Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.25522 del 21/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 9913 del ruolo generale dell’anno 2019 proposto da:

M.A.L., (C.F.: *****), rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’avvocato Silvia Vitali, (C.F.:

VTLSLV65E69A794L);

– ricorrente –

nei confronti di:

M.G., (C.F.: *****), rappresentato e difeso, giusta procura allegata al controricorso, dall’avvocato Renato Lino Gatti, (C.F.: GTTRTL71L21L400F);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Brescia n. 1993/2018, pubblicata in data 25 gennaio 2019;

udita la relazione sulla causa svolta alla Camera di consiglio del 18 marzo 2021 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo.

FATTI DI CAUSA

M.A.L. ha agito in giudizio nei confronti del fratello M.G. per ottenere il rilascio di un fondo rustico di cui aveva acquistato la proprietà per successione dalla madre C.L., assumendo che fosse detenuto dal convenuto senza titolo; ha chiesto inoltre il risarcimento del danno per l’abusiva occupazione di detto fondo e, in subordine, in caso di ritenuta sussistenza di un rapporto di affitto, l’accertamento del canone dovuto dall’affittuario.

Le domande proposte in via principale dall’attrice sono state accolte dal Tribunale di Bergamo – Sezione specializzata agraria, che ha condannato il convenuto al rilascio del fondo e al pagamento di una indennità di occupazione annua di Euro 13.449,85, dal 22 agosto 2011 sino al rilascio.

La Corte di Appello di Brescia – Sezione specializzata agraria, in riforma della decisione di primo grado, ha accertato la sussistenza di un rapporto di affitto agrario con scadenza al 10 novembre 2028, per il canone annuo di Euro 4.0000,00, che ha condannato il convenuto a pagare all’attrice, con decorrenza dal 22 agosto 2011; ha condannato inoltre l’attrice a restituire al convenuto le somme da quest’ultimo corrisposte in virtù della sentenza di primo grado.

Ricorre M.A.L., sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso M.G..

E’ stata disposta la trattazione in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..

La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “asserita qualità di delegato della proprietaria in capo al sig. M.A. con riferimento al doc. 4 della difesa avversaria – conseguente presunta connessione diretta con la fattispecie e necessità della querela di falso: violazione o falsa applicazione art. 132 c.p.c., n. 4) e art. 118 disp. att. c.p.c. – omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti violazione o falsa applicazione degli artt. 2702 e 2697 c.c.”. Con il secondo motivo si denunzia “asserita necessità della querela di falso avverso le ricevute prodotte sub doc. 4 del fascicolo del sig. M.G.: violazione art. 132 c.p.c., n. 4 – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – violazione o falsa applicazione art. 2702 c.c. e degli artt. 2726 e 2721 c.c.”.

Con il terzo motivo si denunzia “ritenuta sussistenza di un contratto di affitto agrario sulla base del doc. n. 4 avversario: violazione o falsa applicazione art. 1325 c.c., in combinato disposto con l’art. 2697 c.c. – violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4)”.

I motivi del ricorso sono logicamente connessi e possono quindi essere esaminati congiuntamente.

La ricorrente sostiene di avere specificamente contestato, nel giudizio di merito, la qualità del terzo M.A. (cioè del padre di entrambe le parti in lite, che aveva sottoscritto le quietanze prodotte dal convenuto G., ritenute decisive dalla corte di appello ai fini della prova del contratto di affitto) di delegato della moglie C.L., proprietaria del fondo per cui è causa. Ciò nonostante, tale qualità sarebbe stata affermata nella decisione impugnata, senza alcuna effettiva motivazione sul punto.

Di conseguenza, la prospettazione del convenuto sull’esistenza di un contratto di affitto in relazione al fondo per cui è causa sarebbe stata accolta esclusivamente sulla base del rilievo che non era stata proposta querela di falso in relazione alle quietanze sottoscritte dal padre delle parti, terzo estraneo al giudizio (e che ne aveva peraltro anche espressamente disconosciuto il contenuto). La querela di falso, secondo la corte di appello sarebbe stata necessaria per contestare il contenuto di dette quietanze, ciò che, secondo la ricorrente, non sarebbe conforme, sotto vari aspetti, ai principi di diritto applicabili nella fattispecie.

Il ricorso è fondato.

L’attrice aveva sostenuto, a sostegno delle proprie domande, che il fondo oggetto del giudizio – in origine pacificamente di proprietà esclusiva della madre C.L. e da lei ereditato in proprietà esclusiva sulla base delle disposizioni testamentarie di quest’ultima – era occupato senza alcun titolo dal fratello G..

