Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.26538 del 30/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13779/2019 proposto da:

AQUILEIA CAPITAL SERVICES SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAVOIA 72, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA MORIANI, che lo rappresenta difende unitamente agli avvocati LORIS BOVO, ELENA ANDRICH, ALESSANDRO VILLANI;

– ricorrente –

contro

MECCANICA B. SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 585/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 25/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/05/2021 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

RILEVATO

che:

Meccanica B. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Udine Heta Asset Resolution Italia s.r.l. (in seguito Aquileia Capital Services s.r.l.) chiedendo, con riferimento allo stipulato contratto di leasing immobiliare, fra l’altro l’accertamento dell’inosservanza degli obblighi di legge e di buona fede per l’inserimento della clausola cosiddetta rischio cambio, con la condanna alla restituzione, anche a titolo risarcitorio, delle somme versate per l’importo complessivo di Euro 202.567,62, oltre quelle successivamente versate. Il Tribunale adito accolse parzialmente la domanda, condannando la convenuta alla restituzione della somma di Euro 130.698,86 corrisposta in forza della clausola rischio cambio sulla base della nullità di tale clausola per indeterminatezza e per violazione delle norme del T.U.F. in materia di trasparenza, nonché per la sua natura di derivato finanziario. Avverso detta sentenza propose appello Aquileia Capital Services s.r.l.. Con sentenza di data 25 ottobre 2018 la Corte d’appello di Trieste rigettò l’appello.

Premise la corte territoriale che la clausola rischio cambio del contratto prevedeva che, in caso di canoni determinati sulla base del rapporto di cambio Euro/valuta indicata, i canoni erano variabili secondo il seguente criterio: determinata mensilmente dal locatore la variazione tra il cambio storico ed il cambio di scadenza del canone, si leggeva che “se la variazione è positiva, il canone oltre IVA maturato sarà suddiviso per il cambio di scadenza del canone e moltiplicata per la differenza tra il cambio storico e quello attuale della scadenza del canone. L’importo risultante, aumentato dell’IVA di legge, costituirà il rischio di cambio del mese a carico dell’utilizzatore. Se la variazione è negativa, la quota capitale del canone imponibile maturato sarà suddiviso per il cambio di scadenza del canone e moltiplicato per la differenza tra il cambio storico e quello attuale della scadenza del canone. L’importo risultante, aumentato dell’IVA di legge, costituirà il rischio cambio a favore del conduttore (…). Il conduttore prende atto che la presente clausola, per quanto attiene al rischio di cambio, ha carattere aleatorio”. Osservò quindi, alla luce della meritevolezza di cui all’art. 1322 c.c., da non esaurire nel controllo di conformità alle norme imperative, l’ordine pubblico ed il buon costume, ma da estendere anche alla dignità degli interessi tutelati, che il contratto (o la singola clausola), confezionato in modo da realizzare sempre e comunque gli interessi di una sola parte, la quale era anche l’unica ad avere cognizione dell’effettiva operazione realizzata, disattendendo ab origine qualsiasi possibilità di guadagno per l’altro contraente, non poteva essere considerato meritevole di tutela, non essendo le parti dotate della medesima capacità di comprendere e gestire il rischio.

Aggiunse che, ove la funzione della clausola fosse stata quella di permettere al cliente di contrarre un leasing in valuta estera, tale risultato poteva essere facilmente raggiunto mediante una semplice operazione di conversione della provvista originaria, mentre il risultato cui tendeva la clausola del rischio cambio non era quello della semplice conversione fra la valuta del contratto e quella estera, bensì quello di assicurare maggiori vantaggi alla banca mediante l’aggiunta degli interessi e dell’IVA nel caso di cambio in discesa ad essa favorevole, al contrario dell’utilizzatore, il quale non solo non godeva di quel vantaggio, ma partiva da una posizione contrattuale oggettivamente sfavorita dal tasso di cambio non ancorato al fixing del giorno di stipulazione del contratto o altro elemento certo, ma ad un tasso deciso dalla banca ed accettato dall’utilizzatore, quindi non consapevolmente concordato. Osservò ancora che “il contratto volto alla realizzazione di sistematiche e certe perdite per l’investitore, non a causa di un imprevedibile andamento del mercato, ma per la maniera con la quale questo viene strutturato, non supera il sindacato di meritevolezza, poiché del lucro finanziario, che rappresenta la ragione che ha spinto le parti ad obbligarsi, beneficerà esclusivamente la banca e quasi mai il cliente”.

