Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.11602 del 15/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30563-2018 proposto da:

MINISTERO DELLA SALUTE *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI l2, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.A.B.D., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA APUANIA 12, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE MUCCIO, rappresentati e difesi dall’avvocato GIACOMO CENZATTI;

– controricorrenti –

nonchè contro AZIENDA OSPEDALIERO – UNIVERSITARIA DI CAREGGI, GESTIONE LIQUIDATORIA USL *****, UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA DIVISIONE SAI (GIA’

FONDIARIA SAI SPA);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1556/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 27/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/02/2020 dal Consigliere Dott. MOSCARINI ANNA.

FATTI DI CAUSA

B.D. ed P.A., con atto di citazione notificato in data 20/6/2008, convennero davanti al Tribunale di Firenze il Ministero della Salute chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subìtì iure proprio a seguito della patologia epatica, successivamente evoluta in cirrosi epatica e seguita dal decesso del congiunto P.F., causato da ripetute trasfusioni di sangue infetto somministrategli nel periodo 1978-1982. Il Ministero della Salute, costituendosi in giudizio, eccepì la prescrizione delle richieste risarcitorie, il difetto di legittimazione attiva della B., l’infondatezza delle domande e chiese ed ottenne la chiamata in causa dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi. Il Tribunale di Firenze, respinta l’eccezione di prescrizione e di difetto di legittimazione attiva della B., condannò il solo Ministero al pagamento di somme, liquidate sulla base delle Tabelle di Milano, di Euro 219.000 in favore di P.A. e di Euro 164.000 in favore della B. e per il solo figlio A. dispose la decurtazione dell’indennizzo ex L. n. 210 del 1992.

Il Ministero della Salute propose appello e, nel contraddittorio con gli originari attori che proposero anche appello incidentale sul quantum, la Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza n. 1556 del 2018, ha rigettato entrambi gli appelli, confermando la statuizione di condanna del solo Ministero della Salute a risarcire il danno da perdita del rapporto parentale subito dai congiunti di P.F..

La Corte territoriale, per quanto ancora qui di interesse, ha rigettato i primi due motivi di appello con cui si chiedeva di censurare la sentenza di primo grado in relazione all’affectio esistente tra B.D. e P.F., la cui convivenza more uxorio era cessata in conseguenza di altro matrimonio contratto dalla B., ritenendo che il requisito della convivenza, peraltro esistita per un lungo periodo di tempo, alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, non fosse dirimente ai fini del riconoscimento del diritto al risarcimento del danno, fungendo da mero parametro per la quantificazione del medesimo; che la quantificazione del danno, effettuata dal giudice di primo grado, era equa perchè computata nei minimi tabellari per la B. e nei valori medi per il figlio A., neppure convivente, di guisa che occorreva rigettare anche l’appello incidentale dei danneggiati sul quantum; quanto alla mancata ammissione dei mezzi di prova che, ad avviso dell’appellante principale, avrebbe determinato la violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, la Corte territoriale ha ritenuto la censura infondata in ragione del fatto che il Ministero non aveva dedotto l’indispensabilità dei mezzi di prova e la causa non imputabile della loro mancata produzione nel giudizio di primo grado; quanto alla pretesa mancata allegazione e prova di un danno non patrimoniale risarcibile da perdita del rapporto parentale, pure dedotta con il secondo motivo di appello, la Corte territoriale ha ritenuto che, essendosi verificatosi il decesso del padre e compagno di vita ed essendo stato chiesto il danno morale, sia stato allegato e domandato un vero e proprio danno parentale iure proprio.

La sentenza, contenente anche altre statuizioni che non rilevano in questa sede, ha dunque rigettato entrambi gli appelli e condannato il Ministero della Salute al pagamento delle spese del grado.

Avverso la sentenza il Ministero stesso propone ricorso per cassazione sulla base di sei motivi. Resistono B.D. ed P.A. con controricorso, illustrato da memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso l’impugnante censura la violazione dell’art. 2043 c.c., nonchè degli artt. 99 e 100 c.p.c., dell’art. 2 Cost., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al capo di sentenza che ha rigettato l’eccepito difetto di legittimazione attiva della B., non ravvisando l’insussistenza del diritto della medesima al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale. Si duole del fatto che la impugnata sentenza abbia affermato l’esistenza di un rapporto “more uxorio” tra il Pucci e la B., pur essendo il medesimo cessato e non potendo comunque essere assimilato, per stabilità ed intensità del vincolo affettivo, al rapporto di coniugio.

