LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. NICASTRO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3077/2014 R.G. proposto da:
G.A.C., rappresentata e difesa dall’Avv. Pietro Antonio Biancato e dall’Avv. Francesco d’Ayala Valva, con domicilio eletto in Roma, viale Parioli, n. 43, presso lo studio di quest’ultimo;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di *****, in persona del Direttore pro tempore, con sede in *****;
– intimata –
e contro
Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di *****, Ufficio controlli, in persona del Direttore pro tempore, con sede in *****;
– intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 218/67/12 depositata il 10 dicembre 2012.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 ottobre 2020 dal Consigliere Giuseppe Nicastro.
RILEVATO
che:
sulla base delle informazioni fornite, ai sensi della Dir. 19 dicembre 1977, n. 77/799/CEE, dall’autorità competente di un altro Stato membro dell’Unione Europea, dalle quali sarebbe emerso che G.A.C. era l’effettivo possessore delle disponibilità finanziarie della Fondazione Pippo, costituita nel ***** il ***** dal marito B.G. (poi deceduto nel *****) e, in particolare, della somma di CHF 6.839.948,15, equivalenti a Euro 4.528.207,60, risultante dalla “contabile bancaria” al 31 dicembre 2001 relativa al conto intestato alla suddetta fondazione, l’Agenzia delle entrate notificò alla stessa G.A.C. un avviso di accertamento con il quale, in riferimento all’anno d’imposta 2001, accertò, ai fini dell’IRPEF e delle Addizionali regionale e comunale all’IRPEF: 1) un reddito non dichiarato di Euro 4.528.207,60, corrispondente alle menzionate disponibilità finanziarie; 2) un reddito di capitale di Euro 194.835,19, determinato, in base alla presunzione di fruttuosità delle stesse, applicando a esse il tasso ufficiale medio di sconto del 4,3027% vigente nel 2001;
l’avviso di accertamento fu impugnato davanti alla Commissione tributaria provinciale di Bergamo (hinc anche: “CTP”) che rigettò il ricorso della contribuente;
avverso tale pronuncia, G.A.C. propose appello alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia (hinc anche: “CTR”), che lo rigettò con la motivazione che: a) “l’Amministrazione finanziaria italiana non ha (…) acquistato le informazioni da un funzionario infedele che ne era venuto in possesso con la frode, ma ha ricevuto la documentazione bancaria posta a base dell’avviso di accertamento impugnato attraverso l’attività di cooperazione internazionale e di scambio di informazioni espressamente prevista dal Trattato istitutivo della Comunità Europea, art. 280, paragrafo 3, e dalla Dir. comunitaria 19 dicembre 1977, n. 77/779/CEE, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette. Ne consegue che il processo tributario è fondato su prove legittime, acquisite nella piena osservanza della legalità internazionale e nazionale”; b) “fila decisione deve essere confermata anche nella parte in cui, in mancanza di prove utilizzabili in questa sede ai fini della dimostrazione di una preesistenza del patrimonio posseduto all’estero, esso deve essere considerato come prodotto nell’anno 2001 nell’entità risultante dalla contabile bancaria recante una disponibilità al ***** di franchi svizzeri 6.839.948,15 per un controvalore di Euro 4.528.207,60 (allegato 7 all’avviso di accertamento). In particolare dal “protocollo visitatori” del ***** relativo alla costituzione della Fondazione Grandet, poi denominata Pippo, (allegato 2a) non risulta che essa disponesse di detti fondi sin dal momento della costituzione, poiché in tale atto si afferma esplicitamente che i fondi saranno costituiti con trasferimenti di denaro proveniente dai due conti correnti esistenti presso la stessa banca e con la dotazione di 20 chilogrammi d’oro, da consegnarsi con la successiva visita programmata per il 9.10.2008, collocati in una cassetta di sicurezza al portatore a favore della Fondazione. La copia dell’estratto conto della Fondazione al *****, prodotto dalla ricorrente quale allegato 3 della memoria illustrativa depositata nel giudizio di primo grado non è suscettibile di utilizzazione ostandovi il disposto del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 comma 3. Dall’avviso di accertamento impugnato risulta che, prima dell’emissione dell’atto impositivo, la ricorrente ha ricevuto tre inviti a comparire per fornire delucidazione circa la mancata compilazione del Modello RW per gli investimenti detenuti all’estero, ed ogni volta la parte ha dichiarato di non aver mai posseduto fondi o disponibilità detenute all’estero. In particolare tale dichiarazione è stata ribadita nel terzo incontro del ***** allorché i funzionari dell’ufficio hanno mostrato alla ricorrente tutta la documentazione riguardante la Fondazione Grandet/Pippo allegata all’avviso di accertamento (pag. 6 avviso), quindi anche la contabile bancaria del ***** attestante le disponibilità possedute nell’anno 2001. Ne deriva la inapplicabilità della causa di giustificazione della produzione tardiva prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, u.c., sia perché la documentazione non è stata allegata all’atto introduttivo del giudizio, come richiesto dalla norma, bensì ad una successiva memoria, sia per la insussistenza di una causa non imputabile alla ricorrente ostativa all’applicazione della preclusione, atteso che sin dal citato contraddittorio del ***** la parte era stata informata del fatto che l’Ufficio le attribuiva disponibilità finanziarie all’estero formatesi nel 2001, sia perché, contrariamente a quanto affermato nella memoria e nell’atto di appello, la ricorrente ha sempre avuto piena disponibilità del patrimonio finanziario della fondazione e pieno accesso alla relativa documentazione. La circostanza che, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, la ricorrente fosse l’effettivo possessore di disponibilità finanziarie detenute all’estero attraverso l’interposizione della Fondazione Pippo, risulta provato dalle dettagliate motivazioni contenute nella sentenza appellata che qui si intendono richiamate; ad esse occorre aggiungere le ulteriori circostanze risultanti dall’avviso di accertamento: “dal “protocollo visitatori” risulta che alla costituzione della Fondazione è presente B.G. unitamente alla moglie G.A.C. e nel documento si afferma che “su consiglio degli avvocati per ogni eventualità (qualora si abbia evidenza che la costituzione della fondazione è avvenuta attraverso la dazione di soldi non tassati) per ogni dazione di beni sono redatte due quietanze: una al portatore a nome di B.G. per il 50% dei beni apportati; una al portatore a sua moglie G.A. ugualmente al 50%; l’appellante ha sottoscritto tra il 1998 e il 2002 molteplici distinte di prelevamento di denaro contante dal conto bancario collegato alla Fondazione (all. 8 all’avviso di accertamento)”; c) “(l)a sentenza appellata ha correttamente ritenuto l’applicabilità nel caso in esame della proroga biennale dei termini per l’accertamento prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 10, per escludere la quale sarebbe stato necessaria la presentazione da parte dell’interessata di un’stanza di condono avente ad oggetto i redditi o gli imponibili conseguiti all’estero a norma della L. n. 289 del 2002, art. 8 comma 5. Il raddoppio dei termini per l’accertamento previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, comma 3, è legittimo perché è stata sottratta alla tassazione l’intero importo posseduto all’estero attraverso l’interposizione della Fondazione, con conseguente superamento della soglia di punibilità prevista dalla L. n. 74 del 2000, art. 4; il presupposto per il raddoppio dei termini è costituito dalla sussistenza di una situazione comportante l’obbligo di denuncia per uno dei reati tributari previsti dalla citata legge, non occorrendo che vi sia accertamento giudiziale della penale responsabilità della persona denunciata”;
avverso tale sentenza della CTR – depositata in segreteria il 10 dicembre 2012 e non notificata – ricorre per cassazione G.A.C., che affida il proprio ricorso, notificato il *****, a ventinove motivi;
l’Agenzia delle entrate, con sede in Roma, resiste con controricorso;
l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Bergamo e l’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Bergamo, Ufficio controlli, non hanno svolto attività difensiva.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la violazione del combinato disposto del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, e art. 112 c.p.c., “in relazione alla questione della illiceità ab origine dei dati fondanti l’accertamento”, atteso che la CTR – con l’affermare che “il processo tributario si fonda su prove legittime” perché la documentazione posta a fondamento dell’avviso di accertamento impugnato era stata acquisita dall’amministrazione finanziaria mediante uno scambio di informazioni ai sensi della Dir. n. 77/779/CEE – ha “solo apparentemente affrontat(o) e motivat(o)” sulla questione, sollevata nel ricorso introduttivo e riproposta nel ricorso in appello, dell’acquisizione ab origine illecita di detta documentazione, in quanto illecitamente sottratta alla banca che ne era depositaria in Liechtenstein da un funzionario infedele;
con il secondo motivo – proposto in via subordinata al primo – la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l'”omesso esame circa un fatto decisivo, concernente l’acquisizione illecita ab origine dei dati fondanti l’accertamento, oggetto di giudizio”, per avere la CTR omesso di esaminare il fatto “notorio”, dedotto sia nel ricorso introduttivo sia nel ricorso in appello e non contestato dall’Agenzia delle entrate, dell’acquisizione illecita ab origine della documentazione posta a fondamento dell’avviso di accertamento impugnato in quanto illecitamente sottratta alla banca che ne era depositaria in Liechtenstein da un funzionario infedele, circostanza, questa, decisiva, perché tale da comportare l’inutilizzabilità di detta documentazione e, di conseguenza, l’illegittimità dell’avviso di accertamento che su di essa esclusivamente si fondava;
