Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.26694 del 24/11/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9188/2016 proposto da:

KARISMA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA MARRANA n. 72, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI CATTIVERA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ZEMONTOUR DI C.F. S.A.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA MASSIMO n. 33, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO SICARI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO BENINCASA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 117/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 11/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/09/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, il quale ha concluso per il rigetto del primo, secondo e terzo motivo e per l’inammissibilità, o in subordine per il rigetto, del quarto motivo di ricorso;

udito l’avv. GIOVANNI CATTIVERA per parte ricorrente, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’avv. PASQUALE VISONE, in sostituzione dell’avv. GIORGIO SICARI, per parte controricorrente, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 29.07.2004, Zemontour S.n.c., esercente l’attività di agenzia di viaggi, evocava in giudizio innanzi il Tribunale di Roma la società Karisma S.r.l., esercente l’attività di tour operator, chiedendo che quest’ultima venisse condannata al pagamento della somma di Euro 2.290,00, oltre interessi e rivalutazione, nonchè al risarcimento dei danni da lesione dell’immagine professionale e da perdita di clientela nella misura di Euro 15.000,00 o nella diversa somma ritenuta di giustizia. A sostegno della domanda, la società attrice affermava di aver procurato ad uno dei suoi clienti abituali l’acquisto, dall’organizzatore Karisma S.r.l., di un pacchetto turistico onnicomprensivo con destinazione *****, per il costo di Euro 2.290,00. Sosteneva, inoltre, che la partenza del volo, originariamente prevista alle ore 19:55 del *****, era stata anticipata senza adeguato preavviso, rendendo così impossibile per il cliente giungere in aeroporto in tempo utile. Zemontour S.n.c. allegava ancora di aver provveduto, a seguito delle rimostranze del cliente, a rimborsare a quest’ultimo l’intero prezzo del pacchetto turistico, e sosteneva che tale costo dovesse gravare sulla società convenuta, essendo la stessa responsabile della mancata fruizione della vacanza.

Si costituiva la convenuta, resistendo alla domanda.

Con sentenza n. 14871/2008 il Tribunale rigettava la domanda, configurando la vicenda contrattuale come fattispecie complessa composta da un mandato con rappresentanza a vendere, conferito dal tour operator all’agenzia di viaggi; da un mandato con rappresentanza ad acquistare, conferito dal cliente finale all’agenzia; da un contratto finale concluso direttamente tra cliente e tour operator, per il tramite dell’agenzia di viaggi, da ritenere semplice intermediaria. Riteneva quindi che la sola obbligazione del tour operator fosse quella verso il cliente e che quindi solo quest’ultimo fosse legittimato all’azione risarcitoria per inadempimento del contratto di viaggio. L’agenzia, che nella fattispecie aveva restituito al cliente il prezzo da questi anticipato per il viaggio mai goduto, aveva quindi (secondo il Tribunale) adempiuto l’obbligazione del terzo, con conseguente irripetibilità di quanto versato.

Avverso detta decisione interponeva appello Zemontour di C.F. S.a.s. Si costituiva in seconde cure Karisma S.r.l., resistendo al gravame e concludendo per la conferma della decisione di primo grado.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 117/2016, la Corte di Appello di Roma accoglieva il gravame, condannando la società appellata al pagamento della somma di Euro 2.290,00 oltre rivalutazione e interessi, nonchè delle spese di entrambi i gradi di giudizio. La Corte capitolina ha in particolare ravvisato un arricchimento senza causa dell’appellata in danno dell’appellante ed ha quindi accolto l’azione da questa proposta, in subordine, ai sensi dell’art. 2041 c.c..

Ricorre per la cassazione di detta decisione Karisma S.r.l., affidandosi a quattro motivi. Resiste con controricorso Zemontour di C.F. S.a.s..

La parte ricorrente ha depositato memoria.

Il P.G. ha concluso per il rigetto dei primi tre motivi di ricorso e per l’inammissibilità, o comunque per il rigetto, del quarto.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società ricorrente lamenta la violazione degli artt. 345 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, perchè la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto ammissibile la domanda nuova di ingiustificato arricchimento avanzata dalla Zemontour S.a.s. soltanto in grado di appello. Ad avviso della ricorrente, detta domanda non avrebbe dovuto trovare ingresso in seconde cure, stante la sua diversità da quella di adempimento che la società appellante aveva proposto in prime cure.

La censura è infondata.

Come più volte ribadito da questa Corte, invero, “La domanda di arricchimento senza causa può essere proposta anche per la prima volta in appello, purchè prospettata sulla base delle medesime circostanze di fatto fatte valere in primo grado” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9042 del 15/04/2010, Rv. 612506; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7033 del 05/04/2005, Rv. 581796; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8110 del 14/06/2000, Rv. 537589). Nel caso di specie, Zemontour S.a.s. aveva posto a fondamento della domanda di arricchimento senza causa la medesima circostanza di fatto già posta a base dell’originaria domanda proposta in primo grado, ovverosia l’avvenuta restituzione al cliente del prezzo del pacchetto turistico di cui è causa. Non si ravvisa, dunque, alcuna violazione dell’art. 345 c.p.c., posto che la ratio di quest’ultima disposizione è di evitare che nel giudizio di appello possano essere introdotti fatti e deduzioni nuove rispetto a quanto prospettato in prime cure. Il che non è avvenuto nel caso in esame, dal momento che gli elementi di fatto presupposti alla domanda ex art. 2041 c.c., sono rimasti gli stessi già posti a base della domanda proposta in prime cure, essendo mutata solo la loro qualificazione giuridica.

