LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –
Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6847/2015 proposto da:
L.A., e T.L., rappresentati e difesi dall’Avvocato MAURO GADALETA, ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Curzio Cicala, in ROMA, VIA BOCCA di LEONE 78;
– ricorrente e controricorrente all’incidentale –
contro
P.D., titolare dell’omonima Impresa edile, rappresentato e difeso dall’Avvocato ANTONIO GUANTARIO, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in ANDRIA, VIA FIRENZE 37/b;
– resistente e ricorrente in via incidentale –
avverso la sentenza n. 1/2016 della CORTE d’APPELLO di BARI depositata in data 08/01/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4/12/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso principale; per il rigetto del terzo motivo di ricorso principale; nonché per il rigetto del ricorso incidentale;
udito l’Avv. FORTUNATO FRANCESCO MIRIGLIANI, per delega dell’Avv. MAURO GADALETA per i ricorrenti, che ha concluso come in atti.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione, notificato in data 23.10.1996, L.A. e T.L. convenivano in giudizio P.D., titolare di un’impresa di costruzioni corrente in *****, per far dichiarare la risoluzione, per suo grave inadempimento, del preliminare di compravendita stipulato inter partes in data 5.1.1995, avente ad oggetto un appartamento ubicato all’interno di uno stabile sito in *****, con annesso posto auto, e con restituzione della somma di Lire 230.000.000, oltre IVA, già versata al promittente venditore e pagamento di una penale di Lire 50.000.000 per l’inadempimento medesimo.
Si costituiva in giudizio P.D., il quale denunciava l’inadempimento dei promittenti acquirenti per non aver essi provveduto a stipulare il contratto definitivo e versare il residuo prezzo, dopo avere essi stessi chiesto di differire la stipula definitiva. Pertanto con domanda riconvenzionale, chiedeva la condanna degli attori al pagamento sia della somma residua di Lire 3.600.000, sia di ulteriori Lire 38.000.000 per lavori extra appalto pure eseguiti, sia di Lire 50.000.000 per penale da inadempimento.
Con sentenza il Tribunale adito rigettava la domanda attorea e accoglieva in parte quella riconvenzionale, con la condanna degli attori al pagamento sia della somma di Lire 38.000.000 per lavori extra appalto, sia di Lire 50.000.000 per penale da inadempimento; nel contempo ordinava però al P. la restituzione agli attori degli acconti ricevuti per l’ammontare complessivo di Lire 235.600.000 oltre interessi; infine, condannava gli attori al pagamento delle spese giudiziali nella misura di Lire 21.422.700, oltre accessori.
Contro la sentenza proponevano appello i coniugi L. e T., contestando la loro responsabilità esclusiva nel determinare la mancata esecuzione del contratto definitivo di compravendita, sulla quale si era fondata la sentenza impugnata, anche riguardo al pagamento della penale. Inoltre, contestavano di nulla dovere per lavori extra appalto, non dimostrati dal costruttore; e infine, deducevano l’addebito delle spese giudiziali di soccombenza, in quanto il rigetto di maggiore importanza aveva avuto a oggetto proprio la domanda riconvenzionale avversa, riguardante la pretesa del P. di trattenere l’intera somma incamerata sino ad allora (Lire 230.000.00).
Si costituiva in giudizio il P. chiedendo il rigetto di tutte le doglianze avverse; mediante appello incidentale chiedeva la condanna degli appellanti al pagamento di Lire 214.000.000, a titolo di ulteriore risarcimento del danno, pari alla differenza tra il prezzo originariamente pattuito (Lire 474.000.000) e quanto egli aveva poi potuto incassare vendendo nel 1999 sotto costo il medesimo appartamento ad altra persona (Lire 260.000.000).
L’adita Corte d’Appello rigettava entrambe le impugnazioni, condannando la parte appellante al pagamento delle spese di lite di quel grado di giudizio.
Avverso tale sentenza proponevano ricorso per cassazione i coniugi L. e T. e resisteva con controricorso il P..
