LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –
Dott. FILOCAMO Fulvio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11348-2016 proposto da:
Z.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ARNO 38, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA MONCADA, rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE LO GIUDICE;
– ricorrente –
contro
RISCOSSIONE SICILIA SPA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 4367/2015 della COMM. TRIB. REG. SICILIA, depositata il 15/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/05/2021 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO;
lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale Dott. STANISLAO DE MATTEIS che ha chiesto che la Corte rigetti il ricorso. Conseguenze di legge;
FATTI DI CAUSA
Z.P. impugnava dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Agrigento la cartella di pagamento n. *****, notificata il *****, e il relativo ruolo esattoriale, con cui si intimava il pagamento della somma di Euro 10.940,03. Il contribuente lamentava, inter alfa, l’inesistenza della pretesa creditoria sottesa alla cartella a seguito di avvenuta definizione della lite fiscale pendente, il difetto ed inesistenza della notifica dell’atto impositivo, il litisconsorzio necessario tra l’Agente della Riscossione e l’Ente creditore ai sensi della L. n. 111 del 2011, art. 39, comma 12, e la carenza del valore probatorio della produzione documentale dell’Agente della riscossione. La Commissione Tributaria Provinciale, con sentenza n. 307/07/2012, rigettava il ricorso.
Il contribuente proponeva appello, che veniva respinto dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia con sentenza n. 4367/1/15.
Z.P. ricorre per la cassazione della sentenza svolgendo sette motivi, illustrati con memorie. Riscossione Sicilia s.p.a. non ha svolto difese. La Procura Generale della Corte Suprema di Cassazione, con memorie depositate in data 13.4.2021, ha concluso per il rigetto dell’impugnazione. Il ricorso fissato all’udienza pubblica del 4.5.2021 è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal sopravvenuto D.L. n. 137 del 2020, art. 23 comma 8-bis, inserito dalla L. di conversione n. 176 del 2020, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39, dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il ricorrente precisa di avere contestato con l’atto introduttivo della lite la nullità dell’iscrizione a ruolo per inesistenza della notificazione dell’avviso di accertamento quale atto presupposto e lamenta che, pur avendo eccepito, nel corso del giudizio di appello, con memoria illustrativa del *****, l’omessa chiamata in causa dell’ente impositore da parte dell’agente della riscossione, la Commissione Tributaria Regionale avrebbe erroneamente affermato che nella fattispecie non era configurabile una ipotesi di lisconsorzio necessario tra l’agente della riscossione e l’ente impositore, concludendo che la cartella di pagamento, in seguito ad impugnazione dell’atto prodromico dell’avviso di accertamento non poteva essere impugnata nel merito.
2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 148 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il ricorrente deduce di avere contestato con il motivo n. 3 dell’atto di appello, e con due memorie illustrative, la violazione dell’art. 148 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, con riferimento all’omessa indicazione della data di notifica. Nonostante le articolate eccezioni, il contribuente lamenta che i giudici di appello avrebbero erroneamente affermato che l’irregolarità della relata di notifica ravvisata in una presunta difformità tra la copia della cartella consegnata ed il suo originale non ha alcuna base probatoria e come tale deve ritenersi infondata, deducendo, altresì che l’operato del messo notificatore e le sue attestazioni fanno fede fino a querela di falso. Il giudice di secondo grado, invece, era in possesso degli elementi probatori relativi alla sussistenza delle reali difformità tra la copia della cartella consegnata ed il suo originale, atteso che l’originale dell’atto impugnato era stato prodotto con il ricorso introduttivo. Si eccepisce, inoltre, che con riguardo al destinatario dell’atto, alcuna valida relata di notifica è stata compilata dal messo notificatore, attesa l’assenza di elementi costitutivi essenziali ai sensi dell’art. 148 c.p.c..
3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 148 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il contribuente deduce di avere eccepito con il motivo n. 3 dell’atto di appello l’inesistenza giuridica della notificazione, insuscettibile di sanatoria, per essere sprovvista la relata di notifica consegnata al contribuente, prodotto in atti in originale, dell’identità, della qualifica e della sottoscrizione del notificatore.
