Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.11728 del 17/06/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7317/2019 proposto da:

S.R.S., rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Coppola, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Prefettura di Napoli e Ministero dell’Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che li rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di NAPOLI, depositata il 17/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 16/01/2020 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

FATTI DI CAUSA

1. Con ordinanza depositata il 17-09-2018 il Giudice di Pace di Napoli ha respinto il ricorso di S.R.S., cittadino dello *****, avente ad oggetto l’impugnazione del provvedimento del Prefetto di Napoli, emesso in data 31/05/2018 e notificato in data 31/05/2018, che disponeva l’espulsione dal territorio nazionale del cittadino straniero, considerato soggetto pericoloso, in virtù dei suoi precedenti penali.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti della Prefettura di Napoli e del Ministero dell’Interno, che si sono costituiti tardivamente, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per nullità del procedimento e dell’ordinanza per violazione dell’art. 24 Cost., artt. 112,115, 153”. Si duole del mancato accoglimento dell’istanza ex art. 295 c.p.c., essendo pendente dinanzi al T.A.R. di Napoli l’impugnazione del decreto di rigetto dell’istanza del permesso di soggiorno, e deduce, di conseguenza, la violazione del diritto di difesa e la nullità del giudizio di primo grado.

2. Il motivo è infondato.

2.1. Secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di immigrazione, il provvedimento di espulsione dello straniero è obbligatorio a carattere vincolato, sicchè il giudice ordinario è tenuto unicamente a controllare, al momento dell’espulsione, l’assenza del permesso di soggiorno perchè non richiesto (in assenza di cause di giustificazione), revocato, annullato ovvero negato per mancata tempestiva richiesta di rinnovo, mentre è preclusa ogni valutazione, anche ai fini dell’eventuale disapplicazione, sulla legittimità del relativo provvedimento del questore trattandosi di sindacato che spetta unicamente al giudice amministrativo, il giudizio innanzi al quale non giustifica la sospensione di quello innanzi al giudice ordinario attesa la carenza, tra i due, di un nesso di pregiudizialità giuridica necessaria, nè la relativa decisione costituisce in alcun modo un antecedente logico rispetto a quella sul decreto di espulsione (Cass. n. 15676/2018; Cass. n. 12976/2016 e Cass. n. S.U. n. 22217/2006).

3. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta “Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione”. Richiamando la giurisprudenza di questa Corte, deduce che il Giudice di Pace ha omesso di verificare se l’utilizzo della lingua veicolare fosse giustificato dall’impossibilità di predisporre un testo nella lingua del suo Paese di origine, che non si può definire rara, data la diffusione della popolazione srilankese in Italia. Inoltre, come da pronunce di questa Corte che richiama, la presunzione di conoscenza della lingua italiana non può operare solo in relazione alla durata della sua presenza in Italia.

4. Con il terzo motivo lamenta “(in subordine rispetto al motivo sub B) Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per nullità del procedimento e dell’ordinanza per violazione dell’art. 24 Cost., art. 111 Cost., comma 6 e art. 134 c.p.c.”. Deduce, sempre in ordine alla mancata traduzione nella lingua a lui conosciuta, che il Giudice di Pace non aveva motivato sulla questione, specificando le ragioni per cui aveva ritenuto che il ricorrente conoscesse la lingua inglese.

5. Con il quarto motivo lamenta “Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per nullità del provvedimento per violazione dell’art. 24 Cost., art. 2697 c.c., artt. 112,115,702 ter c.p.c.”. Adduce che, in conseguenza dei vizi denunciati con i motivi che precedono, il provvedimento impugnato era illegittimo perchè il Giudice aveva omesso di provvedere sui mezzi istruttori.

6. I motivi secondo, terzo e quarto, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono in parte infondati e in parte inammissibili.

6.1. Quanto alla mancata traduzione del decreto di espulsione nella lingua tamil o singalese, il Giudice di Pace ha accertato in concreto e in via presuntiva che non fosse ravvisabile alcuna lesione dei diritti dell’espellendo, valutando gli elementi probatori del processo, in particolare le stesse allegazioni del cittadino straniero circa la sua lunga permanenza in Italia. Il Giudice di merito ha, dunque, desunto il convincimento espresso nell’ordinanza impugnata esaminando la suesposta circostanza, con apprezzamento di fatto censurabile in sede di legittimità nei ristretti limiti dell’attuale disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 11887/2018 e Cass. n. 2953/2019).

La statuizione di cui trattasi è stata idoneamente motivata (Cass. S.U. n. 8053/2014) e, d’altronde, lo stesso ricorrente afferma che ha scelto la lingua inglese per ricevere le comunicazioni e notificazioni (pag. n. 4 ricorso) e che nello Sri Lanka la lingua inglese è equiparata a quella ufficiale (pag. n. 6 ricorso).

