Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.23882 del 03/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4666-2016 proposto da:

C.E., domiciliate in ROMA presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli avvocati EUGENIO PIETRO BARLASSINA, ed ANNA CONCOREGGI, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 41, presso lo studio dell’avvocato ANNA MARIA MANFREDI, rappresentato e difeso dall’avvocato ELISA CORSI, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3920/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/03/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie del controricorrente.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con citazione del 31 marzo 2010 A.S. conveniva dinanzi al Tribunale di Varese l’ex coniuge C.E., per sentirla condannare al pagamento dell’indennizzo per i miglioramenti apportati, tramite i lavori eseguiti a cura e spese dell’attore, alla casa in passato adibita a residenza coniugale di proprietà esclusiva della convenuta, chiedendo altresì di tenere conto dell’incremento di valore dell’immobile scaturente dalle opere eseguite; in subordine chiedeva attribuirsi l’indennizzo per l’arricchimento conseguito dalla C., sempre per effetto dei lavori di ristrutturazione eseguiti.

Chiedeva, altresì, la condanna della convenuta alla restituzione dell’importo utilizzato in data 5 aprile 2000 per accendere il conto corrente n. ***** presso il Credito Valtellinese, intestato solo alla ex moglie, suddividendo tra le parti gli incrementi successivi correlati alla disponibilità del conto per effetto degli investimenti operati; instava inoltre per la condanna alla restituzione della metà dei premi mensili pagati per la polizza vita stipulata nell’interesse della convenuta dal gennaio del 2003 al marzo del 2009.

Si costituiva la C. che concludeva per il rigetto della domanda ed, in via riconvenzionale, chiedeva la condanna dell’attore al rimborso della metà del valore dell’autovettura e dei beni prelevati dalla comunione, oltre al riconoscimento di un indennizzo per l’occupazione della ex casa coniugale.

Il Tribunale adito con la sentenza n. 912/2014 ha condannato la convenuta al pagamento della complessiva somma di Euro 69.052,49, accogliendo in maniera presso che integrale le domande dell’attore, con il rigetto della riconvenzionale.

Avverso tale sentenza proponeva appello la C., cui resisteva il convenuto, che in via incidentale chiedeva il riconoscimento del rimborso anche di ulteriori spese sostenute prima del matrimonio per l’immobile della ex moglie.

La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 3920 del 13/10/2015, in parziale accoglimento del gravame principale, condannava l’appellante al pagamento della somma di Euro 41.578,57 a titolo di indennizzo per i miglioramenti eseguiti, ed in parziale accoglimento del gravame incidentale, condannava la C. a pagare, a titolo di rimborso delle opere eseguite, la maggior somma di Euro 19.540,03; infine compensava per la metà le spese del grado di appello, ponendo la residua parte a carico dell’appellante principale.

Con il primo motivo si contestava l’applicabilità della previsione di cui all’art. 1150 c.c., assumendosi che in realtà l’ A. non era compossessore del bene, ma era un semplice detentore.

La Corte distrettuale riteneva la doglianza infondata, alla luce dei precedenti di legittimità che avevano attribuito al coniuge, sebbene non proprietario della casa coniugale, la qualità di compossessore.

L’ A. aveva eseguito degli interventi sul bene sia immediatamente prima del matrimonio che in epoca successiva, esercitando in tal modo un potere materiale che denotava l’intento di comportarsi come titolare del bene stesso, in forza del vincolo che lo univa alla proprietaria.

Ne derivava che doveva ravvisarsi la presunzione di esistenza del possesso ex art. 1141 c.c.

Il secondo motivo, invece, investiva la corretta quantificazione dell’indennizzo, che era stato fissato in misura pari al 20% del valore iniziale del bene.

Tuttavia, poiché era stato riconosciuto il rimborso solo dei lavori eseguiti in epoca anteriore al matrimonio, essendo quelli successivi ritenuti adempimento spontaneo degli obblighi di contribuzione ai bisogni della famiglia, emergeva che l’importo delle spese rimborsabili era pari non già al 20 % del valore iniziale, ma alla minore percentuale del 16,6%, così che l’indennizzo andava determinato in tale ridotta percentuale calcolata sul valore originario.

Ne’ vi era contraddizione nella motivazione per il fatto che il rimborso fosse stato limitato alle sole spese sostenute prima del matrimonio.

Era, altresì, rigettato il terzo motivo dell’appello principale concernente il rimborso dei premi della polizza vita, e ciò in quanto non vi era alcun riscontro all’assunto dell’appellante circa il fatto che la polizza vedesse come unica beneficiaria la comune figlia.

