Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.26450 del 29/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7651/2018 proposto da:

ALLSYSTEM S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VIRGILIO, 8, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MUSTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA FORTUNAT;

– ricorrente –

contro

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO CONTI ROSSINI 113, presso lo studio dell’avvocato ELENA DE CESARE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CONCETTA VULLO TRAVE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 735/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 07/09/2017 R.G.N. 317/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/04/2021 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita.

RILEVATO

Che:

Il Tribunale di Torino accoglieva in parte la domanda proposta da S.F. nei confronti della Vigilanza Mondialpol Torino s.p.a. fusa per incorporazione nella Allsystem s.p.a. volta a conseguire il pagamento di maggiorazioni retributive e risarcimento danno per lavoro straordinario prestato oltre il limite massimo previsto dalla legge e dal contratto collettivo nel periodo 2006-2008, e condannava la società al pagamento della somma di Euro 9.990,96 per il titolo descritto, compensando per due terzi le spese di lite, per il residuo poste a carico della Allsystem s.p.a.;

detta pronuncia veniva parzialmente riformata dalla Corte distrettuale che, accogliendo il motivo di gravame proposto dalla società, attinente alla erroneità dei conteggi allegati al ricorso e posti a base della decisione, disponeva condanna di parte appellante al pagamento del minore importo di Euro 7.556,19, compensando per un terzo le spese del doppio grado di giudizio e condannando l’appellante alla rifusione del residuo;

la cassazione di tale decisione è domandata dalla Allsystem s.p.a. sulla base di tre motivi;

resiste C.F. con controricorso successivamente illustrato da memoria ex art. 380 bis c.p.c..

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

ci si duole che il giudice di seconda istanza sia pervenuto al riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a prestazioni lavorative rese oltre i limiti di legge e di contratto, in assenza di qualsivoglia allegazione e prova della natura ed esistenza del danno lamentato, della sua entità, del nesso causale dell’asserito danno, con la propria vicenda lavorativa;

gli approdi ai quali è addivenuto, non sono coerenti con i principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità alla stregua dei quali l’accertamento del diritto in questa sede rivendicato, non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, non può prescindere da una specifica allegazione in ordine alla natura ed alle caratteristiche proprie del pregiudizio che si asserisce risentito;

si addebita quindi, al giudice del gravame, di aver fatto ricorso ad una nozione di prova del danno in via presuntiva, inammissibile nel nostro ordinamento;

2. il motivo non è fondato;

la pronuncia della Corte distrettuale, nei suoi esiti applicativi, si colloca nel solco dell’orientamento espresso da questa Corte secondo cui la prestazione lavorativa “eccedente”, che supera di gran lunga i limiti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva e si protrae per diversi anni, cagiona al lavoratore un danno da usura – psicofisica, di natura non patrimoniale e distinto da quello biologico, la cui esistenza è presunta nell’an in quanto lesione del diritto garantito dall’art. 36 Cost., mentre ai fini della determinazione occorre tenere conto della gravità della prestazione e delle indicazioni della disciplina collettiva intesa a regolare il risarcimento in oggetto (in termini Cass. 14.7.2015 n. 14710; Cass. 23.5.2014 n. 11581, Cass. 10.5.2019 n. 12540);

come accertato in precedenti arresti di legittimità inerenti a fattispecie sovrapponibili a quella qui scrutinata, con riguardo al principio sopra esposto, nessun difetto di allegazione e prova è ravvisabile nello specifico, essendo stati prospettati dal ricorrente nei gradi di merito sia il numero delle ore straordinarie svolte che il periodo di riferimento, elementi dai quali la Corte territoriale, con argomentazioni congruamente motivate, ha rilevato la “abnormità” della prestazione eseguita e, quindi, tale di per sé da compromettere l’integrità psico-fisica e la vita di relazione del lavoratore, secondo un corretto ragionamento logico-giuridico (in termini, vedi Cass. cit. n. 12540/2019, Cass.10.5.2019n. 12538, Cass. 10.5.2019 n. 12539);

