Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.13721 del 20/05/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI MARZIO Mauro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16763-2018 proposto da:

UNIVERSAL DEVELOPMENT SERVICE SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SANTI QUATTRO 35-B, presso lo studio dell’avvocato CARLO LUPPINO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

POSTEL SPA, società che ha incorporato POSTESHOP SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA N. 40, presso lo studio dell’Avvocato DAMIANO LIPANI, che la rappresenta e difende unitamente all’Avvocato GIORGIO MAZZONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1720/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 1720/2018, depositata in data 19/3/2018, ha respinto l’impugnazione di Universal Development Service srl in liquidazione, nei confronti di Posteshop spa, del lodo arbitrale rituale inter partes, deliberato il 26/4/2013, con il quale è stata respinta la domanda di Universal nei confronti di Posteshop di condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni da inadempimento del contratto inter partes, di franchising, sottoscritto nell’aprile 2005, ed è stata respinta anche la pretesa risarcitoria avanzata in via riconvenzionale da Posteshop.

In particolare, i giudici d’appello, respingendo sia l’impugnazione principale sia quella incidentale della resistente, hanno sostenuto, per quanto qui ancora interessa, che, pur essendo applicabile al giudizio la disciplina sull’arbitrato anteriore alla Novella del 2006, in relazione all’epoca di sottoscrizione della clausola compromissoria e non contemplando la clausola compromissoria contenuta nel contratto del 2005 alcuna limitazione all’impugnazione del lodo per errores in iudicando, ex art. 829 c.p.c., comma 2, nel testo previgente alla Riforma, nella specie non ricorreva l’error in iudicando, denunciato nel primo motivo di impugnazione (attinente all’esclusione da parte degli arbitri dell’inadempimento del franchisor), avendo gli arbitri liberamente valutato le risultanze istruttorie di causa e non essendo attribuito, nella fase rescindente del giudizio di nullità del lodo, al giudice d’appello una facoltà di riesame del merito, nè ricorreva un vizio motivazionale, nei limiti segnati dall’art. 829 c.p.c., nn. 4 e 5, in relazione alle altre doglianze.

Avverso la suddetta pronuncia, notificata il 26/3/2018, la Universal Development Service srl in liquidazione propone ricorso per cassazione, notificato il 25-29/5/2018, affidato a quattro motivi, nei confronti di Posteshop spa (che resiste con controricorso).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti. La ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione, ex art. 30 c.p.c., n. 3, degli artt. 1218 e 2730 e ss. c.c. e dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello respinto la doglianza in punto di esclusione da parte degli arbitri dell’inadempimento di Posteshop per mancato trasferimento del know-how, per essere stato l’adempimento ammesso da Universal con una sorta di confessione, avendo i giudici d’appello ritenuto che le asserzioni di Universal sarebbero state liberamente valutate dagli arbitri unitamente alle prove testimoniali; 2) con il secondo motivo, sia la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia, avendo la Corte d’appello respinto, perchè generica, la doglianza di omesso esame di specifica domanda da parte del collegio arbitrale, sia l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatti decisivi rappresentati dall’essersi la società affiliata a Posteshop sulla scorta di una pubblicità ingannevole sanzionata dall’autorità Garante per la Concorrenza, con pronuncia definitiva, dal fatto che il contratto di franchising prevedeva il necessario trasferimento all’affiliata del know-how, mai attuato dall’affiliante, dalla violazione dell’obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto, avendo Posteshop omesso i comunicare agli affiliati l’andamento negativo di tutta la rete di affiliati *****, dalla violazione dell’obbligo di non concorrenza, avendo offerto gli stessi prodotti e servizi in ufficio postale allocato a meno di 500 metri dall’esercizio di *****, dalla non corretta indicazione da parte di Posteshop, nel contratto de quo, del costo dell’allestimento della sede del franchisee; 3) con il terzo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 1337 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., in relazione al diniego di rilievo della definitività del provvedimento sanzionatorio di Posteshop per pubblicità ingannevole, sul presupposto che tale sanzione, attenendo ad una responsabilità precontrattuale era estranea a giudizio, laddove invece ***** aveva introdotto il giudizio arbitrale anche rappresentando la circostanza dell’irrogazione alla controparte della sanzione, così introducendo anche una richiesta risarcitoria; 4) con il quarto motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 595 c.p. e dell’art. 89 c.p.c., in relazione al rigetto della richiesta di cancellazione dell’espressione utilizzata dai procuratori della parte avversa (“***** non ha compreso” nè il senso delle contestazioni ed argomentazioni di Posteshop nè il meccanismo di funzionamento del contratto di franchising) e di risarcimento del danno.