Infine, era disatteso il quarto motivo di appello che investiva il mancato rimborso del valore della metà dell’auto acquistata in regime di comunione legale nel 2000, essendo condivisibile la valutazione del Tribunale che aveva rilevato come non fosse stata offerta alcuna prova del valore del veicolo all’atto dello scioglimento della comunione.

Trovava infine accoglimento il motivo di appello incidentale con il quale si chiedeva una rideterminazione del rimborso delle spese sostenute dall’attore in epoca anteriore al matrimonio, e ciò in quanto effettivamente era stata dimostrata la realizzazione di ulteriori opere delle quali non si era però tenuto conto.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso C.E. sulla base di sette motivi.

A.S. resiste con controricorso illustrato da memorie.

2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di tutela possessoria ed in particolare degli artt. 1150 e 1141 c.c.

Si rileva che già con l’appello era stato denunciato l’erroneo inquadramento della fattispecie, sul presupposto che non potesse configurarsi in capo all’attore un possesso della casa coniugale di proprietà esclusiva della ricorrente, il che implicava anche che non potesse accogliersi una domanda fondata sulla previsione di cui all’art. 1150 c.c.

Tale tesi viene ribadita nel motivo sottolineandosi come la giurisprudenza di legittimità abbia escluso che il coniuge non proprietario possa essere ritenuto possessore della casa coniugale di proprietà esclusiva dell’altro coniuge, potendo vantare una posizione di detentore qualificato.

Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata nel ritenere che l’ A. potesse vantare il diritto al pagamento dell’indennizzo ed al rimborso delle spese sostenute ex art. 1150 c.c., ha fatto richiamo ad alcuni precedenti di questa Corte che però appaiono specificamente riferiti alla pretesa concernente migliorie o ampliamenti eseguiti dall’ex coniuge in costanza di matrimonio (Cass. n. 13259/2009, secondo cui il coniuge in quanto compossessore ha diritto ai rimborsi ed alle indennità contemplate dall’art. 1150 c.c. in favore del possessore, nella misura prevista dalla legge a seconda che fosse in buona o mala fede, mentre va esclusa l’invocabilità dell’art. 936 c.c., in tema di opere fatte da un terzo con materiali propri, difettando nel compossessore il requisito della terzietà; conf. Cass. n. 2199/1989; Cass. n. 5866/1995).

Nella fattispecie tuttavia è stata esclusa la fondatezza della richiesta dell’attore per quanto concerne le spese sostenute in costanza di matrimonio, ritenendo che le stesse costituissero adempimento spontaneo dell’obbligo di contribuzione, ed è stata limitata la condanna alle sole spese sostenute prima del matrimonio, il che non consente di poter direttamente riferire i suesposti precedenti alla vicenda in esame, posto che in quest’ultima si tratta di attività poste in essere prima della nascita del vincolo matrimoniale, che, nel ragionamento della Corte di cui ai precedenti citati, funge da elemento fondante la convinzione del coniuge non proprietario di essere nel possesso del bene.

Ritiene peraltro il Collegio che la conclusione per cui debba sempre riconoscersi al coniuge non proprietario della casa coniugale la qualità di possessore, prescindendosi dalla concreta verifica dell’atteggiamento dal medesimo tenuto, non tenga conto della più recente elaborazione di questa Corte che, sia pur partendo dalla disamina dei rapporti tra conviventi more uxorio, ha invece affermato che (Cass. n. 7214/2013) la convivenza “more uxorio”, quale formazione sociale che dà vita ad un autentico consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare, senza quindi potersi ritenere che lo stesso sia un possessore.

In termini analoghi si veda anche Cass. n. 9786/2012 nonché Cass. n. 7/2014, che pur riconoscendo al convivente un interesse proprio, ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, reputa però che il suo godimento assuma i connotati tipici di una detenzione qualificata, avente titolo in un negozio giuridico di tipo familiare.

Il precipitato di tale evoluzione è stato quindi la sua estensione anche ai rapporti tra coniugi, come appunto ritenuto da Cass. n. 22730/2019, che decidendo su di una controversia in cui, a fronte dell’inziale proposizione di una domanda di corresponsione di una somma a titolo di indennità per miglioramenti sulla base degli artt. 192,2033 e 936 c.c., ha reputato erronea la qualificazione del giudice compiuta ai sensi dell’art. 1150 c.c., giacché il riconoscimento del diritto ivi previsto postula l’allegazione e la prova del possesso del bene da parte del creditore, ritenendo erronea la conclusione secondo cui l’attore avesse composseduto il bene ristrutturato di proprietà dell’altro coniuge per il solo fatto che lo stesso era stato adibito a casa familiare.

