Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.18462 del 30/06/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4041/15 R.G. proposto da:

E.R., rappresentata e difesa, giusta procura a margine del ricorso, dall’avv. Lorenzo Ronca, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Valerio Colapaoli, in Roma, via Carlo Conti Rossini, n. 26;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA CENTRO S.P.A., in persona del legale rappresentate;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale dell’Abruzzo n. 679/07/14 depositata in data 19 giugno 2014;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11 maggio 2021 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

RILEVATO

che:

1. Equitalia Centro s.p.a. impugnò la sentenza resa dalla Commissione tributaria provinciale di Pescara con la quale era stato accolto il ricorso proposto da E.R. avverso intimazioni di pagamento e cartelle di pagamento emesse ai fini del recupero di IRPEF, IRAP e I.V.A. in relazione a diversi anni d’imposta.

La contribuente propose appello incidentale, eccependo, tra l’altro, l’inammissibilità di quello principale per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, la violazione del medesimo decreto legislativo, art. 58 e l’inesistenza delle notifiche delle cartelle eseguite dal Concessionario ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26.

2. La Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo accolse l’appello principale, respingendo quello incidentale.

Motivò, per quanto qui interessa, che: a) nel processo tributario era ammissibile la produzione di documenti nuovi in appello, sebbene non prodotti in primo grado; b) l’omessa notifica della cartella di pagamento da parte dell’Amministrazione finanziaria non invalidava la procedura di esazione, in quanto il contribuente poteva ricorrere contro la pretesa tributaria impugnando anche il solo avviso di mora; c) per la validità del ruolo e della cartella esattoriale ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 25, non era indispensabile l’indicazione degli estremi identificativi o della data di notifica dell’accertamento precedentemente emesso; d) a tale interpretazione non era di ostacolo la previsione contenuta nel D.M. 3 settembre 1999, n. 321, art. 1, comma 2, e art. 6, comma 1, (che nel caso di iscrizione a ruolo o di cartella che seguiva atto precedentemente notificato, richiede l’indicazione degli “estremi di tale atto e la relativa data di notifica”), in quanto essa doveva essere letta in combinato disposto con le successive norme contenute in via generale nello statuto del contribuente (L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 3) e poi, con specifico riferimento ai ruoli ed alle cartelle, nel D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, che si limitavano a richiedere che gli atti da ultimo indicati contenessero soltanto “il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento, ovvero, in mancanza, la motivazione anche sintetica della pretesa”; e) a partire dal 15 maggio 1998, data di entrata in vigore della L. n. 146 del 1998, art. 20, che aveva modificato la L. n. 890 del 1982, art. 14, gli uffici finanziari potevano procedere alla notificazione a mezzo posta ed in modo diretto degli avvisi e degli atti che per legge dovevano essere notificati al contribuente, come pure era possibile la notifica delle cartelle esattoriali direttamente da parte del Concessionario, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26; per il perfezionamento della notifica era sufficiente che la spedizione postale fosse avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senza ulteriori adempimenti se non quello di curare che la persona individuata come legittimata alla ricezione apponesse la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire; eventuali nullità o vizi dell’atto dovevano comunque ritenersi superati e sanati ex art. 156 c.p.c. in caso di raggiungimento dello scopo, mediante la rituale e tempestiva impugnazione dell’atto da parte del contribuente.

3. Avverso la decisione d’appello ricorre per cassazione E.R., con quattro motivi, ulteriormente illustrati con memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c..

Equitalia Centro s.p.a., seppure ritualmente intimata, non ha svolto attività difensiva in questa sede.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo – rubricato: violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1 e 5, e violazione dell’art. 112 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la ricorrente evidenzia che Equitalia Centro s.p.a. costituendosi in primo grado aveva chiesto il rigetto del ricorso introduttivo, salvo che per quanto indicato alla terza pagina, ove aveva dichiarato: “Con riferimento agli atti impugnati ed assertivamente mai notificati, rileviamo come, allo stato attuale, non sia stata rinvenuta la documentazione relativa alla notifica delle seguenti cartelle di pagamento: *****, *****, *****, *****. Non è stata rinvenuta, altresì, la documentazione relativa alla iscrizione ipotecaria del 5.05.2005, rep. 501, gestita all’epoca dalla Soget. Ad eccezione di quelli appena indicati, tutti gli altri atti impugnati sono stati regolarmente notificati alla contribuente e non impugnati”.

Il Concessionario non aveva depositato la documentazione e non aveva mosso alcuna contestazione in merito alle suddette cartelle ed alla iscrizione ipotecaria, manifestando acquiescenza sul punto; tuttavia, in appello aveva depositato documentazione inerente le quattro cartelle e l’iscrizione ipotecaria, che in precedenza aveva dichiarato di non possedere, e la Commissione tributaria regionale aveva accolto l’impugnazione, ritenendo ammissibile la produzione documentale.

