Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.27110 del 06/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22743/2019 proposto da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE DI ASTI, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA PRATI DEGLI STROZZI 32, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO LANIGRA, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO SALVINI;

– ricorrenti –

contro

P.A., D.A.M.P., P.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA F. CONFALONIERI, 5, presso lo studio dell’avvocato GAIA STIVALI, rappresentati e difesi dagli avvocati GIAN LUCA MASTINU, STEFANO ALESSANDRO GRIMALDI;

– controricorrenti –

e contro

P.A., D.A.M.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 814/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 15/5/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4/12/2020 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 15/5/2019 la Corte d’Appello di Torino, in parziale accoglimento del gravame interposto dai sigg. P.G. e A. nonché dalla sig. D.A.M.P. e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Asti 11/4/2016, ha totalmente accolto la domanda dai medesimi proposta nei confronti della Azienda Sanitaria di Asti, riliquidando in aumento la somma determinata dal giudice di prime cure a titolo di risarcimento dei danni dai medesimi rispettivamente sofferti in conseguenza della tardiva diagnosi da parte dei sanitari dell’Ospedale ***** di un “melanoma maligno ulcerato della cute, in fase di crescita nodulare”, di cui il suindicato P.G. è risultato affetto.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito l’Azienda Sanitaria di Asti propone ora ricorso per cassazione, affidato a 6 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con controricorso i P. e la D.A., che hanno presentato anche memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo la ricorrente denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si duole non avere la corte di merito pronunziato in ordine all’eccepita novità delle domande, come dalle controparti precisate nel giudizio di gravame, “rispetto a quelle proposte con l’atto di citazione in appello e relative a danni cagionati da fatti posteriori alla sentenza impugnata che non presentano un nesso con i fatti lesivi precedenti già dedotti in primo grado”.

Con il 2 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 1218,1223,2697 c.c., artt. 40 e 41 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 1218,1223,2697 c.c., artt. 40 e 41 c.p.c., artt. 115,116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonché “omesso esame” di punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole dell’erronea valutazione della malattia da parte del CTU, non avendo il medesimo accolto i rilievi formulati dal suo CTP, in particolare con riferimento alla “remissione della malattia” e alla “recidiva manifestatasi successivamente al quinquennio”.

Con il 4 motivo denunzia violazione degli artt. 1218,1223,2697 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; violazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si duole che la corte di merito si sia “limitata ad affermare l’ammissibilità della domanda di perdita di chances di guarigione”, senza nulla affermare “circa l’ammissibilità o meno della domanda di risarcimento del danno da perdita di chances di sopravvivenza”.

Con il 5 motivo denunzia violazione degli artt. 1218,1226,2056,2059 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia liquidato il risarcimento sia del danno biologico che del danno da perdita di chances, a tale stregua realizzando una illegittima duplicazione risarcitoria in favore di controparte.

Con il 6 motivo denunzia violazione degli artt. 1223,1226,2056,2059 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che, facendo riferimento alle Tabelle di Milano, la corte di merito abbia erroneamente liquidato sia il danno biologico che il “venir meno dell’aspettativa di sopravvivenza”, nonché aumentato la somma liquidata a ristoro dei pregiudizi da “sofferenza soggettiva interiore” con “congiunta attribuzione della somma risultante dalla percentuale di personalizzazione (cfr. ultima colonna “aumento personalizzato”)”.

Lamenta essere state a tale stregua realizzate indebite duplicazioni risarcitorie.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono infondati.

Come questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo (v., da ultimo, Cass., 29/10/2019, n. 27590), all’esito della pronunzia Corte Cost. n. 235 del 2014 nonché dell’entrata in vigore della L. n. 124 del 2017 (che all’art. 1, comma 17, ha modificato gli artt. 138 e 139 Cod. ass.) il giudice del merito è tenuto “a valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale (che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con sé stesso), quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita (che si dipanano nell’ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce “altro da sé”)” (così Cass., 31/1/2019, n. 2788; Cass., 21/9/2017, n. 21939).

