LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5011-2016 proposto da:
M.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ARNO 6, presso lo studio dell’avvocato ORESTE MORCAVALLO, che lo rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
ARCO MAGNO COOP. A.R.L., in persona del Commissario Liquidatore pro tempore, dall’avvocato SILVIO SAVARESE, rappresentata e difesa giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
C.P.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1582/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 11/12/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/07/2020 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI.
FATTI DI CAUSA
1. Oggetto del ricorso è la Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza pubblicata in data 11 dicembre 2015 e notificata il 18 dicembre 2015, che ha rigettato l’appello proposto da M.N. avverso la sentenza del Tribunale di Paola n. 774 del 2007, e nei confronti della società coop. a r.l. L’Arco Magno e di C.P..
1.1. Il giudizio di primo grado era stato introdotto dalla cooperativa L’Arco Magno per l’accertamento della proprietà della villetta realizzata su suolo di sua proprietà, in Comune di *****, identificata in catasto al foglio *****, previo annullamento ex art. 404 c.p.c., comma 1, della sentenza del Tribunale di Paola n. 85 del 1996, che aveva accertato il trasferimento dell’immobile a M.N., sulla base della scrittura privata del 7 aprile 1986 con la quale M. aveva acquistato l’immobile dal C.. La cooperativa aveva proposto anche domanda di condanna del M. al risarcimento del danno.
1.2. Il convenuto aveva resistito e domandato, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’avvenuto acquisto della proprietà per usucapione; in subordine aveva domandato la condanna del C. alla restituzione della somma versata a titolo di corrispettivo e la condanna della cooperativa alla restituzione di quanto versato per oneri condominiali nonchè delle somme spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’immobile.
1.3. Il Tribunale di Paola, in esito ad istruttoria documentale e CTU, accertò la proprietà dell’immobile in capo alla società attrice; rigettò l’opposizione di terzo; ordinò al Conservatore dei Registri Immobiliari la cancellazione della trascrizione della sentenza Tribunale Paola n. 85 del 1996; condannò il M. al risarcimento del danno – previa decurtazione dell’importo dovutogli per migliorie – nella misura di Euro 33.805, 25, oltre ad Euro 303,96 mensili dal 30 luglio 2007 al soddisfo; rigettò la domanda proposta dal M. nei confronti del C., e condannò il M. alle spese di lite.
2. La Corte d’appello, nella contumacia di C.P., ha confermato la decisione di primo grado.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso M.N. sulla base di sette motivi, ai quali resiste con controricorso L’Arco Magno soc. coop. a r.l. in liquidazione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è denunciata violazione o falsa applicazione dell’art. 404 c.p.c., comma 1, nonchè insufficienza di motivazione e si contesta la mancanza di integrità del contraddittorio con riferimento sia all’opposizione di terzo sia alla rivendica. In particolare, il giudizio sulla proprietà dell’immobile avrebbe dovuto svolgersi nei confronti di tutte le parti del rapporto sostanziale, e quindi anche della Building s.a.s., rappresentata legalmente da C.P..
1.2. La doglianza è inammissibile nella parte in cui denuncia il vizio di motivazione al di fuori del paradigma del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5 (per tutte, Cass. Sez. U 07/04/2014, n. 8053), ed è infondata nella parte cui denuncia violazione di legge processuale.
Correttamente la Corte d’appello ha escluso la necessità di integrare il contraddittorio con riferimento ad entrambe le domande proposte dalla cooperativa attrice: quanto all’opposizione di terzo, la società Building non aveva partecipato al giudizio nel quale era stata pronunciata la sentenza che era oggetto dell’opposizione, e pertanto non poteva partecipare al giudizio; quanto alla domanda di rivendica dell’immobile, la società Building non risultava nel possesso dell’immobile, sicchè neppure in questo giudizio poteva essere evocata.
2. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 1159 c.c. e si contesta la valutazione del comportamento del M., che la Corte d’appello aveva ritenuto non improntato a buona fede, con conseguente rigetto della domanda di usucapione abbreviata.
2.1. La doglianza è infondata.
La Corte d’appello ha escluso la buona fede del M. evidenziando che lo stesso aveva acquistato dal C. senza prima accertare la situazione dell’immobile risultante dai registri immobiliari e senza verificare l’atto di provenienza in capo al dante causa, confidando semplicemente che il C. potesse trasferirgli la proprietà dell’immobile.
Diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, la colpa grave ostativa al possesso di buona fede non è stata accertata in via presuntiva, ma è derivata dalla considerazione secondo cui “quell’ignoranza sia dipesa dall’omesso impiego, da parte dell’acquirente, di quel minimo di diligenza, proprio anche delle persone scarsamente avvedute, che gli avrebbe permesso di percepire l’idoneità dell’acquisto a determinare la lesione dell’altrui diritto”, donde l’errore inescusabile, incompatibile con il concetto stesso di buona fede” (ex plurimis, Cass. 20/01/2017, n. 1593).
3. Con il terzo motivo, che denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 159 c.p.c., (comma 3), il ricorrente lamenta che la Corte d’appello sarebbe incorsa in errore nel ritenere priva di effetti la trascrizione della sentenza n. 85 del 1996, in dispregio del principio che consente all’atto viziato ai fini della produzione di un determinato effetto, di produrre “altri” effetti ai quali sia comunque idoneo.
3.1. Il motivo è privo di fondamento.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, che qui si intende ribadire, colui il quale abbia acquistato un immobile mediante scrittura privata non autenticata, al fine di rendere opponibile tale acquisto ai terzi deve esperire l’azione di accertamento giudiziale dell’autenticità delle sottoscrizioni, trascrivendo la domanda ai sensi dell’art. 2652 c.c., n. 3, ed ottenuta la pronuncia favorevole, deve trascrivere la scrittura privata divenuta titolo idoneo ex art. 2657 c.c., presentandola in originale o in copia autentica al Conservatore dei registri immobiliari (Cass. 07/11/2000, n. 14486).
Ai fini della produzione dell’effetto traslativo, anche nella prospettiva dell’usucapione decennale ex art. 1159 c.c., è necessaria la trascrizione della scrittura privata, nella specie non avvenuta, come rilevato dalla Corte d’appello (pag. 6 della sentenza impugnata), mentre il richiamo all’art. 159 c.p.c., che disciplina il regime della nullità degli atti processuali, è privo di pertinenza.
4. Con il quarto motivo è denunciata violazione o falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c. e si lamenta che la Corte d’appello non avrebbe valutato adeguatamente il comportamento di acquiescenza tenuto dalla cooperativa L’Arco Magno, tenuto conto della conoscibilità dell’alienazione dell’immobile dal C. al M.. Il ricorrente aveva partecipato alle assemblee condominiali e provveduto al pagamento dei relativi oneri.
4.1. La doglianza è inammissibile in quanto la norma processuale in assunto violata si riferisce all’acquiescenza ai mezzi di impugnazione di pronunce giurisdizionali, e quindi è priva di ricadute anche soltanto potenziali sulla fattispecie in esame.
5. Con il quinto motivo, che denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 196 c.p.c., il ricorrente si duole che la Corte d’appello non abbia accolto la richiesta di rinnovazione della CTU, necessaria al fine di sopperire alle omissioni che connotavano l’elaborato peritale riguardo all’accertamento e quantificazione delle migliorie apportate all’immobile.
5.1. La doglianza è inammissibile per plurime ragioni, di cui la prima e assorbente ragione risiede nella genericità della doglianza stessa. Il ricorrente non riporta neppure per stralci la CTU di cui continua a lamentare l’incompletezza ovvero l’erronea ricognizione delle migliorie apportate all’immobile, e la carenza di specificità impedisce in radice il controllo di legittimità sull’operato del giudice di merito.
6. Con il sesto motivo è denunciata violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e si contesta la statuizione di condanna alle spese sull’assunto che il M., in quanto acquirente di buona fede dell’immobile dal C., non poteva essere considerato soccombente.
6.1. La doglianza è inammissibile, prima ancora che infondata, poichè non tiene conto dell’esito della lite, che ha visto la soccombenza del M., e muove dal presupposto della responsabilità del venditore C., che non è stata accertata.
7. Con il settimo motivo, che denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., è contestata la decisione della Corte d’appello nella parte in cui non ha riconosciuto al ricorrente “ulteriori somme” rispetto a quelle riconosciute dal Tribunale. Secondo la Corte territoriale, infatti, l’appellante M. non aveva prospettato argomentazioni idonee a confutare la motivazione della sentenza di primo grado sul punto.
7.1. La doglianza è inammissibile perchè contesta la violazione della norma sul riparto dell’onere della prova, anzichè attingere la ratio della decisione, che è di carattere processuale.
8. Il ricorso è rigettato e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2020
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