LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5269-2019 proposto da:
OLEARIA CELESTE DI S.M. & C SNC, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI ESTENSI 91 D6, presso lo studio dell’avvocato LETIZIA TAMBURRINI, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA PIA BONAVITA;
– ricorrente –
contro
GENERALI ITALIA SPA;
– intimata –
Nonchè da:
GENERALI ITALIA SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.
PAISIELLO 40, presso lo studio dell’avvocato DAVID MORGANTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELE ROMA;
– ricorrente incidentale –
contro
OLEARIA CELESTE DI S.M. & C SNC;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1239/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata in data 11/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/09/2020 dal Consigliere Dott. SCRIMA ANTONIETTA.
FATTI DI CAUSA
Nel 2002 la Olearia Celeste di S.M. & C. S.n.c. convenne dinanzi al Tribunale di Foggia, Sezione di Cerignola, la Assitalia S.p.a. (in seguito Generali Italia S.p.a.), esponendo che:
– aveva stipulato con la società convenuta un contratto di assicurazione contro il rischio di furto;
– il ***** aveva subito il furto di un ingente quantitativo di olio di oliva;
– aveva denunciato il furto sia all’Autorità di Pubblica Sicurezza che alla società assicuratrice ed aveva a quest’ultima pure inoltrato una richiesta d’indennizzo;
– era stato instaurato, a carico di S.M., un procedimento penale per simulazione di reato e tentata truffa aggravata ai danni della compagnia assicuratrice, conclusosi con la sentenza di assoluzione del 18 maggio 2001 (divenuta definitiva in data 1 ottobre 2001);
– era stata quindi reiterata la richiesta di indennizzo ma la società assicuratrice era rimasta inerte.
L’attrice chiese, pertanto, la condanna della convenuta al pagamento dell’indennizzo nonchè al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell’inadempimento dell’obbligazione nascente dal contratto.
Con sentenza n. 53/2007, depositata il 3 aprile 2007, il Tribunale di Foggia- Sezione distaccata di Cerignola, accogliendo l’eccezione di parte convenuta al riguardo, dichiarò improponibile la domanda, stante la previsione nella polizza di una c.d. perizia contrattuale, ovvero di una clausola che demandava ad un collegio di periti la determinazione della misura dell’indennizzo.
Avverso la sentenza del Tribunale, Olearia Celeste di S.M. & C. S.n.c. propose appello, del quale chiese il rigetto la società appellata.
La Corte di appello di Bari, con sentenza n. 471, depositata il 19 aprile 2012, rigettò il gravame, osservando che, quando nel contratto è prevista una perizia contrattuale, questa inibisce la proponibilità di “tutte le azioni, ancorchè accessorie e senza possibilità di distinguere l’an dal quantum debeatur”.
La sentenza d’appello fu impugnata per cassazione dalla Olearia Celeste di S.M. & C. S.n.c., sulla base di quattro motivi.
La società assicuratrice, con controricorso, chiese il rigetto del ricorso.
Questa Corte, con sentenza n. 2996/16, depositata il 16 febbraio 2016, accolse il primo motivo di ricorso, ritenne assorbiti i restanti motivi e cassò con rinvio la sentenza impugnata, affermando che la Corte di appello aveva, con qualificazione non impugnata, ritenuto che la clausola di cui all’art. 17 del contratto di assicurazione in questione prevedesse una “perizia contrattuale” ma aveva male applicato i principi da tempo stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità circa gli effetti di una siffatta clausola. Questa Corte precisò che, “una volta qualificata la clausola in esame come “perizia contrattuale”, la Corte d’appello avrebbe dovuto trarne la conseguenza, ai sensi dell’art. 1374 c.c., che quella clausola non inibiva alle parti la facoltà di domandare al giudice ordinario l’accertamento dell’esistenza, della validità o dell’efficacia della polizza, posto che tali questioni esulavano dal contenuto della clausola”.
Olearia Celeste di S.M. & C. S.n.c. riassunse il giudizio insistendo per l’accoglimento delle conclusioni già formulate con il primo atto di appello (per sentir, cioè, dichiarare sussistente, in relazione all’an debeatur, il suo diritto alla corresponsione delle indennità da determinarsi ai sensi degli artt. 17 e 18 della polizza in questione;, per sentire, altresì, dichiarare sussistente, su tale indennità, il diritto alla maggiorazione di interessi e rivalutazione monetaria dalla messa in mora (novembre 1996) al soddisfo e per sentir, quindi, condannare la controparte al risarcimento del danno patrimoniale e morale patito per effetto dell’inadempimento delle obbligazioni scaturenti dalla polizza assicurativa e, per l’effetto, condannare la compagnia di assicurazioni al pagamento della somma di Euro 1.549.370,70, ovvero della maggiore o minore somma ritenuta di giustizia, il tutto con vittoria di spese del doppio grado del giudizio).
Si costituì in sede di riassunzione Generali Italia S.p.a. (già Assitalia Le Assicurazioni d’Italia S.p.a.), chiedendo il rigetto dell’appello e richiamando tutte le eccezioni già proposte nel corso dei precedenti gradi di giudizio.
La Corte di appello di Bari, con sentenza n. 1239/2018, depositata in data 11 luglio 2018, decise nei termini appresso indicati: 1) accolse il gravame per quanto di ragione e, per l’effetto, dichiarò il diritto della società appellante alla corresponsione dell’indennizzo determinato ai sensi e per gli effetti degli artt. 17 e 18 della polizza in questione; dichiarò che la somma dovuta da Generali Italia (già Assitalia Le Assicurazioni d’Italia S.p.a.) era pari alla quota del 55/0 di quella determinata dal collegio peritale quale ammontare del danno, essendo la residua quota del 45% dovuta dalla FATA Assicurazioni; dichiarò che tale somma non era soggetta a rivalutazione e che gli interessi legali erano dovuti dal giorno della liquidazione operata dagli arbitri; 2) rigettò la domanda di risarcimento dei danni e 3) regolò tra le parti le spese di tutti i gradi di giudizio.
Avverso la sentenza della Corte di merito Olearia Celeste di S.M. & C. S.n.c. ha proposto ricorso per cassazione, basato su nove motivi e illustrato da memoria.