con il terzo motivo – proposto sempre in via subordinata al primo motivo – la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 31-bis e 32, dell’art. 6 CEDU, e dell’art. 111 Cost., degli artt. 2,3,15,24 e 97 Cost., del Patto internazionale sui diritti civili e politici, art. 14, e della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, art. 10, “in combinata lettura” con l’art. 191 c.p.p., per avere la CTR ritenuto che il fatto che la documentazione posta a fondamento dell’avviso di accertamento impugnato fosse stata acquisita dall’amministrazione finanziaria mediante uno scambio di informazioni ai sensi della Dir. n. 77/779/CEE, comportasse che “il processo tributario (era) fondato su prove legittime” (e, quindi, utilizzabili) nonostante la stessa documentazione fosse stata notoriamente e pacificamente acquisita illecitamente ab origine, tenuto conto che l’utilizzazione di “dati sensibili”, quali quelli che figuravano nell’anzidetta documentazione, di “fonte illecita di provenienza (estera)”, si pone in contrasto con l’art. 3 Cost., (“concretando una irrazionale disparità di trattamento tra la procedura di acquisizione dei dati bancari in ambito nazionale (soggetta alle garanzie della legalità) e la procedura di acquisizione dei dati bancari provenienti dall’estero”), con “il coacervo di principi espressi dall’art. 97 Cost., e, con esso, i valori costituzionali protetti dalla circolazione “blindata” del dato bancario e del dato sensibile, ex plurimis artt. 2,3 e 15 Cost. “, con l’art. 97 Cost. (“laddove il dogma della legalità (…) non può coesistere con un’azione dello (Stato), in piena corresponsabilità se del caso con altri Stati Ce, nell’acquisire immediatamente o mediatamente i dati sensibili da soggetto non autorizzato alla diffusione”) e con gli artt. 24,111,53 e 97 Cost. (“laddove la interpolazione del dato bancario e sensibile, proveniente da soggetto non autorizzato, non ne garantisce l’attendibilità, non garantendo, quindi, il perseguimento della verità, né il diritto di difesa”) e tenuto altresì conto del diritto a un giusto processo sancito dall’art. 6 CEDU, e dall’art. 111 Cost.;
con il quarto motivo – proposto in via subordinata al terzo motivo, per il caso in cui “si ritenga che i dati bancari solo perché provenienti dall’estero possano non rispettare le procedure legali di acquisizione nazionali, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, essendo sufficiente il mero richiamo alla Direttiva sullo scambio di informazioni” – la ricorrente solleva questioni di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31-bis, per contrasto con: a) l’art. 3 Cost., (“non garantendo il rispetto del principio di razionalità della norma con riferimento ad un sistema interno fondato sulla legalità dell’agire dell’A. F.; nonché il rispetto di non discriminazione tra soggetti accertati sulla base di documenti bancari e sensibili acquisiti mediante il canale legittimo di acquisizione ab origine, se nazionale; e soggetti accertati sulla base di documenti bancari e sensibili di provenienza illegitima ab origine, o comunque incerta, se acquisiti tramite canale comunitario”); b) “il coacervo di principi espressi dall’art. 97 Cost., e, con esso, i valori costituzionali protetti dalla circolazione “blindata” del dato bancario e sensibile sul piano interno, (ex plurimis artt. 2,3 e 15 Cost.)”; c) l’art. 97 Cost. (“laddove il dogma della legalità (…) non può coesistere con un’azione dello (Stato), in piena corresponsabilità se del caso con altri Stati Ce, nell’acquisire immediatamente o mediatamente i dati sensibili da soggetto non autorizzato alla diffusione”); d) gli artt. 24,111,53 e 97 Cost. (“laddove la interpolazione del dato bancario, proveniente da soggetto non autorizzato, non ne garantisce l’attendibilità, non garantendo, quindi, il perseguimento della verità, né il rispetto del diritto di difesa e di una effettiva tutela giurisdizionale del contribuente”);
con il quinto motivo – proposto “laddove, in subordine, (la) Corte ritenga che il Collegio abbia inteso schermare, con il richiamo alla Direttiva, qualisivoglia onere per l’A. F. di contestare il rilievo del contribuente, ovvero provare, contra, la legittimità della filiera di acquisizione dei dati” – la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2696 c.c., in combinato disposto con il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31-bis, e con la Dir. n. 77/799/CEE, art. 7, “e successive modificazioni”, “in combinata lettura” con l’art. 111 Cost., e con l’art. 6 CEDU, per avere la CTR “affermato che il richiamo ad una mera Direttiva valesse a secretare l’origine dei dati, legittimandone ex se l’acquisizione, senza alcuna incombenza a carico dell’Ufficio”, gestendo così scorrettamente il principio dell’onere della prova, atteso che, “al fine di garantire il diritto effettivo alla difesa del contribuente, ai sensi dell’art. 111 Cost., ed art. 6 Cedu, in un giudizio afferente un recupero d’imposta e l’irrogazione contestuale di sanzioni amministrative, fondato su documenti, che il contribuente rilevi (per fatto notorio) rinvenienti da un illecito ab origine e quindi inutilizzabili, spetta all’Amministrazione finanziaria – unico soggetto ad avere la disponibilità della prova della filiera di acquisizione dei dati – contestare e dimostrare in giudizio la legittimità ab origine della provenienza dei dati posti a sostegno dell’accertamento, non essendo la stessa autorizzata né dalla norma interna, né dalla normativa comunitaria, a trincerarsi dietro l’apodittico richiamo ad una direttiva comunitaria, al fine di autolegittimare il proprio operato”;
con il sesto motivo – proposto “(s)otto ulteriore subordinato profilo, laddove si ritenga che sull’A.F. non incombesse alcun onere ex se di provare l’origine dei dati acquisiti, spettando solo al giudice ordinare il deposito dei documenti de quibus, in ragione della provenienza comunitaria degli stessi, atta a rendere necessario un preventivo vaglio giudiziale della sussistenza di una eccezione del contribuente, idonea a rendere indispensabile il deposito al fine di assicurare allo stesso il diritto di difesa” – la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, “in combinata lettura” con il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31-bis, e con la Dir. n. 77/799/CEE, art. 7, “e successive modificazioni”, per non avere la CTR autorizzato l’amministrazione finanziaria e, quindi, ordinato alla stessa, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, (e, in particolare, di tale art., comma 1), “il deposito dei documenti, attestanti la legittimità della filiera di acquisizione, previo vaglio della sussistenza in atti di una eccezione del contribuente volta a porre in discussione la legalità della procedura di acquisizione ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31 bis, con la Dir. n. 77/799/Cee, richiamato art. 7, e successive modificazioni”;
con il settimo motivo – proposto “(Un subordine, qualora si ritenga che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31 bis, possa costituire uno schermo legittimo ad inibizione di qualsivoglia onere di contestazione e prova, incombente sull’Ufficio, dell’origine legittima dei dati acquisiti” – la ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31-bis, “in combinata lettura” con la Dir. n. 77/799/CEE, art. 7, “e successive modificazioni”, per contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost., in quanto, “laddove di fatto, con il mero riferimento alla Direttiva comunitaria, sia sottratto qualsivoglia onere, per l’A.F., di contestare e provare la legittimità dell’intera filiera di acquisizione dei dati”, “(c)iò determinerebbe una inversione dell’onere stesso in capo al contribuente, lesiva del principio del “giusto processo” e, quindi, del diritto dello stesso ad una tutela giurisdizionale effettiva (..), laddove il reperimento della prova della illiceità originaria dell’acquisizione dei dati, mentre è nell’immediata disponibilità dell’A.F., risulta impossibile o eccessivamente gravosa per il soggetto accertato, tramutandosi di fatto in una denegata tutela”;
con l’ottavo motivo – proposto sempre “(Un subordine, qualora si ritenga che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31 bis, possa costituire uno schermo legittimo ad inibizione di qualsivoglia onere di contestazione e prova, incombente sull’Ufficio, dell’origine legittima dei dati acquisiti” – la ricorrente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), prospetta “questione di legittimità comunitaria del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31 bis, in combinato disposto con l’art. 2697” c.c., “in relazione alla Dir. n. 77/799/CEE, art. 7, e successive modificazioni, in combinato disposto con il Trattato CE, art. 280, ed in combinata lettura con il principi del “giusto processo” di cui all’art. 6 CEDU, nonché espressi dal Patto sui diritti civili e politici, art. 14, e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, art. 10", al fine di sapere dalla Corte di giustizia, investita della questione pregiudiziale di interpretazione, “se, ai sensi della richiamata normativa comunitaria, sia dato il mero riferimento alla Direttiva comunitaria, al fine di sottrarre l’A.F. italiana da qualsivoglia onere ed obbligo di contestazione e prova, in giudizio, della legittimità dell’intera filiera di acquisizione dei dati contestati in parte qua” oppure “se, come si ritiene corretto, le richiamate norme comunitarie deroghino espressamente a qualsiasi opponibilità della sola Direttiva ogni qualvolta si tratti di tutelare, in giudizio, la posizione particolare del soggetto accertato e sanzionato”;
con il nono motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l'”omesso esame di un fatto decisivo, circa la provenienza non tracciata dei dati, da altro Stato CE, oggetto di giudizio”, per avere la CTR omesso di esaminare “il fatto decisivo dell’assenza di qualsivoglia prova, da parte dell’A.F., che i documenti fossero giunti all’amministrazione fiscale italiana, effettivamente per via mediata di altro Stato Ce, dalla stessa neanche identificato”;
