LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13621-2020 proposto da:
M.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 114, presso lo studio dell’Avvocato LUIGI PARENTI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
B.M., COMUNE DI NEVIANO;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1007/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 26/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 20/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIAIME GUIZZI STEFANO.
RITENUTO IN FATTO
– che M.R. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 1007/19, del 26 settembre 2019, della Corte di Appello di Lecce, che – respingendo il gravame dallo stesso esperito contro la sentenza n. 3427/16, del 13 luglio 2016, del Tribunale di Lecce – ha confermato il rigetto della domanda risarcitoria proposta dall’odierno ricorrente nei confronti di B.M. e del Comune di Neviano;
– che il ricorrente riferisce, in punto di fatto, di aver convenuto in giudizio il B. ed il Comune di Neviano lamentando che il comportamento assunto dal primo, quale comandante della polizia municipale del predetto Comune, consistito nella presentazione, il 14 giugno 2005, di una querela a carico di esso M. per il reato di cui all’art. 336 c.p. (in relazione al quale la Corte di Appello di Lecce, in riforma della pronuncia di primo grado, pronunciava sentenza assolutoria n. 133/02, per insussistenza del fatto contestato) gli avesse cagionato danni patrimoniali e non patrimoniali;
– che, infatti, la querela presentata dal B. – relativa ad una presunta condotta minacciosa che il M. avrebbe tenuto al fine di impedire al medesimo B. e all’Agente D.M.C. di compiere un atto d’ufficio, allorché costoro si recarono presso l’esercizio commerciale della di lui moglie, ove peraltro l’odierno ricorrente svolgeva attività lavorativa, per verificare l’osservanza di un’ordinanza comunale che intimava la cessazione dell’attività di vendita al dettaglio di prodotti alimentari svolta presso tale esercizio – si ebbe a rivelare non fondata, donde la pretesa del M. di conseguire il ristoro dei danni subiti;
– che l’adito giudicante respingeva la domanda, sicché l’attore soccombente esperiva gravame, producendo nel giudizio di appello un’ulteriore sentenza resa dal Tribunale di Lecce, n. 2104/18, con cui il M. veniva mandato assolto anche dal reato di diffamazione, ex art. 595 c.p., comma 3, nei confronti del B., nonché ordinanza ex art. 409 c.p.p. del 18 luglio 2018 con cui il G.i.p. presso quello stesso Tribunale archiviava un procedimento ex art. 612 c.p. nei confronti dell’odierno ricorrente, precisando come nulla escludesse che la “ricostruzione marcatamente accusatoria”, proposta dal B., derivasse “anche dai cattivi rapporti personali intercorrenti tra le parti”;
– che, nondimeno, anche il secondo giudice, rigettando il gravame, respingeva la domanda risarcitoria;
– che avverso la sentenza della Corte salentina ricorre per cassazione il M., sulla base – come detto – di due motivi;
– che il primo motivo denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “nullità della sentenza per violazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi di lavoro”, e segnatamente dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4);
– che, in particolare, viene censurata la sentenza impugnata nella parte in cui afferma, per un verso, che la pronuncia assolutoria resa in favore di esso M. “non abbia affatto escluso l’esistenza di un comportamento illecito dell’imputato ma ne abbia rilevato l’incertezza a livello probatorio”, nonché, per altro verso, “come la denuncia del B. non abbia riferito gli eventi in senso sostanzialmente difforme al vero, descrivendo senza alcun accanimento verbale l’accadimento dei fatti”, essendosi il denunciate “limitato a riportare le urla e le parole proferite all’indirizzo dei militari intervenuti per accertare il rispetto dell’ordinanza sindacale”;
– che secondo il ricorrente tale duplice affermazione “non trova alcun riscontro negli elementi istruttori acquisiti nei gradi precedenti”, dato che, da un lato, “sia la versione resa dall’imputato e dai testi a discarico è contraria a tale ricostruzione”, nonché, dall’altro, che “le dichiarazioni della Polizia Municipale” risultano “contraddittorie tra loro”;
– che, pertanto, la descrizione dei fatti operata dal B. nella denuncia a carico di esso M. si sarebbe rivelata “non veritiera e capziosa”, frutto “del cattivo rapporto da sempre palesato dallo stesso” con l’odierno ricorrente, come confermato dagli esiti degli ulteriori procedimenti penali celebrati a carico di quest’ultimo, dei quali si è fatto, già sopra, cenno;
– che risulterebbe, dunque, confermato come il B., nel presentare la denuncia/querela, avesse agito “a fini strumentali”, sicché – in base al “combinato disposto degli artt. 427 e 524 c.p.p., norme di chiusura del sistema”, che il ricorrente reputa applicabile anche nel giudizio risarcitorio civilistico – si sarebbe dovuta fare applicazione del principio secondo cui il giudice “in caso di colpa grave può condannare il querelante a risarcire i danni all’imputato che ne abbia fatto domanda”, dovendo, nel caso che occupa, la colpa grave ravvisarsi “in re ipsa”;