Il ricorrente deduce che l’art. 148 c.p.c. ha previsto la sottoscrizione della relata da parte dell’agente che effettua le operazioni di notificazione, sicché laddove manchi tale elemento essenziale la conseguenza è l’inesistenza, in quanto la sottoscrizione è un elemento costitutivo essenziale di un atto giudirico. Ne consegue che i giudici di appello avrebbero errato ritenendo che l’impugnazione di un atto sanerebbe “ogni eventuale vizio di notifica” in quanto l’inesistenza giuridica dell’incerta identificazione ed omessa sottoscrizione del notificatore non può essere sanata.
4. Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 12, comma 4, dell’art. 2697 c.c., e dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il contribuente riferisce di avere eccepito con il ricorso introduttivo e con l’atto di appello l’inesistenza e/o l’illegittimità e/o la validazione e/o l’esecutività del ruolo esattoriale per omessa sottoscrizione, con la conseguenza che i giudici di appello, atteso che Serit Sicilia non aveva fornito nel giudizio alcuna prova in contestazione, avrebbero dovuto ritenere e dichiarare l’invalidità del ruolo e il non avvenuto perfezionamento del titolo esecutivo tributario per difetto dell’onere probatorio e dell’onere di contestazione, anziché affermarne la legittimità.
5. Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2712 e 2719 c.c., e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 5, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.
Il contribuente deduce che, a seguito del deposito della produzione documentale da parte dell’Ufficio, ha contestato, con memoria illustrativa, reiterando le suddette contestazioni anche in appello, la legittimità ed il valore probatorio dell’estratto di ruolo e della copia della relata prodotti. A fronte di specifiche contestazioni articolate nel corso dei giudizi di merito, i giudici di appello avrebbero erroneamente affermato che l’irregolarità della relata di notifica ravvisata in una presunta difformità fra la copia della relata consegnata ed il suo originale non ha alcuna base probatoria, e come tale deve ritenersi infondata, omettendo del tutto di indicare gli elementi posti a fondamento del proprio convincimento e senza compiere alcuna indagine circa i presupposti logici e giuridici.
Il ricorrente, inoltre, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che fosse necessario produrre l’originale della cartella.
6. Con il sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 669 del 1996, art. 5, comma 5, del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 18, dell’art. 2697 c.c., del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tre le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Il ricorrente argomenta che, a seguito della costituzione in giudizio dell’agente della riscossione, nel corso del giudizio di primo grado, è stata depositata memoria illustrativa per contestare la legittimità della produzione documentale dell’Ufficio, eccependone l’irrilevanza probatoria. Le eccezioni sono state riproposte anche in appello. I giudici di appello erroneamente avrebbero affermato che “l’irregolarità della relata di notifica ravvisata in un presunta difformità fra la copia della cartella consegnata ed il originale non ha alcuna base probatoria, e come tale deve ritenersi infondata”, omettendo del tutto di indicare gli elementi posti a base del proprio convicimento, e senza compiere alcuna indagine circa i presupposti logici e giuridici. I giudici di appello avrebbero dovuto ritenere non provata la contestata notifica della cartella ponendo a fondamento la inidonea produzione documentale dell’agente della riscossione, ossia l’estratto di ruolo e la copia della relata di notifica, sprovvisti della conformità legale D.P.R. n. 445 del 2000, ex art. 18, resi conformi irregolarmente agli originali dall’agente della riscossione, che non ha potere di autenticazione di atti dallo stesso formati.