con il decimo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, in combinato disposto con la L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 25, e con gli artt. da 552 a 570 c.c., del Principato di Liechtenstein (Titolo PRG, Personen und Gesellschaftsrecht), per avere la CTR “ritenuto che la signora G. fosse la Fondazione (Pippo), ovverosia fosse il suo patrimonio, disconoscendo, quindi, la personalità giuridica conferita dalla legge (lussemburghese) all’ente de quo, invece autonomo, con propria capacità decisionale e rappresentanza verso l’esterno” e che fosse “imputabile tutto il patrimonio della Fondazione del Liechtenstein alla beneficiarla dei frutti in vita, come se i due soggetti rappresentassero un’unica ed indistinta entità”, atteso che, “laddove la volontà dell’Ente sia automaticamente imputata ad un terzo (la beneficiaria in vita dei frutti), così come quindi il patrimonio della Fondazione, (..) verrà posto in discussione l’atto stesso di costituzione della Fondazione e la personalità giuridica alla stessa conferita dalla legge, venendo allora a configurarsi una contestazione di simulazione della Fondazione, quale ente di diritto, che sarebbe volto a dissimulare (celare) l’identità di un terzo soggetto: (…) simulazione, avente ad oggetto un soggetto di diritto autonomo e, quindi, il suo patrimonio, (…) inconcepibile”;
con l’undicesimo motivo, proposto in via subordinata al decimo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, per avere la CTR motivato l’affermazione che G.A.C. era l’effettivo possessore delle disponibilità finanziarie della fondazione Pippo per relationem alla motivazione della sentenza della CTP – senza “dare contezza di aver provveduto ad un autonomo e critico vaglio del provvedimento giurisdizionale impugnato, delle doglianze della signora G., e del thema probandum” – avendo aggiunto a tale rinvio “due elementi espressi di valutazione (..) non determinanti ex se a sorreggere il decisum”;
con il dodicesimo motivo, la ricorrente denuncia, “in ulteriore subordine”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l'”omesso esame circa un fatto decisivo, concernente la inopponibilità del patrimonio della fondazione alla signora G., ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, oggetto di discussione tra le parti”, per avere la CTR omesso di considerare “i seguenti elementi di fatto e di prova”: a) “apparente (omesso) esame del “protocollo visitatori”” del *****, “”scopo: costituzione della Fondazione Grandet””, atteso che la CTR ha “solo apparentemente valutato i fatti descritti in tale protocollo”, in particolare, i fatti che: a.1) “la signora G. figurava come mera accompagnatrice del marito, in quella sede, assieme a due avvocati” (sicché “non vi era stata alcuna partecipazione della stessa alla volontà di costituire la Fondazione, nata da esigenze familiari non della stessa, ma del sig. B.”); a.2) “(i)l patrimonio della Fondazione (…) veniva costituito con fondi esclusivi del sig. B., preesistenti sui suoi conti (6/7 milioni di franchi svizzeri) e con l’apporto di 20 Kg d’oro”, dei quali ultimi il “reale titolare” era sempre il sig. B.; b) “omesso esame dell’avviso di accertamento”, dal quale risulta che “l’Agenzia delle entrate non ha mai messo in dubbio, che il fondatore esclusivo fosse il sig. B.”; c) “omesso esame dello statuto complementare, definitivo ed irrevocabile del 16 ottobre 1997” – “unico documento idoneo a svelare il definitivo assetto della Fondazione, a seguito della morte del sig. B.” – dal quale emergeva che “la signora G. non è la Fondazione e non fa parte del Consiglio; non gestisce il patrimonio, né direttamente né indirettamente, non avendone, né il possesso, né a maggior ragione la proprietà; non è la destinataria finale dello stesso, né i suoi eredi, laddove è previsto che il patrimonio sarà devoluto al WWF; può godere del beneficio, solo a far tempo dalla morte del marito, nei limiti di quanto deliberato dal Consiglio, unico soggetto avente titolo alla gestione del patrimonio della Fondazione. Prima di allora non vi era neanche alcuna previsione di beneficio a suo favore”; d) “omesso esame dell’all. 1 a) all’avviso di accertamento”, dal quale emergeva come “la composizione del Consiglio di Amministrazione (della fondazione) fosse pacificamente estranea alla signora G., assicurando la terzietà dell’organo amministrativo e rappresentativo della Fondazione”; e) “omesso esame dei fatti, decisivi, rappresentati nelle distinte di prelevamento del beneficio”, in particolare, dei fatti che tali distinte: e.1) “sono tutte successive alla morte del marito” (il che “conferma(…) che la signora G. non ha mai vantato alcun diritto sul patrimonio ma solo al beneficio, come seconda beneficiaria, nel limiti di quanto deliberato dalla Fondazione” e “vale, altresì, a smentire il collegato richiamo (irrilevante) del giudice al protocollo dei visitatori, volto ad evidenziare, a suo vedere, una linea di continuità tra la volontà di costituzione della Fondazione (attribuita senza alcuna ragione alla signora G.), la simulazione dell’Ente giuridico de quo, ed il libero accesso al patrimonio, da parte della stessa”); e.2) “recano la sottoscrizione della Fondazione” (il che “dimostra(..) ulteriormente che, nella specie, i prelievi operati dalla signora G. erano stati autorizzati dalla Fondazione, in conformità alle previsioni statutarie. Si trattava, dunque, decisamente di somme traenti il proprio titolo nel diritto al “beneficio”, così come deliberato dalla Fondazione, non già del diritto di proprietà sul patrimonio”;
con il tredicesimo motivo, la ricorrente denuncia, “sotto ulteriore profilo”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l'”omesso esame di fatti decisivi ai fini di una diversa soluzione giudiziale, in merito alla preclusione di produzione documentale, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi penultimo ed ultimo, incontestatamente idonei a dimostrare, comunque, la preesistenza del patrimonio della fondazione al *****”, in particolare, l’omesso esame dei medesimi fatti indicati in relazione al dodicesimo motivo, la considerazione dei quali, essendo essi “idonei a dimostrare che la signora G. non è la Fondazione, unico soggetto ad avere la gestione del proprio patrimonio”, avrebbe indotto la CTR a non affermare che “la ricorrente ave(va) libero accesso alla documentazione bancaria della Fondazione, come se la stessa fosse la Fondazione” e, di conseguenza, a “non applicare il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi penultimo ed ultimo, con riferimento a documenti non riguardanti, direttamente, la sfera soggettiva della signora G. e, quindi, non nella sua diretta disponibilità” (in specie, con riferimento all’estratto conto della fondazione Pippo alla data del *****);
con il quattordicesimo motivo (erroneamente indicato a pag. 114 del ricorso con il numero cardinale 13), la ricorrente denuncia, “comunque in subordine”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi penultimo e ultimo, per avere la CTR ritenuto l’applicabilità della preclusione prevista da tali disposizioni anche al caso della mancata esibizione o trasmissione di documenti “concernenti il terzo” (qui, l’estratto conto della fondazione Pippo alla data del *****), interpretazione che – aggiunge la ricorrente – non può essere accolta neppure nell’ipotesi in cui, come nella specie, solo in sede di accertamento venga contestata una “simulazione di persona, e, quindi, (la) presunta imputabilità alla contribuente del conto del terzo”, atteso che, nella fase procedimentale precedente l’accertamento, in cui era stata formulata “la domanda (…) circa la disponibilità di fondi o investimenti all’estero”, la contribuente, da un lato, “non avrebbe potuto immaginare di doversi procurare la documentazione della fondazione per tutelare la sua posizione giuridica, preventivamente, da una “accusa” di simulazione e, quindi, dimostrare la preesistenza del patrimonio della fondazione”, dall’altro lato, se avesse offerto documenti bancari della fondazione Pippo, “avrebbe alimentato, in punto di prova, l'”accusa” futura, contenuta nell’accertamento, di poter disporre della Fondazione e dell’estratto conto della stessa”;
con il quindicesimo motivo (erroneamente indicato a pag. 120 del ricorso con il numero cardinale 14), la ricorrente denuncia – “(i)n ulteriore subordine, qualora si ritenga che la norma e le sue preclusioni possa trovare applicazione nell’ipotesi di documenti non presentati in sede amministrativa riguardanti un terzo” – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l'”omesso esame di fatti decisivi, concernenti il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi penultimo ed ultimo, oggetto di discussione tra le parti”, in particolare, del fatto, risultante dall’avviso di accertamento impugnato, dell'”insussistenza”, nella fase procedimentale precedente l’emissione di esso, “di una richiesta precisa, rivolta alla signora G., di documenti specifici della Fondazione”;
con il sedicesimo motivo (erroneamente indicato a pag. 127 del ricorso con il numero cardinale 15), la ricorrente denuncia – “(Un ulteriore subordine, laddove si ritenga che il giudice abbia compiutamente accertato i fatti, intendendo confermare l’applicabilità delle preclusioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, pur in assenza di una richiesta espressa, rivolta alla signora G., di documenti ben identificati concernenti la Fondazione” – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi penultimo e ultimo, per avere la CTR “ritenuto applicabile la norma e le sue preclusioni, in relazione a documenti della Fondazione, non oggetto di richiesta specifica al contribuente”;
