LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SESTINI Danilo – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10072/2019 proposto da:
B.G., e L.G., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA MAZZINI, 27, presso lo studio dell’avvocato PAOLO ZUCCHINALI, rappresentati e difesi dagli avvocati MARIO ZOCCALI, e GABRIELLA CONTI;
– ricorrenti –
contro
PROVINCIA BERGAMO, in persona del Presidente e legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268-a, presso lo studio dell’avvocato ALESSIO PETRETTI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati KATIA NAVA, e GIORGIO VAVASSORI;
– controricorrente –
e contro
FALLIMENTO ***** SRL, già PEDROIMMOBILI SRL;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1517/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata in data 01/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/05/2021 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.
RILEVATO
che:
Taluni immobili di proprietà di B.G. e di L.G. erano interessati dai lavori di costruzione della *****, oggetto d’un accordo di programma, sottoscritto, tra gli altri, dalla Provincia di Bergamo e dalla P. Immobili SRL, poi divenuta ***** S.r.l., di seguito fallita.
La Provincia di Bergamo emetteva decreto di occupazione provvisoria anticipata e di determinazione dell’indennità provvisoria di occupazione e veniva immessa nel possesso dei beni degli odierni ricorrenti.
La società P. Immobiliari ed i coniugi B. – L., in data 18 novembre 2004, sottoscrivevano una convenzione con cui questi ultimi si impegnavano a cedere volontariamente alla controparte terreni per mq 4.540 per il prezzo di Euro 14,70 al mq, salvo conguaglio, da corrispondere in tre rate: la prima, pari al 10% del totale, all’atto della stipulazione della convenzione; la seconda, pari al 70% del totale, al momento della stipulazione dell’atto definitivo di cessione; la terza, corrispondente al saldo, entro 30 giorni dall’apertura al pubblico del tratto di strada, previo eventuale conguaglio.
La società P. corrispondeva solo le prime due rate, per complessivi Euro 38.220,00. Nonostante il completamento del tratto di strada non veniva stipulato l’accordo di cessione definitivo e non venivano svolte le attività necessarie alla determinazione della effettiva area occupata né la provincia di Bergamo emetteva il decreto di esproprio.
Con lettera del 7 luglio 2011 i coniugi B. – L. intimavano inutilmente l’adempimento dell’accordo di cessione. Ricorrevano, pertanto, ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., comma 3, al Tribunale di Brescia, affinché riconoscesse il loro diritto all’adempimento delle obbligazioni assunte con l’accordo di cessione dalle convenute, la Provincia di Bergamo e la P. Immobili, dichiarasse queste ultime tenute a verificare l’effettiva consistenza della superficie di loro proprietà occupata o che, in caso di contrasto o mancata cooperazione, fossero obbligate a ritenere vincolante l’accertamento eseguito dall’ingegnere F., le condannasse al pagamento della differenza tra quanto dovuto per la superficie occupata al costo di Euro 14,70 al mq. e la somma di Euro 38.220,00 ricevuta; in via subordinata, domandavano che le convenute fossero condannate al pagamento di Euro 9555,00 o della diversa somma.
La Provincia di Bergamo, costituitasi in giudizio, chiedeva di ordinare l’integrazione del contraddittorio nei confronti di L.L., del Consorzio irriguo Federazione Bassa Pianura Bergamasca e del Comune di Cividale; in via pregiudiziale, domandava di dichiarare la sua carenza di legittimazione passiva e di estrometterla dal giudizio per non avere sottoscritto la convenzione oggetto di causa, di rigettare il ricorso; in via subordinata, chiedeva di condannare la P. Immobili a manlevarla e tenerla indenne da qualsiasi esborso; in via riconvenzionale, di condannare P. Immobili a manlevarla.
P. Immobili eccepiva preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo e chiedeva di integrare il contraddittorio nei confronti di L.L.; domandava di dichiarare la carenza di legittimazione passiva della Provincia di Bergamo, di disporre il mutamento di rito e di respingere la domanda attorea per infondatezza.
