LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11005-2015 proposto da:
C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GARIGLIANO n. 11, presso lo studio dell’avvocato NICOLA MAIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO MATTIONI;
– ricorrente –
contro
AZIENDA OSPEDALIERA DELLA PROVINCIA DI LODI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIULIANELLO 26, presso lo studio dell’avvocato SANDRO MARIA MUSILLI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIORGIO BOTTANI, e GIORGIA MINOZZI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 968/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/11/2014 R.G.N. 3063/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/05/2021 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’
STEFANO, visto il D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’Appello di Milano ha riformato parzialmente la sentenza del Tribunale di Lodi che, adito da C.A., aveva accertato l’illegittimità della revoca dell’incarico a tempo determinato attribuito al ricorrente dall’Azienda Ospedaliera della Provincia di Lodi ed aveva condannato l’ente al pagamento delle retribuzioni relative ai mesi di *****, a titolo di risarcimento del danno.
2. La Corte territoriale, ribadita la giurisdizione del giudice ordinario, ha premesso che il C. sulla base di dodici contratti di lavoro subordinato a tempo determinato era stato assunto dall’Azienda Ospedaliera, in qualità di dirigente medico chirurgo, dal 12 dicembre 1999 al 30 dicembre 2008 e dal 5 marzo al 5 novembre 2009 ed aveva sottoscritto il 1 settembre 2009 un contratto a tempo indeterminato quale dirigente medico di chirurgia di urgenza presso l’Ospedale di *****.
3. In tale contesto si era inserita la vicenda dedotta in giudizio relativa alla revoca delle Delib. n. 1203 del 2007 e Delib. n. 206 del 2008 con le quali al C. era stato conferito l’incarico a tempo determinato della durata di 18 mesi quale dirigente medico di chirurgia generale, incarico revocato sul presupposto che erroneamente l’amministrazione non aveva fatto ricorso allo scorrimento della graduatoria approvata con delibera n. 1247 del 2005, ancora efficace.
4. Il giudice d’appello ha ritenuto che non potesse l’amministrazione bandire una nuova procedura concorsuale in presenza della disponibilità all’assunzione manifestata dalla quinta classificata e pertanto, in accoglimento dell’appello proposto dall’Azienda Ospedaliera, ha ritenuto legittima la revoca dell’assunzione e respinto nella sua interezza la domanda risarcitoria proposta a tale titolo.
5. La Corte territoriale ha invece accolto l’appello del C. avverso il capo della sentenza che, pur riconoscendo il carattere abusivo della reiterazione dei contratti a tempo determinato, aveva ritenuto di non potere condannare l’amministrazione al risarcimento del danno in quanto non provato dall’originario ricorrente.
6. Ha ritenuto che dovesse trovare applicazione la L. n. 183 del 2010, art. 32 ed ha richiamato giurisprudenza di questa Corte per sostenere che nell’impiego pubblico è impedita la conversione del rapporto a termine e, pertanto, deve essere applicata una misura sanzionatoria, quale è quella del risarcimento del danno, che consenta di reprimere l’abuso ed abbia efficacia proporzionata effettiva e dissuasiva. Ha, quindi, condannato l’Azienda al pagamento di dieci mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre ad interessi e rivalutazione monetaria.
7. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso C.A. sulla base di tre motivi, articolati in più punti, ai quali ha opposto difese con controricorso l’Azienda Ospedaliera della Provincia di Lodi.
8. La causa, dapprima avviata alla trattazione camerale, è stata poi fissata in pubblica udienza in ragione dell’importanza delle questioni giuridiche coinvolte.
9. La Procura Generale ha concluso D.L. n. 137 del 2020, ex art. 23, comma 8 bis, convertito in L. n. 176 del 2020, per l’infondatezza del ricorso.
10. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DI RICORSO 1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 5, in via principale, l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ed assume, in sintesi, che la Corte territoriale ha ricostruito i fatti storici in termini difformi dalla realtà non avendo considerato che:
a) lo scorrimento della graduatoria era stato tentato dall’Amministrazione, la quale aveva bandito il concorso solo dopo avere accertato l’indisponibilità dell’unica candidata che inizialmente aveva dichiarato il suo interesse all’assunzione;
b) dopo la revoca il posto non era stato ricoperto attraverso lo scorrimento perché la F. non aveva accettato l’incarico, avendo nel frattempo stipulato contratto a tempo indeterminato con altra amministrazione.
2. In via subordinata il ricorrente, con la seconda censura, addebita alla sentenza impugnata la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 21 quinquies e degli artt. 1337 e 2043 c.c. e sostiene che la revoca dell’atto amministrativo può essere disposta solo in presenza di un mutamento della situazione di fatto o di una nuova valutazione dell’interesse, condizioni, queste, non realizzatesi nella fattispecie.
Aggiunge che la revoca, al pari dell’annullamento, è impedita qualora sia decorso un apprezzabile lasso di tempo dall’adozione del provvedimento ed infine rileva che la deliberazione n. 206 del 2008 non poteva essere oggetto di legittimo esercizio del potere di autotutela, perché non inficiata da alcun vizio.
2.1. Argomenta, poi, il ricorrente sulla fondatezza della domanda proposta ex art. 2932 c.c. nonché su quella di risarcimento del danno, che andava accolta nella sua interezza perché a seguito della soluzione di continuità fra i diversi contratti a termine egli aveva perso la maggiorazione che gli sarebbe spettata in caso di servizio prestato ininterrottamente. Deduce infine che andava riconosciuto e liquidato anche il danno non patrimoniale e quello patrimoniale derivato dall’accettazione di un incarico conferito da altro ente ospedaliero avente sede in luogo diverso da quello di residenza.
3. Con il terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, è denunciata la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 della L. n. 183 del 2010, art. 32, della L. n. 604 del 1966, art. 8 della direttiva 1999/70/CE perché il risarcimento del danno da liquidare in caso di abusiva reiterazione del contratto a termine deve compensare anche la mancata conversione del rapporto e quindi deve essere commisurato al valore del posto di lavoro con la conseguenza che all’indennità onnicomprensiva riconosciuta dalla L. n. 183 del 2010, art. 32 si deve aggiungere anche quella sostitutiva della reintegrazione, pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
4. Occorre premettere che con l’originario ricorso C.A. aveva proposto nei confronti dell’Azienda Ospedaliera della Provincia di Lodi due distinte azioni, fondate su autonome causae petendi, e, per quel che ancora qui rileva, da un lato aveva domandato il risarcimento dei danni cagionati dall’illegittima revoca delle delibere n. 1203 del 2007 e Delib. n. 206 del 2008 con le quali, rispettivamente, era stato indetto avviso pubblico per l’incarico a tempo determinato di dirigente di chirurgia generale, e conferito al C. l’incarico stesso all’esito della formazione della graduatoria; dall’altro denunciato il carattere abusivo della reiterazione dei contratti a termine intercorsi fra le parti senza soluzione di continuità dal dicembre 1999 al dicembre 2008 e chiesto il risarcimento dei pregiudizi tutti derivati dall’abusiva reiterazione.
Quest’ultima domanda risarcitoria, non la prima, è stata accolta dalla Corte territoriale ed il capo della sentenza, che ha commisurato il danno all’indennità originariamente prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32 oggi sostituito dal D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 28 è stato impugnato in questa sede con il terzo motivo di ricorso.
4.1. Il motivo è infondato perché il giudice d’appello non si è discostato dal principio di diritto, affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui ” in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito.” (Cass. S.U. 15.3.2016 n. 5072).