con il diciassettesimo motivo (erroneamente indicato a pag. 130 del ricorso con il numero cardinale 16), la ricorrente denuncia -“(s)otto altro ed ulteriore profilo, subordinato, qualora si ritenga che le questioni a precedere non siano idonee a far cassare la sentenza in punto di decisa inutilizzabilità dei documenti, perché afferenti alla sfera del terzo e perché non specificamente richiesti” – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l'”omesso esame di fatti decisivi, concernenti il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi penultimo ed ultimo, oggetto di discussione tra le parti”, in particolare, del fatto “incontestato” che l’estratto conto della fondazione Pippo al ***** era stato già prodotto in sede amministrativa, nella procedura di accertamento con adesione (fatto che, se esaminato, avrebbe dovuto indurre la CTR a “non ritenere applicabile il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, nella misura in cui la produzione del documento già in sede amministrativa avrebbe dovuto rendere la gestione dello stesso analoga a qualsivoglia altra produzione in giudizio, stante l’assoluta buona fede della contribuente nel difendersi (nel suo interesse), prima in sede amministrativa e precontenziosa, poi in sede di giudizio, tempestivamente, ovverosia immediatamente dopo che la pretesa era stata ex adverso svelata, nei suoi reali connotati, con riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3”);
con il diciottesimo motivo (erroneamente indicato a pag. 134 del ricorso con il numero cardinale 17), la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi penultimo e ultimo, per avere la CTR ritenuto l’applicabilità della preclusione prevista da tali disposizioni anche nel caso in cui il documento (nella specie, l’estratto conto della fondazione Pippo al *****) depositato in giudizio successivamente alla proposizione del ricorso introduttivo fosse stato “già consegnato in via amministrativa”, atteso che, “in tal caso, il deposito del documento assieme al ricorso introduttivo non de(ve) dirsi condizione di ammissibilità dello stesso, essendo il momento de quo il termine finale per la produzione del documento, non già momento esclusivo di producibilità”;
con il diciannovesimo motivo (erroneamente indicato a pag. 135 del ricorso con il numero cardinale 18), la ricorrente – “(i)n ulteriore subordine, nell’ipotesi di reiezione dei profili di censura concernenti la mala gestio, in punto di fatto e di diritto, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32” solleva questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi penultimo e ultimo, deducendo che tale disposizione, prevedendo l’inutilizzabilità nel processo della prova non prodotta nella fase amministrativa, si pone in contrasto con: a) l’art. 3 Cost., “essendo la preclusione alla prova de quo irrazionale e sproporzionata”, in quanto “provoca, quale effetto finale, l’impossibilità di provare di non aver commesso le contestate violazioni tributarie, e, dunque, vanificando qualsivoglia tutela giurisdizionale, si tramuta in una ulteriore sanzione indiretta, al pagamento dell’imposta, alla quale va sommata la ulteriore sanzione irrogata in ragione della violazione per cui non vi è difesa”; b) l’art. 111 Cost., “nella misura in cui, la preclusione alla prova mortifica qualsivoglia possibilità di tutela giurisdizionale effettiva, impedendo la parità di armi difensive in giudizio”; c) l’art. 111 Cost., “nella misura in cui la preclusione alla prova nega il ruolo del processo e del giudice terzo ed imparziale, equiparandoli ad un prolungamento amministrativo”; d) l’art. 24 Cost., “nella misura in cui, la sanzione indiretta correlata alla mancata produzione di documenti nel procedimento amministrativo mortifica il diritto al silenzio ed al nemo tenetur se detegere, quali corollari imprescindibili del diritto alla difesa”; e) l’art. 53 Cost., “nella misura in cui, la preclusione alla prova impedisce la ricerca della verità, quale compito affidato all’autorità giudiziaria, nel perseguimento della giusta imposizione”;
con il ventesimo motivo (erroneamente indicato a pag. 138 del ricorso con il numero cardinale 19), la ricorrente – “(i)n subordine, in ordine alla rilevata preesistenza del patrimonio della Fondazione rispetto all’anno accertato in capo alla signora G.” – denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l'”omesso esame di fatti decisivi al fine della dimostrazione della non tassabilità del patrimonio della Fondazione, quale risultante dalla contabile bancaria al *****, in ragione della preesistenza dello stesso all’anno accertato”, in particolare, dei fatti che: a) dal “protocollo visitatori” del ***** risultava che, in esso, “si trattava, non meramente e semplicemente della volontà di costituire la Fondazione (unico momento preso in considerazione dal giudice), bensì (…) si decideva del patrimonio della stessa, stabilendone, quindi, la consistenza (certa nell’an e nel quantum) ovvero che lo stesso sarebbe stato dotato dal Fondatore con fondi propri, preesistenti al ***** su due suoi conti accesi presso la BIL, della portata di 6/7 milioni di franchi svizzeri, nonché con 20 Kg d’oro” (sicché “il giudice avrebbe dovuto concludere (…) affermando la preesistenza del patrimonio della Fondazione, inteso come consistenza certa dello stesso, così come deciso dal Fondatore (sig. B.) in data *****. Ciò a prescindere dal quando del conferimento, dovendosi comunque ritenere che la Fondazione sia stata effettivamente dotata dal Fondatore, sig. B., dei 6/7 milioni di franchi svizzeri, come da “protocollo visitatori”, in tutto o in parte all’atto di costituzione o successivamente, ma di certo prima della morte dello stesso (avvenuta a ***** il *****”); b) lo stesso avviso di accertamento era “implicitamente confermativo della preesistenza del patrimonio”, atteso che, in tale atto, “l’Agenzia delle entrate ha L.) calcolato l’interesse legale, prodotto nell’anno dal patrimonio della Fondazione, ai sensi del D.L. n. 167 del 1990, art. 6, riconoscendo, quindi, la preesistenza del patrimonio, con evidente illegittima doppia tassazione, al medesimo titolo, di un patrimonio preesistente e dei suoi frutti presunti”;
con il ventunesimo motivo (erroneamente indicato a pag. 148 del ricorso con il numero cardinale 20), la ricorrente – “(i)n subordine, sotto altro e diverso profilo” – denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 218 del 1995, art. 25, e degli artt. da 552 a 570 c.c., del Principato di Liechtenstein, “anche in combinata lettura” con l’art. 14 c.c., per avere la CTR “confuso il capitale di costituzione della Fondazione con il patrimonio della Fondazione, facendone derivare l’incertezza del “quando” con riferimento all’atto di costituzione della Fondazione”, mentre il patrimonio, “rappresentando la ragion d’essere della Fondazione, può essere successivo all’atto di costituzione della Fondazione, ma di certo precedente alla morte del Fondatore”;
con il ventiduesimo motivo (erroneamente indicato a pag. 150 del ricorso con il numero cardinale 21), la ricorrente, “(s)otto ulteriore subordinato profilo”, denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., per l'”omessa pronuncia del giudice sulla questione di diritto, di cui al combinato disposto dell’art. 44 TUIR, del D.L. n. 167 del 1990, art. 6, dell’art. 53 Cost., della violazione del divieto di doppia tassazione del contribuente, al medesimo titolo di reddito di capitale nascosto al fisco, del patrimonio” della fondazione Pippo di cui all’estratto conto della stessa alla data del ***** – “quindi comprensivo dei frutti del capitale” – “e del suo frutto presunto, con conseguente illegittimità della tassazione del patrimonio”;
con il ventitreesimo motivo (erroneamente indicato a pag. 153 del ricorso con il numero cardinale 22), la ricorrente – “(i)n subordine, qualora si ritenga che il giudice si sia implicitamente pronunziato in parte qua” – denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 44, del D.L. 28 giugno 1990, n. 167, art. 6, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 1990, n. 227, e 53 Cost., “(i)llegittima tassazione del patrimonio e violazione del principio di doppia tassazione”, per avere la CTR (implicitamente) ritenuto la tassabilità dell’intero patrimonio della Fondazione Pippo (di cui all’estratto conto della stessa alla data del *****), “in presenza di una correlata tassazione dei suoi frutti” presunti;
con il ventiquattresimo motivo (erroneamente indicato a pag. 154 del ricorso con il numero cardinale 23), la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità della sentenza o del procedimento per l'”omessa pronuncia sulla inapplicabilità del D.L. 167 del 1990, art. 6, con riferimento al calcolo degli interessi sul capitale” e, più specificamente, sull’eccezione, prospettata sia nel ricorso introduttivo sia nel ricorso in appello, di “illegittimità della presunzione di interesse, calcolato ai sensi del D.L. n. 167 del 1990, art. 6, stante l’emergenza documentale (contabile bancaria della Fondazione al ***** (…) da cui si evince distintamente il calcolo dell’interesse legale prodotto dal patrimonio della Fondazione nell’anno de quo: CHF 138.906,45, pari ad Euro 91.960,57) di un interesse effettivo, tra l’altro ulteriormente già tassato assieme al patrimonio”;
con il venticinquesimo motivo (erroneamente indicato a pag. 155 del ricorso con il numero cardinale 24), la ricorrente – “(i)n subordine, qualora si ritenga che il giudice, confermando l’accertamento, si sia pronunziato in parte qua” – denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l'”omesso esame dei fatti, con riferimento all’illegittima presunzione di fruttuosità del capitale, D.L. n. 167 del 1990, ex art. 6, dinanzi all’evidenza dell’interesse legale prodotto dal patrimonio della Fondazione fino al *****, come da contabile bancaria di quest’ultima” in pari data (dalla quale risultava l’esistenza di un interesse legale effettivo di CHF 138.906,45, pari ad Euro 91.960,57);