Generali Italia S.p.a. (nuova denominazione di INA Assitalia S.p.a. già Assitalia Le Assicurazioni d’Italia S.p.a.) ha resistito con controricorso contenente pure ricorso incidentale sulla base di cinque motivi e illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Deve anzitutto osservare nella procura posta su foglio unito al ricorso e a p. 2 dello stesso ricorso è indicata in modo errato la data di deposito della sentenza impugnata (11.7.2017 invece di 11.7.2018) ma è corretto il numero della sentenza e il NRG della causa dinanzi alla Corte di merito, sicchè risulta evidente che trattasi di mero errore materiale.
2. Va poi evidenziato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, qualora una sentenza pronunciata dal giudice di rinvio formi oggetto di un nuovo ricorso per cassazione, il collegio può essere composto come nel caso all’esame – anche con magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento, ciò non determinando alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice (Cass., sez. un., 25/10/2013, n. 24148; Cass. 29/02/2016, n. 3980), nè sussiste, pertanto, alcun obbligo di astensione a loro carico ex art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4 e ciò a prescindere dalla natura del vizio che ha determinato la pronuncia di annullamento, che può consistere indifferentemente in un error in procedendo o in un error in iudicando, atteso che, anche in quest’ultima ipotesi, il sindacato è esclusivamente di legalità, riguardando l’interpretazione della norma ovvero la verifica del suo ambito di applicazione, al fine della sussunzione della fattispecie concreta, come delineata dal giudice di merito, in quella astratta (Cass., 18/07/2016, n. 14655).
Ricorso principale:
3. Il primo motivo è così rubricato: “Violazione o falsa applicazione della clausola contrattuale di cui alla lettera U dell’allegato per garanzie accessorie e condizioni particolari aggiuntive della Polizza assicurativa n. ***** del 12.10.1988, attuando una interpretazione della disposizione contrattuale in violazione degli artt. 1175 e 1337 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3)”.
Con tale mezzo la ricorrente sostiene che i Giudici di appello avrebbero erroneamente ritenuto – dal solo tenore letterale di detta clausola – che ad essa “non poteva essere attribuito altro significato se non quello per cui al pagamento dell’indennizzo è tenuta ciascuna delle due obbligate nei limiti della propria quota”.
Ad avviso della ricorrenteàle norme di cui agli artt. 1175 e 1337 c.c., già nell’ottobre 1988 (data di stipula della polizza in questione) avrebbero imposto all’assicuratore, prima della stipula del contratto, fra l’altro: a) di fornire informazioni esaustive; b) di fornire informazioni utili; c) di fornire informazioni chiare.
Assume la ricorrente che: a) il dovere di correttezza di cui all’art. 1175 c.c., in materia assicurativa, impone all’assicuratore ed ai suoi intermediari od incaricati un obbligo preciso, e cioè quello di mettere il contraente in condizione di compiere una scelta consapevole, e dunque informarlo in modo esaustivo sulle caratteristiche del prodotto, nulla lasciando di occulto; b) l’art. 1337 c.c., impone alle parti di comportarsi secondo buona fede non solo nello svolgimento delle trattative, ma anche “nella formazione del contratto” e c) tale obbligo di buona fede durante le trattative può imporre, secondo le circostanze del caso, varie condotte, tra le quali: quello di informare la controparte su tutte le circostanze rilevanti relative all’affare, quello di usare espressioni chiare ed intelligibili e quello di non indurre la controparte a stipulare contratti inutili, invalidi, inefficaci o dannosi per la medesima.
La Corte di appello, secondo la società ricorrente, avrebbe errato nell’interpretare la disposizione contrattuale alla cui stregua risolvere la controversia, in quanto avrebbe omesso di accertare se il disposto della clausola di cui alla lettera U dell’allegato per garanzie accessorie e condizioni particolari aggiuntive fosse chiaro ed inequivocabile nel limitare la responsabilità per il pagamento dell’indennizzo assicurativo al 55% a carico della compagnia di assicurazioni Generali Italia S.p.a. (già Assitalia Le Assicurazioni d’Italia S.p.a.).
4. Con il secondo motivo, deducendo “Violazione dell’art. 1363 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3”, la ricorrente sostiene che la sentenza di secondo grado sarebbe errata perchè il significato della clausola lettera U in parola andava ricercato tenendo conto delle altre norme della medesima polizza ed evidenzia che l’art. 24 delle Condizioni Generali di Assicurazione della polizza de qua ha il seguente testuale tenore: “Art. 24: Pagamento dell’indennizzo: Verificata l’operatività della garanzia, valutato il danno e ricevuta la necessaria documentazione, la Società deve provvedere al pagamento dell’indennizzo entro 30 giorni dalla data di liquidazione del danno, sempre che sia trascorso il termine di 30 giorni dalla data del sinistro…”. Ad avviso della ricorrente, sottoscrivendo la polizza in questioneei Assitalia Le Assicurazioni d’Italia S.p.a. si sarebbe impegnata a pagare l’indennità derivante interamente e non pro quota; legittimo, quindi, l’affidamento della ricorrente sul fatto che la società appena indicata dovesse essere obbligata al pagamento dell’intero indennizzo assicurativo richiesto, mentre la Corte territoriale, sic et simpliciter, avrebbe erroneamente ed apoditticamente interpretato restrittivamente la suddetta clausola, limitando la responsabilità della compagnia di assicurazioni, al solo 55% del rischio assicurato ed escludendone il restante 45%.
5. Con il terzo motivo, rubricato “”Violazione di norme di diritto”. I giudici di II grado hanno errato nell’interpretare la disposizione contrattuale alla cui stregua risolvere la controversia (art. 360, comma 1, n. 3)”, sostiene la ricorrente che, interpretando erroneamente nel senso già riportato la clausola in parola, la Corte territoriale avrebbe sancito, da un lato, la limitazione di responsabilità della Generali Italia S.p.a. (già Assitalia Le Assicurazioni d’Italia S.p.a.) al pagamento della quota del 55% dell’indennizzo e, dall’altro, la limitazione del diritto della società ricorrente al pagamento del 100% dell’indennizzo da parte della prima.
