Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.26331 del 29/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9062/2019 proposto da:

UMBRIA FILLER S.R.L., domiciliata in ROMA, presso la CANCELLERIA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avv.to BRUNO NEGRINI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente e controricorrente incidentale –

contro

D.A.A., domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’avv.to VINCENZO BRANDIMARTE, che, unitamente all’avv.to MARIA BARBETTA, la rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 668/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 10/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/05/2021 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NARDECCHIA Giovanni Battista;

uditi i difensori delle parti.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza resa in data 10/9/2018, la Corte d’appello di Perugia, in accoglimento dell’appello proposto da D.A.A. e in riforma della decisione di primo grado, ha condannato la Umbria Filler s.r.l. alla restituzione, in favore della D.A., previa loro riambientazione secondo le prescrizioni amministrative, dei terreni di proprietà di quest’ultima (individuati nelle particelle n. ***** del foglio ***** del NCT del Comune di Cascia) illegittimamente occupati dalla Umbria Filler s.r.l., con la condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni.

2. A fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come la Umbria Filler s.r.l. non avesse fornito alcuna adeguata dimostrazione della corrispondenza, con quelli dedotti in giudizio dall’attrice, dei terreni in relazione ai quali aveva dedotto la sussistenza di un proprio titolo giustificativo del godimento, essendo unicamente emersa l’autorizzazione dell’originaria attrice allo sfruttamento, da parte della società appellata, della sola cava insistente sulla particella n. *****.

3. In forza di tali premesse, la corte territoriale ha disposto la condanna della Umbria Filler s.r.l. alla restituzione dei terreni dedotti in giudizio, previa loro riambientazione secondo le prescrizioni amministrative, oltre al risarcimento del danno concretamente sofferto dalla D.A., corrispondente al valore del materiale estratto di cui la Umbria Filler s.r.l. si era illegittimamente appropriata, e al valore del mancato godimento della cosa propria.

4. Avverso la sentenza d’appello la Umbria Filler s.r.l. propone ricorso per cassazione, sulla base di sei motivi d’impugnazione.

5. D.A.A. resiste con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale sulla base di tre motivi d’impugnazione.

6. La Umbria Filler s.r.l. ha depositato controricorso per resistere al ricorso incidentale.

7. Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha concluso per iscritto, invocando il rigetto dei primi due motivi del ricorso principale e l’accoglimento del terzo (con assorbimento del quarto, quinto e sesto motivo), nonché l’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale, con il rigetto del secondo e del terzo motivo.

8. Le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale, la Umbria Filler s.r.l. si duole della nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di rilevare la mancata contestazione, da parte della D.A., dell’affermazione, contenuta nell’originaria comparsa di costituzione in giudizio della società odierna ricorrente, della circostanza relativa alla sussistenza di un titolo contrattuale di legittimazione giustificativo del godimento, da parte di detta società, dei terreni dedotti in giudizio dall’attrice, finendo coll’invertire indebitamente l’onere della prova in ordine all’effettiva coincidenza tra questi ultimi terreni e quelli per i quali la Umbria Filler s.r.l. aveva dedotto la titolarità di un valido titolo di godimento.

2. Con il secondo motivo, la società ricorrente principale si duole della nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 345 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di rilevare la tardività della contestazione, avanzata solo in appello dalla D.A., circa la corrispondenza, con quelli dedotti in giudizio dall’attrice, dei terreni in relazione ai quali la Umbria Filler s.r.l. ha rivendicato il possesso di validi titoli di legittimazione del godimento.

3. Entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono infondati.

4. Osserva il Collegio come, posta l’originaria generale contestazione, contenuta nell’atto di citazione della D.A., della sussistenza, in capo all’Umbria Filler s.r.l., di un valido titolo a fondamento dell’occupazione dei terreni dell’attrice, il successivo atto processuale con il quale la Umbria Filler s.r.l. ha viceversa dedotto la sussistenza di un simile titolo non esigeva alcuna ulteriore conferma o ripetizione, da parte della D.A., dell’originaria contestazione generale, consistendo, proprio tale radicale negazione della sussistenza di alcun titolo a fondamento dell’occupazione della società convenuta, il thema decidendum già formalmente sottoposto all’esame del giudice di merito.

