LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22351-2019 proposto da:
T.M., T.C., anche quali eredi legittimi della madre M.L., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA PAGANICA 13, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO BIASI, rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONIO DE GIORGI;
– ricorrenti –
contro
MO.GI., m.m.p.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 59/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 22/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 17/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.
FATTI DI CAUSA
1. T.N. e M.L. convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Taranto, Sezione distaccata di Manduria, i coniugi Mo.Gi. e m.m.p., chiedendo che fossero condannati al rilascio di un immobile di proprietà degli attori ed al risarcimento del relativo danno.
A sostegno della domanda esposero che un precedente giudizio, da loro promosso nei confronti dei medesimi convenuti, si era concluso con una sentenza definitiva che aveva dichiarato la risoluzione del contratto di vendita tra loro stipulato nel ***** avente ad oggetto un suolo edificatorio sito in agro di *****, senza però che venisse ordinato ai convenuti il rilascio del bene medesimo. Chiesero gli attori, pertanto, che venisse ordinato il rilascio del bene ed il risarcimento del danno derivante dall’illegittima occupazione protrattasi nel tempo per molti anni.
Si costituirono in convenuti, chiedendo il rigetto della domanda riconvenzionale per il riconoscimento della spettanza di una somma pari al valore dell’edificio da loro costruito sul terreno in questione, a titolo di miglioramenti.
Venuto a mancare il T. nel corso del giudizio, si costituirono in sua vece gli eredi T.M. e T.C. e M.L..
Espletata prova per testi ed una c.t.u., il Tribunale accolse la domanda principale di rilascio, rigettò quella di risarcimento dei danni da occupazione illegittima e accolse la domanda riconvenzionale dei convenuti, condannando gli attori al pagamento, in loro favore, della somma di Euro 69.850, quale aumento di valore conseguito ai sensi dell’art. 1150 c.c..
2. La sentenza è stata impugnata da T.M. e T.C., in proprio e anche in qualità di eredi della defunta M.L., e la Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, con sentenza del 22 gennaio 2019 ha rigettato il gravame ed ha condannato gli appellanti al pagamento delle spese del giudizio di secondo grado.
Ha osservato la Corte territoriale che era da ritenere erronea la tesi degli appellanti secondo cui il danno derivante dall’abusiva occupazione di un immobile sarebbe in re ipsa. Tale danno, invece, è risarcibile solo in presenza di un effettivo pregiudizio che il danneggiato è tenuto a dimostrare.
Nella specie, al contrario, gli appellanti non avevano tempestivamente indicato nell’atto di citazione quali fossero i danni da loro subiti e quale ne fosse la prova, provvedendo a simile indicazione solo nella comparsa di riassunzione di cui all’art. 302 c.p.c., peraltro in modo del tutto generico, indicando l’indisponibilità del bene per molti anni; per cui corretta era da ritenere la decisione di rigetto emessa dal Tribunale, trattandosi di un danno solo genericamente invocato.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Lecce propongono ricorso T.M. e T.C. con unico atto affidato ad un solo motivo.
Mo.Gi. e m.m.p. non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., e i ricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1223,1226,1453,1458,2697,2727 e 2729 c.c., nonché degli artt. 112,115,116,166 e 167 c.p.c., contestando il rigetto della domanda risarcitoria.
Osservano i ricorrenti che la giurisprudenza di legittimità sarebbe divisa al proprio interno, nel senso che una parte riconosce in simili casi la sussistenza del danno in re ipsa, mentre un’altra richiede che il danneggiato provi la sussistenza del danno da occupazione illegittima. Ciò premesso, la censura sostiene che la sentenza sarebbe viziata sotto due profili: per non aver aderito all’orientamento maggioritario, riconoscendo quindi l’esistenza del danno sulla base di una “ineluttabile automaticità”, e per non aver considerato che la prova del danno può essere fornita anche tramite presunzioni. Nel caso in esame, trattandosi dell’occupazione di un terreno edificabile protrattasi per più di trent’anni, la Corte di merito aveva a disposizione tutti gli elementi per dedurre il danno in via presuntiva, mentre la sentenza si è limitata ad osservare che le allegazioni dei ricorrenti erano state tardive.
1.1. Il motivo non è fondato, pur dovendosi provvedere ad una parziale integrazione della motivazione della sentenza impugnata.
La giurisprudenza relativa al danno da illegittima occupazione di un immobile non contiene, in realtà, un vero e proprio contrasto. Non si tratta, infatti, di stabilire se tale danno sia in re ipsa o se debba essere oggetto di prova; trattandosi, infatti, di un danno-conseguenza, esso necessita comunque di una prova, non potendosi ritenere in re ipsa; tale prova, però, può essere data anche tramite presunzioni, dovendosi presumere la naturale fruttuosità di un bene immobile ed essendo la presunzione una prova prevista e regolata dalla legge (v., da ultimo, la sentenza 24 aprile 2019, n. 11203, in linea con la sentenza 25 maggio 2018, n. 13071; v. pure la sentenza 9 agosto 2016, n. 16670).
Nel caso di specie, la sentenza impugnata, dichiarando di condividere l’orientamento secondo cui il danno richiede comunque una prova, anche per presunzioni, ha accertato in punto di fatto che gli odierni ricorrenti, pur avendone avuta ogni possibilità, avevano solo tardivamente e del tutto genericamente dedotto l’esistenza del danno, senza fornirne alcuna indicazione o specificazione concreta. Si tratta di un accertamento in fatto sul quale questa Corte non ha modo di intervenire e che perviene ad una conclusione in armonia con la giurisprudenza suindicata.
La lamentata violazione di legge, quindi, non sussiste.
2. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.
Sussistono, tuttavia, le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 17 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021
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