Con il secondo motivo la società ricorrente lamenta la falsa applicazione degli artt. 2041 e 1180 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, perchè la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto esistenti le condizioni per l’esperimento dell’azione di ingiustificato arricchimento. Ad avviso del ricorrente, invece, difettavano nel caso di specie gli elementi dell’arricchimento diretto ed esisteva una azione titolata che l’appellante avrebbe potuto esercitare per ottenere, dal proprio cliente, la restituzione di quanto corrispostogli.

Con il terzo motivo la società ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2042 e 2036 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto sussistente, ai fini dell’applicabilità della disciplina sull’indebito arricchimento, il requisito della mancanza di un’ulteriore e diversa azione per la tutela del soggetto depauperato. Ad avviso della società ricorrente, invece, Zemontour S.a.s. avrebbe potuto esercitare l’azione di indebito ex art. 2036 c.c., nei confronti del proprio cliente finale.

Le due censure, che per la loro connessione meritano un esame congiunto, sono infondate.

La Corte territoriale ha inquadrato la condotta della Zemontour S.n.c., che ha restituito al proprio cliente il corrispettivo da quegli versato per il pacchetto turistico di cui non aveva potuto fruire senza sua colpa, nello schema dell’adempimento del terzo. Da tale inquadramento, il giudice d’appello ha fatto discendere l’applicabilità al caso di specie della disciplina dell’azione di ingiustificato arricchimento, facendo corretta applicazione del principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui “il terzo che abbia pagato sapendo di non essere debitore può agire unicamente per ottenere l’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento, stante l’indubbio vantaggio economico ricevuto dal debitore” (Cass. Sez. U., Sentenza n. 9946 del 29/04/2009, Rv. 607929).

La surrogazione legale del solvens nei diritti spettanti al creditore, infatti, si verifica soltanto nel caso in cui il primo sia tenuto al pagamento, con altri o per conto di altri, o sia comunque legato al debitore da un rapporto preesistente al pagamento, idoneo a giustificare l’esercizio, nei confronti del medesimo, dell’azione di regresso (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2060 del 29/01/2010, Rv. 611229). In ogni altro caso, invece, si verifica soltanto uno spostamento patrimoniale, di per sè sfornito di valida causa giustificatrice, al quale corrisponde un corrispondente beneficio per il debitore che avrebbe dovuto provvedere al pagamento.

Nè sussiste alcuna azione diretta del solvens nei confronti del debitore in ragione, poichè “L’art. 1180 c.c., ha la funzione di attribuire al pagamento effettuato dal terzo effetto solutorio dell’obbligazione anche contro la volontà del creditore, ma non attribuisce all’adempiente un titolo che gli consenta di agire nei confronti del debitore allo scopo di ripetere la somma versata, essendo necessario, a tal fine, che sia allegato e dimostrato il rapporto sottostante tra terzo e debitore. Ne consegue che, nel caso in cui sia escluso che tra questi esista un rapporto di mutuo (e, comunque, non sia dimostrata l’esistenza di qualsiasi altra causa a sostegno dell’azione) il giudice non può accogliere la domanda in virtù della mera considerazione che, nella specie, sia effettivamente dimostrato l’avvenuto pagamento, ad opera del terzo, del debito altrui” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23292 del 08/11/2007, Rv. 600548). Il difetto di una qualsiasi azione titolata tra solvens e debitore che viene indirettamente beneficiato dell’adempimento eseguito dal primo giustifica pertanto l’applicazione dell’azione generale di arricchimento senza causa di cui all’art. 2041 c.c., che in ragione del suo carattere residuale interviene proprio nelle ipotesi in cui – come quella di cui qui si discute – l’ordinamento non appronti una diversa azione titolata a tutela dei diritti del soggetto che ha subito un depauperamento privo di idonea causa giustificativa.

Nè è possibile revocare in dubbio la sussistenza del nesso causa – effetto tra il pagamento, e quindi il depauperamento del solvens, ed il corrispondente arricchimento del debitore, che ha visto adempiuta dal terzo, appunto senza alcuna causa, una propria obbligazione di pagamento nei confronti dell’accipiens.

Del pari non pregnante è l’argomento, dedotto da parte ricorrente, secondo cui Zemontour S.a.s. avrebbe potuto agire nei confronti del proprio cliente per ottenere la restituzione del pagamento eseguito in suo favore.