– che, pertanto, sarebbe “priva di ogni motivazione logico-giuridica” la sentenza oggi impugnata, “la quale ha erroneamente ritenuto l’insussistenza dell’elemento soggettivo della condotta posta in essere dal Ten. B.M.”;
– che essa avrebbe “palesemente travisato la valutazione circa l’insussistenza dell’elemento doloso” nella condotta del B., atteso che la stessa autorità giudiziaria penale non ha escluso che le denunce/querele dal medesimo presentate potessero derivare anche dai “cattivi rapporti personali intercorrenti tra le parti”;
– che il secondo motivo denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – “nullità della sentenza per mancanza di motivazione in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., in combinato disposto tra loro”;
– che il ricorrente – sul presupposto per cui, nella giurisprudenza di questa Corte, pur dopo l’intervenuta modifica del testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), permane la possibilità denunciare l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, nei casi di motivazione irriducibilmente contraddittoria – reputa che tale ipotesi sussista nel caso che occupa;
– che, difatti, quella operata dalla sentenza impugnata sarebbe una ricostruzione “fuorviante e completamente discordante da quanto effettivamente statuito dalla Corte d’Appello di Lecce, sezione Penale”, secondo cui la “condotta violenta”, addebitata ad esso M. dal denunciante, risulta “ampiamente sconfessata” da una serie di elementi, quali “la versione resa dall’imputato e dai testi a discarico”, nonché il fatto che “le dichiarazioni della Polizia municipale sono tra loro contraddittorie”;
– che, pertanto, ricorrerebbe “un quadro probatorio assolutamente unico ed idoneo a comprovare”, oltre all’insussistenza della responsabilità del M. per il delitto ex art. 336 c.p., “la sussistenza dell’elemento psicologico del dolo o quantomeno della colpa grave in capo allo stesso querelante”;
– che sono rimasti solo intimati il B. e il Comune di Neviano;
– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata al ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di Consiglio per il 20 aprile 2021;
– che il ricorrente ha depositato memoria, insistendo nelle proprie censure.
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il ricorso è inammissibile;
– che il primo motivo di ricorso – che deduce “nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro”, aspirando, così, a prospettare un “errore di sussunzione”, ovvero “l’avvenuta lesione della norma di diritto non correttamente applicata o interpretata al caso di specie” (pag. 9 del ricorso) – si risolve nella censura rivolta alla Corte territoriale, chiamata a pronunciarsi su una domanda risarcitoria da asserita calunnia, di aver non correttamente interpretato gli elementi istruttori a sua disposizione;
– che, difatti, si addebita alla Corte salentina di aver disatteso le risultanze della sentenza penale di assoluzione pronunciata in favore dell’odierno ricorrente per il reato di cui all’art. 336 c.p., oggetto della denuncia/querela del B., nonché degli atti di ulteriori procedimenti penali già instaurati a carico dell’odierno ricorrente per i reati di cui agli artt. 595 e 612 c.p., risultanze dalle quali emergerebbe, invece, “il dolo o quantomeno la colpa grave” del denunciante;
– che, tuttavia, la censura, prima ancora che infondata – esito, quest’ultimo, che si imporrebbe in relazione all’affermazione che reputa sufficiente la colpa grave del denunciante, visto che “la denuncia di un reato perseguibile d’ufficio può costituire fonte di responsabilità civile a carico del denunciante”, in caso di successivo proscioglimento o assoluzione del denunciato, “solo ove contengano sia l’elemento oggettivo che l’elemento soggettivo del reato di calunnia” (e dunque il dolo, e non certo la colpa grave), “poiché, al di fuori di tale ipotesi, l’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale si sovrappone all’iniziativa del denunciante (o querelante), interrompendo ogni nesso causale tra tale iniziativa ed il danno eventualmente subito dal denunciato (o querelato)”; cfr. da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 30 novembre 2018, n. 30988, Rv. 651666-01; nello stesso senso Cass. Sez. 3, ord. 20 marzo 2018, n. 6860, non massimata, nonché, tra le molte, Cass. Sez. 3, sent. 18 giugno 2016, n. 11898, Rv. 640203-01; Cass. Sez. 3, sent. 15 gennaio 2010, n. 1542, Rv. 611173-01 – si palesa inammissibile;
– che, difatti, quello prospettato non è neppure astrattamente un vizio riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), giacché esso “consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (da ultimo, ex multis”, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03; Cass. Sez. 1, ord. 14 gennaio 2019, n. 640, Rv. 652398-01; Cass. Sez. 1, ord. 5 febbraio 2019, n. 3340, Rv. 652549-02), e ciò in quanto il vizio di falsa applicazione “postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito” (Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01);