In tal modo il giudice del merito avrebbe omesso “di applicare alla fattispecie norme di diritto secondo cui, le disposizioni contenute nelle disposizioni contrattuali – polizze assicurative – unilateralmente predisposte, che laddove si risolvono nella compressione della facoltà e dei poteri inerenti al diritto delle parti, devono essere espressamente e chiaramente manifestate nel testo o, comunque, devono risultare da una volontà desumibile in modo non equivoco da esso” (così testualmente a p. 15 del ricorso).
La limitazione di responsabilità della compagnia di assicurazioni Generali Italia S.p.a. (già Assitalia le Assicurazioni d’Italia S.p.a.), al 55% in virtù della clausola U, collocata all’interno del documento unilateralmente predisposto dalla compagnia di assicurazioni “capofila”, non potrebbe essere qualificata come “garanzia accessoria e condizione particolare”, ma costituirebbe, invece, una condizione essenziale del contratto di assicurazione che, secondo la ricorrente, deve essere espressamente e chiaramente portata a conoscenza dell’assicurato, il quale deve prestare un consenso consapevole in relazione a ciò che sottoscrive, sia pure per adesione.
La Corte territoriale avrebbe errato, omettendo di utilizzare anche tali canoni ermeneutici al fine di desumere l’effettivo significato della clausola de qua, che non sarebbe assolutamente chiara nell’escludere l’operatività della responsabilità per l’intero indennizzo assicurativodi Generali Italia S.p.a. (già Assitalia Le Assicurazioni d’Italia S.p.a.), nè avrebbe potuto desumerlo ex se la società ricorrente, al momento della sottoscrizione della polizza de qua, in assenza di un chiaro ed inequivoco dettato della suddetta clausola.
Ad avviso della ricorrente non solo la recente giurisprudenza italiana ma anche quella della Corte di Giustizia Europea propenderebbe in tal senso, e al riguardo sostiene che quest’ultima Corte, nella causa 96/14 Jean-Claude Van Hove/CNP Assurances SA, con decisione del 23 aprile 2015 avrebbe chiarito che le clausole riguardanti l’oggetto principale di un contratto assicurativo possano essere considerate redatte in modo chiaro e comprensibile non soltanto se chiare e grammaticalmente corrette, ma anche, e, soprattutto, se espongono in modo preciso e trasparente il funzionamento concreto del meccanismo di assicurazione, tenuto conto dell’insieme contrattuale nel quale si inseriscono, così sancendo il principio secondo il quale il contraente deve essere posto nella condizione di poter valutare, sul fondamento di criteri precisi ed intelligibili, le conseguenze economiche che derivano dal contratto di assicurazione; altrimenti la specifica clausola può essere considerata abusiva.
6. Il quarto motivo è così rubricato: “Falsa applicazione di norme di diritto. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). La sentenza impugnata ha errato nell’individuare la norma generale ed astratta sotto cui sussumere la fattispecie concreta, correttamente accertata, nella risoluzione della quaestio facti, omettendo di motivare in tal senso”.
Ad avviso della ricorrente, l’impugnata sentenza “risulta errata sotto il profilo sostanziale per avere “erroneamente” interpretato ed applicato alla fattispecie in esame norme e principi in tema di coassicurazione (art. 1911 c.c.)”.
Richiamando giurisprudenza di legittimità in materia di coassicurazione, la ricorrente sostiene che la clausola di delega, con la quale i coassicuratori conferiscono ad uno solo di essi l’incarico di compiere gli atti relativi allo svolgimento del rapporto assicurativo, abiliterebbe l’impresa delegata, quando sia previsto che solo con essa l’assicurato debba svolgere i rapporti inerenti al contratto, a ricevere l’atto con cui lo stesso assicurato dà notizia del verificarsi dell’evento coperto dalla garanzia e chiede il pagamento dell’indennità, con la conseguenza che l’atto medesimo interromperebbe la prescrizione anche in riferimento alla quota dell’indennizzo a carico dei coassicuratori deleganti; evidenzia che la clausola di cui si discute prevede che “tutte le comunicazioni inerenti al contratto, ivi comprese quelle relative al recesso e alla disdetta, devono trasmettersi dall’una all’altra parte unicamente per il tramite della Assitalia le Assicurazioni d’Italia S.p.A., quale coassicuratrice delegataria. Ogni comunicazione si intende data o ricevuta dalla delegataria nel nome e per conto di tutte le coassicuratrici”.
Ad avviso della ricorrente, la Corte di merito, trascurando di analizzare quel dettato, unitamente all’art. 24 delle Condizioni Generali di Assicurazione della Polizza ***** del 12.10.1988, secondo cui l’Assitalia Assicurazioni Le Assicurazioni d’Italia, in base alla polizza, avrebbe assunto la posizione di delegataria delle altre coassicuratrici anche ai fini della liquidazione del danno, avrebbe escluso che ogni questione in ordine al riparto dell’indennizzo andava fatta valere nei rapporti interni, e non avrebbe potuto essere opposta all’assicurato, omettendo di motivare in tal senso.
La Corte di appello avrebbe errato, quindi, nel non ritenere che nel caso di specie la Polizza ***** del 12.10.1988 prevedesse un mero accordo interno di ripartizione del rischio tra diversi assicuratori non opponibile all’assicurato, come sostenuto dalla ricorrente. Quest’ultima assume, altresì, che, pur a voler considerare la – a suo avviso – errata interpretazione della Corte di appello di Bari, essa avrebbe ulteriormente errato, non considerando che, secondo un orientamento della giurisprudenza di legittimità, “Il contratto di coassicurazione genera separati rapporti assicurativi, in virtù dei quali ciascun assicuratore è titolare delle sole posizioni soggettive relative al proprio rapporto con l’assicurato. Ne consegue che l’assunzione dell’obbligo di pagare l’indennità solo “pro quota” si riferisce al solo rapporto interno tra assicurato e coassicuratore e non trova applicazione nell’ipotesi in cui ad agire nei confronti del coassicuratore sia il danneggiato, con azione diretta la L. 24 dicembre 1969, n. 990 (“ratione temporis” applicabile), rilevando in tal caso il regime di maggior tutela del danneggiato e non la previsione dell’art. 1911 c.c.”.
