Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.17953 del 23/06/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25385/2018 proposto da:

QUATTRO M COSTRUZIONI DI M.A. & C. SAS, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FUSCO 104, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO ANTIGNANI, rappresentata e difesa dall’avvocato LUCA COSTANTINI;

– ricorrente –

contro

CURATELA FALLIMENTO ***** SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 107, presso lo studio dell’avvocato OSVALDO VERRECCHIA, rappresentata e difesa dall’avvocato GABRIELE BIELLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 363/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 15/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 03/02/2021 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

RILEVATO

che:

con atto di citazione notificato il 14.6.12, la Curatela del Fallimento ***** s.r.l. convenne in giudizio la società Quattro M Costruzioni di M.A. & C. s.a.s. per sentirla condannare alla restituzione di beni che avevano costituito oggetto di un comodato dichiarato inefficace ai sensi della L. Fall., art. 67, al rilascio di un immobile concesso in locazione alla convenuta con contratto dichiarato anch’esso inefficace e al pagamento di un’indennità di occupazione per il ritardato rilascio a far data dal luglio 2007;

la società convenuta rimase contumace;

con ordinanza del 10.6.2014, il Tribunale, che aveva trattenuto la causa in decisione ai sensi dell’art. 190 c.p.c., la rimise sul ruolo, disponendo il mutamento del rito da ordinario a locatizio, senza disporre che il provvedimento venisse comunicato alla società contumace;

la causa venne definita dal Tribunale con sentenza che, accogliendo la domanda della Curatela, condannò la Quattro M Costruzioni al rilascio dell’immobile, alla restituzione dei beni comodati e al pagamento di oltre 67.000,00 Euro a titolo di indennità per occupazione senza titolo dell’immobile;

provvedendo sul gravame della Quattro M Costruzioni, la Corte di Appello di Roma ha dichiarato la nullità della sentenza di primo grado per violazione dell’art. 426 c.p.c. e ha deciso la causa nel merito (sull’assunto che non fosse possibile la rimessione al giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 354 c.p.c.), dichiarando cessata la materia del contendere in ordine alle domande di restituzione e di rilascio (in quanto, nel frattempo, l’immobile era stato liberato e i beni erano stati restituiti) e determinando l’indennità di occupazione per il periodo luglio 2007-gennaio 2015 nella complessiva misura di 67.595,72 Euro (oltre accessori);

ha proposto ricorso per cassazione la società Quattro M Costruzioni di M.A. & C. s.a.s., affidandosi a tre motivi; ha resistito, con controricorso, la Curatela del Fallimento ***** s.r.l..

La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo, la ricorrente denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – “error in procedendo in relazione all’art. 354 c.p.c., comma 1, n. 4, per non avere il giudice di appello rimesso gli atti al giudice di primo grado per via della omessa notifica dell’atto introduttivo del giudizio per effetto della omessa notifica al convenuto contumace dell’ordinanza di mutamento del rito da ordinario a speciale”: assume che la Corte d’Appello avrebbe dovuto rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c., comma 1, in quanto “l’omessa notificazione al convenuto contumace della ordinanza di mutamento del rito di cui all’art. 426 c.p.c., considerando la sua natura ed il suo scopo, deve essere assimilata alla mancata notifica dell’atto di citazione, avendo la funzione di introdurre il giudizio, o quantomeno di completare il meccanismo di introduzione del giudizio”;

il secondo motivo deduce -in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la “violazione o falsa applicazione dell’art. 354 c.p.c., comma 1, per non avere il giudice dell’appello correttamente applicato la disposizione contenuta nell’art. 354 c.p.c., comma 1, pur avendo accertato la omessa notifica dell’atto introduttivo del giudizio per effetto della omessa notifica al convenuto contumace dell’ordinanza di mutamento del rito da ordinario a speciale”: assume che, in via subordinata o alternativa, lo stesso vizio dedotto col primo motivo può essere apprezzato anche sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norma di legge;