Il Tribunale di Bergamo, con sentenza n. 2511/2016, rigettava la domanda attorea, ritenendo che la convenzione oggetto di causa contenesse nelle premesse la dichiarazione espressa della società P. Immobili di agire in nome e per conto della Provincia di Bergamo, in forza di delega derivante dall’accordo di programma, e che quindi la convenzione non contenesse obblighi a carico della P. Immobili; osservava che essa non vincolava neppure la Provincia di Bergamo, perché i contratti stipulati dalla P.A. richiedono la forma scritta ad substantiam, devono essere stipulati a seguito di scambio di proposta ed accettazione e non per facta concludentia, quali la presa in carico delle opere e il collaudo delle stesse, e perché la procura sulla scorta della quale aveva agito la P. avrebbe dovuto essere conferita con la stessa forma del contratto che il procuratore era chiamato a concludere, così come la eventuale ratifica, non potendosi considerare tale la lettera che i rappresentanti legali della Provincia avevano inoltrato agli attori, non contenendo essa alcuna volontà di far proprio il contenuto della convenzione intercorsa tra gli odierni ricorrenti e la P. Immobili. Aggiungeva che non era stato dimostrato il conferimento di procura alla P. Immobili, posto che nell’accordo di Programma era previsto che la Provincia di Bergamo provvedesse direttamente all’acquisizione delle aree interessate dai lavori.
La Corte d’Appello di Brescia, investita del gravame dai coniugi B. – L., con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso, dichiarata la contumacia della P. Immobili, rigettava l’appello, confermando che la convenzione non era vincolante per la Provincia di Bergamo, nonostante la società P. Immobili avesse dichiarato di agire per suo conto, perché l’accordo di programma che avrebbe dovuto conferire tale potere alla P. Immobili non solo non conteneva alcuna autorizzazione in tal senso, ma, al contrario, all’art. 3, poneva a carico della Provincia l’obbligo di acquisizione degli immobili su cui realizzare il tratto stradale; negava che la irreversibile trasformazione dei suoli da parte della Provincia equivalesse ad una ratifica della convenzione intercorsa tra gli appellanti e la società P. Immobili; escludeva che detta convenzione fosse riconducibile allo schema del contratto per persona da nominare o a quello del contratto a favore di terzi.
I coniugi ricorrono per la cassazione di tale sentenza articolando due motivi. Resiste con controricorso la Provincia di Bergamo.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo e alquanto articolato motivo i ricorrenti deducono “Violazione (ovvero falsa applicazione) dell’art. 116 c.p.c., comma 1 (valutazione delle prove); art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (contenuto della sentenza); R.D. n. 2440 del 1923, art. 17; art. 1388 c.c. (Contratto concluso dal rappresentante); art. 1392 c.c. (Forma della procura); art. 1398 c.c. (Rappresentanza senza potere); art. 1399 c.c. (ratifica); art. 2041 c.c. (azione generale di arricchimento) e D.P.R. 8 giugno 2001, n. 237, art. 45, anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, lett. 3 e 5 (sentenza impugnabili e motivi di ricorso), come contenuta alla pag. 7 righi da 5 a 25, alla pag. 9 righi da 1 a 25 e alla pag. 10 righi da 1 a 2 dell’impugnata sentenza della Corte d’Appello” nonché “Ulteriore violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1 (valutazione delle prove); art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (contenuto della sentenza); R.D. n. 2440 del 1923, art. 17; art. 1388 c.c. (contratto concluso dal rappresentante); art. 1392 c.c. (forma della procura); art. 1398 c.c. (rappresentanza senza potere); art. 1399 c.c. (ratifica) è contenuta nell’impugnata sentenza laddove questa esclude l’efficacia nei confronti della Provincia dell’atto sottoscritto dagli odierni appellanti e la P. Immobili S.r.l. (pag. 7 righi da 7 a 25 e pag. 8 righi da 1 a 14 della Sentenza della Corte d’Appello e pag. 5, righi da 13 a 33 e pag. 6 righi da 1 a 22 della sentenza del Tribunale)”.