Con la richiamata decisione, alla quale le stesse Sezioni Unite hanno dato continuità con la successiva sentenza n. 19165/2017, si è in sintesi osservato che:
a) ove venga in rilievo la clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, il diritto dell’Unione non impone la conversione del rapporto a termine in contratto a tempo indeterminato, giacché può costituire una misura adeguata anche il risarcimento del danno;
b) nell’impiego pubblico contrattualizzato, poiché la conversione è impedita dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 attuativo del precetto costituzionale dettato dall’art. 97 Cost., il danno risarcibile, derivante dalla prestazione in violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della P.A, consiste di norma nella perdita di chance di un’occupazione alternativa migliore, con onere della prova a carico del lavoratore, ai sensi dell’art. 1223 c.c.;
c) poiché la prova di detto danno non sempre è agevole, è necessario fare ricorso ad un’interpretazione orientata alla compatibilità comunitaria, che secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia richiede un’adeguata reazione dell’ordinamento volta ad assicurare effettività alla tutela del lavoratore, sì che quest’ultimo non sia gravato da un onere probatorio difficile da assolvere.
4.2. Sulla questione qui controversa e’, poi, nuovamente intervenuta la Corte di Lussemburgo che, chiamata a pronunciare sulla conformità al diritto dell’Unione, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, ha evidenziato che ” la clausola 5 dell’accordo quadro dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che, da un lato, non sanziona il ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, a una successione di contratti a tempo determinato mediante il versamento, al lavoratore interessato, di un’indennità volta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato bensì, dall’altro, prevede la concessione di un’indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione di detto lavoratore, accompagnata dalla possibilità, per quest’ultimo, di ottenere il risarcimento integrale del danno” anche facendo ricorso, quanto alla prova, a presunzioni (Corte di Giustizia 7.3.2018 in causa C – 494/16 Santoro).
4.3. La sentenza impugnata, che ha liquidato il danno in dieci mensilità, sulla base dei parametri indicati dal combinato disposto della L. n. 183 del 2010, art. 32 e della L. n. 604 del 1966, art. 8 e’, quindi, conforme a diritto, perché gli argomenti sviluppati nel terzo motivo di gravame, già esaminati e disattesi da questa Corte, non possono indurre a ripensare l’orientamento consolidato espresso.
5. Il primo motivo è infondato in quanto sollecita una rivalutazione delle risultanze probatorie quanto alla ricostruzione dei fatti che hanno preceduto l’indizione del concorso e che sono stati posti alla base del provvedimento di revoca, fatti che la Corte territoriale ha esaminato, pervenendo a conclusioni opposte rispetto a quelle prospettate dall’appellato.
Con la sentenza n. 34476/2019 le Sezioni Unite di questa Corte hanno riassunto i principi, ormai consolidati, affermati in relazione alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 ad opera del D.L. n. 83 del 2012 e, rinviando a Cass. S.U. n. 8053/2014, Cass. S.U. n. 9558/2018, Cass. S.U. n. 33679/2018, hanno evidenziato che:
a) il novellato testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo;
b) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;
c) neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma;
d) nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;
e) tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione.
Quest’ultimo vizio, non riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 5 va denunciato ai sensi del combinato disposto dell’art. 132 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4 ed è ravvisabile solo qualora la carenza o la contraddittorietà siano tali da indurre la mancanza di un requisito essenziale della decisione.
5.1. E’ evidente che nella fattispecie la critica mossa alla sentenza impugnata non è sussumibile in alcuno dei due vizi in rilievo, perché i fatti storici sono stati esaminati dalla Corte territoriale, che ha ritenuto giustificata dal mancato ricorso allo scorrimento della graduatoria la revoca delle deliberazioni n. 1203 del 2007 e Delib. n. 206 del 2008 ed ha indicato con chiarezza le ragioni per le quali doveva essere escluso il carattere pretestuoso della motivazione addotta a fondamento dell’atto.
Il motivo, che addebita alla Corte territoriale di non avere correttamente valutato la documentazione in atti, finisce per denunciare l’omesso esame non di un fatto storico, bensì di risultanze probatorie, ossia un vizio che, non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità all’esito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.
6. E’, invece, fondato, nei limiti di seguito precisati, il secondo motivo di ricorso.
Occorre premettere che non è in discussione nella fattispecie la natura concorsuale della procedura indetta, perché risulta dalla sentenza impugnata e dal contenuto delle delibere trascritte in ricorso che l’avviso pubblico per la copertura a tempo determinato di un posto di dirigente medico da assegnare alla chirurgia generale prevedeva la selezione per titoli e colloquio, con attribuzione di punteggi, sulla base dei quali è stata poi formulata la graduatoria approvata con la deliberazione n. 206 del 2008.