Questo giudice (Cass. n. 15502 del 2011), accoglieva il ricorso principale e annullava la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Bari per nuova trattazione, sull’aspetto centrale della controversia, concernente l’individuazione del soggetto inadempiente; in ogni caso, dichiarava improponibile la domanda di pagamento proposta dal P. per i lavori extra appalto, osservando che non poteva logicamente pretendersi dai promittenti acquirenti la esecuzione di obbligazioni accessorie rispetto all’obbligazione principale del pagamento del prezzo originariamente pattuito, poiché lo stesso contratto principale era stato comunque risolto per inadempimento.
I coniugi L. e T. riassumevano la causa innanzi alla Corte d’Appello di Bari. Si costituiva il P., chiedendo il rigetto dell’avversa impugnazione.
Con sentenza n. 1/2016, depositata in data 8.1.2016, la Corte d’Appello di Bari accoglieva il gravame e condannava il P. al pagamento della somma di Lire 25.822,00, oltre interessi legali dal 23.10.1996 all’effettivo soddisfo; rigettava le domande riconvenzionali proposte dal P. per il pagamento di Euro 121.677,00, nonché per il pagamento di Lire 38.834.430; condannava il P. alla restituzione di quanto eventualmente ricevuto dai coniugi L. e T. a titolo di pagamento di lavori extra capitolato, con interessi legali dal giorno della ricezione della somma al soddisfo; condannava il P. al pagamento delle spese di lite del grado di appello, dei giudizi davanti al Tribunale e alla Suprema Corte, nonché alla restituzione di tutte le spese di lite eventualmente già percepite in esecuzione dei relativi capi di condanna pronunciati dal Tribunale e dalla Corte d’Appello; oltre interessi legali dal giorno di ricezione della somma al soddisfo.
In particolare, la Corte territoriale riteneva che lo scenario probatorio complessivo mostrava da un lato che i coniugi fossero stati adempienti nel pagare gli anticipi, mentre il costruttore fosse inadempiente per non essere pronto a consegnare l’appartamento alla data del 31.8.1996 (stabilita nel preliminare per la consegna dell’appartamento), a causa della mancanza del certificato di abitabilità. Per evitare l’addebito di responsabilità, dunque, il P. avrebbe dovuto dimostrare il pentimento dei coniugi di avere stipulato il preliminare oppure la scarsa importanza dell’inadempimento. Secondo la Corte di merito non sussistevano prove concrete univoche a dimostrazione dell’assunto che fossero gli stessi coniugi a ritardare artatamente l’ultimazione dei lavori, ovvero che essi avessero tradotto in comportamenti concreti un loro pentimento negoziale concernente quell’appartamento.
Riteneva il Giudice di secondo grado che i L. e T. (i quali, tra l’altro, avevano chiesto al P. di acquistare un box auto nel settembre 1996 e cioè dopo la scadenza del 31.8.1996, mostrando così ancora interesse all’acquisto) non fossero inadempienti, poiché non tenuti a stipulare un acquisto senza il certificato di abitabilità, la cui mancanza era fattore di grave inadempimento del P., per cui non si poteva configurare la fattispecie di cui all’art. 1455 c.c.. Era da rigettare la domanda riconvenzionale relativa a un preteso danno extracontrattuale del P. essendo inammissibile, dal momento che non risultava nella comparsa di costituzione; nonché la domanda riconvenzionale relativa ai lavori extra capitolato, in quanto preclusa da quanto stabilito dalla Suprema Corte.
Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione L.A. e T.L. sulla base di tre motivi. Resiste il P. con controricorso e ricorso incidentale sulla base di quattro motivi; cui a loro volta resistono i ricorrenti con controricorso al ricorso incidentale. Le parti hanno depositato memorie scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. – Va esaminato per primo il ricorso incidentale, che ha priorità logica e giuridica rispetto a quello principale, in quanto attinente a questioni preliminari di merito (Cass. n. 9598 del 2007).