7. I primi quattro motivi ben possono essere unitariamente considerati, essendo strettamente connessi, in quanto tutti relativi al medesimo capo della sentenza impugnata con cui la Corte di merito, in sede di rinvio, ha accolto l’eccezione sollevata dall’attuale controricorrente ricorrente incidentale circa il suo parziale difetto di legittimazione passiva relativamente alla quota di rischio assunta da altro coassicuratore.
Essi sono inammissibili per difetto di specificità, con conseguente inosservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 non avendo la ricorrente indicato quando ha prodotto il contratto e le condizioni generali dello stesso, cui si fa riferimento nei motivi all’esame, nè ha indicato dove tali documenti siano ora reperibili (Cass., sez. un., 2/12/2008, n. 28547; Cass., ord., 23/09/2009, n. 20535; Cass., sez. un., ord., 25/03/2010, n. 7161; Cass., ord., 20/11/2017, n. 27475; Cass., sez. un., 27/12/2019, n. 34469).
7.1. Va pure evidenziato che i motivi in esame presentano ulteriori profili di inammissibilità.
Ed invero la censura di cui al primo motivo, oltre a non essere chiaramente intelligibile, ove intesa come riferita alla violazione dei doveri generali di buona fede e correttezza da parte dell’attuale controricorrente, introdurrebbe inammissibilmente questioni nuove, evidenziandosi che qualora, come nel caso all’esame, una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (v., ex multis, Cass., ord., 24/01/2019, n. 2038), il che non è avvenuto nel caso di specie.
Qualora, invece, si intenda la doglianza all’esame come volta a censurare l’avvenuta interpretazione della clausola indicata nella rubrica del mezzo in scrutinio, la stessa sarebbe in ogni caso inammissibile, non essendo stato indicato il criterio ermeneutico violato, atteso che gli artt. 1175 e 1337 c.c., non sono norme relative alla interpretazione del contratto.
Il secondo motivo neppure indica, inammissibilmente, in qual modo l’interpretazione operata dal Giudice del merito si sia discostata dalla regola interpretativa richiamata in rubrica, limitandosi, in sostanza, ad una mera contrapposizione tra l’interpretazione della parte ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, evidenziandosi che quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni (Cass. 28/11/2017, n. 28319).
Le medesime argomentazioni appena espresse valgono pure con riferimento al terzo motivo, nel quale neppure sono indicate, nè nella rubrica nè nell’illustrazione, le norme asseritamente violate.
Nel quarto motivo, pur lamentandosi l’erroneità della sentenza impugnata “per aver “”erroneamente” interpretato ed applicato alla fattispecie in esame norme e principi in tema di coassicurazione (art. 1911 c.c.)” e per non aver, pertanto, ritenuto che nel caso in questione la polizza prevedesse, invece, un mero accordo interno di ripartizione del rischio tra diversi assicuratori, la ricorrente si limita a contrapporre la sua tesi ermeneutica a quella fatta propria dalla Corte di merito che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, ha motivato al riguardo e ha deciso in conformità dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. 4/03/1999, n. 1830; Cass. 12/07/2005, n. 14590; v. pure Cass. 28/01/2005, n. 1754 e Cass., ord., 19/02/2018, n. 3958).
Peraltro, neppure supporta la tesi del ricorrente l’arresto richiamato a p. 19-21 del ricorso (Cass. 23/07/2014, n. 17681), riferendosi quella sentenza di legittimità al rapporto tra danneggiato che agiva con azione diretta L. n. 990 del 1969, ex art. 18, e assicuratore e precisandosi nella motivazione di quella sentenza quanto segue:
“Il ragionamento della corte di appello (sent. pag.10) che ha equiparato, applicando alla fattispecie l’art. 1911 c.c., il rapporto “assicuratore – assicurato” a quello “assicuratore danneggiato” nell’assicurazione per la RCA, non è corretto.
Resta fermo il principio in base al quale il contratto di coassicurazione genera separati rapporti assicurativi, in virtù dei quali ciascun assicuratore è titolare delle sole posizioni soggettive sostanziali e processuali relative al proprio rapporto con l’assicurato; con conseguente assunzione soltanto “pro quota” dell’obbligo di pagare l’indennità; e senza che tra i vari coassicuratori si stabilisca, pur in presenza di un contratto unitario, un vincolo di solidarietà. Sicchè in tanto il singolo co-assicuratore potrà essere chiamato a pagare l’intero (salvo regresso) in quanto venga intimato quale delegatario nel rapporto, in forza di specifica clausola di “gestione”, di “rappresentanza” o di “guida” (Cass. n. 14590 del 12/07/2005; Cass. n. 1754 del 28/01/2005; Cass. n. 9786 del 16/09/1995 ed altre).
Tale regola non trova tuttavia applicazione nella diversa fattispecie nella quale chi agisca nei confronti del coassicuratore non sia l’assicurato, ma il danneggiato in forza di azione diretta L. n. 990 del 1969, ex art. 18. In tal caso, non rileva quanto previsto in via generale dal codice civile nell’ambito del rapporto interno di coassicurazione, bensì il regime di maggior tutela del danneggiato (quanto ad affidamento, ed effettività del suo diritto) di cui alla normativa speciale.
Segnatamente, il danneggiato ha titolo per agire direttamente nei confronti dell’assicuratore del responsabile civile come identificabile sulla base del contrassegno da lui emesso – in una con il certificato assicurativo – ed apposto sul veicolo L. n. 990 del 1969, ex art. 7.
Il contrassegno – che, nel caso di specie, pacificamente non recava menzione alcuna della coassicurazione, ma soltanto di Pan. Ass. quale assicuratore unico, così come risultante anche dal rapporto della Polizia Stradale di Reggio Calabria intervenuta nell’incidente – vincola l’assicuratore in esso indicato; e legittima il danneggiato, in forza del combinato disposto dell’art. 7 cit. e dell’art. 1901 c.c., al risarcimento indipendentemente dai limiti interni di efficacia e di ripartizione del massimale nel rapporto assicurativo, oltre che dalla stessa validità di quest’ultimo. Giacchè ciò che è dirimente – nel rapporto con il danneggiato che agisca in via diretta – soltanto l’autenticità del contrassegno stesso (ex multis: Cass. n. 25130 del 13/12/2010); nel caso di specie non messa in discussione dalla compagnia.