con il ventiseiesimo motivo (erroneamente indicato a pag. 157 del ricorso con il numero cardinale 25), la ricorrente – per il caso in cui “si ritenga che il giudice si sia pronunziato in parte qua e che abbia valutato il fatto decisivo della sussistenza di un interesse legale” denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 167 del 1990, art. 6, “anche in relazione all’art. 53 Cost.”, per avere la CTR “ritenuto applicabile il meccanismo presuntivo dell’interesse legale prodotto dal capitale, pur in presenza di un interesse effettivo, tra l’altro ugualmente e parallelamente recuperato a tassazione”;
con il ventisettesimo motivo (erroneamente indicato a pag. 157 del ricorso con il numero cardinale 26), la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e/o falsa applicazione della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 10, per avere la CTR ritenuto l’applicabilità della proroga biennale dei termini di accertamento stabilita da tale disposizione nonostante la stessa ricorrente si fosse avvalsa (come non era contestato) del condono previsto dalla stessa L. n. 289 del 2002, art. 9, sulla base dell’erronea tesi che, per escludere la suddetta proroga, “sarebbe stata necessaria la presentazione da parte dell’interessata di un’istanza di condono avente ad oggetto i redditi o gli imponibili conseguiti all’estero a norma della L. n. 289 del 2002, art. 8, comma 5";
con il ventottesimo motivo (erroneamente indicato a pag. 160 del ricorso con il numero cardinale 25), la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l'”omesso esame di fatti decisivi, idonei a dimostrare l’inapplicabilità al caso di specie della proroga biennale dei termini”, in particolare, di “tutte le questioni ed i fatti già esposti nei motivi che precedono, a sostegno dell’illegittimità della pretesa fiscale”, considerato che, “se avesse correttamente valutato” tali questioni e fatti e, quindi, accertato l’illegittimità della pretesa fiscale, con la conseguenza che la stessa ricorrente “nulla avrebbe dovuto dichiarare ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 8”, la CTR “avrebbe dovuto concludere per la insussistenza di una ipotesi di proroga biennale del termine di accertamento, L. n. 289 del 2002, ex art. 10";
con il ventinovesimo motivo (erroneamente indicato a pag. 161 del ricorso con il numero cardinale 26), la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l'”omesso esame di fatti decisivi, idonei a dimostrare l’inapplicabilità al caso di specie del raddoppio dei termini da reato, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43”, in particolare: a) di “tutte le questioni ed i fatti già esposti nei motivi che precedono”, considerato che, “se avesse correttamente valutato” tali questioni e fatti e, quindi, accertato l’illegittimità della pretesa fiscale, la CTR “avrebbe dovuto concludere per il mancato raggiungimento della soglia di punibilità penale”; b) dell'”intervenuta prescrizione del reato al tempo dell’accertamento” (“con conseguente inapplicabilità della normativa sul raddoppio dei termini”);
i primi otto motivi – che, per la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – non sono fondati;
nell’affrontare la questione, sostanzialmente analoga a quella in esame, dell’utilizzazione, da parte dell’Agenzia delle entrate, dei dati della cosiddetta “lista Falciani”, Cass., 28/04/2015, n. 8605 – alla cui motivazione si qui fa integrale rinvio – ha affermato il principio, così massimato e condiviso dal Collegio, secondo cui, “(i)n tema di accertamento tributario, è legittima l’utilizzazione di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche acquisito in modo irrituale, ad eccezione di quelli la cui inutilizzabilità discende da specifica previsione di legge e salvi i casi in cui venga in considerazione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale. Ne consegue che sono utilizzabili ai fini della pretesa fiscale, nel contraddittorio con il contribuente, i dati bancari trasmessi dall’autorità finanziaria francese a quella italiana, ai sensi della Dir. 19 dicembre 1977, n. 77/799/CEE, senza onere di preventiva verifica da parte dell’autorità destinataria, sebbene acquisiti con modalità illecite ed in violazione del diritto alla riservatezza bancaria” (nello stesso senso, successivamente, Cass., 05/12/2019, n. 31779);
l’utilizzabilità, ai fini della pretesa fiscale, dei dati bancari trasmessi ai sensi della Dir. n. 77/799/CEE, “senza onere di preventiva verifica da parte dell’autorità destinataria, sebbene acquisiti con modalità illecite ed in violazione del diritto alla riservatezza bancaria”, esclude anzitutto che la CTR fosse tenuta a motivare in ordine alla questione della “acquisizione illecita ab origine” dei medesimi dati;
da ciò consegue l’infondatezza del primo e del secondo motivo;
Cass., n. 8605 del 2015, ha poi in particolare chiarito, tra l’altro, che: a) “(e)saminando il tema dell’utilizzabilità dei dati acquisiti dall’ufficio fiscale dalle autorità fiscali francesi in forza della dir. CEE 77/779, la Corte di giustizia-Corte giust., Grande Sezione, 22 ottobre 2013, causa C-276/12, – ha riconosciuto che la Dir. n. 77/799, non tratta del diritto del contribuente di contestare l’esattezza dell’informazione trasmessa e non impone alcun obbligo particolare quanto al contenuto di quest’ultima, aggiungendo inoltre che spetta solo agli ordinamenti nazionali fissare le relative norme. Ne consegue che il contribuente può contestare le informazioni che lo riguardano trasmesse all’amministrazione fiscale dello Stato membro richiedente secondo le norme e le procedure applicabili nello Stato membro interessato”; b) “l’affermazione per cui spetta al giudice nazionale, ove le informazioni rese dall’autorità fiscale di altro Paese devono essere utilizzate, valutare il valore di tali prove e sulla base delle disposizioni nazionali interne (…) esclude che la mera acquisizione di informazioni mediante lo strumento di cooperazione comunitario appena ricordato (i.e.: la Dir. n. 77/799/CEE) abbia la capacità di “purgare” gli elementi acquisiti da eventuali illegittimità o vizi, ma nemmeno contiene alcun elemento dal quale potere inferire che l’autorità fiscale interna avesse l’obbligo di controllare l’autenticità, provenienza e riferibilità della documentazione acquisita”; c) “(Un altri termini, se non può sostenersi che le modalità di acquisizione mediante strumenti di cooperazione ai fini della lotta all’evasione possano ex se rendere legittima l’utilizzabilità della documentazione trasmessa, non può nemmeno affermarsi, come invece ha ritenuto la CTR, che detti strumenti imponessero all’autorità italiana un’attività di verifica circa provenienza e autenticità della documentazione trasmessa, anche considerando che secondo la Corte di Giustizia la dir. 77/799 persegue l’ulteriore finalità di consentire il corretto accertamento delle imposte sul reddito e sul patrimonio nei vari Stati membri-Corte giust. 13 aprile 2000, causa C- 420/98, W.N., p.22-“; d) “(n)essun onere di preventiva verifica spetta dunque all’autorità destinataria della documentazione che potrà essere posta a fondamento della pretesa fiscale secondo la disciplina propria dell’ordinamento in cui la stessa viene utilizzata”; e) “(e)rronea e’, quindi, l’affermazione della CTR secondo cui era onere dell’amministrazione comprovare l’autenticità e provenienza della documentazione, non potendosi in ogni caso ipotizzare un’invalidità della documentazione sulla base di elementi previsti dalla normativa interna in tema di rogatorie internazionali”; f) “(e’) poi errata la ritenuta inutilizzabilità – che da parte della CTR – dei documenti in ragione della provenienza illecita-trafugamento dei dati bancari da parte di un ex dipendente della banca svizzera HSBC, F.H. acquisiti successivamente dall’autorità francese”; g) “(o)ccorre, anzitutto escludere qualunque diretta rilevanza ai fini del giudizio all’avviso espresso da Cass. pen. 29433 del 2013 che, in ambito penale, ha escluso la legittimazione del contribuente a chiedere la distruzione dei documenti della Lista Falciani, al cui interno si rinviene l’affermazione che detti documenti potrebbero costituire valido spunto di indagine ancorché acquisiti illegalmente, al pari degli scritti anonimi-risolvendosi in un’affermazione che trova il suo ambito all’interno della disciplina processualpenalistica”; h) “(s)i riconosce quindi, generalmente, che “…non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale comporta, di per sé, la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso ed esclusi, ovviamente, i casi in cui viene in discussione la tutela dei diritti fondamentali di rango costituzionale (quali l’inviolabilità della libertà personale, del domicilio, ecc.) – cfr. Cass. n. 24923 del 2011 -. Tale prospettiva si collega al principio per cui nell’ordinamento tributario non si rinviene una disposizione analoga a quella contenuta all’art. 191 c.p.p., a norma del quale “le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate””; i) “occorre evidenziare che non può porsi in discussione la legittimità dell’attività posta in essere dall’Amministrazione fiscale interna su impulso di quella francese in forza della dir.79/799/CEE, correttamente utilizzata nel caso di specie, anche in relazione a quanto sopra esposto”; l) i dati normativi della Dir. n. 77/799/CEE, art. 7, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31-bis, commi 4 e 5, “escludono con certezza profili di illiceità nel comportamento delle autorità fiscali che hanno contribuito all’acquisizione della documentazione posta a base della pretesa fiscale relativa all’accertamento della maggiore ripresa fiscale. In questa direzione, del resto, milita il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 47, comma 2”; m) “non può dubitarsi nemmeno della piena utilizzabilità di elementi – qui la Lista Falciani – rispetto ai quali l’eventuale illiceità si colloca a monte dell’azione dell’Ufficio fiscale (francese), essendo riferibile personalmente al Falciani. In questa direzione esistono precisi indici normativi dai quali inferire la piena utilizzabilità del materiale del quale qui si discute”; n) “infatti, tanto il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, che