LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 36450-2018 proposto da:
C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA T.
MONTICELLI, 12, presso lo studio dell’avvocato CORRADO MATERA, rappresentata e difesa dall’avvocato OTTAVIO PANNONE;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE SPA, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2189/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 20/06/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/11/2019 dal Presidente Relatore Dott. LUCIA ESPOSITO.
RILEVATO
CHE:
La Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda avanzata da C.C. nei confronti di Poste Italiane S.p.a., volta alla declaratoria della nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra le parti dal 4/6/2004 sino al 15/9/2004, termine così giustificato: “ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, per ragioni di carattere sostitutivo, correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione di personale addetto al CMP di *****, del Polo corrispondenza Campania, assente nel periodo dal 1/6/2004 al 15/9/2004. Resta inteso che il rapporto di lavoro a tempo determinato si estinguerà anche anticipatamente rispetto al termine finale del 15/9/2004 ove le esigenze di sostituzione dovessero venir meno per il rientro in servizio del personale assente”;
ritenne la Corte che gli elementi indicati nella clausola fossero sufficienti per ritenere legittima l’apposizione del termine, poichè erano stati specificati l’ambito territoriale, il luogo della prestazione lavorativa e le mansioni da svolgere (addetto CMP Junior), rilevando, inoltre, che Poste aveva prodotto ritualmente, in assenza di specifica contestazione di parte ricorrente, il prospetto assenze – presenze relativo al periodo 1/6/2004-15/9/2004, da cui si desumeva il numero e l’identità dei lavoratori assunti a tempo determinato addetti allo smistamento presso il CMP, oltre alle giornate complessive di assenza del personale assunto con contratto a tempo indeterminato e le giornate di presenza complessiva del personale assunto a tempo determinato;
osservò che tale documentazione, oltre a essere rilevante quale prova della sussistenza di una specifica giustificazione del termine, era significativa al fine di escludere che nel caso di specie si fosse trattato di ricoprire croniche carenze di organico presso la struttura di applicazione ed evidenziò che la C. era stata assunta per un periodo coincidente con quello estivo di ferie del personale;
avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la lavoratrice sulla base di due motivi;
Poste resiste con controricorso, depositando, altresì, memorie illustrative;
la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata notificata alla parte costituita, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO
CHE:
Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, e della Dir. Comunitaria n. 70 del 1999, in relazione all’art. 1362 c.c., e seg., – nullità del contratto – violazione dell’art. 2697 c.c., – violazione dell’art. 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, rilevando che l’astratto riferimento ad esigenze sostitutive non poteva soddisfare il requisito della legittimità del termine e che la clausola era priva dell’indicazione degli elementi ulteriori che consentissero di determinare il numero dei lavoratori da sostituire e le ragioni dell’assenza degli stessi;
il motivo è infondato;
la giurisprudenza di questa Corte (cfr., in particolare, Cass. 2.5.11 n. 9602; Cass. 26.1.2010 n. 1577; Cass. 26 gennaio 2010 n. 1576; Cass. n. 10068 del 26/04/2013, Cass. n. 13466 del 30/06/2016 e n. 1246 del 25/01/2016) ha più volte affermato il seguente principio di diritto, cui nella presente sede va data continuità: “In tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, alla luce della sentenza della Corte Cost. n. 214 del 2009, con cui è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, l’onere di specificazione delle predette ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità”;
nel caso in esame la valutazione del tenore e della specificità della clausola contrattuale appositiva del termine operata dalla Corte di merito si è attenuta ai criteri sopra richiamati, dal momento che, come è stato rilevato dalla Corte territoriale, nella clausola sono state precisate le mansioni di applicazione della ricorrente, la durata del contratto, il luogo/ufficio di applicazione, le mansioni del personale da sostituire;
con il secondo motivo la ricorrente deduce “art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e dell’art. 2727 c.c., e ss., in relazione all’art. 2697 c.c., e ss., e del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 e 2”, censurando la sentenza d’appello nella parte in cui aveva ritenuto che la società avesse adeguatamente dimostrato la sussistenza delle ragioni indicate in contratto mediante il deposito in giudizio di un prospetto mai contestato dall’odierna ricorrente;
il motivo è inammissibile perchè, premesso che la decisione si fonda sulla valutazione di elementi ulteriori rispetto a quello in contestazione, che assume valenza confermativa degli altri, la censura investe la valutazione di un documento compiuta dalla Corte di merito, con ciò prospettando, sub specie di violazione di legge, rivalutazioni in fatto del materiale probatorio su cui si è fondata la decisione (Cass. n. 8758 del 04/04/2017);
in base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato, con liquidazione delle spese secondo soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.900,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 5 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2020
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