LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17404-2018 proposto da:
Q.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GUGLIELMO PEPE 37, presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO AMORELLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DORODEA CIANO;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE SPA, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE EUROPA 190, presso lo studio dell’avvocato ROBERTA AIAZZI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NIVES MURA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 24147/2017 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 28/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 18/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURO DI MARZIO.
RILEVATO
che:
1. – Il Giudice di pace di Roma ha respinto la domanda proposta da Q.L. nei confronti di Poste Italiane S.p.a. al fine di ottenere la restituzione delle somme depositate sul proprio conto ***** illecitamente sottratte mediante operazioni non autorizzate con trasferimenti ripetuti a brevi intervalli in favore di carte ***** appartenenti a soggetti sconosciuti, fino alla concorrenza di 2.596,00.
2. – La Q. ha proposto appello dinanzi al Tribunale di Roma, cui la società convenuta ha resistito, contestando la sentenza di primo grado nella sua interezza e deducendo la violazione delle norme in materia di riparto dell’onere probatorio nonché l’omessa valutazione del negligente comportamento della banca.
3. – Con sentenza del 28 dicembre 2017 il Tribunale di Roma ha respinto l’appello osservando: “La pronuncia appellata non viola i principi di riparto dell’onere probatorio incombente fra le parti come contestato dall’appellante per le seguenti ragioni. Invero, il punto decisivo della presente controversia è costituito dalla illecita sottrazione di denaro dal conto ***** della signora Q. che, a dire dell’odierna appellante, sarebbe stato determinato da un sistema di sicure.ua inefficiente che avrebbe consentito la frode informatica perpetrata ai danni della correntista, mentre, ad avviso della società convenuta sarebbe stato causato da una negligente conservazione delle credenziali da parte della cliente. Orbene, rileva il giudicante come le risultanze probatorie acquisite nel giudizio di primo grado non consentano di ritenere sussistente una responsabilità della società convenuta, atteso che parte appellante non ha fornito alcun elemento di prova in ordine alla dedotta violazione da parte di terzi dei sistemi di sicurezza predisposti da Poste Italiane a tutela dei conti dei propri clienti. In altri termini, il giudizio espletato non ha fornito alcun dato concreto di natura tecnica comprovante la violazione del sistema informatico comportante la abusiva ed illecita sottrazione di cui è causa…. Conseguentemente, ritiene il giudicante che il giudice di prime cure abbia correttamente valutato il materiale probatorio a sua disposizione incentrando la sua decisione sulla sottrazione delle credenziali della carta di ***** ad opera di terzi per negligenza della cliente, atteso che costei risulta essere l’unico soggetto in possesso dei codici pin che consentono di operare transazioni a valere sulla carta di cui è causa; pertanto, in assenza di altri elementi, le operazioni di transizione asseritamente effettuate da terzi non autorizzati sono state rese possibili da una condotta negligente della signora Q., unico soggetto in possesso delle credenziali”.
4. – Per la cassazione della sentenza Q.L. propone ricorso per quattro mezzi illustrati da memoria.
5. – Poste Italiane S.p.a. resiste con controricorso.
CONSIDERATO
che:
6. – La ricorrente denuncia:
1) violazione dell’art. 2697 c.c., comma 1, anche nel combinato disposto con i precedenti artt. 1856, 1710, art. 1176, comma 2, nonché con del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 31, del D.M. n. 112 del 2007, art. 8, lett. b), nn. 2) e 3), attuativo della L. 17 agosto 2005, n. 166, e art. 2050 c.c., (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Si sostiene che il giudice di appello, ha errato nel ritenere che la ricorrente dovesse provare che l’effrazione del suo conto on line dovesse ricondursi alla defaillance del sistema informatico della convenuta e non al contrario che quest’ultima dovesse fornire la prova dell’addebitabilità dell’operazione alla cliente;
2) in subordine, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, e/o obliterazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e conseguente violazione dell’art. 2697 c.c., (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5). Il Tribunale avrebbe comunque omesso di esaminare documentazione che dimostrava che terzi backers avevano violato il sistema informatico della banca;
3) ancor più in subordine, violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 2, e art. 346 c.p.c.; violazione dell’art. 1856 c.c., in combinazione con i precedenti art. 1710 e art. 1176, comma 2, nonché del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 31, e del. D.M. n. 112 del 2007, art. 8, lett. b), nn. 2) e 3), attuativo della L. n. 166 del 2005, sotto diverso profilo; violazione e falsa applicazione dell’art. 232 c.p.c., comma 1, sotto vari profili; violazione dell’art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Il Tribunale avrebbe errato nel non considerare che l’accorto banchiere on line deve, in ogni caso, dimostrare l’idoneità del suo sistema informatico ad arginare, con i dispositivi approntati dalla tecnologia, le tipologie di atti intrusivi cui esso stesso ha ricondotto l’evento dannoso;
4) omessa pronuncia; violazione dell’art. 112 c.p.c. e/o art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e conseguente violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Il Tribunale avrebbe omesso di pronunciare sulla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale proposta ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003.
Ritenuto che:
7. – Il ricorso è manifestamente fondato.
7.1. – E’ manifestamente fondato il primo motivo.
Questa Corte ha già più volte ripetuto che, in tema di responsabilità della banca in caso di operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, anche al fine di garantire la fiducia degli utenti nella sicurezza del sistema (il che rappresenta interesse degli stessi operatori), è del tutto ragionevole ricondurre nell’area del rischio professionale del prestatore dei servizi di pagamento, prevedibile ed evitabile con appropriate misure destinate a verificare la riconducibilità delle operazioni alla volontà del cliente, la possibilità di una utilizzazione dei codici di accesso al sistema da parte dei terzi, non attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo. Ne consegue che, anche prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 11 del 2010, attuativo della Dir. n. 2007/64/CE (normativa inapplicabile ratione temporis al caso di specie) relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, la banca, cui è richiesta una diligenza di natura tecnica, da valutarsi con il parametro dell’accorto banchiere, è tenuta a fornire la prova della riconducibilità dell’operazione al cliente (Cass. 3 febbraio 2017, n. 2950, tra le molte).
Palese è dunque l’errore commesso dal Tribunale nel governare l’applicazione dell’art. 2697 c.c..
7.2. – Gli altri motivi sono assorbiti.
8. – La sentenza è cassata e la causa rinviata al Tribunale di Roma, che si atterrà a quanto indicato e provvederà anche sulle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese al Tribunale di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 18 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021