Ciò posto, l’assicuratore così individuato risponde, in via di azione diretta ex art. 18 cit., entro i limiti delle somme per le quali è stata stipulata l’assicurazione; intendendosi per tali quelli del massimale unitariamente ed indistintamente ascritto al rapporto assicurativo”.
E nella specie non è stato in alcun modo dedotto dalla ricorrente, in questa sede, di aver chiesto la condanna della controparte al pagamento dell’intero quale delegataria nel rapporto con l’assicurato.
8. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1224 e 1919 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in ordine alla errata qualificazione del debito indennitario di cui alla polizza assicurativa de qua, quale debito di valuta non più soggetto a rivalutazione, anzichè di debito di valore, con conseguente mancato riconoscimento della rivalutazione, e, riconoscimento degli interessi legali solo dal momento della liquidazione operata da terzi”.
La ricorrente censura, perchè “in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie de qua e con l’interpretazione delle stesse”, le affermazioni dei Giudici di appello secondo cui “… se è vero che il debito d’indennizzo dell’assicuratore normalmente configura un debito di valore e non di valuta,….Tuttavia la liquidazione operata da arbitri nominati dalle parti vale a trasformare il debito di valore dell’assicurato in debito di valuta non più soggetto a rivalutazione. Parimenti anche gli interessi legali sono dovuti dal momento della liquidazione operata dagli arbitri, atteso che prima di tale liquidazione il credito non è liquido ed esigibile” (v. motivazione della sentenza impugnata), nonchè quanto dai medesimi Giudici statuito nel dispositivo della predetta sentenza e secondo cui: “… l’indennizzo non è soggetto a rivalutazione e… gli interessi legali sono dovuti dal giorno della liquidazione operata dagli arbitri”.
Sostiene la ricorrente che la Corte di appello avrebbe trascurato che nella fattispecie de qua vi è contestazione sull’an debeatur, avendo la compagnia di assicurazioni “sin dal primo atto costitutivo” sempre contestato la sussistenza del diritto della società deducente all’indennizzo (eccezioni di prescrizione; di improcedibilità della domanda, ecc.) e che solo con la sentenza di secondo grado ora impugnata è stata dichiarata fondata “la domanda di accertamento dell’indennizzo della società deducente, seppure ora censurata in relazione agli altri capi di essa”.
Ad avviso della ricorrente, che richiama pure precedenti di legittimità in materia di assicurazione contro i danni, la quantificazione monetaria di essi ad opera di terzi – nominati con le modalità previste dal contratto – trasformerebbe l’obbligazione dell’assicuratore da debito di valore in debito di valuta solo se non è sorta controversia sull’an debeatur, poichè in questo caso, in presenza della contestazione della esistenza stessa del credito, l’attività di liquidazione non determinerebbe l’insorgenza dell’obbligo, per l’assicuratore, di pagare una somma determinata, ma realizzerebbe solo lo scopo diverso di evitare, da un lato, che l’accertamento dell’entità in termini monetari del danno avvenga a distanza di troppo tempo dal verificarsi dell’evento e, dall’altro, di consentire all’assicurato interventi sulla cosa danneggiata, con la conseguenza che la somma così determinata in pendenza della controversia sull’operatività della garanzia, è suscettibile di rivalutazione monetaria al momento della decisione giudiziale.
Pertanto, secondo la ricorrente, il momento in cui il debito di valore si converte in debito di valuta non può che essere quello in cui diventa incontestabile la sua liquidazione, e cioè quello in cui diventa definitiva la sentenza che tale liquidazione effettua, sicchè solo da quel momento “e non prima e nè dopo” vi sarebbe l’assoggettamento del debito al principio nominalistico, regolato dall’art. 1224 c.c. (cfr. Cass. civ. 11 marzo 2004, n. 4993; Cass. civ. 24 ottobre 1986, n. 6231), con la ovvia conseguenza che anche gli interessi legali andranno riconosciuti dal momento del passaggio in giudicato della sentenza definitiva che effettua la liquidazione dell’indennizzo, la ricorrente precisa che, nella fattispecie de qua, ancora non è intervenuta una sentenza di merito passata in giudicato che effettua rifatta liquidazione.
Del tutto contraddittoriamente però, subito dopo la ricorrente assume che “l’indennità dovuta dalla compagnia costituisce debito di valuta ex art. 1227 c.c., – Trattandosi di obbligazione pecuniaria, a norma dell’art. 1224 c.c., gli interessi sono dovuti dal giorno della mora, a nulla rilevando l’insorgere di contestazioni sull’an o sul quantum debeatur stante l’effetto retroattivo della sentenza che è di natura dichiarativa”, salvo poi a rilevare l’errore dell’estensore della sentenza impugnata nel ritenere non dovuta la rivalutazione sull’indennizzo e di dichiarare dovuti gli interessi su di esso solo dalla data della detta liquidazione.
5.1. Le censure all’esame sono inammissibili per mancanza di chiarezza e specificità, come evidenziato dalla parte controricorrente ricorrente incidentale, non essendo chiaramente evincibile in modo inequivoco se la ricorrente sostenga che l’indennità dovuta dalla compagnia costituisca debito di valuta o di valore nè da quando, secondo la stessa parte, dovrebbero decorrere gli interessi in questione.
6. Con il sesto motivo si denunciano, “in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, falsa applicazione dei principi di diritto relativi alla prova documentale ed errore nell’accertamento dei fatti, ai fini dell’accertamento della sussistenza del nesso causale”.
La società ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di appello di Bari ha negato il diritto al risarcimento dei danni patrimoniali, da essa subiti, avendo ritenuto non raggiunta la prova in ordine al nesso causale tra i danni economici patiti dalla detta società e l’inadempimento della società assicuratrice (mancata corresponsione dell’indennizzo assicurativo).
Assume la ricorrente che, per ottenere il risarcimento, il creditore deve provare solo l’inadempimento della controparte e il pregiudizio subito; alla controparte spetterà, al contrario, provare di aver eseguito correttamente la prestazione o che l’inadempimento è stato dovuto ad una causa alla medesima non riconducibile.