5. Conseguentemente, del tutto correttamente il giudice d’appello ha ascritto, agli oneri incombenti sulla società convenuta, il compito di fornire la prova dell’effettivo possesso dei titoli di legittimazione al godimento dei terreni dedotti in giudizio dall’attrice, senza incorrere in alcuna indebita inversione degli oneri probatori incombenti sulle parti, né in alcun mancato rilievo in ordine alla pretesa tardività di una contestazione viceversa già tematizzata a fondamento del giudizio proposto.

6. Con il terzo motivo, la ricorrente principale censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2043 e 2056 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente liquidato il danno patrimoniale per il mancato godimento della particella n. ***** in ragione del solo fatto della relativa occupazione abusiva (c.d. danno in re ipsa), finendo col riconoscere detto danno quale mero evento e non già quale conseguenza dannosa dell’illecito contestato.

7. Con il quarto motivo, la ricorrente principale censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1223 e 1226 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto di poter liquidare il danno patrimoniale per il mancato godimento della particella n. ***** in via equitativa, senza che la parte danneggiata avesse mai fornito alcuna prova circa la certezza di tale danno, ovvero circa l’obiettiva impossibilità o la particolare difficoltà della dimostrazione di detto danno nel suo preciso ammontare.

8. Con il quinto motivo, la ricorrente principale censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2043,2059,1226 e 2697 c.c., in combinato disposto con l’art. 115 c.p.c. e art. 185 c.p. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente liquidato il danno non patrimoniale per il mancato godimento della particella n. ***** in ragione del solo fatto della relativa occupazione abusiva (c.d. danno in re ipsa) e della sola configurabilità in astratto della fattispecie di reato di cui all’art. 633 c.p., finendo col riconoscere detto danno quale mero evento, e non già quale conseguenza dannosa dell’illecito contestato.

9. Con il sesto motivo, la società ricorrente principale censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 981 e 982 c.c., in combinato disposto con gli artt. 1014 e 1072 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per essere la corte territoriale incorsa nell’errore materiale consistito nel difetto di corrispondenza tra quanto indicato in motivazione e quanto viceversa affermato nel dispositivo con riguardo alla decorrenza del danno da mancato godimento della particella n. *****.

10. Il terzo, il quarto e il quinto motivo sono fondati e suscettibili di assorbire la rilevanza del sesto motivo.

11. Osserva al riguardo il Collegio come il giudice d’appello, nel procedere alla determinazione del danno effettivamente subito dall’attrice quale conseguenza del comportamento illecito della controparte, abbia totalmente trascurato di individuare e valorizzare le circostanze di fatto che, al di là della mera occorrenza dell’occupazione illegittima del terreno (e dell’astratta ricorrenza della fattispecie di reato di cui all’art. 633 c.p., in relazione al danno non patrimoniale), giustificassero il riconoscimento di un pregiudizio di natura patrimoniale o non patrimoniale a carico dell’attrice, giungendo all’indebita identificazione delle conseguenze dannose denunciate con il diverso estremo dell’evento dannoso dedotto in giudizio, e dunque all’identificazione del danno civile con il c.d. “danno-evento”.

12. Varrà sottolineare come un simile ragionamento probatorio risulti in frontale contrasto con il consolidato, prevalente, orientamento della giurisprudenza di questa Corte (che il Collegio intende condividere nella sua interezza e confermare al fine di assicurarne continuità) incline a imporre, in ogni caso, la dimostrazione, da parte del danneggiato, delle conseguenze dannose sofferte a seguito dell’illecito dedotto in giudizio.