7. Con il settimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 18, dell’art. 2697 c.c., del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, atteso che la produzione documentale di Riscossione Sicilia S.p.A., ossia l’estratto di ruolo e la copia della relata di notifica non sarebbe stata legalizzata e non possiederebbe i requisiti richiesti dal D.P.R. n. 445 del 2000, art. 18, per provare la rituale notificazione. Secondo il ricorrente, le disposizioni di cui al D.P.R. n. 445 del 2000, art. 18, all’art. 2697 c.c., al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, e al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, devono essere interpretate nel senso che il giudice di seconda istanza avrebbe dovuto ritenere e dichiarare definitivamente non provata la contestata notificazione della cartella di pagamento impugnata, stante che la produzione documentale dell’agente della riscossione, ovvero l’estratto di ruolo e la copia della relata di notifica, sono inidonei a provare l’asserita notificazione, atteso che sono stati resi conformi agli originali in violazione del D.P.R. n. 445 del 2000, art. 18, omettendo Riscossione Sicilia S.p.A. di indicare gli elementi essenziali della conformità legale quale il cognome e il nome e la qualifica del Pubblico Ufficiale e la sua firma per esteso, la dichiarazione di conformità, il numero dei fogli impiegati ed il timbro dell’Ufficio su ogni pagina.
8. Il primo motivo è infondato.
L’indirizzo prevalente sostenuto da questa Corte ritiene che il contribuente che impugni una cartella esattoriale emessa dal concessionario della riscossione per motivi che attengono alla mancata notificazione, ovvero anche alla invalidità degli atti impositivi presupposti, può agire indifferentemente nei confronti tanto dell’ente impositore quanto del concessionario, senza che sia tra i due soggetti configurabile un litisconsorzio necessario (Cass. n. 9762 del 2014; Cass. n. 8370 del 2015), costituendo l’omessa notifica dell’atto presupposto vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto successivo ed essendo rimessa all’agente della riscossione la facoltà di chiamare in giudizio l’ente impositore (Cass. n. 10528 del 2017; Cass. n. 1532 del 2012). E’ stato, altresì, precisato che il dovere del concessionario del servizio di riscossione, ai sensi del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39, di chiamare in causa l’ente impositore nelle controversie che non riguardano solo la regolarità o la validità degli atti esecutivi, ha natura sostanziale di “litis denuntiatio”, avente lo scopo di mettere il terzo in condizione di intervenire, con la conseguenza che detta chiamata può essere effettuata con qualunque modalità, purché idonea a portare a conoscenza dell’ente l’esistenza della lite (Cass. n. 9250 del 2019; Cass. n. 16685 del 2019).
9. Il secondo ed il terzo motivi di ricorso vanno trattati congiuntamente in quanto inerenti alla medesima questione. Il contribuente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che la notifica della cartella era affetta da nullità pur essendo la relata priva di data, e priva di identità, qualifica e sottoscrizione del notificatore.
Le critiche, oltre che inammissibili, sono infondate, atteso che nella fattispecie trova applicazione il principio del raggiungimento dello scopo.
Sono inammissibili atteso che, in tema di ricorso per cassazione, ove sia denunciato il vizio di una relata di notifica, il principio di autosufficienza del ricorso esige la trascrizione integrale di quest’ultima, che, se omessa, determina, l’inammissibilità del motivo (Cass. n. 5185 del 2017). Onere processuale a cui non si è ottemperato.
Quanto alla sanatoria dei vizi di notifica per il principio del raggiungimento dello scopo, va rilevato che il contribuente ha provveduto ad impugnare ritualmente la cartella di pagamento, con la conseguenza che non vi è dubbio che l’atto sia stato notificato al destinatario.
Ai sensi dell’art. 156 c.p.c., “Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge. Può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo. La nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”.
La nullità di un atto si configura quando lo stesso presenta invalidità gravi che ne potrebbero inficiare l’efficacia, pur conservando, in ogni caso, limitati effetti giuridici. Per inesistenza, ipotesi residuale di derivazione giurisprudenziale e dottrinale, si intende, invece, quando un atto è inidoneo a produrre qualsiasi effetto giuridico ed è insuscettibile di sanatoria.
A seguito del chiarimento offerto dalla Suprema Corte di Cassazione, con sentenza Sezioni Unite n. 14916 del 20.7.2016, la categoria dell’inesistenza deve essere ridotta a casi marginali. Secondo le Sezioni Unite l’inesistenza della notifica del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi qualificabili come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da potere ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi “ex lege” eseguita) restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da poter reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa.