La decisione impugnata, aggiunge la ricorrente, non è corretta, perchè Equitalia Centro s.p.a. ha introdotto una domanda nuova, come tale inammissibile e, in secondo luogo, perchè l’art. 58 cit., analogamente a quanto previsto dall’art. 345 c.p.c., prevede la possibilità di produrre documenti in appello solo se costituendi e non già costituiti o quelli che la parte abbia dimostrato di non avere prodotto tempestivamente per cause ad essa non imputabili, condizioni non sussistenti nel caso di specie. La soluzione adottata dalla C.T.R. contrasta, secondo la contribuente, con i principi della ragionevole durata del processo, di lealtà processuale e di onere di immediata contestazione.

1.1. La censura è infondata.

1.2. Le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata si pongono in linea con il costante ed univoco orientamento di questa Corte secondo cui “la piana lettura dell’art. 58 cit. abilita alla produzione di qualsivoglia documento in appello, senza restrizione alcuna e con disposizione autonoma rispetto a quella che – nel comma precedente sottopone a restrizione l’accoglimento dell’istanza di ammissione di altre fonti di prova” (Cass., sez. 6-5, 6/11/2015, n. 22776; Cass., sez. 5, 22/11/2017, n. 27774; Cass., sez. 5, 4/04/2018, n. 8313; Cass., sez. 5, 16/11/2018, n. 29568; Cass., sez. 5, 7/03/2018, n. 5429).

Anche se non si ignora una risalente pronuncia secondo cui questa produzione nuova potrebbe avvenire solo senza l’effetto di allargare l’oggetto del contendere rispetto a quello di primo grado, in quanto la produzione non potrebbe essere esercitata in contrasto con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, il quale, escludendo l’introduzione di eccezioni e tematiche nuove, non consente l’ampliamento della materia del contendere neppure attraverso la produzione di nuovi documenti (Cass., sez. 5, 21/01/2009 n. 1464), in generale nel processo tributario di appello le parti possono produrre qualsiasi documento, pur se già loro disponibile in precedenza (Cass., sez. 6-5, 6/11/2015, n. 22776), e tale principio opera anche nell’ipotesi di deposito in sede di gravame dell’atto impositivo notificato, trattandosi di mera difesa, volta a contrastare le ragioni poste a fondamento del ricorso originario, e non di eccezione in senso stretto, per la quale opera la preclusione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 (Cass., sez. 5, 4/04/2018, n. 8313).

1.3. Come chiarito dalla Corte costituzionale con la sentenza 28 luglio 2000, n. 401, in relazione all’art. 345 c.p.c., la possibilità che una attività probatoria rimasta preclusa nel giudizio di primo grado sia esperita in appello, per cui l’instaurazione del giudizio di secondo grado sia l’unico mezzo attraverso il quale quell’attività possa essere svolta, non è di per sè irragionevole, se si considera che nel giudizio di primo grado la previsione del termine per l’adempimento mira a scongiurare il prolungamento dei tempi di definizione del giudizio stesso, mentre la previsione contemplata per il secondo grado di giudizio ha il diverso fine di temperare proprio la rigida preclusione dell’attività probatoria intervenuta nel primo grado di giudizio e, quindi, costituisce una scelta discrezionale del legislatore, come tale insindacabile.

1.4. La stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 199 del 2017, pronunciando sulla questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, – sollevata dalla C.T.R. della Campania la quale ha dubitato della conformità ai principi costituzionali della facoltà di produrre per la prima volta in appello documenti di cui la parte già disponeva nel grado anteriore, sia perchè potrebbe artatamente impedire alla controparte processuale la proposizione di motivi aggiunti in primo grado e, quindi, condurre alla perdita di un grado di giudizio, con chiara compromissione del diritto di difesa, sia per disparità di trattamento tra le parti del giudizio a favore di quella che ha facoltà di produrre per la prima volta in appello documenti già in suo possesso nel giudizio di primo grado – ha ritenuto non fondate le censure.

Quanto alla presunta disparità di trattamento, ha rilevato che “tale facoltà è riconosciuta ad entrambe le parti del giudizio, cosicchè non sussistono le ragioni del lamentato sbilanciamento”.

Relativamente all’altra censura, premesso che è stato più volte chiarito che non esiste un principio costituzionale di necessaria uniformità tra i diversi tipi di processo (Corte Cost., sentenze n. 165 e n. 18 del 2000, n. 82 del 1996; ordinanza n. 217 del 2000), e, più specificatamente, un principio di uniformità del processo tributario e di quello civile (tra le altre, ordinanze n. 316 del 2008, n. 303 del 2000, n. 330 e 329 del 2000, n. 8 del 1999), ha escluso che possa ravvisarsi una compressione dell’esercizio del diritto di difesa per la perdita di un grado di giudizio, poichè la garanzia del doppio grado di giudizio non gode, di per sè, di copertura costituzionale (Corte Cost. sentenza n. 243 del 2014; ordinanza n. 42 del 2014 e 190 del 2013, n. 410 del 2007 e n. 84 del 2003).

