LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5264-2020 proposto da:
T.N., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato MASSIMO DELLA PELLE;
– ricorrente –
contro
F.S., FU.RI., elettivamente domiciliati in ROMA VIA SANT’IGINO PAPA, 15, presso lo studio dell’Avocato BRUNO RICCIUTI che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1177/2019 della CORTE D’APPELLO de L’AQUILA, depositata il 04/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.
RITENUTO IN FATTO
– che T.N. ricorre, sulla base di cinque motivi (il sesto, indicato a pag. 16 del ricorso è restato senza alcun sviluppo nella narrativa del presente atto di impugnazione), per la cassazione della sentenza n. 1177/19, del 4 luglio 2019, della Corte di Appello de L’Aquila, che – respingendo il gravame dallo stesso esperito contro la sentenza n. 43/18, del 24 gennaio 2018, del Tribunale di Chieti – ha così provveduto;
– che detta pronuncia ha confermato l’accoglimento della domanda, proposta da F.S. e Fu.Ri., di risoluzione per inadempimento, imputabile al conduttore T., del contratto di locazione immobiliare ad uso commerciale concluso il 2 gennaio 2012, respingendo la riconvenzionale dell’odierno ricorrente, condannandolo, altresì, al pagamento sia della somma di Euro 3.100,00, alla data dell’intimazione dello sfratto per morosità, sia dei canoni scaduti e da scadere fino al rilascio, oltre interessi dalle singole scadenze al saldo e fissando, infine, per il rilascio dell’immobile la data del 26 febbraio 2018;
– che il ricorrente riferisce, in punto di fatto, essergli stato intimato la sfratto per morosità dall’immobile dallo stesso condotto in locazione – un negozio sito in *****, in via Marrucina n. 61 – e di essersi opposto alla convalida negando l’esistenza della morosità, ovvero chiedendo la rideterminazione del canone di locazione sulla base della reale destinazione urbanistica dell’immobile (con dichiarazione, pertanto, dell’eventuale compensazione dei crediti ad esso spettanti a tale titolo con quelli, invece, vantati dai locatori);
– che deduce, altresì, di avere agito, in via di riconvenzione, sia per il risarcimento del danno fondato sulla medesima “causa petendi” (oltre che per l’eventuale assenza di altri requisiti dell’immobile dal punto di vista igienico-sanitario), sia per il riconoscimento dell’indennità di avviamento ai sensi della L. 27 luglio 1978, n. 392, ex art. 34;
– che il primo giudice, sebbene non avesse concesso – preso atto dell’opposizione del T. – l’ordinanza provvisoria di rilascio, dopo la conversione del rito accoglieva la domanda di risoluzione del contratto, per grave inadempimento del conduttore rispetto all’obbligo di versare il canone di locazione, rigettandone la riconvenzionale e condannandolo ai pagamenti sopra meglio individuati, con decisione confermata dal giudice di appello, che respingeva l’appello all’uopo esperito dall’odierno ricorrente;
– che avverso la sentenza della Corte aquilana ricorre per cassazione il T. sulla base – come detto – di cinque motivi;
– che il primo motivo denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – “omesso e insufficiente esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti”, lamentando che se la sentenza impugnata “avesse considerato correttamente le risultanze probatorie” essa “avrebbe senz’altro rigettato la domanda attorea” e “quindi accolto le domande in via riconvenzionale spiegate dall’odierne ricorrente”;
– che il secondo motivo denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5) – violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 116 c.p.c. “in relazione alle prove documentali ed orali”, dolendosi del fatto che “già il giudizio di primo grado avrebbe dovuto concludersi con declaratoria di non debenza di alcuna somma” da parte di esso T., censurando, così, la decisione del giudice di appello, perché “anziché correggere gli errori di calcolo del primo giudice, li ha confermati”;
– che il terzo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione dell’art. 1455 c.c., sul presupposto che la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare l’importanza dell’inadempimento, non operando per locazioni ad uso diverso da quello abitativo la L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 5;
– che il quarto motivo denuncia – sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione degli artt. 1460 e 1578 c.c., censurando il mancato accoglimento dell’eccezione di inesatto adempimento, formulata in ragione dell’irregolarità urbanistica dell’immobile locato;
– che il quinto motivo denuncia – ancora una volta in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 34, lamentando il mancato riconoscimento dell’indennità di avviamento;
– che, infine, il ricorso formula, come si notava in premessa, un sesto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – di “omesso e insufficiente esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, senza però minimante svilupparlo;
– che hanno resistito all’impugnazione, con controricorso, il F. e la Fu., chiedendo che lo stesso venga dichiarato inammissibile o comunque rigettato;
– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 16 marzo 2021;
– che i controricorrenti hanno depositato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il ricorso va rigettato;