Su tali presupposti la giurisprudenza di legittimità ha valorizzato il principio del raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c., in tutti i casi in cui la notificazione dell’atto, anche di natura sostanziale, abbia presentato vizi non integranti la categoria dell’inesistenza. Si segnalano recenti pronunce che hanno fatto applicazione del principio.
Ad esempio, con sentenza n. 5556 del 26.2.2019, la Corte ha affermato che: “In tema di ingiunzione fiscale la mancanza della prova della ricezione della raccomandata informativa, prevista per il perfezionamento della notificazione ai sensi dell’art. 140 c.p.c., non influisce sulla validità dell’atto notificato, ma determina soltanto la nullità della notificazione, che è sanata dalla proposizione dell’opposizione all’ingiunzione, in ragione del principio del raggiungimento dello scopo processuale dell’atto di cui all’art. 156 c.p.c., comma 3, che opera anche per la notifica degli atti non processuali”. In motivazione i giudici di legittimità precisano che pur essendo vero che la notifica ex art. 140 c.p.c. si perfeziona con il ricevimento della raccomandata contenente l’avviso di deposito dell’atto da notificare presso la casa comunale, sicché in difetto di tale prova la notifica è da considerarsi nulla, è indubbio che la nullità non possa estendersi all’atto stesso, incidendo il procedimento di notificazione soltanto sulla fase integrativa dell’efficacia, ma non mai automaticamente sulla validità dell’atto (v. Cass. 21071 del 2018). Questa Corte ha concluso per l’applicazione del principio dettato dall’art. 156 c.p.c., comma 3, pur trattandosi di un atto non processuale, in quanto la nullità della notifica dell’ingiunzione fiscale non può per ciò solo inficiare la pretesa impositiva, salve decadenze in cui sia eventualmente incorso l’Ufficio.
Lo stesso principio è stato affermato proprio con riferimento alla notifica della cartella di pagamento. In particolare, con sentenza n. 6417 del 5.3.2019, si è precisato che la natura sostanziale e non processuale della cartella di pagamento non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria, “sicché il rinvio operato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 5, al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 (in materia di notificazione dell’avviso di accertamento), il quale, a sua volta, rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile, comporta in caso di irritualità della notificazione della cartella di pagamento, in ragione della avvenuta trasmissione di un file con estensione “pdf” anzicché “.p7m”, statuendo, altresì, che “sicché il rinvio disposta dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 5, (in tema di notifica della cartella di pagamento) al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 (in materia di notificazione dell’avviso di accertamento), il quale, a sua volta, rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile, comporta, in caso di nullità della notificazione della cartella di pagamento, dell’istituto della sanatoria per raggiungimento dello scopo di cui all’art. 156 c.p.c. (Cass. n. 27561 del 2018).
Sempre per il principio del raggiungimento dello scopo è stato stabilito che la notifica dell’avviso di accertamento nei confronti di un contribuente deceduto, notificato agli eredi collettivamente e impersonalmente presso il domicilio del “de cuius”, è nulla ove gli eredi abbiano comunicato all’Agenzia delle entrate le proprie generalità e il proprio domicilio fiscale almeno trenta giorni prima della notificazione: peraltro, atteso che la natura sostanziale dell’avviso di accertamento tributario non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale detta nullità, secondo la Suprema Corte, deve ritenersi sanata, per raggiungimento dello scopo dell’atto ex art. 156 c.p.c., comma 3, qualora l’erede proponga tempestivo ricorso avverso il ruolo, purché ciò avvenga prima della scadenza del termine di decadenza, previsto dalle singole leggi di imposta, per l’esercizio del potere di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria (Cass. n. 1156 del 17.1.2019).
Da siffatti rilievi consegue il rigetto dei motivi. Come evidenziato dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni, va inoltre escluso che i vizi della cartella, ossia la relata in bianco, possa integrare una ipotesi di inesistenza della notificazione, che è riscontrabile, come precisato da questa Corte a SS.UU. n. 14916 del 2016, “oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità” “come tale sanabile, con efficacia ex tunc per raggiungimento dello scopo”.