Nel giudizio di cassazione, infatti, il ricorso incidentale non condizionato, con cui vengano proposte questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito la cui decisione, secondo l’ordine logico e giuridico, debba precedere quella del merito del ricorso principale, va esaminato con priorità rispetto a quest’ultimo, indipendentemente dalla rilevabilità d’ufficio delle questioni proposte (profilo, questo, che riveste importanza preminente in caso di ricorso incidentale condizionato allo scopo di superare la volontà della parte di subordinare l’esame della propria impugnazione all’accoglimento del ricorso principale); ciò, poiché l’interesse all’impugnazione sorge per il solo fatto che il ricorrente incidentale è soccombente sulla questione pregiudiziale o preliminare decisa in senso a lui sfavorevole, così da rendere incerta la vittoria conseguita sul merito dalla stessa proposizione del ricorso principale e non già dalla sua eventuale fondatezza (Cass. n. 23271 del 2014).
Peraltro, alla stregua del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, secondo cui fine primario di questo principio è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, assume (esso sì) natura e portata di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito. Qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale (Cass. n. 4619 del 2015; Cass. n. 6138 del 2018).
1.2. – Costituisce principio consolidato (da ultimo Cass. n. 9156 del 2019; Cass. n. 5137 del 2019) che la riassunzione della causa innanzi al giudice di rinvio instauri un processo chiuso, nel quale è preclusa alle parti, tra l’altro, ogni possibilità di proporre nuove domande, eccezioni, nonché conclusioni diverse, salvo che queste, intese nell’ampio senso di qualsiasi attività assertiva o probatoria, siano rese necessarie da statuizioni della sentenza della Cassazione (Cass. n. 25244 del 2013). Conseguentemente, nel giudizio di rinvio non possono essere proposti dalle parti, né presi in esame dal giudice, motivi di impugnazione diversi da quelli che erano stati formulati nel giudizio d’appello conclusosi con la sentenza cassata e che continuano a delimitare, da un lato, l’effetto devolutivo dello stesso gravame e, dall’altro, la formazione del giudicato interno (Cass. n. 4096 del 2007; Cass. n. 13719 del 2006; in senso analogo, Cass. n. 13006 del 2003).
La riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio si configura, dunque, non già come atto di impugnazione, ma come attività d’impulso processuale, volta alla prosecuzione del giudizio conclusosi con la sentenza cassata (cfr. giurisprudenza costante di questa Corte: Cass. n. 25244 del 2013, cit.; cfr. Cass. n. 4018 del 2006). Ne’ va dimenticato che a tali regole si aggiunge quella secondo cui, in tema di ricorso avverso sentenza emessa in sede di rinvio, ove sia in discussione, in rapporto al petitum concretamente individuato dal giudice di rinvio, la portata del decisum della sentenza di legittimità, la Corte di cassazione, nel verificare se il giudice di rinvio si sia uniformato al principio di diritto da essa enunciato, deve interpretare la propria sentenza in relazione alla questione decisa e al contenuto della domanda proposta in giudizio dalla parte, con la quale la pronuncia rescindente non può porsi in contrasto (Cass. n. 3955 del 2018).
Altrettanto consolidato e’, inoltre, il principio secondo cui i limiti dei poteri attribuiti al giudice del rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni: nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza, infine, la sua potestas iudicandi, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (Cass. n. 17790 del 2014; conf. Cass. n. 838 del 2013; Cass. n. 13719 del 2006).
