LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24887/2019 R.G. proposto da:
D.L.M., rappresentata e difesa dall’Avv. Daniela Gambardella, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Piazza Adriana n. 8;
– ricorrente –
contro
Q.M., rappresentata e difesa dall’Avv. Antonio Damiano, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, piazza Cardelli, n. 4;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 2969/2019, depositata il 7 maggio 2019;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 26 maggio 2021 dal Consigliere Emilio Iannello.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 10533/2016 il Tribunale di Roma rigettò la domanda risarcitoria proposta da D.L.M. nei confronti di Q.M. per i danni subiti dall’appartamento di sua proprietà a causa di infiltrazioni d’acqua provenienti da quello del piano superiore di proprietà della convenuta.
Ritenne, infatti, che a quest’ultima non fosse ascrivibile alcuna responsabilità per l’accaduto, essendosi questo verificato nel corso di lavori di ristrutturazione affidati in appalto ad un’impresa ed essendosi il danno prodotto come diretta conseguenza di tali lavori, rispetto ai quali il committente non esercitava alcun potere di vigilanza.
2. La Corte d’appello di Roma ha rigettato il gravame interposto dall’attrice sul duplice rilievo che: a) come accertato dal primo giudice, la convenuta/appellata aveva “perso la custodia dell’immobile in quanto aveva affidato i lavori di ristrutturazione alla società AR.DE.CO. S.r.l.”; b) non rileva che la proprietaria potesse comunque continuare ad accedere all’appartamento, atteso che “per ritenere esente da responsabilità il custode, non è affatto necessario che gli sia impossibile accedere al bene, quanto piuttosto che ne abbia affidato ad altri la custodia, come accaduto nel caso di specie. Ciò esclude che sia configurabile a carico dell’appellata la responsabilità ex artt. 2051 e 2043 c.c.”.
3. Avverso tale decisione D.L.M. propone ricorso per cassazione con due mezzi, cui resiste Q.M., depositando controricorso.
Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione degli artt. 2043 e 2051 c.c., in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., relativamente alla custodia dell’immobile al momento del fatto dannoso”.
Richiamato il principio di diritto affermato da Cass. 28/09/2018, n. 23442 (secondo cui “in caso di danni subiti da terzi nel corso dell’esecuzione di un appalto, bisogna distinguere tra i danni derivanti dalla attività dell’appaltatore e i danni derivanti dalla cosa oggetto dell’appalto; per i primi si applica l’art. 2043 c.c., e ne risponde di regola esclusivamente l’appaltatore (in quanto la sua autonomia impedisce di applicare l’art. 2049 c.c., al committente), salvo il caso in cui il danneggiato provi la concreta ingerenza del committente nell’attività stessa e/o la violazione di specifici obblighi di vigilanza e controllo; per i secondi (e cioè per i danni direttamente derivanti dalla cosa oggetto dell’appalto, anche se determinati dalle modifiche e dagli interventi su di essa posti in essere dall’appaltatore) risponde (anche) il committente ai sensi dell’art. 2051 c.c., in quanto l’appalto e l’autonomia dell’appaltatore non escludono la permanenza della qualità di custode della cosa da parte del committente; in tale ultimo caso, il committente, per essere esonerato dalla sua responsabilità nei confronti del terzo danneggiato, non può limitarsi a provare la stipulazione dell’appalto, ma deve fornire la prova liberatoria richiesta dall’art. 2051 c.c., e quindi dimostrare che il danno si è verificato esclusivamente a causa del fatto dell’appaltatore, quale fatto del terzo che egli non poteva prevedere e/o impedire (e fatto salvo il suo diritto di agire eventualmente in manleva contro l’appaltatore)”), ne lamenta la violazione, nella specie, da parte della corte di merito, rilevando che, in base ad esso e contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, il solo affidamento del bene oggetto dell’appalto non può determinare alcun trasferimento anche della custodia, tanto più che la proprietaria del bene aveva mantenuto la possibilità di accedere all’immobile.
2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 1 CEDU, Prot. 1.
Afferma che, in doverosa coerenza con il citato art. Protocollo addizionale CEDU, l’art. 2051 c.c., non può essere interpretato in maniera tale da operare una irragionevole restrizione del diritto del danneggiato, tale essendo invece la conseguenza dell’interpretazione accolta della corte territoriale, in quanto sbilanciata in favore del proprietario dell’immobile da cui proviene il danno, esonerato dall’onere della prova senza alcun motivo.