il primo motivo è infondato; invero, “nel procedimento locatizio l’ordinanza di mutamento del rito di cui all’art. 426 c.p.c., deve essere comunicata, in osservanza di un principio generale dell’ordinamento, alla parte contumace, dovendosi ritenere, in mancanza, la nullità della sentenza”, ma deve escludersi che “debba essere disposta la rimessione al giudice di primo grado, trattandosi di fattispecie non assimilabile a quelle, tassative, previste dall’art. 354 c.p.c., tanto più che il principio del doppio grado di giurisdizione non ha rilevanza costituzionale” (Cass. n. 24341/2015); ciò in quanto l’omessa comunicazione dell’ordinanza non mina alla base l’intero giudizio di primo grado, come nelle ipotesi tassativamente previste dall’art. 354 c.p.c. e pertanto il giudice di secondo grado, avanti al quale il vizio sia dedotto, è tenuto, in applicazione della regola dell’assorbimento delle nullità nei motivi di gravame, ad esaminare la causa nel merito, senza alcuna possibilità di rinviarla al primo giudice;

il secondo motivo resta assorbito;

col terzo motivo, la ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2056 c.c., in relazione agli artt. 1223 e 1226 c.c., circa la valutazione e liquidazione del risarcimento del danno, ed in relazione all’art. 2697 c.c., in tema di ripartizione dell’onere della prova per avere il giudice dell’appello ritenuto che il danno da occupazione sine titulo sia in re ipsa”: rileva che “il giudice dell’appello ha sostanzialmente ritenuto che l’occupazione sine titulo provochi automaticamente un danno ed ha quantificato questo danno nello stesso importo del canone che era previsto nell’originario contratto di locazione, divenuto inefficace nel luglio del 2007”, così omettendo di giustificare il convincimento che un danno fosse stato realmente provocato e limitandosi ad argomentare sulla sua misura; assume che il danno non può ritenersi sussistente per il solo fatto che vi sia stata l’occupazione abusiva e che la Curatela non aveva allegato, nè tantomeno dimostrato, che essa avrebbe utilizzato l’immobile per proprie necessità o che lo avrebbe locato a terzi;

premesso che – in effetti – la Corte di Appello si è limitata a motivare sulla misura dell’indennità, dando per scontata la sua spettanza ed effettuando la liquidazione in riferimento alla misura dei canoni precedentemente dovuti, il motivo dev’essere respinto in quanto:

nel caso di indennità per l’occupazione di un immobile successiva alla cessazione di un contratto di locazione (ipotesi alla quale è assimilabile quella – qui ricorrente – della occupazione successiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto) è lo stesso legislatore (art. 1591 c.c.) a dichiarare dovuto un importo corrispondente al canone fino alla riconsegna, salva la prova del maggior danno;

la questione è dunque mal posta dalla ricorrente poichè la Corte non ha ritenuto il danno provato in re ipsa, ma ha correttamente applicato la norma che, stabilendo l’obbligo del conduttore di pagare il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, effettua (in via preventiva) un accertamento e una liquidazione forfettaria del danno, facendo peraltro salva la possibilità della prova del maggior danno, che deve essere fornita concretamente – questa sì – da chi abbia subito l’indebita occupazione altrui (cfr. Cass. n. 15146/2017, Cass. n. 10926/2018 e Cass. n. 15876/2013);

le spese di lite seguono la soccombenza;

la manifesta infondatezza del ricorso giustifica la condanna della ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, a fronte di un’iniziativa processuale che evidenzia l’abuso dello strumento impugnatorio (cfr., per tutte, Cass. n. 5725/2019 e Cass., S.U. n. 9912/2018), stimandosi all’uopo adeguato l’importo di Euro 3.000,00;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge, nonchè al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 3.000,00 ex art. 96 c.p.c., comma 3.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2021

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