Quest’ultimo si era difeso deducendo di avere stipulato un contratto di affitto con la madre (oltre che con il padre, il quale peraltro, per quanto emerge dagli atti, risulta semplicemente essere stato in precedenza il conduttore dello stesso fondo).

Il convenuto aveva quindi, in base all’art. 2697 c.c., l’onere di provare il suo assunto, cioè l’avvenuta stipulazione di un contratto di affitto con la madre.

Le quietanze per i canoni di affitto che egli risulta avere prodotto in giudizio recano peraltro la sottoscrizione del padre M.A., non della madre C.L.. Di conseguenza, tali quietanze, di per sé, non potrebbero provare la stipulazione di un contratto di affitto tra M.G. e la madre, se non previa dimostrazione che M.A. aveva stipulato il contratto di affitto con il figlio G. quale rappresentante della moglie e/o che egli provvedeva a riscuotere i canoni di affitto in tale qualità, ovvero quale adiectus solutionis causa della stessa moglie.

D’altra parte, per quanto emerge dagli atti, lo stesso M.A., sentito quale testimone, ha in realtà negato che esistesse un contratto di affitto relativo al fondo per cui è causa tra la moglie e il figlio, e ha contestato il contenuto delle quietanze prodotte dal figlio, affermando di avere sottoscritto dei fogli in bianco, poi abusivamente riempiti da G. con il riferimento ai canoni per l’affitto del fondo ereditato dalla ricorrente A.L..

Orbene, per quanto riguarda il contenuto delle quietanze, la corte di appello afferma in primo luogo che, sebbene ne fosse stato disconosciuto il contenuto dallo stesso soggetto che le aveva sottoscritte, cioè M.A. (terzo estraneo al giudizio, sentito solo come teste), l’attrice avrebbe eventualmente dovuto proporre querela di falso per contestarle, in quanto l’autenticità della sottoscrizione non era in discussione e si trattava di riempimento absque pactis e non contra pacta. Tanto premesso, nella decisione impugnata si legge quanto segue:

“… i suddetti documenti, pur provenendo da terzi (marito M.A.) rispetto al proprietario del bene (moglie C.), devono ritenersi di portata sostanziale molto elevata, trattandosi di scrittura privata proveniente da un delegato della proprietaria, marito della stessa e precedente conduttore dell’azienda, con la conseguenza che il terzo che l’ha formata non è soggetto che non abbia connessione diretta con la fattispecie”.

La corte territoriale, con le affermazioni sopra riportate – che in verità non appaiono particolarmente chiare e stringenti, nella loro portata giuridica – sembra intendere fornire supporto alla propria decisione nella prospettiva del richiamo ad un precedente di legittimità (si tratta di Cass., Sez. U., Sentenza n. 15169 del 23/06/2010, Rv. 613799 – 01, nel quale è contenuto il richiamo ad un ulteriore precedente arresto di questa Corte: Cass. Sez. L, Sentenza n. 9131 del 13/09/1997, Rv. 507976 – 01) relativo alla necessità o meno della proposizione della querela di falso per contestare le scritture private provenienti da terzi estranei al giudizio.

I precedenti indicati, però, non confermano affatto la correttezza in diritto della decisione, anzi la smentiscono.

Secondo i principi di diritto in essi affermati, infatti, di regola le scritture provenienti da terzi sono liberamente valutabili e contestabili, onde ad esse non si applicano l’art. 2702 c.c. e art. 214 c.p.c. e le stesse hanno solo valore indiziario (tali principi di diritto risultano successivamente confermati, ad es., da Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23155 del 31/10/2014, Rv. 633325 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 23788 del 07/11/2014, Rv. 633492 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 6650 del 09/03/2020, Rv. 657468 – 01 e Sez. 2, Sentenza n. 21554 del 07/10/2020, Rv. 659385 – 01), con la sola eccezione di casi particolari in cui la contestazione richiede la querela di falso per la “portata sostanziale” del documento, e cioè quando si tratta di scritture “la cui natura le connota di una carica di incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso onde contestarne la autenticità”.

Risulta più chiaro il senso dei suddetti principi se si prendono in esame gli esempi indicati nell’arresto delle Sezioni Unite: sono infatti richiamati i casi del testamento olografo e della cambiale nonché quello esaminato in concreto, di una “scrittura privata proveniente da una procuratrice della ditta (la Censi) moglie del titolare” per la quale “deve evidenziarsi come il terzo che la avrebbe formata non è soggetto che non abbia connessione diretta con la fattispecie”.