2. Il ricorso è inammissibile.

Invero, come chiarito da questa Corte (Cass. 5633/1999) “l’ammissibilità della denuncia di nullità del lodo arbitrale per inosservanza di regole di diritto “in iudicando” è circoscritta entro i medesimi confini della violazione di legge opponibile con il ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 “, cosicchè “tale denuncia, in quanto ancorata agli elementi accertati dagli arbitri, postula l’allegazione esplicita dell’erroneità del canone di diritto applicato rispetto a detti elementi, e non è, pertanto, proponibile in collegamento con la mera deduzione di lacune d’indagine e di motivazione, che potrebbero evidenziare l’inosservanza di legge solo all’esito del riscontro dell’omesso o inadeguato esame di circostanze di carattere decisivo “.

Il ricorso per cassazione che denuncia di nullità del lodo arbitrale postula, pertanto, in quanto ancorata agli elementi accertati dagli arbitri, l’esplicita allegazione dell’erroneità del canone di diritto applicato rispetto a detti elementi e non è, pertanto, proponibile in collegamento con la mera deduzione di lacune d’indagine e di motivazione, che potrebbero evidenziare l’inosservanza di legge solo all’esito del riscontro dell’omesso o inadeguato esame di circostanze di carattere decisivo (Cass.19324/2014; Cass. 28997/2018).

Invero, al fine di verificare se la sentenza della Corte di appello sia affetta da violazioni di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 (entro i cui confini è circoscritta la nullità del lodo arbitrale per inosservanza delle regole in iudicando) e adeguatamente motivata in relazione ai motivi di impugnazione del lodo, la Cassazione non può apprezzare direttamente il lodo arbitrale, ma solo la decisione emessa dalla Corte di appello. Infatti, il sindacato di legittimità va condotto esclusivamente attraverso il riscontro della conformità a legge e della logicità della motivazione della sentenza che ha deciso sull’impugnazione del lodo, e non può riguardare il convincimento espresso dalla Corte del merito sulla correttezza e congruità della ricostruzione dei fatti e della valutazione degli elementi istruttori operata dagli arbitri (v., tra le tante, Cass. n. 19324/2014, n. 15086/2012; Cass. n. 2201, n. 6028 e n. 6986 del 2007, quest’ultima nel senso che la Cassazione non può sindacare la soluzione delle questioni di merito da parte del giudice della impugnazione del lodo).

Infine, tenuto conto della doglianza per vizio motivazionale, va confermato che “in tema di impugnazione del lodo arbitrale, il difetto di motivazione, quale vizio riconducibile all’art. 829 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 823 stesso codice, n. 3, è ravvisabile soltanto nell’ipotesi in cui la motivazione del lodo manchi del tutto ovvero sia a tal punto carente da non consentire l’individuazione della “ratio” della decisione adottata o, in altre parole, da denotare un “iter” argomentativo assolutamente inaccettabile sul piano dialettico, sì da risolversi in una non-motivazione” (Cass. 12321 del 18/05/2018).

3. Ora, la prima censura con riguardo al vizio di omessa pronuncia su motivo di nullità del lodo è infondata, avendo la Corte d’appello pronunciato al riguardo, ritenendo che alcuna violazione delle norme in tema di confessione era stata compiuta dal collegio arbitrale, avendo lo stesso liberamente valutato tutto il materiale istruttorio.

Quanto poi alla violazione degli artt. 1218 e 2730 c.c. essa è inammissibile perchè rivolta alla pronuncia arbitrale e non alla sentenza della Corte d’appello oggetto del presente ricorso per cassazione.

4. Anche il secondo motivo è inammissibile.

Valgono le stesse considerazioni già svolte nel precedente paragrafo per il vizio denunciato di violazione di legge in punto di omessa pronuncia.

Quanto al vizio motivazionale, la Corte d’appello ha rilevato che il Collegio arbitrale aveva motivato in modo esaustivo, logico e coerente su tutti gli aspetti rilevanti ai fini della decisione e la doglianza non si confronta con detta statuizione, limitandosi a reiterare in questa sede il vizio dedotto in sede di impugnazione per nullità del lodo.

5. Il terzo motivo è del pari inammissibile, avendo la Corte d’appello compiutamente motivato in ordine alla questione della pubblicità ingannevole.

6. Il quarto motivo è inammissibile.

Anzitutto in merito alla violazione delle norme in materia di reato di diffamazione, non è in alcun modo specificato in che cosa consisterebbe la dedotta violazione.

Quanto alla violazione dell’art. 89 c.p.c. la Corte d’appello ha ritenuto, argomentatamente, le frasi contestate appartenenti alla comune dialettica processuale.

Questa Corte ha chiarito (Cass. 14364/2018; Cass. 7731/2007) che “l’apprezzamento del giudice di merito sul carattere sconveniente od offensivo delle espressioni contenute nelle difese delle parti e sulla loro estraneità all’oggetto della lite, nonchè l’emanazione o meno dell’ordine di cancellazione delle medesime, a norma dell’art. 89 c.p.c., integrano esercizio di potere discrezionale non censurabile in sede di legittimità “.

7. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.500,00, a titolo di compensi, oltre Euro 100,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2021

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