2. – Con il primo, per vero complesso, motivo di ricorso incidentale, il P. lamenta, ex: “1) “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 384 c.p.c., comma 2 e art. 393 c.p.c., in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. (giudicato interno maturato nel processo), con riferimento agli artt. 1453,1455,1457 e 2697 c.c.”; 1.1.) “Violazione del giudicato maturato sulla già decisa inesistenza di violazione di termine essenziale” (giacché la Corte di rinvio, nella parte della sentenza in cui riteneva che il termine contrattuale del 31.8.1996 fosse di natura essenziale, aveva violato il principio ex art. 384 c.p.c., comma 2 e art. 393 c.p.c., secondo il quale il Giudice del rinvio è vincolato alla decisione della Suprema Corte. La violazione del giudicato è palese se si considera che la tesi dell’essenzialità del termine era stata esclusa dalla sentenza n. 270/2005 della Corte d’Appello di Bari, la quale aveva ritenuto non esser stata provata la natura essenziale del termine in questione). “1.2. “Violazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2 e dell’art. 393 c.p.c., sotto forma di violazione e elusione del principio fissato nella sentenza rescindente, anche in relazione alla violazione del giudicato interno”” (in quanto la Corte di Cassazione aveva ritenuto che la Corte territoriale si fosse limitata a valutare la sola prova testimoniale, senza esaminare il complessivo quadro delle emergenze istruttorie rilevanti ai fini della valutazione della condotta dei ricorrenti, i quali nel chiedere la risoluzione per inadempimento, per asserito mancato rispetto del termine di consegna dell’immobile nonché di stipula dell’atto di compravendita, avevano nascosto la loro sopravvenuta volontà di non acquistare più l’appartamento e che la mancata rifinitura dell’appartamento, alla data del 31.8.1996, fosse stata causata dal comportamento dei medesimi ricorrenti, che avevano richiesto opere extra contratto e avevano perso tempo nella scelta dei materiali da utilizzare). “1.3. “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., in relazione all’art. 2697 c.c.”” (giacché il giudice del rinvio avrebbe dovuto valutare se l’inadempimento del P. fosse da ritenersi grave; laddove la mancanza del certificato di abitabilità alla data del 31.8.1996 non avrebbe comunque rappresentato un grave nocumento per gli odierni ricorrenti, in quanto l’appartamento sarebbe stato pronto per la consegna a regola d’arte di lì a non molto tempo, per cui detta mancanza sarebbe stata di scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c.).
2.1. – Il motivo non è fondato.
2.2. – Va rammentato che questa Corte (nel precedente ricorso per cassazione proposto dai coniugi L. e T., diretto ad affermare che l’inadempimento del contratto di compravendita fosse da ascrivere alla responsabilità esclusiva del P., che chiedeva il rigetto della domanda) aveva, tra l’altro, accolto il ricorso principale e conseguentemente annullato la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Bari, “per nuova trattazione sull’aspetto centrale della controversia concernente l’individuazione del soggetto inadempiente”; in ogni caso, dichiarando improponibile la domanda di pagamento al P. di lavori extra appalto, non potendo logicamente pretendersi dai promittenti acquirenti la esecuzione di obbligazioni accessorie rispetto a quella principale del pagamento del prezzo pattuito, poiché lo stesso contratto principale era stato comunque risolto per inadempimento (Cass. n. 15502 del 2011).
Correttamente, dunque, la Corte distrettuale (onde, appunto, pienamente rispettare il suddetto dictum di questo giudice di legittimità) aveva evocato anch’essa il consolidato orientamento per cui, “in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento” (Cass., sez. un., n. 13533 del 2001; ex plurimis, Cass. n. 18202 del 2020; Cass. n. 18200 del 2020).
Peraltro, tale principio comporta altresì che, nell’ipotesi di contrapposte domande di risoluzione per inadempimento, ciascuna parte per paralizzare la domanda dell’altra deve dimostrare il proprio adempimento, fermo restando che nel caso in cui nessuna abbia assolto tale onere, il giudice è chiamato a valutare i rispettivi inadempimenti comparativamente, per poi stabilire quale condotta sia stata causa efficiente della crisi del rapporto (ex plurimis Cass. n. 14314 del 2018; Cass. n. 6675 del 2018).
2.3. – Orbene, la Corte territoriale (con la qui impugnata sentenza n. 1/2016 depositata in data 8.01.2016) riteneva che lo scenario probatorio complessivo mostrasse, da un lato, che i coniugi acquirenti fossero adempienti nel pagare gli anticipi; e, dall’altro, che il costruttore fosse invece inadempiente per non essere pronto a consegnare agli acquirenti l’appartamento alla data del 31.8.1996 (stabilita nel preliminare, e intesa dalla Corte medesima quale termine essenziale), in ragione della mancanza del certificato di abitabilità.