La procedura in questione, quindi, non rientra fra quelle meramente idoneative disciplinate dal D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 ter (sul punto fra le più recenti Cass. S.U. n. 19668/2020), e, in quanto diretta alla costituzione ex novo del rapporto di lavoro, ha carattere concorsuale e costituisce esercizio del potere pubblico attribuito all’amministrazione di individuare il soggetto ammesso alla stipula del contratto (cfr. fra le tante Cass. S.U. n. 21599/2018; Cass. S.U. n. 7218/2020; Cass. S.U. n. 29915/2017; Cass. S. U. n. 8522/2012).
Va precisato al riguardo che l’art. 97 Cost., nel richiedere quale condizione per l’accesso all’impiego il superamento del concorso pubblico, non opera alcuna distinzione fondata sulla durata del contratto (Corte Cost. n. 110/2017) sicché, in coerenza con tale principio, le Sezioni Unite di questa Corte hanno evidenziato che la procedura ha carattere concorsuale anche se finalizzata all’instaurazione di un rapporto a tempo determinato (Cass. S.U. n. 529/2010 e Cass. S.U. n. 15329/2010).
6.1. Premessa, quindi, la natura concorsuale della procedura, opera il principio secondo cui con l’approvazione della graduatoria, che ha la duplice natura di provvedimento terminale del procedimento amministrativo e di atto negoziale di individuazione del futuro contraente, sorge in capo a quest’ultimo il diritto soggettivo all’assunzione sicché l’amministrazione è tenuta ad adempiere l’obbligazione, salvo che non ricorrano ragioni sopravvenute che impediscano l’adempimento, quali possono essere lo ius superveniens o le modifiche organizzative medio tempore intervenute che non consentano l’inquadramento previsto dal bando (Cass. S.U. n. 16728/2012; Cass. n. 12679/2016; Cass. n. 30238/2017; Cass. n. 26238/2020).
E’ stato, inoltre, precisato che l’amministrazione può rifiutare la stipulazione del contratto, o farne valere l’invalidità, nei casi in cui l’instaurazione del rapporto si pone in contrasto con norma inderogabile di legge, come accade nei casi di annullamento o di mancato rispetto della graduatoria o di assenza dei requisiti soggettivi richiesti per la partecipazione alla procedura (cfr. fra le più recenti Cass. n. 4057/2021 e la giurisprudenza ivi richiamata al punto 48).
6.2. Al di fuori di dette ipotesi, accomunate dall’essere l’assunzione impedita da cause ostative originarie o sopravvenute, affinché l’amministrazione possa sottrarsi al vincolo che deriva dall’espletamento della procedura e dall’approvazione della graduatoria è necessario che intervenga un contrarius actus di esercizio del potere di autotutela in relazione all’indizione ed all’espletamento della procedura medesima, atto che deve essere adottato nel rispetto delle forme e dei limiti posti a quel potere (Cass. S.U. n. 8951/2007; Cass. S.U. n. 23327/2009; Cass. S.U. n. 4640/2010; Cass. S.U. n. 5075/2016).
Con le pronunce sopra citate le Sezioni Unite hanno evidenziato che la revoca della procedura concorsuale, che partecipa della medesima natura autoritativa dell’atto al quale si riferisce, deve essere adottata nel rispetto della disciplina dettata dalla L. n. 241 del 1990, con la conseguenza che, ove quel potere non risulti correttamente esercitato, il provvedimento che ha inciso sul diritto soggettivo all’assunzione deve essere disapplicato dal giudice ordinario.