Assume ulteriormente la ricorrente che, stante l’inadempimento della compagnia di assicurazioni a corrispondere l’indennizzo assicurativo, la Corte di merito avrebbe, “ex parte debitoris ai fini dell’accertamento del nesso causale, … omesso di accertare, se quell’inadempimento è stato dovuto ad una causa ad essa non riconducibile, mentre ex parte creditoris (avrebbe) altresì omesso di accertare anche… solo per indizi, che se il contratto fosse stato correttamente adempiuto, il soggetto avrebbe percepito dei guadagni che, invece, l’inadempimento ha impedito di realizzare, quali, per l’appunto, quelli documentati e provati per tabulas, nel 1 e 2 grado di giudizio, e nel giudizio di rinvio”. Inoltre, la sentenza impugnata sarebbe priva di motivazione al riguardo.
6.1. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, non essendo stato in esso specificamente precisato quando sono stati prodotti gli atti cui la ricorrente fa ivi riferimento (dichiarazioni dei redditi relativi agli anni dal 1996 al 2014, preventivo di spesa, fatture e bolle di accompagnamento, documentazione relativa alla vendita dei vecchi impianti, nonchè alla chiusura dei conti bancari e alla revoca dell’affidamento), dove essi siano ora reperibili e neppure essendo stato riportato testualmente il contenuto di tali atti, per la parte che qui rileva (Cass., sez. un., 27/12/2019, n. 34469).
Inoltre, con il mezzo all’esame si tende ad una rivalutazione del merito, non consentita in questa sede, e neppure ci si confronta con la ratio decidendi al riguardo della sentenza impugnata, evidenziandosi che la Corte di merito ha analiticamente indicato le ragioni per le quali ha ritenuto il difetto, nella specie, della prova della relazione causale tra i danni economici lamentati e l’asserito inadempimento della società assicuratrice (v. sentenza impugnata, p. 9).
7. Con il settimo motivo la ricorrente denuncia, “in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente ed errata motivazione su punto controverso e decisivo per il giudizio, relativamente alla assoluzione dal reato di truffa a carico della società deducente”.
Sostiene che la motivazione relativa al rigetto della domanda di risarcimento del danno sarebbe insufficiente, specialmente laddove sarebbe stato escluso “a priori” che un atto illegittimo possa automaticamente produrre dei danni e g? aggiunge che la motivazione sarebbe sbagliata ed insufficiente anche ove si è fatto riferimento alla vicenda penale, in maniera generica, senza precisare che il relativo procedimento si è concluso con l’assoluzione con formula piena per tutti i reati ascritti alla società ricorrente.
7.1. Il motivo è inammissibile.
Nella specie, con le censure formulate nell’illustrazione del motivo all’esame, la ricorrente, lunci dal proporre delle doglianze che rispettano il paradigma legale di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 del codice di rito, ripropone, come peraltro chiaramente indicato già nella rubrica del motivo all’esame, inammissibilmente lo stesso schema censorio del n. 5 nella sua precedente formulazione, inapplicabile ratione temporis (Cass., sez. un., 7/04/2014, n. 8053; Cass. 12/10/2017, n. 23940).
Peraltro, il motivo è inammissibile pure per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, neppure essendo stato riportato il tenore letterale, per la parte che si assume rilevante in questa sede, della sentenza penale cui si fa riferimento, nè essendo stato precisato quando la medesima sia stata prodotta e dove sia ora reperibile (Cass., sez. un., 27/12/2019, n. 34469, già richiamata).
8. Con l’ottavo motivo si denuncia, “in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente ed errata motivazione su punto controverso e decisivo per il giudizio, relativamente alla mancata attivazione del procedimento della liquidazione del danno (perizia contrattuale)”.
Ad avviso della ricorrente, la sentenza della Corte di Appello ha erroneamente ritenuto che la procedura della liquidazione del danno (perizia contrattuale), ex artt. 17 e 18 delle condizioni generali di assicurazioni della polizza de qua, non sia mai stata attivata. La procedura di perizia contrattuale prevista all’art. 17 della polizza in questione sarebbe stata, invece, attivata nell’anno 2009, con ricorso al Presidente del Tribunale di Foggia, concorrendo così alla regolare costituzione del Collegio peritale cui demandare le questioni esclusivamente inerenti il quanrum debeatur e tale assunto troverebbe conferma nel verbale di incontro del collegio peritale, datato 6 aprile 2009, nonchè nell’intero elaborato peritale, inclusi gli allegati, versati in atti.
La società ricorrente rappresenta pure che, sebbene il Collegio peritale abbia provveduto alla valutazione del danno conformemente alle prescrizioni di cui all’art. 17 della polizza già nell’anno 2009, la compagnia assicuratrice non avrebbe dato alcun seguito alla stima dei danni operata dal detto Collegio, rendendosi così inadempiente agli obblighi di pagamento derivanti dalla polizza.
La considerazione di tali fatti – che nella specie sarebbe stata omessa, il che avrebbe determinato vizio di omessa pronuncia avrebbe comportato, ad avviso della ricorrente, una decisione diversa, con conseguente riconoscimento della richiesta di risarcimento danni economici del sinistro de quo in suo favore.
8.1. Il motivo è inammissibile sia perchè non articolato secondo i dettami del nuovo art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis, sia per difetto di specificità, in quanto neppure è indicato nel motivo quando sono stati prodotti in giudizio il verbale di incontro del collegio peritale e l’elaborato peritale (richiamati a p. 29 del ricorso) e dove tali atti siano ora reperibili nè è riportato testualmente il loro contenuto, almeno per la parte che rileva in questa sede (Cass., sez. un., 27/12/2019, n. 34469, già sopra indicata).
Neppure è precisata specificamente la decisività dei fatti la cui considerazione sarebbe stata omessa nè è specificato in relazione a quale domanda o eccezione (che avrebbero dovuto essere riportate nel loro testuale tenore nel motivo in scrutinio) sussisterebbe la lamentata omessa pronuncia.