Aggiunse inoltre, per quanto qui rileva, che, in ordine alla eccepita carenza di legittimazione passiva, difettava la prova del conferimento dell’azienda in quanto il relativo documento era stato tardivamente prodotto in primo grado oltre i termini previsti per le memorie ai sensi dell’art. 183 c.p.c. e che in ogni caso l’eccezione era infondata perché il contratto prevedeva un’unica obbligazione di pagamento e non prestazioni ripetute e scaglionate nel tempo, ma autonome fra loro.

Ha proposto ricorso per cassazione Aquileia Capital Services s.r.l. sulla base di otto motivi. E’ stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. E’ stata presentata memoria.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 1, artt. 1363 e 1366 c.c.. Osserva la parte ricorrente che, prevedendo la clausola di indicizzazione al tasso di cambio il rischio per entrambe le parti (con variazione positiva – Euro indebolito rispetto al franco svizzero – il conguaglio è a favore della concedente, il contrario nel caso di variazione negativa), per ragioni del tutto imprevedibili e fuori del controllo della concedente, con espressa previsione di aleatorietà, e determinando l’inclusione dell’IVA nella base di calcolo dell’indicizzazione valutaria nel solo caso di variazioni a favore del concedente un rischio leggermente maggiore per l’utilizzatore (pari al 2,09% dell’intero importo finanziato ed allo 0,19/0 annuo considerati undici anni di rapporto contrattuale – l’importo conseguente di Euro 44.445,07, su Euro 2.120.846,71 corrispondente all’intero finanziamento, era stato spontaneamente riaccreditato dalla concedente), l’interpretazione della corte territoriale in termini di realizzazione sempre e comunque solo degli interessi di una delle parti (la banca), disattendendo qualsiasi possibilità di guadagno per l’altro contraente, è in violazione sia del senso letterale delle parole che della ratio del precetto contrattuale.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 111 Cost.. Osserva la parte ricorrente che la motivazione è mancante in quanto contraddittoria perché per un verso si afferma che la clausola di indicizzazione al tasso di cambio “altro non è che una scommessa sul futuro andamento del cambio fra le due divise”, riconoscendo così l’intrinseca aleatorietà della stessa, per l’altro si afferma che la clausola “realizza sempre e comunque gli interessi di una sola delle parti (…) disattendendo al contrario qualunque possibilità di guadagno per l’altro contraente”. Aggiunge che il rilievo di maggiori vantaggi alla banca mediante l’aggiunta degli interessi e dell’IVA nel caso di cambio in discesa ad essa favorevole non trova riscontro nella clausola, la quale non prevede alcuna aggiunta degli interessi, e che non vi è spiegazione circa le ragioni per le quali la marginale differenza derivante dall’inclusione dell’IVA nella base di calcolo, nel caso di variazione positiva, come illustrata nel precedente motivo, determini uno sbilanciamento tale da far ritenere il contratto privo di meritevolezza. Conclude nel senso che il rilevato radicale squilibrio è un argomento meramente formale privo di motivazione.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 1, artt. 1363 e 1366 c.c., art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 111 Cost.. Osserva la parte ricorrente, con riferimento all’affermazione secondo cui l’utilizzatore partirebbe “da una posizione contrattuale oggettivamente sfavorita dal tasso di cambio non ancorato al fixing del giorno della stipula del contratto o altro elemento certo”, che non risulta rispettato il canone del senso letterale delle parole della clausola, nonché il complesso della pattuizioni contrattuali, perché l’assunzione in via convenzionale di un valore del tasso di cambio differente da quello rilevato sul mercato il giorno della stipulazione del verbale non determina alcuna condizione di maggior sfavore per l’utilizzatore, il quale pagherà il canone sulla base del valore del tasso di cambio rilevato sul mercato. Aggiunge che non vi è motivazione in ordine a quanto affermato nella comparsa conclusionale, e cioè che il verbale di consegna, nel quale l’utilizzatore aveva optato per la facoltà, concessa dalla banca, di indicizzare i canoni, oltre che al tasso di interesse Libor CHF, anche al tasso di cambio fra l’Euro e altra valuta, non avrebbe mai potuto riportare il tasso di cambio esistente il giorno della sua sottoscrizione perché quel giorno il tasso non era disponibile, per cui era stato preso a riferimento quello del giorno precedente la sottoscrizione del verbale di consegna, praticamente coincidente con quello convenzionalmente adottato dalle parti (il tasso del giorno precedente era pari a 1,5558, quello adottato pari a 1,5550, con una differenza infinitesimale – quindi pari a 0,0008, costituente peraltro una sottovalutazione dell’Euro, e quindi a favore dell’utilizzatore).

Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1322 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che, come affermato da Cass. n. 1465 del 2018, l’immeritevolezza del contratto discende dalla contrarietà del patto atipico con i principi di solidarietà, parità e non prevaricazione, da cui il vantaggio per una sola delle parti e nettamente sproporzionato rispetto al vantaggio della controparte (per cui sono stati ritenuti immeritevoli ai sensi dell’art. 1322, contratti che, pur formalmente rispettosi della legge, avevano per scopo o effetto il vantaggio ingiusto o sproporzionato senza contropartita per la controparte, la posizione di indeterminata soggezione di una parte rispetto all’altra, la costrizione di una parte a tenere condotte contrastanti con i superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti). Aggiunge che la clausola di indicizzazione al tasso di cambio non prevede alcun vantaggio sproporzionato a favore della concedente perché: la pretesa maggiorazione degli interessi, nel caso di conguagli a favore della concedente, non è prevista; la maggiorazione dell’IVA ha un’incidenza del tutto minimale e comporta un rischio lievemente maggiore per l’utilizzatore; il tasso di cambio convenzionale presenta una differenza infinitesimale rispetto a quello rilevato sul mercato il giorno del verbale di consegna e comunque si tratta di differenza a vantaggio dell’utilizzatore. Osserva ancora, richiamata l’aleatorietà della clausola, che non ogni regolamento che attribuisca maggior vantaggi ad una parte è immeritevole di tutela, ma solo quello a tal punto sperequato da andare a vantaggio solo di una delle parti (come si evince, ad esempio, dalla legittimità nei contratti di apertura di credito in conto corrente di interessi passivi più alti rispetto a quelli attivi), alla luce della giurisprudenza di legittimità (oltre il precedente citato, Cass. n. 17500 del 2018 e n. 18724 del 2018), anche considerando la riconosciuta legittimità delle clausole di indicizzazione alla valuta straniera (Cass. n. 8548 del 2018).

Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1366 c.c., art. 1372 c.c., comma 1 e art. 2697 c.c., D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 3, comma 1, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente, avuto riguardo al rilievo secondo cui la concedente sarebbe l’unica ad avere cognizione dell’operazione mentre l’utilizzatore non solo non avrebbe contribuito alla costituzione del vincolo ma anche non avrebbe reale conoscenza degli andamenti determinanti l’operazione, e premesso che come espressamente indicato in contratto Meccanica Benazzi esercita l’attività di fabbricazione e lavorazione di prodotti in metallo e dunque trattasi di professionista (per cui immotivata è la qualifica di parte debole), che, come si legge dal verbale di consegna, è stato l’utilizzatore a fare richiesta della conversione della valuta di riferimento, avvalendosi così della facoltà concessa dalla controparte, accettando inoltre la determinazione del cambio di riferimento Euro/CHF (1 Euro=CHF 1,5550), per cui la corte territoriale, affermando che l’utilizzatore non avrebbe “contribuito alla costituzione del vincolo” ha violato le seguenti norme: l’art. 1362 e l’art. 1363, per non avere considerato che Meccanica B. ha fatto espressa richiesta di avvalersi della facoltà di conversione della valuta di riferimento; l’art. 1366, non essendo comprensibile, in un’ottica di ragionevolezza, come possa sostenersi che l’utilizzatore abbia liberamente scelto di indicizzare il contratto al tasso di cambio; l’art. 2697, avendo l’utilizzatore l’onere di provare che la volontà espressa era diversa da quella manifestata. Aggiunge che la statuizione si pone in contrasto anche con il principio di autoresponsabilità (Cass. n. 5535 del 2012, n. 16389 del 2017 e n. 10115 del 2018), una volta che l’utilizzatore abbia sottoscritto il contratto ed il successivo verbale di consegna, e che privo di motivazione è anche il rilievo della mancata conoscenza degli andamenti determinanti l’operazione, essendo l’andamento del tasso di cambio conoscibile da chiunque con l’ordinaria diligenza.