Questa Corte ha d’altro canto ripetutamente affermato che, non potendo il relativo ristoro pecuniario mai corrispondere all’esatta commisurazione del pregiudizio arrecato, del danno non patrimoniale s’impone invero una valutazione esclusivamente in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., da condursi con prudente e ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto giusta criteri (la cui scelta e adozione è rimessa alla prudente discrezionalità del giudice) idonei a consentire altresì la c.d. personalizzazione del danno, al fine di addivenire ad una liquidazione equa, e cioè congrua, adeguata e proporzionata, rispondente al principio dell’integralità del ristoro, e pertanto non meramente simbolica o irrisoria o comunque non correlata all’effettiva natura o entità del danno ma tendente (in considerazione della particolarità del caso concreto e della reale entità del danno) alla maggiore approssimazione possibile all’integrale risarcimento.

Un tanto in ossequio al principio in base al quale il danneggiante è tenuto al ristoro solo dei ma di tutti i danni arrecati con il fatto illecito a lui causalmente ascrivibile.

Esigenza la cui tutela impone, da un canto, di evitare duplicazioni risarcitorie, e, per altro verso, di assicurare l’integralità del ristoro dei danni subiti dal danneggiato (v. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972).

A tale stregua, se duplicazioni risarcitorie si configurano (solo) allorquando lo stesso aspetto (o voce) viene computato due o più volte sulla base di diverse – meramente formali – denominazioni, esse viceversa non si configurano allorquando si fa luogo alla liquidazione dei molteplici e diversi aspetti negativi causalmente derivanti dal fatto illecito ed incidenti sulla persona del danneggiato, giacché il principio di unitarietà del danno patrimoniale posto da Cass., 11/11/2008, n. 26972 non va inteso nel senso dell’irrisarcibilità (rectius, non ristorabilità) anche solo di taluni dei diversi aspetti o voci integranti il danno non patrimoniale nello specifico caso concreto (cfr. Cass., 11/4/2017, n. 9250; Cass., 23/1/2014, n. 1361; Cass., 8/5/2015, n. 9320).

E’ dunque compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio subito dal danneggiato, individuando le ripercussioni negative verificatesi sul valore persona, e provvedendo al relativo ristoro (v. Cass., 8/11/2018, n. 28496; Cass., 20/4/2016, n. 7768; Cass., 13/5/2011, n. 10527; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972).

Attenendo alla quantificazione (e non già all’individuazione) del danno, la valutazione equitativa deve essere condotta con prudente e ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto, e al fine di addivenire ad una liquidazione equa, e cioè congrua, adeguata e proporzionata, la scelta dei criteri di valutazione equitativa da utilizzare è rimessa alla prudente discrezionalità del giudice.

Al riguardo le Tabelle di Milano, la cui scelta è stata dalle Sezioni Unite avallata nei limiti in cui nell’avvalersene il giudice proceda ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno non patrimoniale, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, al fine “di pervenire al ristoro del danno nella sua interezza” (v. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972), sono state ormai da tempo indicate da questa Corte quale idoneo parametro da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito, anche solo a fini di riscontro e verifica della liquidazione mediante il riferimento ad altre tabelle ovvero con altri criteri operata, consentendo di pervenire – con l’apporto dei necessari ed opportuni correttivi ai fini della c.d. personalizzazione del ristoro – alla relativa determinazione in termini maggiormente congrui, sia sul piano dell’effettività del ristoro del pregiudizio che di quello della relativa perequazione -nel rispetto delle diversità proprie dei singoli casi concreti – sul territorio nazionale (v. Cass., 28/6/2018, n. 17018; Cass., 19/10/2016, n. 21059; Cass., 30/6/2011, n. 14402; Cass., 12/7/2006, n. 15760).