1.5. Le argomentazioni svolte dalla Corte costituzionale impongono di ritenere che nella facoltà prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, non possa rilevarsi un vulnus nei confronti della parte diligente talmente grave da rendere illegittima sul piano costituzionale la disposizione di legge. La tutela della parte diligente viene assicurata con la previsione che l’applicazione dell’art. 58 deve essere coordinata, in ragione del richiamo operato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 61, alle norme sul processo di primo grado, con il combinato disposto degli artt. 22, 23, 24 e 32, da cui si evince che il deposito dei documenti nuovi in appello deve avvenire, alternativamente, a pena di decadenza, nel rispetto del principio di difesa e del contraddittorio, o in occasione del deposito di memorie successive e, comunque, sino a venti giorni liberi prima della data di trattazione del ricorso (Cass., sez. 6-5, 19/02/2015, n. 3361; Cass., sez. 5, 29/11/2013, n. 26741), proprio al fine di consentire alla controparte di replicare e contestare tempestivamente.

Per altro verso, la tutela della parte più diligente può trovare ulteriore considerazione in tema di determinazione delle spese di giudizio (ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, che ricomprende le spese cagionate dalla trasgressione del dovere di lealtà e di proibità – art. 88 c.p.c.) (in tal senso, Cass., sez. 5, 11/04/2018, n. 8927, in motivazione), potendo il giudice tributario valutare, a tal fine, il complessivo andamento del processo alla luce anche del comportamento tenuto dalla parte nel giudizio di primo grado, soprattutto se la produzione di documenti in appello dovesse risultare frutto di una negligenza o di un calcolo di convenienza processuale o difensiva.

1.6. Alla stregua delle considerazioni svolte, è evidente che la C.T.R. si è attenuta ai principi su esposti ai fini della decisione sulla eccepita illegittimità degli atti impositivi per assenza della notifica delle cartelle esattoriali, non potendosi escludere che la produzione in appello, da parte dell’Agente per la riscossione, delle copie degli estratti di ruolo relativi alle cartelle esattoriali con relative attestazioni di avvenuta notificazione, nonchè delle attestazioni di avvenuta notificazione degli avvisi di intimazione di pagamento, sia consentita anche alla parte rimasta contumace in primo grado, dal momento che il divieto di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, concerne solo le eccezioni in senso stretto (Cass., sez. 5, 31/05/2011, n. 12008; Cass., sez. 5, 15/06/2007, n. 14020).

1.7. Inammissibile è, invece, l’ulteriore profilo di doglianza con il quale la contribuente pretende di ritenere nuova la richiesta di riforma della sentenza di primo grado avanzata da Equitalia s.p.a. anche con riguardo alle quattro cartelle di pagamento ed all’iscrizione ipotecaria per le quali in primo grado aveva dichiarato di non avere rinvenuto documentazione comprovante la loro notifica, in quanto la ricorrente, in omaggio al principio di autosufficienza, avrebbe dovuto riprodurre in ricorso il contenuto degli atti difensivi di Equitalia s.p.a. al fine di consentire a questa Corte di valutare la doglianza.

2. Con il secondo ed il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 12, 25 e 26, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e dell’art. 140 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e violazione dell’art. 156 c.p.c. e della L. n. 892 del 1980, art. 7, censura la decisione impugnata per non avere rigettato l’appello di Equitalia Centro s.p.a. in ragione della mancata produzione delle cartelle di pagamento, da ritenersi mai notificate, con conseguente effetto invalidante sugli atti successivi (iscrizione ipotecaria e intimazioni di pagamento).

Aggiunge che i giudici di appello non hanno fatto buon governo della L. n. 892 del 1980, art. 7 e dell’art. 140 c.p.c., poichè non hanno rilevato come il Concessionario, per le notifiche che dichiarava di avere effettuato a mezzo posta ed ai sensi dell’art. 140 c.p.c., non aveva dato prova delle spedizioni delle raccomandate informative, nè prodotto le cartoline di ricevimento, a dimostrazione del perfezionamento dell’iter notificatorio.