Osservava, poi, la Corte di merito che, onde evitare l’addebito di responsabilità, il P. avrebbe dovuto dimostrare il pentimento dei coniugi di avere stipulato il preliminare, oppure la scarsa importanza dell’inadempimento; laddove non sussistevano prove concrete e univoche a dimostrazione dell’assunto che fossero stati gli stessi coniugi a ritardare artatamente l’ultimazione dei lavori, ovvero che essi avessero tradotto in comportamenti concreti un loro pentimento negoziale concernente quell’appartamento. E riteneva dunque che i coniugi L. e T. (i quali avevano chiesto al P. di acquistare un box auto nel settembre 1996 e cioè dopo la scadenza del 31.8.1996, mostrando così ancora interesse all’acquisto) non fossero inadempienti, poiché non erano tenuti a stipulare un acquisto senza il certificato di abitabilità, la cui mancanza era fattore di grave inadempimento del P., per cui (sempre a giudizio della Corte di rinvio) non si poteva configurare la scarsa importanza ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1455 c.c..
3.1. – Con il secondo motivo, il ricorrente incidentale lamenta ex “2. “Art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 116,1453,1455 e 2967 c.c., per la non corretta interpretazione e applicazione della normativa in materia di valutazione delle prove e omessa valutazione di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti””, là dove il giudice del rinvio aveva attribuito alla diffida del 31.10.1996, il contenuto di richiesta di esborso di ulteriori 230 milioni di lire e di avvenuta intimazione a concludere la compravendita, considerandola motivo di non scarsa rilevanza per risolvere il contratto, in quanto l’appartamento era privo di abitabilità; e la lettera del 31.10.1994 non invitava a pagare il saldo, ma offriva la consegna del possesso materiale dell’appartamento e chiedeva solo il pagamento delle spese extra capitolato.
3.2. – Con il terzo complesso motivo, il ricorrente incidentale deduce, ex “3. “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” (avendo evidenziato che l’interesse al contratto dei coniugi L. e T. era venuto meno non a luglio 1996, bensì a settembre 1996, e cioè dopo aver pagato gli acconti e dopo la scadenza contrattuale del 31.8.1996, quando i ricorrenti decidevano di acquistare un altro appartamento; la qual cosa costituiva un evento idoneo a radicare il grave inadempimento degli acquirenti); la 3.2. “Omessa valutazione del fatto decisivo, rinveniente dalla deposizione del teste D.T., commercialista del L.” (che, su richiesta del L., aveva telefonato al P. pregandolo di consentire alla risoluzione bonaria del contratto, avendo il L. difficoltà nel reperire i fondi necessari; là dove tale testimonianza non era considerata dalla sentenza impugnata).
3.3. – I motivi secondo e terzo, in quanto connessi, vanno congiuntamente esaminati e decisi. Essi non sono fondati.
3.4. – In primo luogo, va rilevato che, in materia di ricorso per cassazione, la formulazione (in un singolo motivo) di più profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici ed individuabili motivi di impugnazione, poiché le doglianze, anche se cumulate, devono essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza impropriamente rimettere al giudice il compito (np suo) di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (Cass. n. 6734 del 2020; Cass. n. 26790 del 2018).
Pertanto, nella enunciazione del motivo di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei ed incompatibili, facenti riferimento (come nella specie) alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione e la analisi di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto (che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma) ovvero quello del vizio di motivazione (che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione) (cfr. anche Cass. n. 26874 del 2018; conf. Cass. n. 19443 del 2011).
Ma anche a voler ritenere ammissibile il ricorso, il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, allorché esso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (cfr. Cass. sez. un. 9100 del 2015; Cass. n. 8915 del 2018), la ragione di inammissibilità, nella specie, va ravvisata nella mancata specificità del profilo riguardante l’asserito vizio di violazione e falsa applicazione di legge, così come riferito congiuntamente a plurime disposizioni del codice civile.
3.5. – Ciò premesso, va rilevato (con riguardo sempre al profilo attinente alla censura di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa. Viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie). Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2016).
Risulta, quindi, inammissibile la deduzione di errori di diritto individuati (come nella specie) per mezzo della mera indicazione delle norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016).
3.6. – Quanto poi al profilo attinente alle censure riferite alla violazione del parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, costituisce principio consolidato di questa Corte che il novellato paradigma (applicabile ratione temporis nella formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012) consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. sez. un. 8053 del 2014; cfr. Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017).
Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente incidentale avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Ma, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non v’e’ alcuna idonea e specifica indicazione.
3.7. – Sotto altro profilo, va rilevato che l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016). Spettano dunque al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, per cui è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il Giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo Giudice (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013; Cass. n. 1554 del 2004).
3.8. – E’ allora facile rilevare che le censure formulate nel motivo in esame si sostanziano, viceversa, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto emerse nel corso del procedimento, cosi mostrando la ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018).
Come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018), giacché la valutazione del materiale probatorio (in particolare del corredo testimoniale) operata dalla Corte d’appello è sorretta da argomentazioni logiche e coerenti tra loro, con motivazione sufficiente e non contraddittoria.
4. – Con il quarto motivo, il ricorrente incidentale censura la “4. “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – Violazione dell’art. 112 c.p.c. (violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato). Violazione degli artt. 343 e 345 c.p.c.”” (Quanto alla domanda risarcitoria riconvenzionale avanzata dal P. per ottenere il risarcimento di un danno extracontrattuale, risultante dalla differenza tra il prezzo convenuto nel preliminare con i ricorrenti e il prezzo di vendita realizzato alcuni anni dopo, il Giudice del rinvio la dichiarava inammissibile, ritenendo che fosse stata riproposta tardivamente in forma di appello incidentale anche nel giudizio di rinvio, mediante la comparsa conclusionale di replica).
4.1. – Il motivo non è fondato.
4.2. – La domanda riconvenzionale (formulata in primo grado sotto l’aspetto di risarcimento del maggior danno per avverso inadempimento) venne ritenuta infondata dal Tribunale di Trani e rigettata, giacché il Giudice di primo grado riteneva che il c.d. maggior danno dovesse essere compreso nella penale. Solo con il primo controricorso incidentale il P. modificava la domanda, richiedendo il risarcimento del danno derivante da responsabilità extracontrattuale.
La domanda non venne esaminata dalla Corte di Cassazione la quale, accogliendo il primo motivo di ricorso, rimetteva al Giudice di rinvio l’esame dell’intera controversia nella quale la difesa del P. si costituiva tardivamente al momento della precisazione delle conclusioni, per cui la detta riconvenzionale deve essere ritenuta tardiva. Pertanto, la domanda riconvenzionale relativa al maggior danno, preteso per responsabilità contrattuale, è ormai inammissibile in quanto rigettata dai precedenti Giudici di merito e non più riproposta, avendo il P. nel precedente di ricorso per Cassazione ritenuto di formulare una domanda di risarcimento danni per responsabilità extracontrattuale.
5. – Passando al ricorso principale, occorre preliminarmente rilevare che (quanto alla “inammissibilità del ricorso principale, per omessa completa indicazione dei documenti invocati, per mancata indicazione al giudice di legittimità del luogo in cui si trovano”‘ detta indicazione appare nella specie inutile, in quanto effettuata dai ricorrenti e allegata a I ricorso.
6. – Con il primo motivo di ricorso principale, i ricorrenti lamentano la “Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, con riferimento agli artt. 112,91 e 389 c.p.c., con riguardo alla carenza assoluta di motivazione e di statuizione relativamente alla domanda che concerneva la restituzione delle somme corrisposte dai ricorrenti dopo la sentenza di primo e secondo grado e in particolare la restituzione della penale e delle spese vive dei tre gradi di giudizio, nonché delle spese e competenze del giudizio di appello n. 1358/2002 svoltosi in precedenza davanti alla Corte d’Appello di Bari”. I ricorrenti osservavano che in sede di rinvio avevano richiesto, oltre alla riforma della pronuncia nel merito con addebito della responsabilità della risoluzione del contratto a carico del P., la restituzione delle somme per sorte capitale (lavori extra contratto, penale oltre accessori e maggior danno) e spese legali dei due gradi precedenti e del giudizio di legittimità corrisposte in seguito alle due pronunce di merito che avevano avuto per loro esito negativo.
6.1. – Il motivo va accolto.
6.2. – Il vizio di omessa pronuncia implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (Cass. n. 13866 del 2014). Inoltre, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione (Cass. n. 24553 del 2013).