In sostanza, deve ritenersi necessaria la querela di falso per contestare la scrittura privata che, pur sottoscritta da un terzo, in realtà è direttamente riferibile, sul piano degli effetti sostanziali, alla stessa parte in causa, cui tali effetti sono in realtà per legge imputabili, essendo il terzo sottoscrittore un suo rappresentante (in tal senso, del resto, viene richiamato dalle Sezioni Unite il precedente di cui a Cass. n. 9131 del 1997, il cui principio di diritto ha ad oggetto proprio i poteri rappresentativi dei procuratori e degli institori dell’imprenditore), o per altre ragioni (come avviene per il testamento e per la cambiale).

Il caso oggetto della presente controversia certamente non può rientrare nell’ambito della fattispecie astratta delineata nei precedenti appena analizzati, onde risulta evidente l’errore di sussunzione commesso nella decisione impugnata.

Del resto, nell’intento di assimilare in qualche modo la situazione a quella emergente dai precedenti richiamati, la stessa corte di appello qualifica M.A. come “delegato” della moglie C. (la quale peraltro non risulta neanche essere una imprenditrice commerciale, come nelle fattispecie richiamate), ma senza in alcun modo chiarire in base a quali elementi ritiene formulabile tale affermazione, che resta quindi del tutto apodittica, sebbene si trattasse di un punto oggetto di contestazione (la stessa ricorrente, a pag. 7 del ricorso, richiama il contenuto della sua comparsa di costituzione in appello, in cui si contesta chiaramente che M.A. fosse rappresentante o nuncius della moglie).

Quanto sin qui esposto è sufficiente per ritenere erronea l’impostazione in diritto fatta propria nella decisione impugnata, secondo cui sarebbe stata necessaria la querela di falso per contestare il contenuto delle scritture sottoscritte dal terzo M.A. e prodotte dal convenuto M.G.: la corte territoriale avrebbe, al contrario, dovuto valutare tali scritture come semplici indizi, in relazione all’assunto della parte che le aveva prodotte e, di conseguenza, tener conto anche degli elementi contrari (tra i quali, ovviamente, avrebbe avuto particolare rilievo la deposizione testimoniale dello stesso M.A., sia in ordine al contenuto delle quietanze, sia in ordine alla sussistenza del contratto di affitto).

Ma la motivazione della decisione impugnata risulta sostanzialmente omessa (in quanto del tutto apparente) anche con riguardo all’ulteriore affermazione per cui la querela di falso, in relazione alle suddette quietanze, era necessaria in quanto si trattava di riempimento di foglio firmato in bianco absque pactis e non contra pacta.

In realtà M.A., quale teste, aveva dichiarato che i fogli in bianco firmati e consegnati al figlio G., dovevano riferirsi, secondo le loro intese, all’affitto di un altro fondo, quello ereditato dall’altra sorella delle parti, Mi.An., quindi – secondo tale ricostruzione – si trattava di riempimento contra pacta.

Nella sentenza impugnata, infine, non risulta neanche chiarito in quali esatti termini e sulla base di quali elementi sarebbe stato allegato (ancor prima che provato) dal convenuto un rapporto di rappresentanza tra M.A. e la moglie, in relazione al contratto di affitto del fondo (oltre a mancare del tutto, come già ampiamente sottolineato, una motivazione sulle ragioni per cui tale rapporto di “delega”, benché oggetto di contestazione, sia stato ritenuto sussistente in concreto).

La sentenza va pertanto cassata affinché, in sede di rinvio:

a) si provveda a rivalutare liberamente, a prescindere dalla mancata proposizione della querela di falso, il valore probatorio delle quietanze prodotte da M.G., sia in relazione all’attendibilità del loro stesso contenuto, sia, eventualmente, ai fini dell’esistenza del contratto di affitto, quali meri indizi e, quindi, anche alla luce delle deposizioni testimoniali e degli altri elementi istruttori disponibili in proposito;

b) in ogni caso, si rivaluti specificamente la questione della sussistenza di un contratto di affitto avente ad oggetto il fondo per cui è causa, tra la madre C.L. e il figlio M.G., tenendo conto della necessità a tal fine, laddove il convenuto pretenda di dimostrare tale rapporto sulla base di quietanze relative ai canoni sottoscritte dal terzo M.A. (e sempre che le stesse siano ritenute documenti dal contenuto attendibile), di una prova rigorosa della sussistenza del potere di quest’ultimo di rappresentare la moglie C.L..

2. Il ricorso è accolto.

La sentenza impugnata è cassata in relazione, con rinvio alla Corte di Appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

– accoglie il ricorso, nei sensi di cui in motivazione, e cassa in relazione la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione terza Civile, il 18 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

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