Con il sesto motivo si denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 111 Cost.. Osserva la parte ricorrente, avuto riguardo al rilievo secondo cui la concedente sarebbe l’unica ad avere cognizione dell’operazione mentre l’utilizzatore non solo non avrebbe contribuito alla costituzione del vincolo ma anche non avrebbe reale conoscenza degli andamenti determinanti l’operazione, che trattasi di affermazione del tutto carente di motivazione in quanto non si comprendono le ragioni e le argomentazioni in base alle quali la corte territoriale sarebbe pervenuta alle conclusioni indicate.

Con il settimo motivo si denuncia in via subordinata violazione e falsa applicazione degli artt. 1367 e 1371, nonché art. 1419 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che la corte territoriale non ha dichiarato la nullità solo della previsione relativa all’IVA, ma ha sanzionato con la nullità l’intera clausola di indicizzazione al cambio, così violando sia l’art. 1367, per non avere verificato se la clausola avrebbe potuto essere efficace anche in assenza della censurata previsione avente ad oggetto l’IVA, indagine che avrebbe dato esito positivo come confermato dalla spontanea restituzione da parte della concedente del corrispondente importo, sia l’art. 1371, per avere determinato uno squilibrio contrattuale con l’invalidazione dell’intera clausola.

Con l’ottavo motivo si denuncia in via di estremo subordine violazione e falsa applicazione degli artt. 2699,2670,1418 e 2033 c.c., artt. 115 e 183 c.p.c., art. 58 TUB, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente, con riferimento al rigetto dell’eccezione proposta in via subordinata di difetto di legittimazione passiva limitatamente alle pretese restitutorie per i versamenti effettuati prima del conferimento aziendale effettuato da Hypo Bank ad Aquileia, che la circostanza del subentro nel contratto non era in contestazione, avendo la stessa attrice citato in giudizio Heta Asset Resolution Italia e che comunque trattandosi di atto pubblico era reperibile mediante accesso all’archivio notarile. Aggiunge che vi è difetto di legittimazione passiva limitatamente alle pretese restitutorie per i versamenti effettuati prima del conferimento aziendale effettuato da Hypo Bank ad Aquileia e che l’obbligazione di restituzione delle somme per ipotesi indebitamente percepite non fa parte delle obbligazioni oggetto di cessione. Osserva ancora che trattandosi di clausola nulla Aquileia non avrebbe potuto subentrarvi.

Il primo e secondo motivo, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono fondati. L’interpretazione del contratto da parte della corte territoriale è stata, nella parte censurata dai motivi in esame, in termini di realizzazione sempre e comunque solo degli interessi di una delle parti (la banca), disattendendo qualsiasi possibilità di guadagno per l’altro contraente. Una siffatta interpretazione contrasta con il criterio ermeneutico del senso letterale delle parole che, pur non necessariamente decisivo ai fini della ricostruzione dell’accordo, riveste comunque un rilievo centrale. Ed invero la clausola di indicizzazione del canone, riprodotta nella motivazione della sentenza impugnata, ha espressamente carattere bidirezionale quanto agli effetti del rischio di cambio, oltre che essere espressamente dichiarata dalle parti come aleatoria, sicché è del tutto evidente che non è compatibile con il criterio ermeneutico del senso letterale delle parole un’interpretazione in termini di idoneità ad arrecare vantaggio, per questo aspetto, solo ad una delle parti del contratto.

