Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.23999 del 06/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18669/2016 proposto da:

Unicredit S.p.a. (nella quale si è fusa per incorporazione Capitalia S.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Federico Cesi n. 72, presso lo studio dell’avvocato Buonafede Achille, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.Q., Sefin S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in Roma, Via delle Acacie n. 13, presso lo studio dell’avvocato Andreozzi Alessandro, rappresentati e difesi dagli avvocati Coculo Franco, Siiti Roberto, giusta procura in calce al comparsa di costituzione di nuovo difensore;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 209/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 11/02/2021 dal Cons. Dott. ACIERNO MARIA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il tribunale di Roma ha accertato che s.p.a. Capitalia in relazione ai contratti di mutuo atipico stipulati con s.r.l. Sefin, del cui adempimento era fideiussore A.Q., aveva illegittimamente esercitato il diritto di recesso unilateralmente previsto nel contratto stesso. Ugualmente aveva statuito in relazione al contratto di conto corrente pure concluso dalla Sefin, per violazione del principio di buona fede. La Corte d’Appello ha dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta da s.r.l. Capitalia Service con l’intervento di Unicredit Management Bank, per violazione dell’art. 342 c.p.c. e conseguente difetto di specificità dell’appello. per avere l’appellante riproposto le domande come formulate in primo grado senza esplicitare le ragioni di censura della pronuncia di primo grado. In particolare la Corte ha rilevato che non era stato attaccato il punto della sentenza di primo grado relativo al fatto che i clienti della Banca che avevano subito l’illegittimo recesso senza preavviso avevano concesso ipoteca volontaria su un immobile di valore circa tre volte superiore alla somma eroganda a titolo di mutuo e non erano stati dedotti profili concreti di colpa a loro carico. E’ stata infine ritenuta assorbita la domanda risarcitoria proposta dalla Banca attesa la illegittimità del recesso.

Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la s.p.a. Unicredit con due motivi accompagnati da memoria. Hanno resistito con unico controricorso A.Q. e s.r.l. Sefin. Nel primo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 342 c.p.c., previgente, ex art. 360 c.p.c., n. 3. Si afferma, attraverso la riproduzione dei motivi di appello, di aver formulato censure specifiche mediante le quali venivano messi in luce i gravi profili d’inadempimento dei clienti A. e s.r.l. Sefin. In particolare la banca aveva reiterato le ragioni poste a base della legittimità del recesso non prese in esame dal tribunale ovvero la natura condizionata dei contratti di finanziamento; l’inadempimento dei finanziati in relazione all’avveramento delle condizioni; la sottrazione di garanzie da parte dei cliente.

Nel secondo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 1175,1218,1333,1366,1375,2697 c.c., anche in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., nel caso in cui, al di là della declaratoria preliminare d’inammissibilità, la pronuncia possa ritenersi di rigetto nella parte in cui affronta il merito del gravame. Il ricorrente si riferisce al rilievo contenuto nella pronuncia d’appello relativo al fatto che non risultava censurata l’affermazione del Tribunale secondo la quale era stata concessa ipoteca su un immobile diverso del valore stimato di tre volte superiore all’ammontare dei mutui con la conseguenza che gli atti di disposizione patrimoniale contestati anche ove conosciuti dalla banca prima della stipula dei contratti non le avrebbero impedito la conclusione dei contratti, attesa la superiorità netta di valore delle garanzie prestate.

Viene al riguardo censurato che il giudice del merito avrebbe dovuto operare due valutazioni: una relativa al recesso dall’apertura di credito, l’altra dai mutui. Invece acriticamente i due profili sono stati trattati unitariamente. Per l’apertura di credito l’esposizione era ingente in quanto di molto superiore ai richiesti finanziamenti da formalizzare con i mutui atipici. Per l’altro recesso non era contestato il dato pacifico del mancato avveramento delle condizioni.

Le due censure, che possono essere trattate congiuntamente in quanto logicamente connesse, non superano il vaglio di ammissibilità. In primo luogo deve rilevarsi che il dispositivo e la motivazione della sentenza impugnata conducono inequivocamente ad una declaratoria d’inammissibilità del gravame ex art. 342 c.p.c.. Non si ravvisa una doppia ratio nella pronuncia impugnata, che riproduce sinteticamente le ragioni di accoglimento del tribunale all’esclusivo fine di fornire una motivazione adeguata all’accoglimento della formulata eccezione d’inammissibilità. Le rationes ritenute non attinte dall’appello ovvero la mancata deduzione ed allegazione di profili di colpa del cliente tali da legittimare il recesso e la incompatibilità dell’esistenza di una condotta colpevole od in malafede a fronte di una garanzia ipotecaria più di tre volte superiore all’importo oggetto dei finanziamenti, sono state esplicitate nella sentenza impugnata non per aggiungere all’inammissibilità anche una ratio d’infondatezza ma per dare specificità all’inammissibilità rilevata. E’ inammissibile, di conseguenza, il secondo motivo sia per la parte relativa all’esistenza eventuale di una doppia ratio, sia nello sviluppo argomentativo consequenziale che pone in luce profili di contrasto ad una pronuncia di rigetto, sia nella parte rimanente, anch’essa ancorata a ragioni di colpa del cliente non esaminate dalla Corte d’Appello senza tuttavia confrontarsi con il nucleo della decisione impugnata che ritiene non affrontata la causa di esclusione della colpa costituita dalla garanzia ipotecaria più che capiente. Tale rilievo conduce all’inammissibilità anche del primo motivo che pure non coglie questa ratio decidendi nel fondare la violazione dell’art. 342 c.p.c., sulla illustrazione dei motivi d’appello che non affrontano il profilo di mancanza di colpa indicato come non aggredito dalla Corte territoriale.

All’inammissibilità del ricorso consegue l’applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della parte controricorrente da liquidarsi in Euro 6000 per compensi, Euro 200, per esborsi oltre accessori di legge.

Sussistono i presupposti processuali per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quarter.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2021

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