L’agenzia di viaggi, infatti, agisce al contempo come mandataria all’acquisto per conto del cliente e come mandataria alla vendita per conto del tour operator, ed in tal veste assicura la conclusione, tra i predetti mandanti, del contratto di viaggio. Ne consegue che diritti ed obblighi relativi a tale ultimo rapporto sorgono direttamente tra tour operator e cliente finale, onde l’adempimento, da parte dell’agente di viaggi, di un obbligo restitutorio del tour operator costituisce diretto arricchimento per costui e non trova causa in alcuna obbligazione gravante sull’agente; quest’ultimo, infatti, assume nei confronti del proprio cliente l’obbligo di procurare il servizio turistico, ma non anche la correlativa obbligazione di risultato concernente l’esito del servizio predetto, per il quale sussiste la responsabilità diretta del tour operator. Non è quindi possibile confondere le vicende del rapporto interno tra mandante e mandatario con quelle del diverso rapporto concluso tra tour operator e cliente per effetto dell’intermediazione dell’agente di viaggi.

Nè, del resto, l’agente avrebbe alcun potere di ripetere quanto versato al proprio cliente finale, posto che costui aveva comunque il diritto di ricevere il rimborso di quanto versato per un servizio non ricevuto e, non avendo esercitato la facoltà di rifiutare l’adempimento eseguito dai terzo a fronte di un interesse all’adempimento personale del debitore o di un’opposizione di quest’ultimo, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1180 c.c., commi 1 e 2, ha pieno diritto di trattenere l’utilità ricevuta, che nei suoi confronti non costituisce indebito oggettivo.

Nemmeno sussiste alcun profilo di indebito soggettivo, posto che l’art. 2036 c.c., erroneamente richiamato dalla società ricorrente nei due motivi in esame, è applicabile al caso – radicalmente diverso da quello che qui viene in rilievo – in cui il solvens abbia “pagato un debito altrui, credendosi debitore in base ad un errore scusabile”. Ipotesi, questa, che per l’appunto non si configura nel caso di specie, posto che Zemontour S.a.s. ha restituito al cliente quanto da quegli anticipato nella consapevolezza di adempiere un obbligo restitutorio di competenza del tour operator.

Nè, per concludere, si configura un profilo di responsabilità solidale tra agente e tour operator nei confronti del cliente finale, posto che – come giustamente rilevato dalla Corte capitolina: cfr. pag. 6 della sentenza impugnata – del D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 111, art. 14, comma 1, prevede che “In caso di mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico l’organizzatore e il venditore sono tenuti al risarcimento del danno, secondo le rispettive responsabilità, se non provano che il mancato o inesatto adempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a loro non imputabile”. L’espressione usata dal legislatore (“secondo le rispettive responsabilità”) indica chiaramente che agente e tour operator non rispondono in via solidale nei confronti del cliente finale, bensì ciascuno per quanto di propria competenza, e quindi, nello specifico, l’agente, per il corretto adempimento del mandato ad acquistare conferitogli dal cliente, ed il tour operator, per il puntuale adempimento del contratto di viaggio direttamente concluso da quegli con il cliente finale. L’assenza della solidarietà passiva tra agente e tour operator esclude che il primo possa esercitare nei confronti del secondo l’azione di regresso prevista dall’art. 1299 c.c..

Da tutto quanto precede deriva che, in assenza di una azione titolata spettante a Zemontour S.a.s. nei confronti di Karisma S.r.l. ed in presenza di un adempimento eseguito dalla prima società ad estinzione di una obbligazione gravante esclusivamente sulla seconda, l’unica azione esercitabile a tutela della posizione del solvens è quella, di natura residuale, di cui all’art. 2041 c.c..

Con il quarto ed ultimo motivo la società ricorrente lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, perchè la Corte territoriale avrebbe omesso di tener conto della clausola del contratto concluso tra Karisma S.r.l. ed il cliente finale che prevedeva l’indicazione della possibilità che gli orari dei voli potessero subire variazioni. Ad avviso della ricorrente, detta clausola, espressamente accettata dal cliente finale, escluderebbe la responsabilità del tour operator per la variazione nell’orario del volo.

La censura è inammissibile, in quanto si risolve da un lato in un’istanza di revisione del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790); e, dall’altro lato, in una richiesta di rivalutazione degli elementi istruttori, in violazione del principio – più volte affermato in questo Corte, e che merita di essere ribadito – per cui “In tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni” (Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; conf. Cass. Sez. L, Sentenza n. 16499 del 15/07/2009, Rv. 609712; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595).

La sentenza impugnata è peraltro corredata da una motivazione articolata, che dimostra che la Corte territoriale ha tenuto conto, e dunque apprezzato, il contenuto del contratto intercorso tra tour operator e cliente, ivi inclusa la clausola richiamata da parte ricorrente, concludendo tuttavia – anche alla luce delle contraddittorie risultanze della prova orale: cfr. pagg. 7 ed 8 della sentenza predetta – per l’assenza della prova certa circa l’assolvimento, da parte del tour operator, dello specifico obbligo di informare tempestivamente il cliente della variazione nell’orario di partenza del volo.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.700 di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali in ragione del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020

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