10. Va rigettato anche il quarto motivo di ricorso, tenuto conto che “in tema di requisiti formali del ruolo d’imposta, il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, non prevede alcuna sanzione per l’ipotesi della sua omessa sottoscrizione, sicché non può che operare la presunzione generale di riferibilità dell’atto amministrativo all’organo da cui promana, con onere della prova contraria a carico del contribuente, che non può limitarsi ad una generica contestazione dell’esistenza del potere o della provenienza dell’atto, ma deve allegare elementi specifici e concreti a sostegno delle sue deduzioni. D’altronde, la natura vincolata del ruolo, che non presenta in fase di formazione e redazione margini di discrezionalità amministrativa, comporta l’applicazione del generale principio di irrilevanza dei vizi di invalidità del provvedimento, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies”(Cass. n. 27561 del 2018).
11. Il quinto, il sesto, il settimo mezzo vanno trattati congiuntamente per connessione logica.
Le doglianze non possono trovare accoglimento.
Invero, l’Agente della Riscossione, che è parte di un giudizio ed al quale è richiesto di dare prova dell’espletamento di una attività notificatoria, non può attribuire autenticità agli avvisi di ricevimento, che costituiscono documenti di provenienza dell’ufficiale postale (Cass. n. 7736 del 2019), dato che l’autenticazione della copia può essere fatto dal pubblico ufficiale dal quale l’atto è stato emesso, o presso il quale è stato depositato l’originale (Cass. n. 1974 del 2018). Nondimeno, questa circostanza non invalida la notifica, tenuto conto che si è già detto che le irregolarità riscontrate devono ritenersi sanate per il principio del raggiungimento dello scopo (v. sopra). Questa Corte, con ordinanza n. 7736 del 2019 (v. anche Cass. n. 8289 del 2018 e n. 29974 del 2017), ha precisato che l’Agente della Riscossione è un soggetto incaricato di pubblico servizio e, quindi, i suoi dipendenti, specificamente autorizzati, possono autenticare copie degli originali detenuti presso il Riscossore (ad esempio le cartelle inviate tramite PEC), e documenti di cui per legge ne sono formalmente depositari, come gli estratti di ruolo ed il ruolo; in questi casi il concessionario ha il potere di attestazione di conformità (Cass. n. 23576 del 2017). Le questioni che involgono la non corretta attestazione di conformità non hanno rilievo, in ragione dei principi sopra ampiamente illustrati in ordine alla sanatoria dei vizi a seguito di rituale impugnazione degli atti impositivi (art. 156 c.p.c.). Quanto alla necessità di produrre l’originale della cartella, è stato più volte affermato che al fine di provare la notificazione della cartella esattoriale non sussiste un onere di produzione della stessa, il cui unico originale è consegnato al contribuente (Cass. n. 16121 del 2019). Mentre con riferimento al disconoscimento della produzione documentale della copia della relata e dell’estratto di ruolo, va rilevato che il disconoscimento delle copie fotostatiche di scritture prodotte in giudizio, ai sensi dell’art. 2719 c.c., impone che, pur senza vincoli di forma, la contestazione della conformità delle stesse all’originale venga compiuta, a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale, non essendo invece sufficienti né il ricorso a clausole di stile né generiche asserzioni (Cass. n. 16557 del 2019). Nella fattispecie, dallo sviluppo illustrativo dei motivi sembrerebbe che il contribuente si sia limitato a dedurre la mancata produzione degli originali delle relate di notifica e la non conformità agli originali degli atti, senza allegare contestazioni specifiche e circostanziate.
12. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello pagato, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’udienza pubblica effettuata da remoto, il 4 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2021
Codice Civile > Articolo 2697 - Onere della prova | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2712 - Riproduzioni meccaniche | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2719 - Copie fotografiche di scritture | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 115 - Disponibilita' delle prove | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 136 - Comunicazioni | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 148 - Relazione di notificazione | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 156 - Rilevanza della nullita' | Codice Procedura Civile