I ricorrenti in sede di rinvio richiedevano, oltre alla riforma della pronuncia nel merito con addebito della responsabilità della risoluzione del contratto a carico del P., la restituzione delle somme per sorte capitale (lavori extra contratto, penale oltre accessori e maggior danno) e spese legali dei due gradi precedenti e del giudizio di legittimità corrisposte in seguito alle due pronunce di merito che avevano avuto per loro esito negativo. La Corte d’Appello ometteva di statuire su detta domanda di restituzione senza alcun motivo. Il Giudice di secondo grado, pur riconoscendo agli odierni ricorrenti la penale per l’inadempimento del P., non affrontava in alcun modo il tema della restituzione della penale e dei relativi accessori corrisposti dai medesimi ricorrenti e che quindi essi avevano diritto a ripetere. Allo stesso modo, quanto alla restituzione delle spese dei precedenti gradi di giudizio, la Corte di merito non provvedeva alla liquidazione e condanna delle spese vive del giudizio di primo grado, del primo giudizio di legittimità e del giudizio di rinvio. Identica sorte subivano sia le spese vive che le competenze del precedente giudizio di appello (sentenza n. 270 del 2005).
7.1. – Con il secondo motivo, il ricorrenti principali, deducono la “”Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, con riferimento al punto della sentenza nel quale la Corte di merito assumeva una pronuncia dubitativa in relazione al capo della domanda con il quale i ricorrenti richiedevano la restituzione delle somme corrisposte per i c.d. lavori extra contratto, dei relativi accessori e per le stesse spese e competenze corrisposte per i primi due gradi di giudizio”.
7.2. – Il motivo è fondato.
7.3. – La Corte di rinvio affermava dubitativamente che potesse essere accaduto che nelle more (cioè prima della sentenza di annullamento della Suprema Corte) il P. avesse ottenuto il pagamento delle somme relative ai lavori extra contratto e delle somme concernenti le spese e competenze di causa dei precedenti gradi, in merito alle quali il P. doveva restituire quanto corrispostogli. Mentre, quanto a penale, accessori e spese vive (oggetto del primo motivo) la Corte territoriale non li teneva minimamente in considerazione, con riferimento alle spese extra contratto e alle spese dei primi due gradi di giudizio, la Corte medesima assumeva una pseudo motivazione perplessa e incomprensibile (sentenza impugnata, pagg. 10-11). I ricorrenti principali sottolineavano che – come risulta da missiva del difensore d”el resistente – il controricorrente aveva trattenuto gli importi stabiliti dalla sentenza di primo grado, restituendo la differenza non spettantegli (in quanto non riconosciuta dal Giudice di primo grado e da quelli successivi). Invece, le somme dovute per le spese del secondo grado risultavano da missive inviate a mezzo raccomandata dal difensore dei ricorrenti e comunque esse non erano state contestate dal P. che così aveva ammesso di averle ricevute. Sicché la Corte d’Appello non liquidava l’importo che era stato restituito né motivava in alcun modo.
8. – Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano la “”Violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c. e art. 1224 c.c., comma 2, con riferimento al capo della domanda dei ricorrenti, i quali chiedevano la condanna del P. al riconoscimento degli interessi e del maggior danno da svalutazione sulla somma di Euro 81.732,25"”; il suddetto importo ricevuto dal P. (che si giovava senza titolo della disponibilità del rilevante importo) era stato trattenuto dal 1995 al maggio 2002.
8.1. – Il motivo è fondato.
8.2. – Una volta che il P. era stato condannato alla restituzione delle somme ricevute in eccesso, in forza della sentenza del Tribunale di Trani, nessun riconoscimento di interesse è stato effettuato a favore dei ricorrenti principali, e tanto meno nessun riconoscimento del maggior danno da svalutazione. Sicché, anche l’attuale Giudice di rinvio non risulta abbia esaminato tale domanda senza motivazione alcuna.
9. – Va dunque accolto il ricorso principale e rigettato quello incidentale; va cassata la sentenza impugnata e rinviata alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio. Va emessa altresì la dichiarazione ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale dell’importo a titolo di contributo unificato pari al doppio di quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 4 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2021
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