2. Con il secondo motivo – violazione dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 2Cost., nonchè degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., nonchè art. 2697 c.c., il ricorrente censura l’impugnata sentenza per aver ritenuto provato un intenso vincolo affettivo tra le parti, a prescindere dalla convivenza “more uxorio”. Il ricorrente assume che la sentenza sia censurabile in quanto avrebbe omesso di considerare come indispensabili, ai fini del decidere, l’allegazione e prova della convivenza tra la B. ed il P., quale connotata dai caratteri di reciproca assistenza morale e materiale, di comunanza di un progetto di vita, di intensità e stabilità del vincolo affettivo. Il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte, pure operata con dovizia di precedenti dalla impugnata sentenza, non sarebbe conferente perchè relativa a fattispecie diverse rispetto a quella in esame.

3. Con il terzo motivo – error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 in merito agli artt. 112,115 e 116 e 2697 c.c., per avere la Corte erroneamente interpretato le risultanze processuali dalle quali non era emerso un forte legame affettivo tra la B. e il P. e per aver commesso un errore non valutativo ma percettivo in merito alla sufficienza delle risultanze istruttorie a provare il forte legame affettivo – il ricorrente continua ad insistere sugli stessi argomenti di cui ai precedenti motivi, dedotti in questa sede quali ragioni di nullità della sentenza per error in procedendo in violazione dell’art. 115 c.p.c., e del principio di disponibilità delle prove. In particolare il ricorrente insiste sul preteso errore di percezione in cui sarebbe caduta l’impugnata sentenza per aver posto a base della decisione prove in realtà inesistenti, afferenti al forte legame affettivo che sarebbe esistito tra i due conviventi, pur essendo emerso che, ben due anni prima del decesso del P., la B. aveva contratto matrimonio con una terza persona.

4. Con il quarto motivo di ricorso – violazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la Corte d’Appello ritenuto irrilevante ed inammissibile la documentazione prodotta dal Ministero in appello pur essendo la stessa indispensabile ai fini del decidere, afferendo alla prova dell’inesistenza di alcuno stabile vincolo affettivo e di convivenza tra la B. ed il P. – l’impugnante censura la sentenza per aver ritenuto inammissibile la produzione in giudizio dei certificati di residenza della B. e del P., dai quali avrebbe potuto dedursi con facilità che i medesimi non erano mai stati conviventi, sì da imporre la cassazione dell’impugnata sentenza in relazione ad un elemento motivazionale essenziale ai fini del decidere. Ad avviso del ricorrente, il caso in esame cadrebbe sotto la disciplina del previgente testo dell’art. 345 c.p.c. e dunque presupporrebbe la sola prova dell’indispensabilità del documento e non anche quella della impossibilità della sua produzione entro i termini delle preclusioni del giudizio di primo grado, così da far ritenere censurabile la sentenza d’appello nel capo in cui ne aveva dichiarato l’inammissibilità. In ogni caso, siccome secondo Cass., S.U. n. 10790/2017 la prova nuova di cui all’art. 345, comma 3, è quella indispensabile, cioè idonea ad eliminare ogni incertezza, indipendentemente dal fatto che il Ministero fosse incorso nelle preclusioni processuali, la prova avrebbe dovuto essere ammessa.

5. Con il quinto motivo il Ministero ricorrente censura l’impugnata sentenza per error in procedendo in relazione agli artt. 112,115 e 116 c.p.c., per aver ritenuto inammissibile ed irrilevante la produzione documentale in grado d’appello effettuata dal Ministero.

