Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.28036 del 14/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8387/2019 proposto da:

G.A., e M.A., domiciliati in ROMA presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato ALFREDO SAGLIOCCO;

– ricorrenti –

contro

A.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5811/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 18/12/2018 e notificata il 7/01/2019;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

RILEVATO

che:

La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 5811-2018, oggetto dell’odierno ricorso, accoglieva, per quanto di ragione, l’appello avverso la sentenza n. 34/13 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, e condannava G.A. e M.A., in solido, perché entrambi ritenuti legittimati passivi in quanto proprietari del fabbricato e dell’autoclave, al pagamento, a favore di A.F., di Euro 3.000,00, al netto degli interessi, per i danni derivanti dalle immissioni rumorose prodotte dall’autoclave condominiale.

La Corte territoriale – per quanto ancora di interesse – ha ritenuto che: i) la ricorrenza di immissioni, fonte di danno perché intollerabili, fosse stata provata, non con una CTU, inutile dato il mutamento dello stato dei luoghi, ma attraverso il carteggio intercorso tra le parti prima del giudizio e con la perizia depositata da A.F., sulle cui circostanze di fatto accertate dall’incaricato era stata articolata prova testimoniale; ii) A.F. non avesse dimostrato di aver subito un danno biologico e non avesse diritto al risarcimento del danno morale pure richiesto, ma che avesse subito un danno non patrimoniale derivante dalle immissioni intollerabili protrattesi dal 2 giugno 2006, data del primo certificato medico prodotto, al dicembre 2008, quando aveva lasciato l’immobile a seguito di intimazione di sfratto. Detto danno veniva determinato equitativamente in Euro 3.000,00, oltre agli interessi. Seguiva la regolazione delle spese di lite.

Avverso detta sentenza ricorrono i coniugi G. – M., formulando quattro motivi.

Nessuna attività difensiva è svolta in queste sede da A.F..

La trattazione del ricorso è stata fissata in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., n. 1 e non sono state depositate conclusioni scritte da parte del PM.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 844 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3, circa l’errore in iudicando del giudice d’Appello per non aver rilevato la mancata prova, da parte del sig. A.F., dell’effettiva lesione alla propria salute per le molestie asseritamente subite”.

Oggetto di impugnazione è la statuizione con cui la Corte d’Appello, pur riconoscendo che A.F. non aveva subito un danno biologico, proprio sulla base della documentazione sanitaria prodotta in giudizio, ha ritenuto potesse presumersi che l’esposizione prolungata alle immissioni rumorose fosse stata fonte di disagio ed ansia con ripercussioni sulla sfera personale, perché, ad avviso dei ricorrenti, A.F. avrebbe dovuto dimostrare di avere subito un’effettiva lesione della salute e non un mero fastidio alla vita di relazione, non bastando a tale scopo il certificato medico che evidenziava uno stato ansioso, in quanto dichiarazione generica inidonea a provare il nesso di causa tra l’eventus damni e la condotta antigiuridica contestata.

Il motivo è infondato.

La premessa in iure da cui muovono le censure dei ricorrenti – cioè che in assenza di prova della lesione del diritto alla salute, le immissioni intollerabili non giustifichino l’accoglimento della richiesta risarcitoria di chi si affermi danneggiato – è stata superata dalla giurisprudenza di questa Corte, che, dapprima, con la pronunce n. 26899 del 19/12/2014 e n. 20927 del 16/10/2015, poi, con la decisione a sezioni unite n. 2611 dell’1/02/2017, ha ammesso il risarcimento del danno non biologico, qualora sia riscontrabile una lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione, e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo: norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi, a seguito della cd. “comunitarizzazione” della Cedu (così Cass. 07/05/2018, n. 10861).

Non solo: ha espressamente previsto che la prova di detto pregiudizio possa essere data per presunzioni, sulla base delle nozioni di comune esperienza.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello, proprio rifacendosi a tale insegnamento giurisprudenziale, dopo avere negato, fornendo adeguata motivazione, la ricorrenza di un danno biologico e di un danno morale, ha presunto la ricorrenza di un danno non patrimoniale da immissioni illegittime.

Non avendo la Corte d’Appello acceduto alla tesi che il danno fosse presunto, derivando dalla accertata non tollerabilità delle immissioni, ma che la sua ricorrenza fosse stata provata per presunzioni (ed invero, una cosa è dire che il danno è presunto (con inversione dell’onere della prova, addossandosi al danneggiante quello di provare il contrario), altra è dire che può essere provato per presunzioni: così Cass. 18/07/2019, n. 19434), deve escludersi che sia incorsa nell’errore attribuitole.

Per giunta, non avendo i ricorrenti censurato il ragionamento inferenziale che ha portato la Corte d’Appello a ritenere ricorrente il danno liquidato, e cioè l’assenza di gravità, precisione e concordanza delle circostanze note da cui è risalita al fatto ignoto (cfr. Cass. 26/06/2008, n. 17535; Cass. 05/05/2017, n. 10973), ma solo la risarcibilità di tale danno, il mezzo impugnatorio non può che rigettarsi.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti imputano alla sentenza gravata la “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Dell’evitabilità da parte del sig. A.F. del danno asseritamente subito, per non avere la Corte territoriale considerato che qualunque inquilino aveva la possibilità di accendere e spegnere l’autoclave, eliminando la fonte del rumore molesto, senza arrecare alcun danno in ordine alla fornitura d’acqua”.

