Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.27417 del 08/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 31996/2018 R.G. proposto da:

Eugen Seed S.r.l., rappresentata e difesa dall’Avv. Michele Massella, con domicilio eletto in Roma, Via Monte Santo, n. 16, presso lo studio dell’Avv. Carmine Lombardo;

– ricorrente –

contro

B.A., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Stefano Baietta, Ennio Frattini, e Paolo Panariti, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Celimontana, n. 38;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia, n. 2053/2018 depositata il 17 luglio 2018.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 31 marzo 2021 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello;

udito l’Avvocato Michele Massella;

udito l’Avvocato Mario Pierino Patella, per delega;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 3113 del 19 novembre 2015 il Tribunale di Verona, in accoglimento della domanda proposta da B.A. contro la Eugen Seed S.r.l., dichiarò risolto, per inadempimento della convenuta, il contratto preliminare con il quale, in data 25 settembre 2007, quest’ultima si era impegnata a prendere in locazione un immobile di proprietà del B. per adibirlo ad attività commerciale e condannò la società al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, della somma di Euro 39.729,35, oltre rivalutazione e interessi.

2. La Corte d’appello di Venezia ha respinto il gravame proposto dalla società e, in parziale accoglimento di quello incidentale, ha condannato la stessa al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, dell’ulteriore importo di Euro 11.400, oltre interessi e rivalutazione.

3. Avverso detta sentenza la Eugen Seed S.r.l. propone ricorso per cassazione, articolando otto motivi, cui resiste il B., depositando controricorso.

In vista dell’odierna udienza, fissata per la trattazione, il P.M. ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti con particolare riferimento alla dichiarazione di destinazione d’uso dell’immobile e all’oggetto della locazione.

1.1. Il motivo investe la sentenza impugnata nella parte in cui, rigettando il secondo motivo di gravame, ha ritenuto che il contratto fosse valido ed efficace dal momento che, “dai documenti prodotti”, poteva “chiaramente” evincersi che “le condizioni in cui si trovava l’immobile al momento della proposta contrattuale erano state chiaramente descritte al promissario ed il termine per la stipula del definitivo era stato indicato per consentire il cambio di destinazione d’uso richiesto da Eugen Seed S.r.l.”.

1.2. Tale convincimento, secondo il ricorrente, è viziato dall’omesso esame della circostanza che “effettivamente, al momento della stipula della proposta di locazione commerciale, il legale rappresentante di Eugen Seed s.r.l., sig. P.P., riteneva che l’immobile dallo stesso visionato e di proprietà del sig. B.A. fosse già destinato ad uso commerciale” (così in ricorso alle pagine 8-9). Di contro, secondo il ricorrente, non emergeva né dal contratto, né da alcuna delle risultanze processuali, che il termine del 15 novembre 2007 stabilito alle parti per la stipula della locazione fosse stato concesso affinché il B. avesse la possibilità di ottenere il cambio di destinazione d’uso, essendo vero piuttosto che, come dedotto sin dal primo grado, la società aveva ritenuto in buona fede di avanzare una proposta di locazione per un immobile ad uso commerciale, allo stato grezzo, con lavori di finitura da completare e certificazione di agibilità da ottenere, il tutto a carico del locatore: immobile che, solo successivamente alla stipula, si rivelò non avere le caratteristiche (destinazione d’uso) dichiarate. Tanto, secondo il ricorrente, emergeva:

– dal fatto che nella proposta di locazione immobiliare si faceva riferimento al punto 2 all’immobile del sig. B.A. come immobile con destinazione d’uso commerciale;

– dalla documentazione depositata all’atto della costituzione in giudizio idonea ad evidenziare che la società ricercava una nuova sede per la propria attività commerciale a seguito dello sfratto comunicato dal proprietario dell’immobile in cui essa aveva svolto fino a quella data la propria attività;

– dal contenuto dell’atto di citazione nel quale si affermava che il B. si era determinato a concedere in locazione l’appartamento “unicamente ad uso commerciale/direzionale” ed aveva a tal fine conferito incarico all’agenzia Tecnocasa;

– dalla lettera d’incarico a detta agenzia, prodotta da controparte;

– dal fatto (emergente dal doc. n. 20 di controparte) che solo in data 30/11/2007 il B. aveva depositato presso il Comune di Cerea domanda diretta ad ottenere il rilascio del certificato di agibilità relativo alla variazione di destinazione d’uso.