– che, in definitiva, il “discrimine tra l’ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa e l’ipotesi della erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 26 febbraio 2021, n. 5442), evenienza, la seconda indicata, che è proprio quella prospettata nel caso in esame, visto che presente il motivo lamenta non essere stata correttamente interpretata la sentenza penale di assoluzione pronunciata in favore dell’odierno ricorrente e gli altri atti dallo stesso prodotti;
– che tali rilievi, già espressi nella proposta depositata dal consigliere relatore, restano non superati, secondo questo collegio, dagli argomenti invocati dal ricorrente nella memoria ex art. 380-bis c.p.c.;
– che, il ricorrente, per un verso, insiste nel sottolineare come la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata emergerebbe “dall’erronea interpretazione della sentenza n. 133 del 2012 emessa dalla Corte di Appello di Lecce, II sezione penale” (di assoluzione di esso M. dal reato ex art. 336 c.p.), nonché, per altro verso, si richiama ad un inesistente “efficacia di giudicato” di tale pronuncia, come se l’assoluzione di un imputato dal reato ascrittogli valga di per sé come prova del dolo del denunciante;
– che anche il secondo motivo è inammissibile, in ciascuna delle censure in cui si articola;
– che, anche in questo caso, non è neppure astrattamente ipotizzabile il vizio di motivazione apparente, e dunque la dedotta violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4);
– che, sul punto, deve ribadirsi che all’esito della “novellazione” del testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio), il sindacato di legittimità sulla parte motiva della sentenza è contenuto, ormai, solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonché, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 1, ord. 30 giugno 2020, n. 13248, Rv. 658088-01);
– che il vizio motivazionale, dunque” ricorre solo in caso di motivazione “meramente apparente”, evenienza configurabile, oltre che nell’ipotesi di “carenza grafica” della stessa, quando essa, “benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonché, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01), o perché affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), fermo in ogni caso restando la necessità che il vizio “emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata” (Cass. Sez. Un., sent. n. 8053 del 2014, cit.), vale a dire “prescindendo dal confronto con le risultanze processuali” (così, tra le molte, Cass. Sez. 1, ord. 20 giugno 2018, n. 20955, non massimata);
– che, nella specie, il vizio motivazionale denunciato, lungi dall’evidenziare profili di “irriducibile contraddittorietà” o “illogicità manifesta” che emergano “direttamente dal testo della sentenza”, si risolve, nuovamente, nella denuncia di un contrasto con le risultanze istruttorie, e quindi, in sostanza, in un’inammissibile richiesta di riesame, da parte di questa Corte, del merito del giudizio;
– che va, pertanto, ribadita l’inammissibilità di quel tipo di doglianza “che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito” (da ultimo, Cass. Sez. Un., sent. 27 dicembre 2019, n. 34476, Rv. 656492-03);
– che, d’altra parte, inammissibili sono pure le censure formulate ai sensi degli artt. 115 e 116 c.p.c.;
– che, invero, la violazione dell’art. 115 c.p.c. – norma secondo cui il giudice deve decidere la controversia devoluta al suo esame “iuxta alligata et probata partium” – “può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640194-01; conforme, Cass. Sez. 1, ord. 26 settembre 2018, n. 23163, Rv. 650931-01);
– che, infine, la violazione dell’art. 116 c.p.c., norma che enuncia il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, è stata circoscritta da questa Corte alla sola ipotesi in cui “il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime” (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640193-01, nello stesso, più di recente, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, n. 7618, non massimata sul punto, nonché Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 658840-02);
– che nulla va disposto in relazione alle spese del presente giudizio, essendo rimasti solo intimati il B. e il Comune di Neviano;
– che in ragione della declaratoria di inammissibilità del ricorso va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021
Codice Procedura Civile > Articolo 115 - Disponibilita' delle prove | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 116 - Valutazione delle prove | Codice Procedura Civile
Codice Penale > Articolo 336 - Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale | Codice Penale
Codice Penale > Articolo 595 - Diffamazione | Codice Penale
Codice Penale > Articolo 612 - Minaccia | Codice Penale
Codice Procedura Penale > Articolo 524 - Chiusura del dibattimento | Codice Procedura Penale