9. Con il nono motivo, intitolato “violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Liquidazione delle spese di lite in senso difforme rispetto alla soccombenza accertata e dichiarata”, la ricorrente censura la sentenza impugnata “nella parte in cui non ha liquidato interamente in favore della società appellante le spese del primo e del secondo grado di giudizio, nonchè di quello in Cassazione, a seguito del quale è risultata totalmente vittoriosa, compensando, invece, solo le spese di lite del giudizio di rinvio, in misura proporzionale alla soccombenza reciproca ascritta ad entrambe le parti, ovvero in misura del 50% cadauna”.
Sostiene la società ricorrente che la Corte territoriale avrebbe erroneamente compensato le spese di tre gradi di giudizio, pur essendo essa risultata totalmente vittoriosa in relazione alla domanda volta all’accertamento dell’an debeatur e che le “ragioni di reciproca soccombenza” avrebbero dovuto più correttamente essere considerate ed addebitate esclusivamente con riferimento al solo giudizio di rinvio, in misura proporzionale alla soccombenza reciproca ascritta ad entrambe le parti, ovvero in misura del 50% cadauna.
9.1. Il motivo va del tutto disatteso.
Va precisato che la causa è iniziata in primo grado nel 2002 (v. sentenza impugnata p. 2) e che la Corte di merito ha condannato Generali Italia S.p.a. (già Assitalia le Assicurazioni d’Italia S.p.a.) al pagamento, in favore della società appellante, di un quarto delle spese di tutti i gradi del giudizio e ha compensato i residui tre quarti di tali spese, così motivando: “In considerazione dell’esito complessivo della controversia e della reciproca soccombenza (rigetto totale della domanda di risarcimento dei danni e di conseguente condanna al pagamento della somma di Euro 1.549.370,70; inammissibilità della domanda originariamente proposta di condanna dell’Assitalia al pagamento della somma di Euro 1.549.370,70 a titolo di indennizzo del danno subito per il furto, essendo la determinazione rimessa al collegio peritale; accoglimento parziale, nella misura del 55%, della domanda di accertamento del diritto della società attrice al pagamento della somma determinata dal collegio peritale quale ammontare del danno, essendo la residua quota del 45% dovuta dalla FATA Assicurazioni), sussistono giusti motivi per compensare i tre quarti delle spese di tutti i gradi di giudizio. Il residuo quarto delle spese del giudizio segue la soccombenza”.
Tanto premesso va evidenziato che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di spese processuali, la cassazione con rinvio della sentenza d’appello si estende alla statuizione relativa alle spese processuali, con la conseguenza che il giudice di rinvio, se rigetta l’appello, ha il potere di provvedere sulle spese del giudizio di appello e, se riforma la sentenza di primo grado, può rinnovare totalmente la regolamentazione delle spese alla stregua dell’esito finale della lite e, in conseguenza di questo apprezzamento unitario, può pervenire anche ad un provvedimento di compensazione totale o parziale delle spese dell’intero giudizio (Cass., 18/06/2003, n. 9783;Cass. 21/06/2004, n. 11490; Cass., 9/10/2015, n. 20289).
Inoltre, sempre in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass. 4/06/2007, n. 12963; Cass., ord., 17/10/2017, n. 24502; Cass., ord., 31/03/2017, n. 8421).
Va pure evidenziato che questa Corte ha altresì avuto modo di affermare – il che è condiviso da questo Collegio – che l’identificazione della parte soccombente è rimessa al potere decisionale del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità, con l’unico limite di violazione del principio per cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass. 16/06/2003, n. 9631; Cass. 16/06/2011, n. 13229).
Si osserva, infine, che la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass. 20/12/2017, n. 30592).
Ricorso incidentale:
10. Osserva il Collegio che, come pure eccepito dalla controricorrente ricorrente incidentale nella sua memoria, la ricorrente principale non può con memoria replicare al ricorso incidentale, non avendo in relazione a questo notificato controricorso.
Ed invero, ai sensi dell’art. 371 c.p.c., comma 4, per resistere al ricorso incidentale il ricorrente principale (salvo che non intenda difendersi solo in sede di discussione orale) può proporre controricorso tempestivamente notificato, ma non produrre prima dell’udienza una semplice memoria, della quale, quindi, non va tenuto conto (Cass. 12/01/1984, n. 270).
Pertanto, la memoria depositata dalla ricorrente principale è inammissibile nella parte in cui fa riferimento ai motivi del ricorso incidentale.
11. Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2952 c.c. e dell’art. 2943 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.
La società assicuratrice lamenta che la Corte di merito abbia rigettato l’eccezione di prescrizione del preteso diritto all’indennizzo sollevata dalla Compagnia ai sensi dell’art. 2952 c.c., limitandosi a richiamare l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la previsione di una perizia contrattuale determinerebbe la sospensione del decorso della prescrizione, non rilevando ai fini dell’effetto sospensivo se la procedura sia stata attivata o meno dalle parti, ferma restando la necessità “che il sinistro sia stato denunciato all’assicuratore entro il termine di prescrizione del diritto all’indennizzo, decorrente dal giorno in cui si è verificato, in tal modo potendosi attivare la procedura di accertamento del diritto ed evitandosi che la richiesta di indennizzo sia dilazionata all’infinito” (v. pag. 6 della sentenza impugnata).
Sostiene la ricorrente incidentale che il Giudice del rinvio avrebbe completamente omesso di considerare che, secondo lo stesso orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’effetto sospensivo derivante dalla previsione di una perizia contrattuale è precluso ogni qual volta, come nel caso di specie, sia stata contestata dall’assicuratore l’operatività della copertura assicurativa e che, perchè si determini la sospensione della prescrizione, è necessaria l’attivazione della procedura di perizia contrattuale. Pertanto, la pronuncia della Corte territoriale avrebbe applicato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità circa l’incidenza della perizia contrattuale sul decorso del termine di prescrizione in modo incompleto e non corretto, non avendo tenuto conto che la contestazione dell’indennizzabilità del sinistro avrebbe precluso qualsiasi effetto sospensivo e che comunque l’assicurato sarebbe stato tenuto ad attivare la procedura di perizia contrattuale prima del decorso del termine di prescrizione annuale, secondo la formulazione applicabile ratione temporis dell’art. 2952 c.c., dalla data di verificazione del sinistro occorso il *****.