Anche in caso – come nella specie – di applicazione delle Tabelle di Milano, nel liquidare in particolare il danno morale il giudice deve dare motivatamente conto del significato nel caso concreto preso specificamente in considerazione (v., da ultimo, Cass., 27/3/2018, n. 7513).

Orbene, dei suindicati principi nell’impugnata sentenza la corte di merito ha fatto invero piena e corretta applicazione.

E’ rimasto nella specie accertato che all’odierno ricorrente P.G. è stato in data ***** diagnosticato, all’esito di visita di chirurgia plastica ed intervento di rimozione di “nevo verrucoso” effettuati il *****, la presenza di un “melanoma maligno ulcerato della cute, in fase di crescita nodulare”, con “metastasi di melanoma che aveva determinato l’esecuzione di “paridectomia esofacciale destra e svuotamento laterocervicale omolaterale”” ed “”estesi invalidanti esiti cicatriziali dell’estremo encefalico, oltre a sindrome di Frey in sede di paridectomia dx””.

Diagnosi invero tardiva rispetto a quella di “nevo verrucoso” emessa nel ***** dai sanitari dell’Ospedale ***** all’esito di visita dermatologica, come pure in relazione a quella emessa all’esito della “visita del *****”. E con “alta probabilità causa efficiente della “diffusione delle cellule neoplastiche da T ad N””.

E’ rimasto nel giudizio di merito infatti accertato che “la “degenerazione maligna” della neoplasia poteva “essere collocata nel *****”, e che “il silenzio serbato sul punto dai sanitari nel contesto delle visite effettuate a luglio e poi ad ottobre dello stesso anno” è “sintomatico di una negligenza professionale, stante l’omesso riconoscimento della trasformazione maligna del nevo”, “la diagnosi ed i trattamenti non tempestivi” avendo determinato l’aggravamento della prognosi, permettendo l’accrescimento della neoplasia, nonché altre conseguenze cliniche peggiorative, evitabili con una condotta pretermessa”.

Incontestato l’an del danno, la corte di merito ha nell’impugnata sentenza riliquidato in aumento la somma determinata dal giudice di prime cure a titolo di risarcimento dei danni dagli odierni ricorrenti rispettivamente sofferti.

Ha al riguardo posto in rilievo che “”il giovane paziente” lamentava “invalidanti esiti cicatriziali dell’estremo encefalico, oltre a sindrome di Frey in sede di parotidectomia dx, come supposta conseguenza di un colposo ritardo diagnostico”; che “a seguito della recente cura, intrapresa nell'*****… il medesimo accusava altresì “faticabilità, mialgie diffuse con movimento dell’enzima CPK muscolare ed impossibilità a qualsivoglia pratica sportiva, oltre a divieto all’esposizione solare ed ipomnesia””; che il medesimo occultava la “vasta area cicatriziale alopecica… “indossando un parrucchino””; che “”il tumore e’… da considerare in remissione, non guarito e comunque diagnosi infausta nel breve-medio periodo, per l’impossibilità a tollerare vita natural durante” il peculiare “regime terapeutico… e per la prevedibile sdifferenziazione delle cellule tumorali dal soggetto in cloni resistenti alla terapia biologica instaurata”, nonché “a fronte di una perdita di chances di guarigione quantificabile, secondo la letteratura prevalente (anche in campo pediatrico), pari ad almeno il trenta per cento, per il colpevole ritardo diagnostico”, e più precisamente, rispetto ad un “melanoma T4 con macrometastasi linfonodali… di stadio IIIB”, essendo stimabile “una sopravvivenza di 5 aa del 59%”.

Tale giudice ha ritenuto pertanto “consentito provvedere alla verifica dei presupposti necessari per accordare al P.G. un incremento del credito risarcitorio nei termini dallo stesso invocati per l’ipotesi che venga ravvisata una “eccezionalità” (e cioè un non usuale e significativo scostamento “in peius”) dei pregiudizi sofferti con riferimento ai rapporti relazionali ed alla sfera soggettiva, essenzialmente in ambito psicologico”.