La sentenza impugnata avrebbe stravolto gli esiti delle prove, dei documenti acquisiti agli atti e della CTU e, oltre ad erroneamente motivare la decisione, avrebbe confermato la sentenza del Tribunale, negando che la convenzione potesse vincolare la Provincia di Bergamo e la P. Immobili, violando il R.D. n. 2440 del 1923, art. 17, artt. 1388,1392,1398,1399 c.c., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, D.P.R. n. 327 del 2001, art. 45 e incorrendo in duplice contraddizione: i) perché, dopo aver ritenuto che la convenzione non vincolasse la Provincia falsamente rappresentata dalla P. Immobili, anziché applicare l’art. 1398 c.c. e quindi condannare la P. Immobili al risarcimento del danno subito quali terzi contraenti per avere confidato senza loro colpa nella validità del contratto, ne aveva escluso erroneamente la invocabilità nei rapporti tra privati e P.A., attesa la presunzione di conoscenza delle norme di legge che disciplinano in modo inderogabile la rappresentanza esterna degli enti pubblici, omettendo di considerare che la disposizione avrebbe dovuto considerarsi applicabile nei rapporti tra privati, cioè nei confronti della P. Immobili; ii) perché la ritenuta non vincolatività della convenzione nei confronti della Provincia non aveva tenuto conto che: l’accordo di programma prevedeva che direttamente o indirettamente la Provincia avrebbe acquistato i terreni e che detto accordo era stato ratificato dalla Provincia, avendo quest’ultima fatto redigere da un suo tecnico di fiducia dei nuovi frazionamenti dei terreni oggetto di causa, che erano entrati nel giudizio, perché prodotti dalla provincia, e che erano stati oggetto di discussione tra le parti; che la Provincia aveva chiesto con diverse note alla società P. la trasmissione delle quietanze liberatorie finali attestanti l’avvenuto pagamento delle somme dovute secondo le convenzioni e si era dichiarata disponibile al completamento delle procedure. In aggiunta la Corte d’Appello, come già il Tribunale, avrebbero violato l’art. 2041 c.c. e l’art. 2043 c.c., perché il fatto incontestato che la Provincia avesse preso in carico, collaudato formalmente e inserito le opere di viabilità nel proprio patrimonio e le avesse aperte al pubblico, doveva considerarsi indice di un arricchimento della Provincia a danno dei proprietari dei terreni, i quali avrebbero subito un danno ingiusto. Ulteriore censura mossa alla sentenza impugnata è quella di aver deciso in contrasto con il tenore letterale dell’accordo di programma, ove era stato stabilito che direttamente o indirettamente i terreni su cui costruire la strada sarebbero stati acquisiti dalla Provincia, e con il fatto che la Provincia aveva ratificato per iscritto la convenzione intercorsa tra i coniugi B. – L. e la P. Immobili, come risultante dall’aver fatto redigere dei nuovi frazionamenti di terreno, dall’aver dato atto delle modifiche apportate ai terreni a seguito della realizzazione della strada ***** e dall’apprensione da parte della Provincia dei terreni Ulteriore censura mossa alla sentenza impugnata è quella di non aver tenuto conto che a seguito della CTU era stata acquisita la prova della effettiva consistenza dei terreni utilizzati (mq. 3104,19) ed era stato calcolato sia il prezzo secondo i parametri fissati dalla convenzione – Euro 45.631,59 – sia quello derivante dall’applicazione dell’ipotetica indennità di esproprio – Euro 15.210,53, da triplicare in caso di cessione volontaria, essendo gli espropriati coltivatori diretti per un totale di Euro 45.631,59 -. Di conseguenza, la Corte d’Appello, ove non fosse incorsa nella violazione dell’art. 116 c.p.c., con una semplice operazione matematica avrebbe potuto detrarre dall’importo determinato dal CTU quello già percepito, individuando nel residuo, pari ad Euro 7.411,59, la somma ancora da corrispondere, al netto di rivalutazione, interessi ed accessori.