6.2. Inammissibile è la censura riferita alla mancata ammissione dei mezzi istruttori, formulata in modo del tutto generico ed indeterminato, senza la benchè minima precisazione sul contenuto delle richieste e sul vulnus alla difesa che si assume esserne conseguito.

7. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta “Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione o falsa applicazione della norma di cui agli artt. 2,3 Cost., artt. 13 Cost. e segg., artt. 24,97 Cost. e segg. e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13”. Ribadisce che, non conoscendo il ricorrente nè la lingua inglese, nè quella italiana, l’Amministrazione avrebbe dovuto allegare l’oggettiva impossibilità di traduzione nella lingua singalese o tamil. Ai fini di una eventuale decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., espone di richiamare gli altri motivi del ricorso al Giudice di Pace, in ordine: A) alla ammissibilità del ricorso; B) alla illegittimità del provvedimento amministrativo impugnato per violazione della direttiva sui rimpatri n. 2008/115/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16.12.2008, nella parte in cui la pubblica amministrazione, non ha verificato la possibilità concreta di concedere al cittadino straniero il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare e/o per motivi autonomi o di altra natura; C) alla illegittimità del provvedimento amministrativo impugnato per violazione di legge con riferimento agli articoli: art. 97 Cost. e della L. n. 241 del 1990, art. 1 e successive modificazioni, con riferimento all’inosservanza dei principi di trasparenza, correttezza, imparzialità, economicità e buon andamento della P.A.; violazione di legge con riferimento all’art. 24 Cost., comma 2, per illegittimità compressione del diritto di difesa; eccesso di potere; illogica, contraddittoria, infondata e carente motivazione dell’atto amministrativo; inottemperanza e violazione di provvedimento giudiziale sulle spese di giudizio; D) alla illegittimità del provvedimento amministrativo impugnato per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.

8. Il motivo è inammissibile.

8.1. Il ricorrente formula una serie di doglianze, in parte oggetto dei precedenti motivi, senza confrontarsi con la motivazione dell’ordinanza impugnata, verso cui svolge una critica generica, e senza riportare nel ricorso il tenore letterale dei provvedimenti amministrativi censurati. Richiamate le considerazioni espresse nei paragrafi che precedono circa la questione della traduzione del decreto di espulsione e circa la mancanza di nesso di pregiudizialità giuridica rispetto al giudizio amministrativo instaurato dal ricorrente dinanzi al T.A.R. per vizi di legittimità del provvedimento amministrativo di rigetto dell’istanza del permesso di soggiorno, occorre rimarcare che la pericolosità sociale del ricorrente è la ragione giustificativa dell’adozione del provvedimento prefettizio di espulsione indicata nell’ordinanza impugnata (pag. n. 3 e 4). Il ricorrente non formula alcuna censura specifica al riguardo, salvo affermare, senza minimamente illustrarne le motivazioni, di non essere un soggetto pericoloso per l’ordine pubblico italiano (pag. 9 ricorso), nè trascrive i provvedimenti amministrativi censurati, dolendosi, del tutto genericamente, della mancata considerazione del suo diritto al rilascio del permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare e/o per motivi lavorativi.

Premesso che nell’ordinanza impugnata non v’è alcun accenno al motivo di opposizione per lesione del diritto alla ricongiunzione familiare, lo stesso ricorrente espone di essersi separato dalla moglie (pag. 1 ricorso; nell’ordinanza impugnata si dà atto che è stato condannato per reati di lesione nei confronti della stessa, oltre che per reati di rapina) e neppure allega di avere figli minori, ai fini dell’eventuale autorizzazione ai sensi dell’art. 31 T.U. immigrazione (Cfr. Cass. S.U. 15750/2019 sui requisiti che possono consentire, in deroga, la permanenza in Italia del familiare straniero condannato per reati ostativi al soggiorno nel territorio nazionale).

Quanto alla denunciata violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, per omessa valutazione della sua attività lavorativa regolare, in disparte ogni considerazione sull’irrilevanza della doglianza, stante la ragione giustificativa del provvedimento espulsivo di cui si è detto, le allegazioni del ricorrente sul punto sono generiche e anche contraddittorie, avendo egli affermato prima di svolgere, da tre anni, mansioni di lavapiatti presso un ristorante di Napoli (pag. n. 1 ricorso), di seguito lavoro autonomo, come da domanda del 17-2-2017 di permesso di soggiorno (pag. n. 9 ricorso), che è anteriore di oltre un anno rispetto al decreto espulsivo (31-5-2018) e sul cui esito nulla deduce, ed infine attività di lavoro regolare, non meglio precisata, asseritamente sopravvenuta, per quanto è dato comprendere, al diniego del titolo di soggiorno (pag. n. 10 ricorso).

9. In conclusione, il ricorso è rigettato, nulla dovendo disporsi circa le spese del giudizio di legittimità, stante la tardiva costituzione della Prefettura e del Ministero.

10. Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2020

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