– che il primo motivo è inammissibile, giacché si risolve come detto – nella constatazione che se il giudice di appello “avesse considerato correttamente le risultanze probatorie avrebbe rigettato la domanda attorea e accolto la riconvenzionale”, donde la sua inammissibilità alla luce del principio secondo cui l’eventuale cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle risultanze probatorie “non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4), disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4), – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; in senso conforme, tra le altre, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass. Sez. 3, sent. 12 aprile 2017, n. 9356, Rv. 644001-01; Cass. Sez. 1, ord. 26 settembre 2018, n. 23153, Rv. 650931-01; Cass. Sez. 3, ord. 30 ottobre 2018, n. 27458, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, n. 7618);
– che, peraltro, l’inammissibilità del motivo discende, vieppiù, dalla constatazione che la censura è formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), essendo, tuttavia, la sua proposizione preclusa dall’art. 348-ter c.p.c., u.c.;
– che difatti il gravame, già esperito dall’odierno ricorrente contro la decisione resa del giudice di prime cure, si è indirizzato avverso sentenza pubblicata in data 24 gennaio 2018, sicché l’atto di appello risulta, per definizione, proposto con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione posteriormente all’1 1 settembre 2012;
– che siffatta circostanza, pertanto, determina l’applicazione “ratione temporis” dell’art. 348-ter c.p.c., u.c. (cfr. Cass. Sez. 5, sent. 18 settembre 2014, n. 26860, Rv. 633817-01; in senso conforme, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 9 dicembre 2015, n. 24909, Rv. 638185-01, nonché Cass. Sez. 6-5, ord. 11 maggio 2018, n. 11439, Rv. 648075-01), norma che preclude, in un caso – qual è quello presente – di cd. “doppia conforme di merito”, la proposizione di motivi di ricorso per cassazione formulati ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5);
– che il rilievo appena svolto segna, nuovamente nel senso dell’inammissibilità, anche la censura – oggetto del secondo motivo di ricorso formulata ai sensi della norma appena richiamata;
– che il medesimo esito, sebbene per ragioni diverse, s’impone anche per la censura di violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c.;
– che, per vero, la “violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti” sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, solo “entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5" (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 29 maggio 2018, n. 13395, Rv. 649038-01), norma, quest’ultima, non applicabile al caso che occupa;
– che, d’altra parte, la violazione dell’art. 116 c.p.c., norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, è stata circoscritta da questa Corte a due sole evenienze, nessuna ipotizzabile con riferimento alla presente fattispecie;
– che, difatti, detta norma risulta trasgredita nel caso in cui “il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640193-01, nello stesso, più di recente, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, n. 7618, non massimata sul punto, nonché Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 658840-02);
– che, inoltre, la norma “de qua” risulta violata anche quando “si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova”, risultando, però, siffatta censura “ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione” (Cass. Sez. Un., sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 659037-02), ipotesi in relazione alla quale valgono le considerazioni già sopra svolte;
– che anche il terzo motivo è inammissibile, non confrontandosi con l’effettiva “ratio decidendi” della sentenza impugnata, visto che Corte territoriale ha dato rilievo alla presenza, nel contratto di locazione, di una clausola risolutiva espressa, ciò che “esclude che la gravità dell’inadempimento possa essere valutata dal giudice nei casi già previsti dalle parti” (Cass. Sez. 3, ord. 12 novembre 2019, n. 29301, Rv. 655842-01);
– che, come detto, la “proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4), con conseguente inammissibilità del ricorso”, o del singolo motivo, “rilevabile anche d’ufficio” (Cass. Sez. 6-1, ord. 7 settembre 2017, n. 20910, Rv. 645744-01; in senso conforme, Cass. Sez. 6-3, ord. 3 luglio 2020, n. 13735, Rv. 658411-01);
– che anche il quarto motivo e’, per la medesima ragione, inammissibile, giacché anch’esso non si confronta con la “ratio decidendi” della sentenza impugnata, che ha rilevato l’intervenuta accettazione della condizione dell’immobile da parte del conduttore (evenienza idonea ad escludere l’ammissibilità dell’eccezione d’inesatto adempimento; cfr. Cass. Sez. 3, sent. 26 luglio 2016, n. 15377, Rv. 641148-01);
– che, infine, il quinto motivo non è fondato, atteso che l’indennità di avviamento commerciale non è dovuta in caso di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore (Cass. Sez. 3, sent. 19 luglio 2013, n. 17698, Rv. 628882-01);
– che in conclusione il ricorso va, dunque, rigettato;
– che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
– che in ragione del rigetto del ricorso va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condannando T.N. a rifondere a F.S. e Fu.Ri. le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.400,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021
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