2.1. Il primo profilo di doglianza è infondato.

2.2. Si è chiarito che, in tema di notifica della cartella esattoriale ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26, comma 1, seconda parte, la prova del perfezionamento del procedimento di notificazione e della relativa data è assolta mediante la produzione dell’avviso di ricevimento, non essendo necessario che l’agente della riscossione produca la copia della cartella di pagamento, la quale, una volta pervenuta all’indirizzo del destinatario, deve ritenersi ritualmente consegnata a quest’ultimo, stante la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., superabile solo se il medesimo dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione (così Cass., sez. 3, 7/05/2015, n. 9246; nonchè Cass., sez. 3, 27/11/2015, n. 24235).

2.3. Non si sottrae alla declaratoria di inammissibilità il secondo profilo di doglianza.

La ricorrente contesta alla C.T.R. di non avere rilevato che il Concessionario, per le notifiche effettuate sia a mezzo posta che ai sensi dell’art. 140 c.p.c., non aveva provato la spedizione delle raccomandate informative, al fine di dimostrare il perfezionamento della procedura notificatoria, e lamenta, con specifico riferimento alle cartelle indicate alle pagine 17 e 18 del ricorso, che i giudici di appello avrebbero dovuto dichiarare la nullità o comunque l’invalidità della notifica.

L’illustrazione del motivo non rispetta il principio dell’autosufficienza, in quanto in tema di ricorso per cassazione, ove sia contestata la rituale notifica delle cartelle di pagamento, per il rispetto del principio di autosufficienza, è necessaria la trascrizione integrale delle relate e degli atti relativi al procedimento notificatorio, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza in base alla sola lettura del ricorso, senza necessità di accedere a fonti esterne allo stesso (Cass., sez. 5, 30/11/2018, n. 31038; Cass., sez. 5, 28/02/2017, n. 5185).

Inoltre, la ricorrente si è limitata ad illustrare genericamente la doglianza, assumendo che, a fronte di puntuali e specifiche eccezioni fatte valere nel giudizio di merito, la C.T.R. avrebbe errato nel non rilevare che il Concessionario non aveva prodotto in giudizio le cartoline di ricevimento, al fine di comprovare la definizione dell’iter notificatorio, ma non ha riportato nel ricorso per cassazione il contenuto dei motivi dedotti nelle precedenti fasi del giudizio al fine di evidenziarne la specificità (Cass., sez. 5, 29/09/2017, n. 22880).

3. Con il quarto motivo censura la sentenza gravata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2936 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, nonchè per correlata omessa motivazione sull’eccezione di prescrizione.

Secondo la prospettazione della ricorrente, la C.T.R. si sarebbe erroneamente determinata, anzi non si sarebbe espressa, sulla reiterata eccezione di prescrizione proposta con il ricorso principale e poi con l’appello incidentale, già maturata per crediti relativi alle cartelle di pagamento di seguito indicate, essendo provato il decorso di dieci anni tra le intimazioni impugnate ed i precedenti atti interruttivi, e precisamente: 1) cartella n. 083/2001/0036225602 asseritamente notificata il 2 maggio 2001, racchiusa nell’intimazione n. ***** notificata il 14 novembre 2011; 2) cartella n. ***** asseritamente notificata il 24 ottobre 2000; 3) cartella n. ***** asseritamente notificata il 13 novembre 2001; 4) cartella n. ***** asseritamente notificata il 17 ottobre 2002, riguardanti tasse di concessioni governative, tasse automobilistiche, registro canoni abbonamenti RAI.

3.1. Il motivo è inammissibile.

3.2. Anche se dalla lettura della sentenza nella parte destinata alla descrizione dello svolgimento del processo si evince che la ricorrente ha in appello reiterato l’eccezione di prescrizione dei crediti vantati, la censura così come formulata non rispetta il principio di autosufficienza.

Al riguardo deve ricordarsi che, allorquando con il ricorso per cassazione si lamenti il mancato esame dell’eccezione di prescrizione è necessario che il ricorrente, oltre a far riferimento al momento in cui ha proposto detta eccezione ai fini della sua ritualità, specifichi – onde consentire al giudice di legittimità di valutare la decisività della sollevata questione – le condizioni ed i presupposti necessari per accertare se sia decorsa, o meno, la prescrizione fatta valere dal ricorrente che pertanto non può limitarsi a censurare genericamente la mancata pronuncia sulla sollevata eccezione da parte del giudice del gravame (Cass., 20 marzo 1999, n. 2618; Cass., sez. L, 7/10/2014, n. 21083).

3.3. Nel caso di specie la ricorrente si è limitata a richiamare le cartelle di pagamento in ordine alle quali è stata sollevata l’eccezione di prescrizione e ad assumere il decorso del termine di dieci anni tra le intimazioni impugnate e gli atti interruttivi, tralasciando tuttavia di specificare il tenore della eccezione e di individuare i presupposti necessari per verificare la eventuale fondatezza dell’eccezione.

4. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Nulla deve disporsi in merito alle spese del giudizio di legittimità, in difetto di attività difensiva della intimata.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2021

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