Sotto tale profilo la motivazione è anche al di sotto del minimo costituzionale per l’intima contraddittorietà che la riveste, tale da non consentire di cogliere la ratio decidendi, nella parte in cui per un verso si riconosce l’aleatorietà della clausola di indicizzazione basata sul rischio di cambio, per l’altro si afferma che la clausola “realizza sempre e comunque gli interessi di una sola delle parti (…) disattendendo al contrario qualunque possibilità di guadagno per l’altro contraente”. Da analogo vizio, in termini di apparenza di motivazione, è attinta anche la successiva affermazione secondo cui “il contratto volto alla realizzazione di sistematiche e certe perdite per l’investitore, non a causa di un imprevedibile andamento del mercato, ma per la maniera con la quale questo viene strutturato, non supera il sindacato di meritevolezza, poiché del lucro finanziario, che rappresenta la ragione che ha spinto le parti ad obbligarsi, beneficerà esclusivamente la banca e quasi mai il cliente”.

In contrasto con il canone ermeneutico in discorso è anche il riferimento all’aggiunta degli interessi e dell’IVA nel caso di cambio in discesa favorevole alla concedente in quanto privo di riscontro nella lettera della clausola. Infine, il requisito motivazionale, costituzionalmente rilevante, è carente anche riguardo le ragioni per le quali la differenza derivante dall’inclusione dell’IVA nella base di calcolo, nel caso di variazione positiva, determinerebbe uno sbilanciamento tale da far ritenere la clausola nella sua integralità priva di meritevolezza, posto che l’equivalenza delle prestazioni non costituisce, in linea di principio, requisito di validità del contratto in regime di autonomia privata.

Il terzo motivo è inammissibile. Esso ha per oggetto l’affermazione del giudice di appello secondo cui l’utilizzatore partirebbe “da una posizione contrattuale oggettivamente sfavorita dal tasso di cambio non ancorato al fixing del giorno della stipula del contratto o altro elemento certo”. La censura, formulata nel senso che l’assunzione in via convenzionale di un valore del tasso di cambio differente da quello rilevato sul mercato il giorno della stipulazione del verbale non determina alcuna condizione di maggior sfavore per l’utilizzatore, è diretta nei confronti del risultato interpretativo, in quanto mira a rovesciare la valutazione svolta dal giudice di merito, circa la portata dell’accordo, contrapponendovi una valutazione di segno diverso. Trattasi di profilo non sindacabile nella presente sede di legittimità nei termini in cui è stato posto.

Inammissibile è anche la censura per carenza di motivazione perché la sentenza non avrebbe argomentato in ordine a quanto dedotto nella comparsa conclusionale. L’anomalia motivazionale della sentenza, rilevante sul piano costituzionale, costituisce un vizio proprio della sentenza rilevabile al suo interno, e non dal confronto con elementi esterni quali le risultanze istruttorie o comunque circostanze ricavate aliunde, nella specie il contenuto della comparsa conclusionale.

L’accoglimento di primo e secondo motivo determina l’assorbimento del quarto motivo.

Il quinto ed il sesto motivo, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono fondati per quanto di ragione. Il giudice di merito, affermando che l’utilizzatore non avrebbe contribuito alla costituzione del vincolo con riferimento alla clausola di indicizzazione del canone al cambio della valuta, ha evidentemente inteso che l’accordo sarebbe stato sul punto imposto dalla concedente. Il giudizio di fatto, considerate le risultanze del verbale di consegna quale sede della conclusione dell’accordo in ordine alla clausola in questione, specificatamente indicato in ricorso in osservanza dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, è in contrasto con il canone ermeneutico del senso letterale delle parole avuto riguardo alla circostanza che è stato l’utilizzatore ad avere richiesto di indicizzare il canone anche al cambio di valuta. Il giudizio in discorso è anche privo di motivazione, quale requisito della sentenza costituzionalmente rilevante, per il carattere apodittico della conclusione, priva di un percorso argomentativo tale da illustrarne la ratio decidendi. Il resto delle censure contenute nei motivi in esame devono intendersi assorbite.

L’accoglimento dei precedenti motivi di ricorso determina l’assorbimento di settimo e ottavo motivo proposti espressamente in via subordinata.

P.Q.M.

accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, nonché il quinto e sesto per quanto di ragione, dichiarando inammissibile il terzo motivo ed assorbito per il resto ricorso;

cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti;

rinvia alla Corte di appello di Trieste in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021

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