1.3. Con una seconda censura la ricorrente deduce, come detto, anche violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., per avere la corte d’appello “omesso di visionare parte della documentazione precontrattuale in atti” o il suo “esatto contenuto” per valutare l’effettiva volontà negoziale delle parti.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 e dell’art. 1457 c.c., con riguardo al termine contrattuale pattuito e alla sua essenzialità”.

2.1. Il motivo investe la sentenza impugnata nella parte in cui, rigettando il terzo motivo di gravame, ha ritenuto che “i termini indicati quanto alla stipula del definitivo non abbiano la caratteristica dell’essenzialità ex art. 1457 c.c., mancando le tipiche espressioni che normalmente la identificano e poiché molteplici testimoni hanno confermato che il B., alla data indicata per il definitivo, aveva già manifestato inequivoca disponibilità ad addivenire alla stipula del contratto di locazione, ed in seguito, entro il successivo termine del 1.12.2007”.

2.2. La violazione delle norme evocate nell’intestazione del motivo è dedotta, in ricorso, sul rilievo che “un’attenta analisi del contratto stipulato in data 25/09/2007 e della documentazione in atti, in particolare del doc. n. 2 (incarico all’agenzia Tecnocasa), allegato all’atto di citazione di controparte, avrebbe consentito una chiara e univoca lettura della volontà del B. e delle pattuizioni stipulate tra le parti in causa, che si sarebbe dimostrata, infine, esattamente coincidente con la ricostruzione effettuata” dalla ricorrente (v. ricorso pag. 14).

Trascritto ampio stralcio dell’atto di appello, nel quale è riprodotta la ricostruzione dei fatti sostenuta in giudizio dalla società (v. ricorso, pagg. 14-16), afferma la ricorrente che tale versione, “lungi dall’essere una mera illazione e/o personale interpretazione del contenuto del contratto, è comprovata” dal contenuto della già menzionata lettera d’incarico all’agenzia immobiliare, dalla quale si poteva desumere che la data del 15/11/2007 era il termine per la stipula del contratto di locazione, nonché per la consegna dell’immobile, in regola con la normativa urbanistico-edilizia e con la certificazione di agibilità.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c.”.

3.1. Il motivo investe la sentenza impugnata nella parte in cui, pronunciando sul quarto motivo di gravame, ha ritenuto che “l’eccezione” (con la quale la società opponeva la legittimità del proprio recesso dal contratto) “costituisce domanda nuova ed inoltre l’istruttoria compiuta ha reso risultanze in senso contrario a quanto afferma l’appellante, cosi che nessun vizio di interpretazione del dato istruttorio può pertanto essere imputato al primo giudice”.

3.2. Fatta ampia rassegna di massime giurisprudenziali sul concetto di domanda nuova in appello (v. ricorso, pagg. 19-22) e trascritto quanto dedotto con il quarto motivo di gravame (pagg. 2223), argomenta la ricorrente che con esso si intendeva in realtà sempre supportare la tesi secondo cui la data del 12/11/2017 fissata per la stipula del contratto andava considerata termine essenziale (quanto meno considerata la mancanza del certificato di agibilità e la sua importanza ai fini dell’attività da svolgersi nell’immobile), sicché non poteva considerarsi “domanda nuova”.

4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

4.1. Il motivo riguarda lo stesso passaggio motivazionale già fatto segno del terzo motivo e in particolare l’affermazione secondo cui “l’istruttoria compiuta ha reso risultanze in senso contrario a quanto affermato dall’appellante, così che non si è verificato nessun vizio di interpretazione del dato istruttorio”.

4.2. Per l’ipotesi che, con detto inciso, la sentenza intenda riferirsi al fatto (di cui è cenno nella sentenza di primo grado) che il certificato di agibilità risulta rilasciato il 30 novembre 2007 e le deposizioni testimoniali assunte convergono nel senso che i lavori all’interno dell’appartamento fossero stati ultimati entro la data del 15 novembre 2007, lamenta la ricorrente che sul punto vi è stato un esame incompleto delle risultanze istruttorie, inficiato dal mancato confronto con “il dato fattuale emergente dai documenti agli atti prodotti dalla stessa controparte” (il riferimento e’, ancora una volta, alla lettera d’incarico da parte del B. all’agenzia immobiliare e ad un non meglio precisato doc. n. 5).