In motivazione è stato evidenziato che in realtà deve riconoscersi in capo al coniuge-utilizzatore l’attribuzione di un diritto personale di godimento in base ad acquisto a titolo derivativo (negozio che trova titolo nella unione familiare) dall’altro coniuge esclusivo titolare di un diritto reale (proprietà, usufrutto, uso, abitazione) o di un diritto personale di godimento (conduttore, comodatario) sull’immobile (cfr. Corte Sez. U, Sentenza n. 11096 del 26/07/2002, Cass. n. 17971/2015; Cass. n. 10377/2017.

La riferibilità temporale degli interventi per i quali è stato riconosciuto il diritto al rimborso ad un’epoca anteriore al matrimonio, ed essendo gli stessi finalizzati a recuperare il bene dalle condizioni precarie nelle quali versava (come emerge dalla stessa narrazione dei fatti del controricorrente), consente di ritenere che siano stati compiuti ancor prima che la casa venisse abitata, e quindi esclude che all’attore possa essere riconosciuta la qualità di possessore quanto al titolo che ne giustifica la richiesta di rimborso.

Il motivo deve quindi essere accolto con la conseguente cassazione della sentenza impugnata.

3. Il secondo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dei principi in materia di onere della prova e di valenza delle presunzioni ed in particolare dell’art. 1141 c.c., comma 1 c.c. 2697 c.c., 2727 e 2729 c.c.

Il terzo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione del principio secondo cui il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte alle parti nonché i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita, e secondo cui il giudice può porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza ed in particolare dell’art. 115 c.p.c.

Si deduce che erroneamente la sentenza gravata ha ritenuto che fosse presunto il possesso in capo all’attore, attesa l’inesistenza di qualsivoglia diritto reale sul bene e mancando la prova del fatto che lo stesso avesse posto in essere una interversio possessionis.

I motivi sono assorbiti per effetto dell’accoglimento del primo motivo.

4. Il quarto motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione agli errori di calcolo ed alla valutazione delle opere e degli esborsi prima del matrimonio.

Il quinto motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 115 c.p.c. e art. 1150 c.c. quanto al computo dell’indennizzo dovuto.

Si rileva che la Corte d’Appello aveva correttamente condiviso la conclusione del Tribunale secondo cui si dovessero prendere in considerazione i soli interventi eseguiti prima del matrimonio, ma non si è avveduto degli evidenti errori commessi dal CTU, alle cui conclusioni si era poi rifatta.

Anche tali motivi devono ritenersi assorbiti per effetto dell’accoglimento del primo motivo.

5. Il sesto motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, quanto all’individuazione del beneficiario della polizza vita, i cui premi sono stati oggetto di richiesta di rimborso ad opera della controparte.

Il motivo è inammissibile, oltre che per la sua assoluta genericità, sostanziandosi nella sola affermazione dell’errore in cui sarebbe incorso il giudice di merito nel ritenere che non vi fosse alcun riscontro documentale alla tesi della ricorrente, secondo cui beneficiaria della polizza era in realtà la figlia, sia in ragione dell’applicabilità in parte qua dell’art. 348 ter c.p.c., u.c., posto che la sentenza di appello si fonda su tale punto sulle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto poste alla base della sentenza di primo grado.

6. Il settimo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione del principio della liquidazione del danno in via equitativa e dell’onere della prova, e precisamente degli artt. 1218 e 2697 c.c. con riferimento alla valutazione dell’autovettura.

Si contesta l’erroneità dell’affermazione secondo cui incombesse alla ricorrente dimostrare il valore residuo dell’auto al momento dello scioglimento della comunione, trascurandosi che la dimostrazione della svalutazione del veicolo costituiva una prova diabolica e che il danno poteva essere liquidato in via equitativa.

Il motivo è infondato, avendo la sentenza di appello fatto corretta applicazione dei principi di questa Corte secondo cui (Cass. n. 4310/2018; Cass. n. 16344/2020) l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., è espressivo della cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrative, ed è quindi subordinato alla condizione che per la parte interessata risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo ammontare, e dall’altro non ricomprende l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno.

Nella specie rientrava nell’ambito dell’esigibilità dalla parte la dimostrazione di quali fossero le condizioni in cui versava l’auto al momento dello scioglimento della comunione, sicché non è dato alla parte dolersi del mancato ricorso alla valutazione equitativa da parte del giudice.

7. Il giudice del rinvio, che si designa in una diversa sezione della Corte d’Appello di Milano, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

Accoglie il primo motivo, dichiara inammissibile il sesto motivo, rigetta il settimo motivo, ed assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata, con rinvio anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda Civile, il 18 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2021

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