La Corte d’Appello ha ritenuto irrilevante la circostanza che A.F. potesse spegnere l’interruttore dell’autoclave, eliminando la fonte del rumore, perché era onere dei proprietari garantire che i condomini del fabbricato avessero costantemente l’acqua senza subire intollerabili emissioni rumorose.

A tal riguardo va osservato che “l’accertamento dei presupposti per l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 1227 c.c., comma 2 – che esclude il risarcimento in relazione ai danni che il creditore (o il danneggiato) avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza – integra indagine di fatto, come tale riservata al giudice di merito e sottratta al sindacato di legittimità” (così Cass. 11/02/2020, n. 3319), giacché il sindacato di legittimità è escluso, sol che la sentenza impugnata abbia fornito una motivazione adeguata.

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha sottolineato che i coniugi appellati avevano l’obbligo di garantire il funzionamento dell’autoclave e che quindi era irrilevante che A.F. avesse la possibilità di spegnere l’autoclave riducendo, se non eliminando, le immissioni intollerabili; si tratta di una motivazione congrua, la cui ricorrenza è tale da escludere il sindacato di legittimità richiesto: sindacato, peraltro, invocato sulla scorta di assunti generici ed assertori che nemmeno si confrontano con quanto rilevato dal giudice di merito.

Il motivo, pertanto, è inammissibile.

3. on il terzo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1575,1576,1577 c.c.,in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3. Della manutenzione straordinaria a carico del conduttore, come da premessa del contratto di locazione. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le pari, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

La Corte territoriale non avrebbe considerato che il contratto di locazione poneva a carico del conduttore l’obbligo di effettuare anche le manutenzioni straordinarie degli impianti, in deroga all’art. 1575 c.c., perciò, secondo i ricorrenti, erroneamente la sentenza impugnata aveva posto a loro carico l’onere di garantire il funzionamento dell’autoclave a beneficio dei condomini del fabbricato, essendo invece obbligo di A.F. quello di provvedere alla manutenzione ed alla eventuale sostituzione integrale dell’impianto. Ne’ la Corte territoriale avrebbe considerato che, trattandosi di riparazioni urgenti, l’inquilino avrebbe potuto eseguirle direttamente, salvo rimborso, dandone contemporaneamente avviso al locatore.

La Corte d’Appello ha chiarito, a pag. 4, che, a ristoro del danno non patrimoniale subito, A.F. aveva agito ai sensi degli artt. 844 e 2043 c.c., mentre nessun riferimento è rinvenibile in ordine al contratto di locazione intercorso tra le parti.

E di questo i ricorrenti non tengono affatto conto, sicché deve dirsi che il motivo non coglie affatto la ratio decidendi della sentenza impugnata e, pertanto, è inammissibile, dovendosi ribadire che per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione; il che non avviene quando, come in questo caso, l’esercizio del diritto d’impugnazione non sia valso ad esplicitare né a specificare le ragioni per cui una data statuizione è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere (Cass. 16/04/2021, n. 10128; Cass. 10/08/2017, n. 19989).

4. Con l’ultimo motivo i ricorrenti impugnano il capo della sentenza d’appello che ha accertato e quantificato in Euro 3.000,00 il danno non patrimoniale asseritamente subito da A.F..

La Corte d’Appello, dopo avere escluso che A.F. avesse risentito un danno biologico, perché le certificazioni mediche erano generiche e non indicative di una patologia, e un danno morale, non avendo allegato né provato circostanze peculiari relative al proprio vissuto dalle quali fosse possibile evincere che la propria condizione di vita fosse mutata rispetto a quella anteriore alle lamentate immissioni, gli ha riconosciuto un danno non patrimoniale da immissioni illecite. I ricorrenti ribadiscono la non debenza di alcun risarcimento e, in subordine, contestano il quantum, giacché, a fronte di un canone di locazione annuale di poco superiore ai 3.000,00 Euro, ritengono eccessivo che il fastidio cagionato dal rumore dell’autoclave potesse giustificare l’abbuono dei canoni locatizi di un intero anno.

I ricorrenti dimostrano di avere inteso il motivo come riepilogativo delle censure già mosse alla sentenza impugnata, ad eccezione del profilo avente ad oggetto la quantificazione del danno, il quale è malposto, perché non contiene censure in diritto in ordine all’applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c. – ad esempio, quanto all’adozione dei criteri adottati per la liquidazione del danno, additati come “manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza”, ovvero quanto all’esito sproporzionato per eccesso o per difetto risultante della loro applicazione (cfr. Cass. 20/04/2021, n. 10347) – né la decisione è censurata sotto il profilo motivazionale – cioè per l’omessa indicazione del processo logico e valutativo seguito per concretizzare il danno – ma di mere contestazioni di fatto e di una sostanziale richiesta di nuova e diversa quantificazione del danno. I ricorrenti, infatti, si limitano a lamentare l’ammontare della somma che sono stati condannati a pagare a titolo risarcitorio, ponendola a confronto con un dato, l’ammontare del canone annuale di locazione, del tutto disomogeneo e non pertinente, rispetto alle circostanze di fatto che il giudice avrebbe dovuto prendere in considerazione per collegarvi il danno.

5. Ne consegue il rigetto del ricorso.

6. Nulla deve essere liquidato per le spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva in questa sede.

7. Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 15 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2021

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