Il ricorrente replica il precedente motivo declinandolo in relazione all’error in procedendo e alla nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

6. Con il sesto motivo – violazione dell’art. 112,115 e 116 c.p.c., dell’art. 2043 c.c. e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per mancanza di risultanze istruttorie dalle quali desumere la sufficiente allegazione e prova di un danno risarcibile in favore della B. e di P.A. in conseguenza del decesso di P.F. – l’impugnante censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto esistente una sufficiente allegazione e prova del danno non patrimoniale risarcibile da perdita del rapporto parentale pur in mancanza di qualsivoglia illustrazione delle conseguenze patite, non potendosi ritenere sufficiente a tal fine la pretesa allegazione di un danno morale, come evidenziato dalla Corte territoriale, in assenza di una concreta prova delle conseguenze del preteso pregiudizio.

1-2-3-4-5-6 I motivi sono tutti inammissibili perchè di merito, volti cioè a sollecitare questa Corte ad un riesame dei motivi di appello e di quanto in essi dedotto, in spregio alla natura del sindacato di legittimità. Così deve dirsi per i motivi afferenti il preteso difetto di legittimazione della B., su cui il Ministero ricorrente torna ad insistere riproducendo argomentazioni già svolte nei gradi di merito e già diffusamente esaminate dalla Corte d’Appello, con ampia ed incontestabile motivazione. La Corte d’Appello ha richiamato sul punto la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale l’affectio che radica il diritto al risarcimento del danno non è dipendente dalla convivenza tra congiunti ma ben può essere ravvisata – come nella specie è stata ravvisata – nella particolare effettività e consistenza della relazione affettiva anche indipendente dalla convivenza.

Sul punto la giurisprudenza di questa Corte è chiara nel ritenere che, ai fini della prova dei presupposti per il risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale, la convivenza non è un elemento indefettibile, potendo sussistere molte relazioni affettive intense e consistenti che prescindono dalla convivenza, quale, ad esempio quella tra nonno e nipoti. La convivenza può costituire un elemento di prova sia ai fini della effettività e consistenza della relazione parentale sia ai fini della quantificazione del danno (si vedano sul punto ex multiis, Cass., 3, n. 21230 del 20/10/2016, Cass., 3, n. 29332 del 7/12/2017; Cass., 3, n. 21387 del 30/8/2019), e la sentenza impugnata appare del tutto conforme a tale indirizzo giurisprudenziale non solo sull’an ma anche in punto di quantificazione del danno, in quanto, in ragione della mancata convivenza al momento del decesso del P., ha liquidato il danno nella misura del minimo tabellare, con riguardo alla B. e nella misura media con riguardo al figlio.

Il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili perchè sollecitano questa Corte ad una rivalutazione delle prove raccolte nei gradi di merito, ed il quarto ed il quinto motivo sono privi di decisività perchè, prima di far riferimento al regime delle preclusioni maturate nel corso del giudizio di primo grado, la Corte d’Appello ha, a monte, ritenuto che le prove richieste dal ricorrente (allora appellante) fossero irrilevanti ai fini del decidere e le ha, pertanto ritenute non indispensabili così conformandosi, nella prospettazione del ricorrente, al testo dell’art. 345 c.p.c., comma 3, previgente la modifica recata dalla L. n. 134 del 2012.

Il sesto motivo relativo alla pretesa mancata prova del danno risarcibile è anch’esso inammissibile scontrandosi con la mancata contestazione della prova del danno nel primo grado del giudizio nel quale la parte convenuta non ha contestato i fatti e cioè il decesso di P.F., le risultanze dell’ospedale militare che stabilì il nesso causale tra le trasfusioni di sangue infetto e l’esito fatale, tanto da condurre al riconoscimento, in favore del figlio, del relativo indennizzo. Per quanto concerne il danno e le relative allegazioni è sufficiente richiamare i documenti in atti e la CTU del 28/10/2014, che non è mai stata contestata dal ricorrente e le cui risultanze sono del tutto inequivoche circa la responsabilità del Ministero della Salute per omesso controllo sulle sacche di sangue e sul danno che ne derivò a P.F..

La Corte d’Appello ha preso atto dell’istruzione della causa effettuata nel giudizio di primo grado ed ha ritenuto provato, con motivazione scevra da vizi logico-giuridici, il danno non patrimoniale lamentato dagli attori in ossequio ai criteri recentemente stabiliti da questo giudice di legittimità (per tutte, Cass. 7513/2018).

7. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile ed il Ministero ricorrente condannato a pagare, a parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il Ministero della Salute a pagare alla parte resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 7.800 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il 5 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2020

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