6.3. Dai richiamati principi, condivisi dal Collegio e qui ribaditi, discende che nella fattispecie la legittimità o meno del rifiuto opposto dalla ASL all’assunzione doveva essere verificata alla luce della disciplina dettata dalla L. n. 241 del 1990, artt. 21 quinquies e 21 nonies rispettivamente per la revoca e l’annullamento d’ufficio dell’atto amministrativo che, pur differenziandosi nei presupposti (l’annullamento interviene in ragione di un provvedimento ab origine viziato da illegittimità, mentre la revoca implica una nuova valutazione discrezionale degli interessi in rilievo) richiedono entrambi che si dia conto delle ragioni di interesse pubblico che giustificano l’esercizio del potere, da comparare con quelli dei privati interessati alla conservazione degli effetti dell’atto.
6.4. Ai fini di detta valutazione è opportuno rammentare che lo scorrimento della graduatoria come modalità preferenziale di reclutamento del personale non è imposto da norma inderogabile di legge, la cui violazione potrebbe in ipotesi determinare nullità del bando e riverberarsi sulla validità del contratto concluso con il vincitore del concorso, indetto ed espletato pur in presenza di una graduatoria ancora valida ed efficace.
Sino alla pronuncia n. 14/2011 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (tra l’altro successiva alla revoca della cui legittimità qui si discute) la giurisprudenza amministrativa era orientata per lo più nel senso di ritenere che la determinazione di indizione di una nuova procedura concorsuale fosse ampiamente discrezionale e non necessitasse di alcuna specifica motivazione, perché conforme alla regola tracciata dall’art. 97 Cost..
Questo orientamento è stato ripensato a seguito della pronuncia sopra citata, con la quale, peraltro, si è solo affermato che, fermo il potere discrezionale di coprire o meno la vacanza, l’amministrazione, qualora si determini all’assunzione, deve esplicitare nell’atto di indizione della procedura le ragioni per le quali ritenga di non avvalersi dello scorrimento e la motivazione deve considerare l’interesse pubblico sotteso alla scelta compiuta, da comparare con gli interessi dei candidati utilmente collocati nella graduatoria ancora efficace.
La prevalenza della procedura di scorrimento, dunque, non è assoluta ed incondizionata, ma solo tendenziale, ed inoltre è stata affermata dalla giurisprudenza amministrativa facendo leva su ragioni di interesse pubblico (risparmio di spesa e tempestività nella copertura della vacanza) che, all’evidenza, non possono essere addotte a giustificazione della revoca della procedura, una volta che quest’ultima sia stata bandita ed espletata senza che il soggetto che della stessa poteva dolersi abbia impugnato l’atto di indizione.
Infatti la revoca della procedura concorsuale può essere disposta, sino a quando non sia intervenuta la nomina dei vincitori, sempre che sussistano ragioni di pubblico interesse che sconsigliano la prosecuzione dell’iter concorsuale, rendendone evidente l’inopportunità (cfr. fra le più recenti Cons. di Stato n. 582/2020 e la giurisprudenza ivi richiamata).
6.5. Quanto, poi, all’incidenza della sopravvenuta diversa valutazione in merito alla necessità o meno della copertura del posto vacante valgono i medesimi principi che regolano il potere di revoca, salvo che la decisione non sia imposta da norme sopravvenute (normativa in tema di riduzione obbligatoria della spesa, limiti posti alle assunzioni) o da modifiche organizzative che, come già sopra evidenziato, impediscano l’instaurazione del rapporto di impiego e legittimino il rifiuto del datore alla conclusione del contratto.
7. La sentenza impugnata, nel ritenere che il mancato scorrimento della precedente graduatoria fosse sufficiente a giustificare la revoca delle delibere di indizione della procedura e di approvazione della graduatoria nonché di nomina del vincitore, si e’, dunque, discostata dai principi di diritto sopra enunciati e deve essere cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo, che procederà ad un nuovo esame, attenendosi a quanto qui precisato nei punti che precedono.
8. Per il resto il secondo motivo è inammissibile perché prospetta questioni attinenti al risarcimento del danno che il giudice d’appello non ha esaminato, in quanto assorbite dalla ritenuta legittimità della revoca (Cass. n. 4804/2007; Cass. n. 23558/2014).
9. Al giudice del rinvio è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di iegittimità.
La parziale fondatezza del ricorso comporta l’inapplicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, quanto al raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione e rigetta gli altri motivi. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2021
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