l’art. 41, comma 2, e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 1, prendono esplicitamente in considerazione l’utilizzo di elementi “comunque” acquisiti, e perciò anche nell’esercizio di attività istruttorie attuate con modalità diverse da quelle indicate nel D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 33, e nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51. Tali disposizioni individuano, quindi, un principio generale di non tipicità della prova che consente l’utilizzabilità – in linea di massima – di qualsiasi elemento che il giudice correttamente qualifichi come possibile punto di appoggio per dimostrare l’esistenza un fatto rilevante e non direttamente conosciuto. Ciò che trova, peraltro, un limite quando gli elementi probatori siano stati direttamente acquisiti dall’Amministrazione in spregio di un diritto fondamentale del contribuente”; o) “(via dunque sottolineato, con riferimento al caso qui esaminato, che l’eventuale responsabilità penale dell’autore materiale della lista- questione che esula dalla vicenda processuale odierna, non risultando la condotta nemmeno posta in essere in Italia (v. art. 7 c.p. (…))- e, comunque, l’illiceità della di lui condotta nei confronti dell’istituto bancario presso il quale operava non è in grado di determinare l’inutilizzabilità della documentazione anzidetta nel procedimento fiscale a carico del contribuente utilizzata dal Fisco italiano al quale è stata trasmessa dalle autorità francesi”; p) “(n)e’ l’utilizzazione, nel procedimento amministrativo volto all’accertamento di violazioni di natura fiscale, dei documenti provenienti dalla lista Falciani determina una lesione di diritti costituzionalmente garantiti del contribuente”; q) “N’attività anzidetta compiuta dell’amministrazione fiscale italiana su impulso di quella francese non si pone, considerando quanto già esposto in ordine alla base legale che giustifica l’attività della p. a., in rotta di collisione con il diritto fondamentale alla riservatezza. 6.24 In aggiunta a quanto già espresso (…), occorre rilevare che il legislatore, con la L. n. 413 del 1991, – art. 18-, ha abrogato il “cd. segreto bancario” (cfr. Cass. n. 16874/2009) (…I e, per altro verso, la sfera di riservatezza relativa alle attività che gravitano attorno ai servizi bancari è essenzialmente correlata all’obiettivo della sicurezza e al buon andamento dei traffici commerciali. Sul punto giova ricordare quanto affermato da Corte Cost. n. 51/1992, secondo la quale al “…dovere di riserbo cui sono tradizionalmente tenute le imprese bancarie in relazione alle operazioni, ai conti e alle posizioni concernenti gli utenti dei servizi da esse erogati… non corrisponde nei singoli clienti delle banche una posizione giuridica soggettiva costituzionalmente protetta, né, men che meno, un diritto della personalità, poiché la sfera di riservatezza con la quale vengono tradizionalmente i conti e le operazioni degli utenti dei servizi bancari è direttamente strumentale all’obiettivo della sicurezza e del buon andamento dei traffici commerciali. In questa direzione, del resto, si pone la Dir. n. 2011/16/UE, art. 18, che ha sostituito, a partire dall’1.1.2013, la dir.79/799 cit., a cui tenore “L’art. 17, paragrafi 2 e 4, non può in nessun caso essere interpretato nel senso di autorizzare l’autorità interpellata di uno Stato membro a rifiutare di fornire informazioni solamente perché tali informazioni sono detenute da una banca, da un altro istituto finanziario, da una persona designata o che agisce in qualità di agente o fiduciario o perché si riferiscono agli interessi proprietari di una persona”. 6.25 Ciò consente di evidenziare che i valori collegati al diritto alla riservatezza e al dovere di riserbo sui dati bancari sono sicuramente recessivi di fronte a quelli riferibili al dovere inderogabile imposto ad ogni contribuente dall’art. 53 Cost. (…). D’altra parte, sempre secondo la Corte costituzionale, “…alla riservatezza cui le banche sono tenute nei confronti delle operazioni dei propri clienti non si può applicare il paradigma di garanzia proprio dei diritti di libertà personale, poiché alla base del segreto bancario non ci sono valori della persona umana da tutelare: ci sono, più semplicemente, istituzioni economiche e interessi patrimoniali, ai quali, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, quel paradigma non è applicabile (v. sentt. nn. 55 del 1968 e 22 del 1971)” 6.26 Se a ciò si aggiunge che “…l’evasione fiscale costituisce in ogni caso una “ipotesi di particolare gravità”, per il semplice fatto che rappresenta, in ciascuna delle sue manifestazioni, la rottura del vincolo di lealtà minimale che lega fra loro i cittadini e comporta, quindi, la violazione di uno dei “doveri inderogabili di solidarietà”, sui quali, ai sensi dell’art. 2 Cost., si fonda una convivenza civile ordinata ai valori di libertà individuale e di giustizia sociale….”- v. anche Corte Cost. n. 260/2000 – è evidente che nessuna lesione di valori costituzionalmente rilevanti può paventarsi nel caso di specie.
6.27 Del resto, l’esigenza primaria ben rappresentata dall’art. 53 Cost., che si sostanzia nei doveri inderogabili di solidarietà, primo fra tutti quello di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, alla quale si associa in modo altrettanto cogente l’obiettivo di realizzare una decisa “lotta” ai paradisi fiscali illecitamente costituiti all’estero, giustifica l’utilizzabilità delle prove acquisite dall’amministrazione con le modalità qui esaminate, trovando comunque copertura nel quadro normativo sopra menzionato e senza che possa dirsi esistente nell’ordinamento interno un principio opposto a quello appena esposto – in questa direzione v., ancora, Corte costituzionale tedesca, 9 novembre 2010 2 BvR 2101/09"; r) “(n)e’ appare profilabile la lesione dell’art. 24 Cost. se si accede all’idea che il contenuto della lista costituisce semplice indizio nel processo tributario ed il giudicante di merito è tenuto a prenderlo in considerazione, pro o contro il fisco, nel quadro delle complessive acquisizioni processuali, con piena facoltà d’intervento delle difese – cfr. Cass. n. 16874 del 2009”; s) “(n)emmeno può ipotizzarsi una lesione del cd. giusto processo per come tutelato dall’art. 6 CEDU. Se, infatti, nel presente procedimento deve ritenersi applicabile tale disposizione, contro vertendosi in tema di sanzioni fiscali equiparabili a sanzioni penali secondo i cd. Engels criteria (…) va ricordato che la Corte di Strasburgo è ferma nel ritenere che l’utilizzazione di una prova acquisita illegalmente non determina ex se la lesione della CEDU. Ed invero, l’art. 6 CEDU, non disciplina espressamente le questioni relative all’ammissibilità delle prove che sono disciplinate dalla legge nazionale. In ogni caso, la Corte si riserva una verifica di compatibilità convenzionale che guarda al procedimento svolto nel suo complesso, al fine di verificare se lo stesso sia stata improntato a canoni di equità del processo – Corte dir. uomo, 26 aprile 2007, Dumitri Papescu c. Romania – ric. n. 71525/01; Corte dir. uomo, 16 dicembre 1992, Edwards c. Regno Unito – nc. n. 13071/87-, pp. 34 e 35; Corte dir. Uomo, Bernard c. Francia, 23 aprile 1998, 37, e Corte dir.uomo,21 gennaio 1999, Garcia Ruiz c. Spagna – nc. n. 30544/96 -; Corte dir. uomo, 1 marzo 2007, Heglas c. Rep. Ceca, ric. 5935/02,p. 85; id., Corte dir. uomo, 9 maggio 2003, Papageorgiou c. Grecia – ric. n. 59506/00-p. 35-. Esigenze che sono nel caso di specie ampiamente salvaguardate per le considerazioni sopra esposte”;
da tali argomentazioni – anch’esse specificamente condivise dal Collegio – consegue: 1) l’infondatezza del terzo motivo, dovendosi ritenere legittima, con riferimento, in particolare, al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 31-bis e 32, l’utilizzazione di documentazione bancaria trasmessa all’amministrazione finanziaria italiana dall’amministrazione finanziaria di un altro Stato membro dell’UE ai sensi della Dir. n. 77/799/CEE, anche qualora la stessa documentazione sia stata acquisita con modalità illecite, in particolare, in violazione del diritto alla riservatezza bancaria, dovendosi pure escludere che “l’utilizzazione, nel procedimento amministrativo volto all’accertamento di violazioni di natura fiscale, dei documenti (acquisiti, “a monte”, con modalità illecite) determin(i) una lesione di diritti costituzionalmente garantiti del contribuente”; 2) la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31-bis, sollevate con il quarto motivo; 3) l’infondatezza del quinto motivo, dovendosi escludere che l’amministrazione finanziaria, che abbia acquisito documenti bancari trasmessi dall’amministrazione finanziaria di un altro Stato membro ai sensi della Dir. n. 77/799/CEE, abbia l’onere di “contestare il rilievo del contribuente, ovvero provare, contra, la legittimità della filiera di acquisizione dei dati”; 4) l’infondatezza del sesto motivo, dovendosi altresì escludere che, qualora l’amministrazione finanziaria abbia acquisito documenti bancari trasmessi dall’amministrazione finanziaria di un altro Stato membro ai sensi della Dir. n. 77/799/CEE, il giudice debba ordinare all’amministrazione finanziaria italiana “il deposito dei documenti, attestanti la legittimità della filiera di acquisizione, previo vaglio della sussistenza in atti di una eccezione del contribuente volta a porre in discussione la legalità della procedura di acquisizione”; 5) l’irrilevanza della questione di legittimità costituzionale sollevata con il settimo motivo, atteso che, stante, come si è detto, l’irrilevanza dell’eventuale illiceità “a monte” dell’acquisizione della documentazione bancaria, nessun rilievo potrebbe avere la prova al riguardo, con la conseguenza che non è ravvisabile alcun interesse, e, quindi, alcun onere, del contribuente di provare la stessa illiceità; 6) la superfluità della proposizione della “questione di legittimità comunitaria del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31 bis, in combiato disposto con l’art. 2697”, atteso che, “(e)saminando il tema dell’utilizzabilità dei dati acquisiti dall’ufficio fiscale dalle autorità fiscali francesi in forza della dir. CEE 77/779, la Corte di giustizia-Corte giust., Grande Sezione, 22 ottobre 2013, causa C-276/12,- ha riconosciuto che la Dir. n. 77/799 non tratta del diritto del contribuente di contestare l’esattezza dell’informazione trasmessa e non impone alcun obbligo particolare quanto al contenuto di quest’ultima, aggiungendo inoltre che spetta solo agli ordinamenti nazionali fissare le relative norme. Ne consegue che il contribuente può contestare le informazioni che lo riguardano trasmesse all’amministrazione fiscale dello Stato membro richiedente secondo le norme e le procedure applicabili nello Stato membro interessato”;