2. Con il secondo motivo alla sentenza impugnata è imputata la “Violazione (ovvero falsa applicazione) dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (contenuto della sentenza); R.D. n. 2440 del 1923, art. 17; art. 1388 c.c. (contratto concluso dal rappresentante); art. 1392 c.c. (forma della procura); art. 1398 c.c. (rappresentanza senza potere); art. 1399 c.c. (ratifica); art. 2041 c.c. (azione generale di arricchimento) e D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 345, anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, lett. 3 e 5 (sentenze impugnabili e motivi di ricorso), come contenuta alla pag. 7 righi da 5 a 25, alla pag. 8 righi da 1 a 25, alla pag. 9 righi da 1 a 25 e alla pag. 10 righi da 1 a 12, nonché alla pag. 10 righi da 7 a 24 dell’impugnata sentenza della Corte d’Appello”. Secondo i ricorrenti la sentenza avrebbe erroneamente disposto la loro condanna D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, in quanto la stessa condanna sarebbe diretta conseguenza delle violazioni e delle false applicazioni di legge denunciate con il precedente motivo di ricorso.
3. Va in primo luogo stigmatizzata la tecnica utilizzata dai rappresentanti legali degli odierni ricorrenti per redigere il ricorso. I ricorrenti hanno inteso assolvere al requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, con la riproduzione, prima dell’esposizione dei motivi (pag. 35), di una serie di atti dello svolgimento processuale. In particolare, il ricorso presenta la seguente struttura: la riproduzione, da pag. 2 a p. 6, del ricorso ex art. 702 bis c.p.c., seguita da una sintesi delle fasi che hanno preceduto la sentenza di prime cure che occupa parte della pag. 6 e la pag. 7, dalla trascrizione delle memorie istruttorie ex art. 183 c.p.c., comma 6 – pagg. 8 -14 – dalla pedissequa riproduzione della memoria autorizzata ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 3, dalla pag. 14 alla pag. 16, da una sintesi delle attività svoltesi nelle udienze che hanno preceduto il deposito della comparsa conclusionale e delle repliche, poi interamente trascritte fino alla pag. 24. Della sentenza di prime cure viene riprodotto il dispositivo ed una sintesi dell’apparato argomentativo (pagg. 24-26). Segue la trascrizione dell’atto di appello che occupa le pagg. 26-33; infine, viene riportato il dispositivo della decisione della Corte d’Appello ed una sintesi delle relative statuizioni, alle pagg. 33-34.
Simile modo di assolvimento del requisito dell’art. 366, n. 3, è ritenuto inidoneo al raggiungimento dello scopo, in quanto, anziché una sommaria informazione sul fatto sostanziale e processuale, attraverso l’indicazione dei vari passaggi in cui si è articolato, suppone che la Corte di cassazione debba, per percepirlo, leggere una serie di atti, il che si risolve in una modalità che, non essendo diversa da come sarebbe stata la mera indicazione alla Corte degli atti stessi e l’invito a leggerli aliunde rispetto al ricorso, equivale all’assenza del requisito come parte del ricorso e dunque come oggetto di un’attività espositiva, conforme alla funzione narrativa del ricorso stesso sul punto, individuata dal legislatore con la parola “esposizione” (Cass., Sez. Un., 11/04/2012, n. 5698).
L’eccesso di documentazione integrata nel ricorso non soddisfa la richiesta alle parti di una concisa rielaborazione delle vicende processuali contenuta nel codice di rito per il giudizio di cassazione, viola il principio di sinteticità che deve informare l’intero processo (anche in ragione del principio costituzionale della ragionevole durata di questo), rende difficoltoso se non impossibile cogliere le problematiche della vicenda, mascherando i dati effettivamente rilevanti per le argomentazioni svolte, tanto da risolversi, paradossalmente, in un difetto di autosufficienza del ricorso stesso (di recente, in tal senso, cfr. Cass. 25/11/2020, n. 26837).