13. Sul punto – pur consapevole del persistente ricorso, in talune pronunce di legittimità (benché talora in termini solo meramente retorici), alla contrastata figura del danno in re ipsa, consistente nel fatto in sé dell’occupazione abusiva di un immobile altrui (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 21239 del 28/08/2018, Rv. 650352 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 20545 del 06/08/2018, Rv. 649998 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 16670 del 09/08/2016, Rv. 641485 – 01) – questo Collegio ritiene tuttavia di dover diversamente ribadire quanto, in termini di maggior rigore e coerenza di sistema, affermato da questa Corte (v., da ultimo, Sez. 3, Ordinanza n. 7280 del 16/03/2021, Rv. 660912 01; Sez. 3, Sentenza n. 11203 del 24/04/2019, Rv. 653590 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 13071 del 25/05/2018, Rv. 648709 – 01), là dove, in caso di occupazione illegittima di un immobile, ha sottolineato come il danno subito dal proprietario non possa ritenersi sussistente in re ipsa, atteso che tale concetto giunge a identificare il danno con l’evento dannoso e a configurare un vero e proprio “danno punitivo”, ponendosi così in contrasto sia con l’insegnamento delle Sezioni Unite della S.C. (Sez. U., Sentenza n. 26972 del 11/11/2008), secondo il quale quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che dev’essere allegato e provato, sia con l’ulteriore e più recente intervento nomofilattico (Sez. U., Sentenza n. 16601 del 05/07/2017, Rv. 644914 – 01) che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l’ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell’art. 23 Cost..

14. Ne consegue che il danno da occupazione sine titulo, in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma un alleggerimento dell’onere probatorio di tale natura non può includere anche l’esonero dall’allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l’intenzione concreta del proprietario di mettere l’immobile a frutto (Sez. 3, Ordinanza n. 7280 del 16/03/2021, cit.; Sez. 3, Sentenza n. 13071 del 25/05/2018, Rv. 648709 – 01; nello stesso senso, anteriormente, Sez. 3, Sentenza n. 15111 del 17/06/2013, Rv. 626875 – 01, nonché, successivamente, Sez. 3, Ordinanza n. 31233 del 04/12/2018, Rv. 651942 – 01).

15. Non e’, dunque, esclusa la possibilità di ricorrere a tal fine alla prova per presunzioni (cfr., da ultimo, Sez. 2, Sentenza n. 21272 del 05/10/2020, Rv. 659368 – 01), giacché esse costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione, spettando, pertanto, al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge (così Sez. 3, Sentenza n. 15111 del 17/06/2013, cit.).

16. In difetto, dunque, di prova, anche presuntiva, della volontà di mettere il bene a frutto (anche in modo diverso dalla sua locazione a terzi), e dunque dell’esistenza del danno, non può richiamarsi la possibilità della liquidazione secondo equità, atteso che l’esercizio del potere discrezionale di liquidazione del danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., dà luogo, non già a un giudizio di equità, ma a un giudizio di diritto caratterizzato dalla c.d. equità giudiziale correttiva o integrativa; esso, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che per la parte interessata risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo ammontare, e dall’altro non ricomprende l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno (da ultimo, Sez. 3, Ordinanza n. 7280 del 16/03/2021, cit.; Sez. 3, Sentenza n. 16344 del 30/07/2020, Rv. 658986 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 4310 del 22/02/2018, Rv. 647811 – 01).

17. In breve, la liquidazione equitativa del danno presuppone l’esistenza di un danno risarcibile certo nella sua esistenza ontologica (e non meramente eventuale o ipotetico), nonché l’impossibilità, l’estrema o la particolare difficoltà di provarlo nel suo preciso ammontare in relazione al caso concreto (Sez. 3, Ordinanza n. 2831 del 05/02/2021, Rv. 660522 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26051 del 17/11/2020, Rv. 659923 – 01).

18. Con il primo motivo del ricorso incidentale, D.A.A. censura la sentenza impugnata per avere la corte territoriale erroneamente escluso la riconoscibilità, in favore della danneggiata, degli interessi sulle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno in ragione della relativa liquidazione in misura onnicomprensiva.

19. Osserva il Collegio come il motivo in esame, in quanto incidente sulla determinazione delle somme riconosciute in favore della D.A. a titolo di risarcimento dei danni, debba ritenersi assorbito dalla rilevata fondatezza, e dal conseguente accoglimento del terzo, del quarto e del quinto motivo del ricorso principale.

20. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, la D.A. censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi in modo integrale sulla domanda di condanna della società avversaria al risarcimento del danno relativo all’asportazione indebita di materiale a seguito delle abusive escavazioni avvenute nella particella n. *****.