3. il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1366,1367 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

si critica la statuizione con la quale la Corte di merito ha proceduto alla esegesi del Contratto Integrativo Regionale affermando che la nuova disciplina della banca ore ivi prevista, decorresse dal 2009; si osserva per contro che, in applicazione del c.c.n.l. del 2006, detto contratto integrativo territoriale – che aveva previsto per le ore di lavoro prestate in eccedenza, una maggiorazione retributiva del 50% – benché sottoscritto il 19/3/2009, avrebbe dovuto rinvenire applicazione a far tempo dal 18/7/2007;

l’espressa deroga a tale decorrenza, prevista dall’art. 12, con riferimento alla elevazione della banca ore da una a due ore di accantonamento per ogni giorno di effettivo lavoro, non era invece contenuta nel comma 4 in tema di remunerazione delle ore prestate oltre il tetto di banca ore, fissato nella misura del 50% della normale retribuzione; detto comma non poteva che essere interpetrato, quindi, nel senso che la nuova determinazione della misura della maggiorazione, dovesse decorrere dal luglio 2007;

4. il motivo è inammissibile;

al di là di ogni pur assorbente considerazione in ordine alla mancanza di produzione in forma integrale del c.c.n.l. di settore e del difetto di specificità del motivo che non riporta il tenore delle disposizioni del contratto integrativo, giova rimarcare che, per l’interpretazione del Contratto Integrativo Regionale, devono essere adottati i criteri ermeneutici negoziali, non essendo possibile procedere ad una interpretazione diretta delle sue clausole ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, riguardando, tale norma, esclusivamente i contratti collettivi nazionali di lavoro (Cass. 3.12.2013 n. 27062; Cass. 17.2.2014 n. 3681);

orbene, nella fattispecie in esame, l’interpretazione fornita dalla Corte di merito (richiamando anche i propri precedenti in materia) sulla non retroattività dell’art. 12 del C.I.R. è plausibile, perché non contrasta con i criteri di letteralità e di interpretazione complessiva delle clausole ed è ragionevole perché, oltre alla previsione della maggiorazione della percentuale di risarcimento (dal 35% al 50%), la contrattazione integrativa ha modificato da una a due le ore confluibili nella “banca ore”, di talché sarebbe ingiustificato applicare il solo aspetto economico ad un sistema di regime orario fondato invece su diversi presupposti;

la censura si limita, pertanto, a contrapporre un diverso risultato interpretativo rispetto a quello giudiziario in assenza, però, di acclarate violazioni in ordine ai criteri ermeneutici di riferimento (Cass. 22.2.2007 n. 4178; Cass. 3.9.2010 n. 19044);

5. il terzo motivo attiene alla violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

ci si duole del governo delle spese disposto dalla Corte distrettuale che, nonostante avesse ridotto l’entità delle somme oggetto di condanna rispetto a quelle liquidate dal giudice di prima istanza, aveva proceduto a parziale compensazione delle spese ponendole a carico della società in misura superiore (due terzi) rispetto a quelle liquidate dal Tribunale (un terzo);

6. il motivo non è fondato;

e’ bene rammentare che in materia di procedimento civile, il criterio della soccombenza deve essere riferito alla causa nel suo insieme, con particolare riferimento all’esito finale della lite, sicché è totalmente vittoriosa la parte nei cui confronti la domanda avversaria sia stata totalmente respinta, a nulla rilevando che siano state disattese eccezioni di carattere processuale o anche di merito (ex aliis vedi Cass. 2/9/2014 n. 18503);

va altresì considerato che la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la,determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le partì, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (vedi Cass. 20/12/2017 n. 30592);

in tale prospettiva la statuizione emessa dai giudici di seconda istanza,. disposta all’esito dello scrutinio dell’esito complessivo della lite, si sottrae alla censura all’esame, atteso che la ricordata ripartizione delle spese di lite, frutto del corretto vaglio del criterio della soccombenza riferito all’intero giudizio, non è scrutinabile nella presente sede di legittimità;

il ricorso, alla stregua delle superiori argomentazioni, va, pertanto respinto;

le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo;

trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi e’d Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

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