Ha al riguardo posto in rilievo “l’eloquente importanza dell’essere il P., all’attualità ventiquattrenne e quindi di età oltremodo ancora giovane, consapevole (già da diversi anni) delle sue ridotte aspettative di sopravvivenza, che si esauriranno al più nel medio periodo, e che vanificano qualsivoglia progetto di vita (di relazione e lavorativa) da attuarsi in un futuro anche solo prossimo, di cui sarebbe prevedibile in anteprima l’assoluta inutilità, stante le pressoché nulle prospettive di realizzazione e di conseguimento di traguardi e risultati duraturi e suscettibili di consolidazione nel tempo, e che inoltre hanno un loro indubbio e marcato riflesso negativo sul benessere mentale dell’interessato, provocando difatti frustrazioni ed umiliazioni la coscienza dell’impossibilità di conseguire obiettivi appaganti e del tutto normali”.

Ha ulteriormente sottolineato la “compromissione dell’aspetto estetico ed esteriore, così come conseguita in esito alla perdita dei capelli in una superficie estesa, che viene ovviata con l’utilizzo di un parrucchino, dalla formazione di vaste, dunque visibili senza alcun rimedio, cicatrici in diverse zone del capo, ed infine “evidente infossamento in regione retromandibolare destra””.

Ha osservato, ancora, che l'”apparenza come dianzi tratteggiata e così come viene visivamente percepita dalle persone con ci si può venire in contatto, ingenera di sicuro (ed ha ingenerato da parecchio tempo) un sentimento di vergogna, altrimenti dicasi di disistima di sé medesimo, per il tramite di un’elaborazione che conduce l’interessato a valutare e ad apprezzare negativamente il proprio valore personale, e quindi limita significativamente (se non inibisce del tutto) i rapporti e le frequentazioni con terzi estranei al nucleo famigliare di appartenenza, in primo luogo l’intrattenimento ed il radicamento di rapporti amicali e sentimentali con coetanei, verosimilmente sempre più circoscritti, a partire da quando (nel 2009, e quindi quattordicenne) era ancora adolescente”; e che “proprio il confronto con le fisiologiche situazioni in cui versano gli altri ragazzi e giovani della stessa fascia generazionale, così come si sono evolute in progresso di tempo, acuisce ancora di più il sentimento di frustrazione che già prova G., cui non è stata consentita una siffatta progressione e che può solamente prevedere una ancor più marcata involuzione delle proprie condizioni, di salute e non solo”.

Ha evidenziato che “ad aggravare detto quadro, e per effetto della terapia somministrata da due anni orsono, sono insorti “faticabilità, mialgie diffuse” ed un indebolimento delle capacità mnemoniche”; e che “sempre quale conseguenza dell’assunzione di detti farmaci, non è consentita a G. l’esposizione alla luce solare, e sono impedite del tutto pratiche sportive di sorta”, sicché “da un lato sono assolutamente interdetti svaghi e diversivi assolutamente normali per altri, quali i soggiorni in località di villeggiatura ed anzi ordinarie passeggiate od escursioni nella zona di suo abituale domicilio, da cui può uscire solo con adeguate cautele e protezioni, e dall’altro sono proibite del tutto pratiche ludiche all’aperto”.