21. Il motivo è infondato.

22. Osserva il Collegio come, alla pag. 17 (dal primo rigo in poi) della sentenza impugnata, la corte territoriale abbia espressamente rilevato la spettanza, in favore della D.A., del “risarcimento del danno subito per l’abusiva escavazione da parte della convenuta della part. *****, ma non anche per l’escavazione della part. *****, salvo naturalmente che l’escavazione su questa particella sia avvenuta secondo modalità diverse da quelle convenute, da presumersi corrispondenti a quelle concesse dalla p.a.”.

23. Si tratta – come appare evidente – di una motivazione che, in modo esplicito, menziona il mancato riconoscimento, in favore dell’attrice, di alcun risarcimento del danno per l’asportazione indebita di materiali dalla particella n. ***** (sul presupposto della “presumibile corrispondenza” delle modalità di escavazione a quelle concesse dalla p.a.), con la conseguente insussistenza di alcuna omessa pronuncia del giudice a quo sulla corrispondente domanda proposta dall’odierna ricorrente incidentale.

24. Con il terzo motivo di ricorso incidentale, la D.A. censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale omesso di esaminare i contenuti delle controdeduzioni avanzate dal consulente di parte nei confronti della consulenza tecnica d’ufficio, con specifico riguardo alla valutazione economica del materiale asportato dai terreni di proprietà dell’attrice; valutazione che il giudice a quo ha acriticamente recepito dalla consulenza tecnica d’ufficio senza dedicare alcun minimo cenno alle osservazioni contenute negli atti di parte.

25. Il motivo è fondato.

26. Osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, le consulenze tecniche di parte non costituiscono, di per sé, un mezzo di prova, limitandosi a rappresentare l’apporto di allegazioni difensive di contenuto tecnico che, ove non esplicitamente confutate, devono ritenersi implicitamente disattese (Sez. 5, Sentenza n. 30364 del 21/11/2019, Rv. 655931 – 01).

27. Tuttavia, qualora i rilievi contenuti nella consulenza di parte siano precisi e circostanziati, tali da portare a conclusioni diverse da quelle contenute nella consulenza tecnica d’ufficio ed adottate in sentenza, ove il giudice trascuri di esaminarli analiticamente, si profila l’evenienza del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 30364 del 21/11/2019, cit.).

28. In altri termini, mentre, da un lato, il giudice del merito che aderisca al parere del consulente tecnico d’ufficio non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni, poiché l’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione non suscettibile di censure in sede di legittimità (ben potendo il richiamo, anche per relationem, dell’elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente), dall’altro, là dove alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate (sia dai consulenti di parte che dai difensori), il giudice del merito, al fine di non incorrere nel vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione (v. Sez. 1, Ordinanza n. 15147 del 11/06/2018, Rv. 649560 – 01).

29. Nel caso di specie, avendo la D.A. evidenziato (e adeguatamente allegato in giudizio) come il proprio consulente di parte avesse avanzato l’opportunità di commisurare il valore del materiale asportato dalla cava sulla base dei parametri previsti dalla legislazione regionale delle Marche (di gran lunga superiore ai valori previsti dai parametri utilizzati dal c.t.u.), e avendo rivendicando, in ogni caso, la necessità che la valutazione del c.t.u. fosse supportata da documentazione concretamente verificabile, l’assenza, dal quadro della motivazione della sentenza impugnata, di alcuna menzione di tale articolazione dialettica tra i diversi consulenti, oltre alla mancata giustificazione del prevalente rilievo conferito ai parametri indicati dal consulente tecnico dell’ufficio, valgono a integrare gli estremi per il riconoscimento della violazione, da parte del giudice a quo, dei principi di diritto più sopra richiamati.

30. Sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza del terzo, quarto e quinto motivo del ricorso principale e del terzo motivo del ricorso incidentale; e preso atto dell’infondatezza dei primi due motivi del ricorso principale e del secondo motivo del ricorso incidentale (assorbito il sesto motivo del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale), dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il terzo, il quarto e il quinto motivo del ricorso principale e il terzo motivo del ricorso incidentale; rigetta i primi due motivi del ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale; dichiara assorbiti il sesto motivo del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 19 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

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