3. I due motivi, congiuntamente esaminabili in quanto strettamente connessi, sono fondati.
La regola di giudizio applicata dalla corte capitolina – risolvendosi nella esclusione della responsabilità (“ex artt. 2051 e 2043 c.c.”) del proprietario per il solo fatto della conclusione dell’appalto in quanto di per sé implicante la perdita del potere di custodia e l’affidamento di questa ad altri – si pone effettivamente e frontalmente in contrasto con i più recenti approdi della giurisprudenza di questa Corte, cui si intende qui dare continuità.
Del nuovo orientamento è espressione – oltre a Cass. n. 23442 del 2018, richiamata in ricorso ed anteriore alla sentenza qui impugnata -l’ancor più recente arresto di Cass. 17/03/2021, n. 7553, che, pur collocandosi sulla scia del precedente, giunge ad una ricostruzione ancor più rigorosa dei limiti entro i quali, in caso di affidamento del bene in appalto a terzi, il proprietario dello stesso, che ne resta custode, può andare esente da responsabilità ex art. 2051 c.c., in ciò maggiormente armonizzandosi con la interpretazione in via generale invalsa nella giurisprudenza di legittimità in ordine al concetto di “caso fortuito” quale fattore causale, estraneo alla sfera soggettiva e in ipotesi comprensivo anche del fatto del terzo o dello stesso danneggiato, che, presentando i caratteri dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità, risulti idoneo a recidere il nesso causale tra la cosa e il danno (v., per tutte, Cass. 01/02/2018, n. 2480, in motivazione).
Tale pronuncia ha infatti affermato il principio, che va qui ribadito, secondo cui “nei confronti dei terzi danneggiati dall’esecuzione di opere, effettuate in forza di contratto di appalto, il committente è sempre gravato della… responsabilità oggettiva di cui all’art. 2051 c.c., la quale non può venir meno per la consegna dell’immobile all’appaltatore ai fini dell’esecuzione delle opere stesse, bensì trova limite esclusivamente nel caso fortuito; il che naturalmente non esclude ulteriori responsabilità ex art. 2043 c.c., del committente e/o dell’appaltatore”.
Ha quindi ulteriormente precisato in motivazione che “il caso fortuito… non può essere applicato con una modalità peculiare e riduttiva, così da reintrodurre, per altra via, un’abusiva “contrattualizzazione” della fattispecie: esso non può automaticamente coincidere con l’inadempimento dell’appaltatore degli obblighi contrattualmente assunti nei confronti del committente, non potendosi sminuire il concetto di imprevedibilità/inevitabilità che costituisce la sostanza del caso fortuito previsto dall’art. 2051 c.c., come limite della responsabilità oggettiva ivi configurata.
“L’imprevedibilità/inevitabilità, pertanto, non deve essere degradata a una vuota fictio, bensì afferire ad una condotta dell’appaltatore non percepibile in toto dal committente che – adempiendo così rettamente il suo obbligo custodiale – abbia seguito l’esecuzione del contratto con un continuo e adeguato controllo, eventualmente tramite un esperto direttore dei lavori”.
4. La fattispecie in esame risulta, evidentemente, analizzata e decisa alla stregua, come detto, di una regola esattamente opposta, avendo la Corte territoriale ritenuto che il proprietario dell’appartamento da cui sono provenute le infiltrazioni andasse esente da responsabilità per il solo fatto dell’affidamento dell’appartamento ad impresa appaltatrice per l’esecuzione di lavori di ristrutturazione.
Ciò basta a condurre all’accoglimento del ricorso.
Essendo, infatti, l’unica circostanza fattuale considerata in sentenza quella dell’affidamento dell’immobile ad impresa appaltatrice per l’esecuzione di lavori di ristrutturazione – circostanza, come detto, erroneamente ritenuta assorbente e decisiva dal giudice a quo – esula dal tema devoluto a questa Corte la valutazione della possibilità di ricondurre, alla detta nozione di caso fortuito, altre circostanze del caso concreto, non essendosi a queste spinto l’esame della corte d’appello.
Sarà dunque compito del giudice di rinvio valutare se, nelle altre circostanze ritualmente allegate ed acquisite al giudizio, possa ritenersi integrata l’esimente del caso fortuito, nei rigorosi termini di cui al principio di diritto qui ribadito, per i quali, giova rimarcare, la condotta dell’appaltatore potrebbe rilevare solo se “non percepibile in toto dal committente”, con l’avvertenza che tale percepibilità andrà valutata tenendo conto del dovere, insito nel concetto stesso di custodia, di seguire l’esecuzione del contratto con un “continuo e adeguato controllo, eventualmente tramite un esperto direttore dei lavori”.
5. La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio al giudice a quo, cui va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza; rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità
Così deciso in Roma, il 26 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021
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