il nono motivo è inammissibile;
poiché dalla sentenza impugnata non risulta che la contribuente avesse contestato che la documentazione bancaria fosse stata acquisita dall’amministrazione finanziaria di un altro Stato membro dell’Unione Europea, era onere della contribuente, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), indicare in quali atti e in quali punti degli stessi atti avesse posto tale questione, onere che la ricorrente non ha adempiuto;
in ordine logico, si deve ora esaminare l’undicesimo motivo;
esso non è fondato;
al riguardo si deve osservare, da un lato, che la sentenza impugnata riproduce puntualmente (alle pagine 1 e 2) le doglianze formulate dalla ricorrente, dall’altro lato, che la struttura della sua motivazione, oltre a essere resa legittima dall’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1, (secondo cui “(l)a motivazione della sentenza di cui al codice, art. 132, comma 2, n. 4), consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi”) – con la conseguenza che il percorso motivazionale della stessa sentenza risulta formato anche dalla motivazione della sentenza di primo grado – non consiste nel mero riferimento a quest’ultima, ma, altresì, in argomentazioni ulteriori (in particolare, “le ulteriori circostanze risultanti dall’avviso di accertamento: “dal “protocollo visitatori” risulta che alla costituzione della Fondazione è presente B.G. unitamente alla moglie G.A.C. e nel documento si afferma che “su consiglio degli avvocati per ogni eventualità (qualora si abbia evidenza che la costituzione della fondazione è avvenuta attraverso la dazione di soldi non tassati) per ogni dazione di beni sono redatte due quietanze: una al portatore a nome di B.G. per il 50% dei beni apportati; una al portatore a sua moglie G.A. ugualmente al 50%; l’appellante ha sottoscritto tra il 1998 e il 2002 molteplici distinte di prelevamento di denaro contante dal conto bancario collegato alla Fondazione (all. 8 all’avviso di accertamento)”;
il decimo motivo non è fondato;
in virtù del principio antielusivo accolto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, – il quale non permette la divergenza fra il possessore reale del reddito e quello apparente, ancorché essa derivi dall’interposizione di un terzo – quale espressione di una regola generale, desumibile dal concetto di abuso del diritto elaborato dalla giurisprudenza unionale e sotteso all’art. 53 Cost., (là dove sancisce il principio della capacità contributiva), devono essere imputati al contribuente anche i redditi formalmente intestati ad altri soggetti quando si dimostri che egli ne è l’effettivo possessore (Cass., 09/12/2009, n. 25726, 30/12/2015, n. 26057);
nessuna violazione e/o falsa applicazione di norme di legge ha pertanto commesso la CTR col ritenere, sulla base degli elementi addotti dall’amministrazione finanziaria, che i redditi in questione potessero essere solo formalmente intestati alla Fondazione Pippo e che l’effettivo possessore degli stessi potesse essere la contribuente G.A.C.;
il dodicesimo motivo è inammissibile;
le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che l’art. 360 c.p.c., comma 1, “nuovo” n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 212, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e che, pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054; nello stesso senso, successivamente, tra le tante, Cass., 27/11/2014, n. 25216, 11/04/2017, n. 9253, 29/10/2018, n. 27415);
nella specie, la ricorrente, pur denunciando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, secondo la “nuova” formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non lamenta, in realtà, l’omesso esame di fatti storici, ma denuncia l’omessa considerazione di elementi istruttori – in particolare: il “”protocollo visitatori”” del *****, “scopo: costituzione della Fondazione Grandet”, l'”avviso di accertamento”, lo “statuto complementare, definitivo ed irrevocabile del 16 ottobre 1997", l'”all. 1 a) all’avviso di accertamento” e le “distinte di prelevamento del beneficio” – con riguardo alla prova di un fatto, l’effettivo possesso delle disponibilità finanziarie della Fondazione Pippo, che, come risulta dalla sentenza impugnata, la CTR ha senza meno preso in considerazione;
pertanto, alla luce dei ricordati principi, affermati da Cass., Sez. U., n. 8053 e n. 8054 del 2014 e, successivamente, tra le altre, da Cass., n. 25216 del 2014, n. 9253 del 2017 e n. 27415 del 2018, il motivo in esame, lamentando l’omessa o erronea valutazione di elementi istruttori con riguardo a un fatto storico comunque preso in considerazione dal giudice – ancorché, in ipotesi, non dando conto di tutte le risultanze probatorie (o valutando erroneamente le stesse) non corrisponde al paradigma delineato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, invocato “nuovo” n. 5);
il tredicesimo motivo, in quanto presuppone – e lamenta anch’esso – l’omesso esame dei medesimi “fatti” di cui al dodicesimo motivo è inammissibile per le stesse ragioni che si sono esposte in relazione a quest’ultimo;
il quattordicesimo motivo non è fondato;
infatti, da un lato, poiché la CTR ha accertato che “la ricorrente ha sempre avuto piena disponibilità del patrimonio finanziario della fondazione e pieno accesso alla relativa documentazione”, il fatto che la documentazione non esibita o trasmessa riguardasse, formalmente, la Fondazione Pippo, non poteva ritenersi costituire un ostacolo all’esibizione o trasmissione di essa da parte della contribuente ricorrente (e, quindi, all’operare della preclusione prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma penultimo);
dall’altro lato, poiché la stessa CTR ha altresì attestato che “prima dell’emissione dell’atto impositivo, la ricorrente, ha ricevuto tre inviti a comparire per fornire delucidazione circa la mancata compilazione del Modello ***** per gli investimenti detenuti all’estero” e che la “dichiarazione (di non avere mai posseduto fondi o disponibilità deternute all’estero) (era) stata ribadita nel terzo incontro del 30.10.2008 allorché i funzionari dell’Ufficio hanno mostrato alla ricorrente tutta la documentazione riguardante la Fondazione Grandet/Pippo allegata all’avviso di accertamento (pag. 6 avviso) quindi anche la contabile bancaria del ***** attestante le disponibilità possedute nell’anno 2001”, ne discende che, già nella fase procedimentale antecedente all’emissione dell’avviso di accertamento, la contribuente era pienamente edotta del fatto “di doversi procurare la documentazione della fondazione per tutelare la sua posizione giuridica”;
il quindicesimo e il sedicesimo motivo – i quali, per la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – non sono fondati;
esaminando il quattordicesimo motivo, si è visto che, nell’incontro del 30 ottobre 2008, l’amministrazione finanziara mostrò alla ricorrente tutta la documentazione riguardante la Fondazione Grandet/Pippo, sicché era palese l’invito della stessa amministrazione o esibire o trasmettere documentazione, favorevole alla contribuente, specificamente riguardante tale Fondazione e, in particolare, l’origine delle disponibilità finanziarie di essa;
ciò trova piena conferma nella motivazione dell’avviso di accertamento (riprodotta dalla ricorrente alle pagine da 2 a 9 del ricorso), là dove si afferma che “(i)n data 16 ottobre la Direzione Regionale Lombardia, Ufficio Analisi e Ricerca, ha redatto un ulteriore invito, n. *****, notificato nella mani della signora G. il *****, con il quale si è richiesto alla contribuente di presentarsi entro il 30 ottobre per fornire delucidazioni circa la Fondazione Grandet successivamente denominata Pippo, l’omessa dichiarazione nel quadro RW degli investimenti esteri riconducibili a detta fondazione, si esplicita che i documenti non prodotti in sede di contraddittorio non potranno più essere successivamente accettati, si chiede alla signora di “farsi parte diligente… nell’ottica di un rapporto di collaborazione col fisco”, si fa presente che “ove il contribuente non dimostri l’origine dell’investimento, né che tale origine sia collocabile in anni non più accertabili, l’importo segnalato verrà considerato interamente prodotto quale reddito prodotto nel primo anno accertabile””;
il diciassettesimo e il diciottesimo motivo – i quali, per la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – non sono fondati;
il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi penultimo e ultimo, prevedono infatti, rispettivamente, un preciso momento in cui matura la preclusione (la scadenza del termine fissato nell’invito dell’ufficio; comma penultimo) e un unico modo per evitare l’inutilizzabilità del documento (il deposito di esso in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado, dichiarando contestualmente di non avere potuto adempiere alle richieste dell’ufficio per cause non imputabili; u.c.);
a fronte di tale inequivoche previsioni, nessun rilievo può quindi avere il fatto che la contribuente avesse prodotto il documento in sede di procedimento di accertamento con adesione, atteso che ella, ormai decaduta per non avere esibito o trasmesso il documento entro la scadenza del termine fissato nell’invito dell’ufficio, aveva come unico modo per evitare l’inutilizzabilità il deposito di esso in allegato all’atto introduttivo del giudizio di primo grado, adempimento cui non ha ottemperato;