12. Con il secondo motivo, lamentando “Omesso esame di un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, la ricorrente incidentale sostiene che la Corte territoriale avrebbe rigettato l’eccezione di prescrizione ex art. 2952 c.c., sollevata dall’assicuratrice in ragione dell’effetto sospensivo determinato dalla previsione di una procedura di perizia contrattuale nelle condizioni di assicurazione, senza considerare il fatto decisivo contestato da detta parte “relativo alla mancata trasmissione di un atto idoneo a determinare la sospensione prima del decorso del termine annuale di prescrizione”.
13. I motivi primo e secondo, che, essendo strettamente connessi, ben possono essere unitariamente esaminati, sono inammissibili.
Va infatti evidenziato che la Corte di merito ha ben tenuto presente l’eccezione di prescrizione così come formulata dalla società assicuratrice in primo grado e reiterata in appello e ha tenuto conto anche della intervenuta denuncia, come si desume anche dalla narrativa in fatto e, quindi, dal tenore complessivo della sentenza impugnata in questa sede, sicchè deve ritenersi che quella medesima Corte abbia implicitamente disatteso le doglianze circa la validità e la tempestività dell’intervenuta denuncia e tanto, all’evidenza, in base ad un accertamento in fatto, non censurabile in questa sede.
A quanto precede va aggiunto che i motivi in scrutinio difettano pure di specificità, non essendo stato negli stessi precisamente indicato quando e in che termini espressamente l’assicuratore abbia contestato l’operatività della polizza (v. sulla necessità dell’espressa contestazione circa l’operatività della polizza, Cass. 30/9/2011, n. 19998, il che trova conferma in Cass., ord., 13/02/2018, n. 3417, la quale, contrariamente all’assunto della ricorrente incidentale, non afferma che la contestazione in parola possa essere implicita, ma si limita a registrare che, nella specie esaminata in quella sede, una certa nota inviata dall’assicuratore “esplicita(va) un rifiuto di adempimento” “peraltro già tacitamente manifestato dalla società con una condotta omissiva protrattasi…”). Neppure risulta, nei motivi in scrutinio, riportato il tenore letterale delle lettere 21 novembre 1996 e 29 maggio 2002 (v. Cass., sez. un., 27/12/2019, n. 34469; Cass. 13/11/2018, n. 29093), ancorchè allegate al ricorso.
14. Con il terzo motivo la ricorrente incidentale censura la sentenza impugnata per “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.
Sostiene la ricorrente incidentale che la Corte di merito avrebbe, in sostanza, affermato che, essendo stato assolto lo S. in sede penale dalle imputazioni di simulazione di reato e tentata truffa e non potendo Olearia Celeste fornire la prova negativa che non sia stato il suo legale rappresentante a sottrarre l’olio custodito, devono ritenersi provate la verificazione del sinistro e conseguentemente l’operatività della copertura assicurativa, non rilevando che la pronuncia di assoluzione si limiterebbe ad accertare l’insufficienza di prove dei delitti ascritti allo S. e che nel corso del dibattimento non fosse emerso alcun elemento a riprova dell’effettiva esecuzione del furto da parte di terzi.
Assume Generali Italia S.p.a. che la Corte di merito abbia, pertanto, “omesso di tener conto che incombe sull’assicurato l’onere di fornire la prova positiva del fatto storico oggetto del sinistro per il quale si richiede l’indennizzo e che tale fatto storico integri un rischio incluso nella copertura assicurativa”.
15. Con il quarto motivo, rubricato “Omesso esame di un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, la ricorrente incidentale sostiene che il medesimo capo della pronuncia censurato al motivo precedente sarebbe viziato altresì dall’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, avendo la Corte di merito completamente omesso di considerare che non un solo documento nè la dichiarazione di un singolo teste escusso nel primo grado di giudizio abbiano fornito il benchè minimo riscontro alla tesi dell’attuale ricorrente principale.
Assume conclusivamente Generali Italia S.p.a. che una compiuta e corretta analisi degli elementi effettivamente forniti da Olearia Celeste di S.M. & C. S.n.c. a riprova delle proprie pretese avrebbe evidentemente determinato una statuizione di rigetto anche in parte qua in ragione del mancato adempimento dell’onere probatorio a carico dell’assicurato.
16. I motivi terzo e quarto, che ben possono essere esaminati congiuntamente, sono entrambi inammissibili perchè tendono, in sostanza, ad una rivalutazione dei fatti e delle risultanze istruttorie non consentita in questa sede.
17. Con il quinto motivo si denuncia “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e dell’art. 92 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.
Sostiene la controricorrente che, se è pur vero che il Giudice del rinvio ha liquidato le spese di lite di tutti i gradi del giudizio considerando l’esito complessivo del procedimento, tuttavia, proprio alla luce della valutazione unitaria e globale della controversia, emergerebbe “la non corretta applicazione da parte della Corte d’Appello del principio di soccombenza di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c.”.
In base a quanto evidenziato dalla stessa Corte di merito alla pag. 9 della sentenza impugnata, Olearia Celeste di S.M. & C. S.n.c. sarebbe risultata, all’esito del giudizio di rinvio, soccombente in misura certamente prevalente, con conseguente illegittimità della pronuncia di condanna della Compagnia assicuratrice alla rifusione di un quarto delle spese di lite, laddove, in virtù di una corretta applicazione del principio di soccombenza, avrebbe dovuto piuttosto essere condannata l’attuale ricorrente principale alla rifusione di quota parte delle spese o, a tutto voler concedere, le spese avrebbero dovuto essere integralmente compensate.
18. Il motivo è inammissibile in base alle medesime argomentazioni espresse in relazione all’ultimo motivo del ricorso principale.
19. Alla luce di quanto precede, vanno dichiarati inammissibili sia il ricorso principale che il ricorso incidentale.
20. Le spese del giudizio di cassazione ben possono essere compensate per intero tra le parti, stante l’inammissibilità di entrambi i ricorsi proposti.
21. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).
PQM
La Corte dichiara inammissibile sia il ricorso principale che il ricorso incidentale; compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto rispettivamente per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2021
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