Orbene, a parte il rilievo (avuto in particolare riferimento al 4 e al 5 motivo) che (quanto alla liquidazione anche di danni asseritamente da controparte richiesti tardivamente, avendo la corte di merito con tutta evidenza considerato questi ultimi quale aggravamento della malattia originariamente insorta in conseguenza dell’errore diagnostico compiuto dai sanitari dell’Ospedale ***** all’esito delle visite del *****; nonché, relativamente alla liquidazione di “”chance” di guarigione” erroneamente ascritte all'”inadempimento dei sanitari”, avendo la corte di merito espressamente precisato che “la “chance” perduta da G. consiste (e’ consistita) nel venir meno dell’aspettativa di sopravvivenza, sino a raggiungere n’età consona rispetto ai dati statistici in proposito, che si stima, per la popolazione maschile italiana, in ottant’anni circa. La prognosi “quoad vitam” formulata nel caso in esame dal consulente d’ufficio, è infatti infausta, potendosi prevedere un evento mortale nel medio-breve periodo, con una percentuale di sopravvivenza pari a circa il 60% nell’arco di un quinquennio”) l’odierna ricorrente si limita invero a inammissibilmente riproporre in termini di mera contrapposizione le proprie tesi difensive già sottoposte ai giudici di merito e dai medesimi non accolte, con specifico riferimento all’operata liquidazione del danno non patrimoniale va osservato come nel liquidare, oltre al “danno non patrimoniale interiore” (danno morale) anche il “danno relazionale eccezionale” da “radicale cambiamento di vita,… alterazione della personalità… sconvolgimento dell’esistenza”, la corte di merito ha fatto invero piena e corretta applicazione dei principi in argomento enunziati da questa Corte.

Trattasi di aspetti del danno non patrimoniale ontologicamente differenti, che alla stregua di quanto sopra rilevato ed esposto non solo possono ma invero debbono essere autonomamente valutati, e la cui congiunta liquidazione non realizza alcuna indebita duplicazione risarcitoria.

Quanto in particolare al danno relazionale, deve ulteriormente sottolinearsi che la relativa configurazione in termini di eccezionalità, quale ravvisata nella specie integrata in capo al P.G. (là dove viene posta in rilievo “l’eccezionalità delle irreversibili condizioni in cui ha versato, tuttora versa e verserà anche in futuro il predetto, tradottesi “nel radicale cambiamento di vita, nell’alterazione della personalità e nello sconvolgimento dell’esistenza””), oltre a risultare conforme a quanto al riguardo da questa Corte da tempo (anche anteriormente all’emanazione della richiamata L. n. 124 del 2017) enunziato (in particolare là dove il danno alla vita di relazione eccezionale si afferma consistere non già nel mero “sconvolgimento dell’agenda” o nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità della vita (e in particolare da meri disagi, fastidi, disappunti, ansie, stress o violazioni del diritto alla tranquillità: v. Cass., 3/10/2016, n. 19641; Cass., 20/8/2015, n. 16992; 23/1/2014, n. 1361. E già Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26973; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26974) bensì in un radicale cambiamento di vita, nell’alterazione/cambiamento della personalità del soggetto, nello sconvolgimento dell’esistenza (cfr. Cass., 11/4/2017, n. 9250; Cass., 19/10/2016, n. 21059; Cass., 20/8/2015, n. 16992; Cass., 30/6/2011, n. 14402)) e rende senz’altro legittimo il relativo ristoro dalla corte di merito, nell’esercizio dei propri poteri discrezionali ex art. 1226 c.c., nel caso operato mediante la c.d. personalizzazione del punto tabellare “nel massimo dell’espansione (25%) contemplata dalle previsioni tabellari”, misura ritenuta nella specie congrua.

Ne’ può per altro verso sottacersi come al di là della formale intestazione dei motivi la ricorrente deduca in realtà doglianze (anche) di vizio di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie vizi della motivazione ovvero l’omesso e a fortiori l’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

Emerge evidente, a tale stregua, come l’odierna ricorrente in realtà inammissibilmente prospetti invero una rivalutazione delle emergenze probatorie nonché del merito della vicenda comportante accertamenti di fatto invero preclusi a questa Corte di legittimità, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, non potendo in sede di legittimità riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, atteso il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore dei controricorrenti, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 17.200,00, di cui Euro 17.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore dei controricorrenti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021

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