il diciannovesimo motivo non è fondato;
le questioni di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi penultimo e ultimo, sono, infatti, manifestamente infondate;
Corte Cost., ord. n. 181 del 2007, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma penultimo, sollevata in riferimento all’at. 53 Cost., in quanto la preclusione prevista da tale comma ha natura processuale, mentre il principio di capacità contributiva, sancito dall’art. 53 Cost., ha natura sostanziale;
quanto agli altri parametri costituzionali, si deve osservare che le disposizioni di cui al del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi penultimo e ultimo, sono dirette a tutelare l’interesse pubblico all’efficacia e all’efficienza dei procedimenti amministrativi di controllo e di accertamento, il quale ha trovato esplicitazione anche nel dovere di collaborazione e buona fede del contribuente previsto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 1;
alla luce del rilievo, anche costituzionale, di tale interesse, le disposizioni de quibus non possono ritenersi né irragionevoli né lesive dei diritti di difesa (art. 24 Cost.) e a un giusto processo (art. 111 Cost.), tenuto conto, da un lato, che la preclusione opera solo se l’ufficio ne informa, contestualmente alla richiesta, il contribuente – il quale è quindi pienamente consapevole delle conseguenze della sua condotta al riguardo – e, dall’altro lato, che lo stesso contribuente, che non abbia potuto adempiere alle richieste dell’ufficio per causa a lui non imputabile, ben può depositare le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri in allegato al ricorso introduttivo;
il ventesimo motivo è inammissibile;
con esso la ricorrente, pur denunciando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, secondo la “nuova” formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) non lamenta, in realtà, l’omesso esame di fatti storici, ma denuncia l’omessa considerazione di elementi istruttori – in particolare: il “”protocollo visitatori”” del ***** e l’avviso di accertamento – con riguardo alla prova di un fatto, la preesistenza, rispetto al 2001, delle disposinibilità finanziarie in capo alla Fondazione Pippo, che, come risulta dalla sentenza impugnata, la CTR ha senza meno preso in considerazione;
pertanto, alla luce dei ricordati principi, affermati da Cass., Sez. U., n. 8053 e n. 8054 del 2014 e, successivamente, tra le altre, da Cass., n. 25216 del 2014, n. 9253 del 2017 e n. 27415 del 2018, il motivo in esame, lamentando la mancata o erronea valutazione di elementi istruttori con riguardo a un fatto storico comunque preso in considerazione dal giudice – ancorché, in ipotesi, non dando conto di tutte le risultanze probatorie (o valutando erroneamente le stesse) non corrisponde al paradigma delineato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, invocato “nuovo” n. 5);
il ventunesimo motivo è inammissibile;
con tale motivo la ricorrente denuncia che la CTR avrebbe “confuso il capitale di costituzione della Fondazione con il patrimonio della Fondazione”;
la stessa ricorrente ha però omesso di specificare quali siano le affermazioni della sentenza impugnata con le quali la CTR avrebbe operato detta “confus(ione)”;
da ciò consegue l’inammissibilià del motivo;
il ventiduesimo e il ventitresimo motivo – i quali, per la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono inammissibili;
la questione – che gli stessi motivi propongono sotto i due profili dell’omessa pronuncia (ventiduesimo motivo) e della violazione e/o falsa applicazione di legge (ventiduesimo motivo) – della violazione del divieto di doppia tassazione “al medesimo titolo di reddito di capitale nascosto al fisco, del patrimonio” della Fondazione (di cui all’estratto conto della stessa alla data del *****), “quindi comprensivo dei frutti del capitale”, “e del suo frutto presunto”, si palesa infatti come nuova, non potendosi ritenere che essa sia stata posta nel ricorso introduttivo del giudizio;
in particolare – contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente – tale questione non può dirsi posta né alla pag. 14 del ricorso introduttivo (là dove si affermava che: “e’ evidente che reddito e patrimonio non possono coincidere (mostra di condividerlo implicitamente anche la stessa Agenzia delle Entrate, laddove recupera a tassazione l’intero patrimonio ma, separatamente, ed aggiuntivamente, recupera a tassazione il reddito di quello stesso patrimonio, cosa che non avrebbe fatto se entrambi avessero costituito reddito per natura e nel senso tecnico del termine)”, né alla pag. 15 dello stesso atto (là dove si affermava che: “a) la Fondazione è stata costituita (nel 1989) con danaro già esistente e nella disponibilità del B. in Liechtenstein, b) che la somma costituente il patrimonio della Fondazione già esisteva nell’anno 1989 e quindi non può in alcun modo essere definita ricchezza novella conseguita nell’anno 2001 dalla signora G., peraltro già vedova B. nel *****, c) che la somma di CHF 6.700.961,70 era già esistente alla data del ***** (circostanza che trova conferma certa nel saldo del conto corrente della Fondazione al *****) ed alla medesima si sono aggiunti interessi effettivi per CHF 138.906,45 (questi dati sono rinvenibili nel foglio in allegato 7 all’avviso di accertamento) e che pertanto, in ogni caso, gli interessi tassabili quali reddito avrebbero dovuto essere individuati negli effettivi e documentati Euro 91.960,19 e non certamente nei presunti Euro 194.835,19 (operazione presuntiva legalmente non consentita quando dagli incarti risulta l’ammontare degli interessi effettivamente percepiti)”, atteso che tali invocati passaggi del ricorso introduttivo non fanno alcuna menzione della questione dell’asserita violazione del divieto di doppia tassazione;
da ciò consegue l’inammissibilità del motivo per la novità di tale questione;
il ventiquattresimo, il venticinquesimo e il ventiseiesimo motivo sono inammissibili;
la ricorrente ha infatti omesso di fornire evidenza che l’importo di CHF 138,906,45 (pari a Euro 91.960,57) si riferisse realmente agli interessi effettivi prodotti dal capitale della Fondazione nel 2001, tale non potendosi ritenere, in mancanza di qualsiasi, non allegata, pattuizione contrattuale (anche in ordine al tasso di interesse applicato), la mera dicitura “incl. acc. interest CHF (138.906,45)” che figura nella “contabile bancaria” al 31 dicembre 2001;
da ciò consegue l’inamissibilità dei motivi;
il ventisettesimo motivo non è fondato;
la L. n. 289 del 2002, art. 10, stabilisce che, “(p)er i contribuenti che non si avvalgono delle disposizioni recate dalla presente L., artt. da 7 a 9, in deroga alle disposizioni della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, comma 3, i termini di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, e successive modificazioni, e al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, e successive modificazioni, sono prorogati di due anni”;
e’ orientamento consolidato di questa Corte che tale proroga biennale opera nel caso in cui il contribuente non abbia inteso avvalersi delle disposizioni di favore di cui alla L. n. 289 del 2002 (tra le tante, Cass., 23/07/2010, n. 17395, 29/10/2014, n. 22921, 26/10/2016, n. 21576);
che la ricorrente versa in tale ipotesi;
ella, infatti, ha aderito al condono ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9, per i redditi prodotti in Italia, ma, quanto a quelli conseguiti all’estero, non ha effettuato la dichiarazione integrativa di cui alla stella L., art. 8, comma 5, e, pertanto, non si è avvalsa del relativo beneficio;
ne consegue che, per tali redditi, il potere di accertamento deve ritenersi prorogato di due anni, come esattamente affermato dalla CTR (in questo senso, Cass., n. 21576 del 2016);
il ventottesimo motivo è inammissibile;
esso muove dalla premessa che la CTR non abbia “correttamente valutato” “tutte le questioni ed i fatti già esposti nei motivi che precedono, a sostegno dell’illegittimità della pretesa fiscale”;
tuttavia, stante il mancato accoglimento dei “motivi che precedono”, tale premessa non può essere idoneamente assunta a fondamento della doglianza in esame, dalla stessa dipendente;
il ventinovesimo motivo è inammissible nel suo primo profilo (riassunto sub a) e non fondato nel suo secondo profilo (riassunto sub b) quanto al primo profilo, anch’esso muove dalla premessa che la CTR non abbia “correttamente valutato” “tutte le questioni ed i fatti già esposti nei motivi che precedono”, premessa che, stante il mancato accoglimento dei “motivi che precedono”, non può essere idoneamente assunta a fondamento della doglianza in esame, dalla stessa dipendente;
quanto al secondo profilo, relativo alla questione concernente l’incidenza sul raddoppio dei termini di accertamento dell’eventuale prescrizione del reato, questa Corte ne ha affermato l’irrilevanza, statuendo che, ai fini del solo raddoppio dei termini per l’esercizio dell’azione accertatrice, rileva l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato e l’intervenuta prescrizione del reato non è di per se stessa di impedimento all’applicazione del termine raddoppiato per l’accertamento, in quanto non rileva né l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, atteso anche il regime di “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (Cass., 07/10/2015, n. 20043, 11/04/2017, n. 9322);
dall’inammissibilità o infondatezza dei motivi consegue, in conclusione, il rigetto del ricorso;
le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., comma 1, e sono liquidate come indicato in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 22.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – comma inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del suddetto art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021
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