Rileva che “(quand’anche) i lavori sull’immobile fossero stati ultimati entro la data del 15/11/2007 come riferito dai testimoni, in ogni caso a quella data il certificato di agibilità non era stato rilasciato e ciò avrebbe impedito comunque ad Eugen Seed s.r.l. di poter iniziare da quel giorno l’attività commerciale nell’immobile locato”.

5. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione dell’art. 1578 c.c., relativamente al negato diritto di recesso dal preliminare e di conseguente risoluzione del contratto per inadempimento del locatore”.

5.2. Anche tale motivo investe il passaggio motivazionale già attinto dal terzo e dal quarto motivo di ricorso.

5.3. Ribadito ancora una volta che “da un’attenta lettura della documentazione in atti sarebbe stato possibile per il giudice dedurre l’effettiva portata delle obbligazioni assunte dal B. e il termine entro cui queste sarebbero dovute essere onorate”, sostiene la ricorrente “essere di tutta evidenza che la Corte ha svolto un’analisi della norma di riferimento ponendosi in diretto contrasto con l’ormai usuale interpretazione che della norma e del diritto di recesso del conduttore dà la giurisprudenza della Suprema Corte”.

6. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione della L. n. 392 del 1978, art. 27.

6.1. Il motivo investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato il quinto motivo di gravame con il quale la società appellante aveva lamentato che erroneamente il primo giudice non aveva ritenuto che essa avesse, nella specie, fatto legittimo esercizio del diritto di recesso L. n. 392 del 1978, ex art. 27, con lettera del 26/11/2007: rigetto motivato dal rilievo che l’appellante, in qualunque modo debba essere qualificata la comunicazione del 26/11/2007, non ha provato la sussistenza dei gravi motivi.

6.2. Osserva la ricorrente che, invece, era del tutto evidente che Eugen Seed s.r.l. si era trovata innanzi a dei ritardi oggettivi non ad essa imputabili, nonché alla possibilità concreta di non poter riprendere l’attività entro i tempi preventivati, mentre le necessità organizzative del lavoro non permettevano di attendere per un tempo indeterminato di prendere possesso dell’immobile.

7. Con il settimo motivo Eugen Seed S.r.l. deduce, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1223 c.c., “con riguardo al risarcimento riconosciuto al locatore a titolo di danno emergente per le opere eseguite sull’immobile locato prima della stipula del contratto di locazione e della consegna dello stesso a Eugen Seed S.r.l. (mai avvenuta)”.

7.1. Il motivo investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato il sesto motivo di gravame con cui l’appellante si doleva della quantificazione dei danni operata dal primo giudice in misura pari all’entità dei lavori svolti dal B. presso l’immobile di sua proprietà, sul presupposto che dette spese rappresentassero un danno e non piuttosto un investimento che avrebbe accresciuto il valore dell’immobile. Al riguardo i giudici d’appello hanno osservato testualmente: “il tribunale ha condannato l’appellante parzialmente considerando le spese sostenute per rendere l’immobile idoneo all’esercizio della locazione, con motivazione che il Collegio considera, per quanto segue, passibile di emenda, ma pur sempre al fine, riconoscibile, di adempiere al contratto preliminare in vista del definitivo”.

7.2. Osserva il ricorrente che il B. non ha patito una diminuzione del valore del suo patrimonio, in quanto l’immobile di sua proprietà a interventi finiti aveva acquistato un maggior valore di mercato e in ogni caso era effettivamente divenuto idoneo alla locazione commerciale; di contro Eugen Seed s.r.l. non aveva in alcun modo beneficiato degli interventi effettuati dal B. sulla sua proprietà, né con la propria condotta ha causato un danno patrimoniale.

8. Con l’ottavo motivo la ricorrente infine denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218,1223 e 1453 c.c., per avere la corte d’appello, parzialmente accogliendo l’appello incidentale di controparte, liquidato in favore del B. l’ulteriore importo di Euro 11.400, pari a 12 mensilità del canone di locazione concordato nel preliminare, a titolo di risarcimento del danno, per le mancate occasioni di locazione dell’immobile a destinazione commerciale.