4. Nella specie, peraltro, quand’anche si ritenesse che il coacervo di documenti riprodotti integralmente – in quanto individuabile, anche in ragione della veste grafica adottata, ed isolabile – possa essere espunto dal ricorso, riconducendolo non solo a dimensioni e contenuti rispettosi del canone di sinteticità configurato nel modello legislativo del giudizio per cassazione, ma anche, malgrado la ridondanza che ne appesantisce la lettura e che, per l’appunto, si intende, come già detto, stigmatizzare, consentendogli di fornire a questa Corte la trama dei fatti sostanziali e processuali, cui è preordinata la prescrizione normativa di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3 (Cass. 18/09/2015, n. 18363; in senso conforme: Cass. 03/02/2004, n. 1957), non potrebbe non rilevarsi che il ricorso è incorso anche nella violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6. L’accordo di programma e la convenzione inter partes, anche solo per le parti oggetto di censura non sono riprodotti. In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità: Cass., Sez. Un., 23/12/2019, n. 34469. A giudizio del Collegio non è sufficiente che a p. 37, sub motivo n. 1, i ricorrenti abbiano localizzato all’interno del fascicolo di primo grado (che dichiarano di aver prodotto in allegato al ricorso) l’accordo di programma (doc. n. 1) e indicato specificamente le pagine rilevanti ai fini dell’esame del mezzo impugnatorio e che lo stesso abbiano fatto, sempre a p. 37, con riferimento alla convenzione, contrassegnata con l’allegato n. 7 del fascicolo di primo grado, non avendo trascritto i documenti in oggetto per le parti necessarie a illustrare le censure.
5. Peraltro il primo motivo deduce un vizio di motivazione della sentenza impugnata fondato non sulla motivazione in sé e per sé considerata, ma sul confronto tra la motivazione e le risultanze processuali, in contrasto con quanto stabilito a tal riguardo da questa Corte sin dalla pronunce delle Sezioni Unite nn. 8053 e 8054 del 7/04/2014.
Esso non coglie le plurime rationes decidendi della sentenza impugnata e comunque non le confuta.
La sentenza, per giustificare la statuizione con cui aveva ritenuto non vincolante la convenzione tra la P. Immobili e i coniugi ricorrenti, aveva fatto leva, tra l’altro: a) sull’assunzione dell’onere da parte della P. di rimborsare alla Provincia quanto sborsato per tale fine, essendo la P. interessata alla realizzazione della viabilità per essere promotrice di un intervento commerciale nella zona; b) sulla mancata assunzione da parte della P. Immobili dell’impegno di acquisire in proprio i fondi che dovevano andare in proprietà alla Provincia (p. 8 della sentenza); c) sul fatto che la Provincia era divenuta proprietaria dei terreni, non già per effetto della convenzione che i ricorrenti avevano stipulato con la P. Immobili, ma per effetto della irreversibile acquisizione delle aree che avrebbe dato titolo agli odierni ricorrenti per agire nei confronti della Provincia “proprio in base alle disposizioni sulla acquisizione dei fondi destinati ad esecuzione di opere pubbliche” (p. 9 della sentenza); d) sul fatto che la P. Immobili non si era mai obbligata all’acquisto.
I ricorrenti, invece, censurano solo la statuizione con cui la sentenza impugnata aveva ritenuto non ravvisabili gli estremi di una ratifica nei fatti concludenti posti in essere dalla Provincia e denunciano la sentenza impugnata per non aver ravvisato i presupposti per l’applicazione dell’art. 2041 c.c.: questione quest’ultima di cui la sentenza impugnata non si è affatto occupata e che, pertanto, imponeva ai ricorrenti, al fine di evitare di incorrere nella altrimenti inevitabile dichiarazione di inammissibilità, il soddisfacimento dell’onere di dimostrare di avere sollevato la questione ritualmente e tempestivamente dinanzi ai giudici di merito.
A monte, si rileva che buona parte delle censure mosse alla sentenza impugnata, anche con il secondo motivo, neppure individua e quindi fornisce la rappresentazione degli errori imputati alla sentenza; il che costituisce in sé ragione di inammissibilità, stante che l’esercizio del diritto d’impugnazione non è valso ad esplicitare né a specificare le ragioni per cui una data statuizione è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere (Cass. 16/04/2021, n. 10128; Cass. 10/08/2017, n. 19989).
6. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.
7. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per il pagamento, ove dovuto, del doppio del contributo unificato.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021
Codice Civile > Articolo 1388 - Contratto concluso dal rappresentante | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1392 - Forma della procura | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1398 - Rappresentanza senza potere | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1399 - Ratifica | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2041 - Azione generale di arricchimento | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2043 - Risarcimento per fatto illecito | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 3 - (Omissis) | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 4 - (Omissis) | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 116 - Valutazione delle prove | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 702 - (Omissis) | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 702 bis - (Omissis) | Codice Procedura Civile