanto rigettato.

5. Resta all’esame di questa Corte di legittimità il secondo motivo.

Il motivo è inammissibile perchè manifestamentè infondato e non autosufficiente.

5.1. La Corte di appello di Trento nel liquidare l’indennizzo ex art. 2041 c.c., ha invero fatto applicazione del principio, ormai costante, di questa Corte di legittimità che vuole che, in tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della P.A., conseguente all’assenza di un valido contratto, l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c., va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace, non potendo la liquidazione avvenire in misura corrispondente al prezzo fatturato delle merci, comprensivo del guadagno (Cass. 07/10/2011 n. 20648; Cass. 07/11/2014 n. 23780; Cass. 14/05/2019 n. 12702).

La Corte territoriale ha infatti espunto dalle somme fatturate l’utile d’impresa prudenzialmente apprezzato in misura del trenta per cento dei prezzi esposti, in tal modo sottraendosi ad ogni censura in sede di legittimità senza che il proposto motivo, con cui si lamenta di quel principio, la mancata applicazione, valga fondatamente a censurare la decisione non segnalando erroneità interpretative ed applicative.

5.2. La dedotta mancanza di prova del danno, per non avere l’impresa provato, o essersi offerta di provare, il depauperamento subito per la spesa sostenuta per l’acquisto dei blocchetti di cava, per il loro trasporto, per le spese del personale, è ancora inammissibile per sua novità.

La parte non ha infatti allegato, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di aver dedotto la mancanza di prova dinanzi al giudice di merito.

6. Il ricorso va in via conclusiva rigettato.

Le spese restano compensate tra le parti nella natura della controversia.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di lite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2020

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