Sostiene la ricorrente che il mancato percepimento dei canoni locatizi a seguito della risoluzione anticipata del contratto non può essere considerato “lucro cessante” e, quindi, non può essere oggetto di risarcimento.

9. I primi quattro motivi, congiuntamente esaminabili e riguardati – al di là della formale evocazione in rubrica di non coerenti tipi di vizio cassatorio – nella loro sostanza censoria volta a sottoporre a critica il rispetto dell’obbligo motivazionale da parte del giudice a quo (ciò nell’esercizio del potere/dovere qualificatorio della censure svolte, che al riguardo compete a questa Corte secondo il noto principio affermato da Cass. Sez. U. 24/07/2013, n. 17931), sono fondati, nei termini appresso esposti.

9.1. La motivazione della sentenza si rivela infatti apodittica e sostanzialmente incomprensibile – tanto da risultare meramente “apparente” – in ordine alla principale questione di merito dibattuta, rappresentata dalla valutazione della idoneità del bene promesso in locazione e alla essenzialità del termine pattuito per la stipula del contratto definitivo.

Al riguardo va ricordato che il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata.

L’obbligo del giudice “di specificare le ragioni del suo convincimento”, quale “elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale” è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle sezioni unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che “l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità” e che “le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti” (in termini, Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 nonché la giurisprudenza ivi richiamata).

Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (v. in termini Cass. 09/09/2019, n. 22507, e la giurisprudenza ivi richiamata).

Deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo – quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U., Sentenza n. 22232 del 2016; conf. Cass., Sez. 6-5, n. 14927 del 2017).

Va altresì ricordato che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass., Sez. U. n. 8053 e n. 8054 del 07/04/2014).

9.2. La motivazione della sentenza impugnata rientra paradigmaticamente nelle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti giurisprudenziali, concretizzando un chiaro esempio di

“motivazione apparente” e comunque “obiettivamente incomprensibile”, e si pone dunque sicuramente al di sotto del “minimo costituzionale”.

9.2.1. Dalla lapidaria affermazione sopra riportata (v. p. 1.1) non è dato infatti in alcun modo comprendere quali fossero e che contenuto avessero i “documenti prodotti” e per qual motivo da essi potesse “chiaramente” evincersi che “le condizioni in cui si trovava l’immobile al momento della proposta contrattuale erano state chiaramente descritte al promissario ed il termine per la stipula del definitivo era stato indicato per consentire il cambio di destinazione d’uso richiesto da Eugen Seed S.r.l.”.

9.2.2. Analogamente è a dirsi quanto alla affermazione (v. supra p. 2.1) secondo cui “i termini indicati quanto alla stipula del definitivo non (hanno) la caratteristica dell’essenzialità ex art. 1457 c.c., mancando le tipiche espressioni che normalmente la identificano” (quali sono i termini utilizzati in contratto?) ed a quella secondo cui “molteplici testimoni hanno confermato che il B., alla data indicata per il definitivo, aveva già manifestato inequivoca disponibilità ad addivenire alla stipula del contratto di locazione, ed in seguito, entro il successivo termine del 1.12.2007” (a quali dichiarazioni testimoniali ci si riferisce? Che rilevanza ha, rispetto alla questione da decidere, la volontà manifestata dal promettente locatore di addivenire alla stipula del contratto definitivo?).

9.2.3. Non minori incertezze e oscurità esegetiche avvolgono l’affermazione (v. supra p. 3.1 e p. 4.1) secondo cui “l’istruttoria compiuta ha reso risultanze in senso contrario a quanto afferma l’appellante, cosi che nessun vizio di interpretazione del dato istruttorio può pertanto essere imputato al primo giudice”.

9.3. Al riguardo converrà ancora ribadire che in tema di valutazione delle prove ed in particolare di quelle documentali, il giudice di merito è tenuto a dare conto, in modo comprensibile e coerente rispetto alle evidenze processuali, del percorso logico compiuto al fine di accogliere o rigettare la domanda proposta, dovendosi ritenere viziata per apparenza la motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti (v., in tal senso, da ultimo, Cass. n. 14762 del 30/05/2019; cfr. anche Cass. n. 3819 del 14/02/2020).

10. In accoglimento dei primi quattro motivi di ricorso, assorbiti i rimanenti, la sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione; dichiara assorbiti i rimanenti; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 31 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2021

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