LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29327-2019 proposto da:
POMEZIA IMMOBILIARE REAL ESTATE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO MESSICO 7, presso lo studio dell’avvocato PIERO LORUSSO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
INTRUM ITALY SPA, in persona del procuratore pro tempore, quale mandataria di MEDIOCREDITO ITALIANO SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, V. CRIVELLUCCI 21, presso lo studio dell’avvocato ANDREA LAMPIASI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FERNANDO M. GABETTA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3166/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 16/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 17/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LOREDANA NAZZICONE.
RILEVATO
– che viene proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano del 16 luglio 2019, n. 3166, la quale ha respinto l’impugnazione avverso la decisione emessa dal Tribunale della stessa città il 5 ottobre 2017, a sua volta di rigetto delle domande proposte dalla Pomezia Immobiliare Real Estate s.r.l. contro il Mediocredito Italiano s.p.a., volte all’accertamento della nullità di alcune clausole del contratto di leasing immobiliare concluso tra le parti, con riguardo agli interessi moratori, ed alla condanna della banca a restituire l’indebito; la corte territoriale ha, altresì, condannato l’appellante per lite temeraria, ai sensi dell’art. 96 c.p.c.;
– che si difende l’intimata con controricorso, depositando anche la memoria;
– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis c.p.c..
CONSIDERATO
– che i motivi deducono:
1) violazione dell’art. 1815 c.c., del D.L. n. 394 del 2000, art. 1, conv. in L. n. 24 del 2001, per non avere la corte territoriale sommato gli interessi corrispettivi e gli interessi moratori, al fine della valutazione di superamento della soglia usuraria, mentre dai documenti prodotti risultava certamente tale carattere delle relative clausole, con il conseguente obbligo della locataria di restituire unicamente la sorte capitale e diritto alla restituzione in suo favore di ogni altro importo versato; ne deriva che la controparte deve restituire la somma di Euro 104.369,29 “ai sensi dell’art. 1815 c.c.”, e la somma di Euro 58.534,34 “ai sensi dell’art. 1346 c.c.”, per un totale di 162.903,63;
2) violazione dell’art. 1815 c.c., perché ha errato la corte del merito nel ritenere che l’interesse moratorio non entri nella valutazione del tasso soglia;
3) violazione della Dir. n. 2008/48/CE, artt. 8 e 23, avendo erroneamente la corte territoriale escluso la natura di micro-impresa della ricorrente;
4) omesso esame di fatto decisivo, per la mancanza di una reale motivazione, avendo la sentenza impugnata richiamato una propria precedente decisione circa il merito della causa;
5) omessa istruttoria ed omesso esame di fatto decisivo, per non avere essa disposto la c.t.u. contabile;
6) violazione degli artt. 2 e 42 Cost., artt. 1175 e 1375 c.c., in quanto la corte del merito non ha riscontrato un abuso del diritto, con conseguente obbligo della controparte al risarcimento del danno;
7) violazione dell’art. 2043 c.c., e art. 640 c.p., per non aver la corte del merito riscontrato nella specie gli estremi della truffa contrattuale;
– che la sentenza impugnata ha ritenuto come: a) l’atto di appello è aspecifico, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., in quanto i motivi sono generici, contraddittori e addirittura riferiti a tipi contrattuali estranei alla controversia, quale conto corrente e mutuo, menzionando l’atto stesso delle voci – c.m.s., commissione per la messa a disposizione di fondi, liquidazione trimestrale di interessi passivi – neppure ricomprese nel contratto concluso tra le parti, che è un contratto di leasing, b) nel merito l’appello “e’ anche infondato”, perché l’appellante si limita a prospettare una diversa lettura degli elementi acquisiti, mentre è provato sia il contratto, sia l’avvenuto mancato pagamento delle rate e la risoluzione per colpa della conduttrice; quanto ai contenuti negoziali, gli interessi corrispettivi sono intra soglia, come pure quelli moratori, espressamente pattuiti fra le parti sempre nei limiti della L. n. 108 del 1996; dai documenti in atti non risulta l’applicazione dell’anatocismo, né di interessi più elevati di quelli convenuti, pienamente determinati sotto ogni aspetto; nessuna c.t.u. e’, quindi, opportuno disporre;
– che, ciò posto, il ricorso, in tutti i suoi motivi, è manifestamente inammissibile;
– che, invero, esso non attacca la prima ratio decidendi esposta nella sentenza impugnata, dal momento che la corte territoriale ha ritenuto i motivi di appello radicalmente aspecifici, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., pur avendo, in aggiunta, anche provveduto ad esaminare il merito;
– che emerge come il ricorso non si confronti affatto con detta ratio decidendi della decisione impugnata, la quale ha ravvisato la genericità dei motivi di appello: rispetto a tale statuizione, che ha consumato di per sé il potere decisorio del giudice di appello, la ricorrente non svolge nessuna censura, in tal modo restando tale motivazione perfettamente idonea a sorreggere la decisione;
– che, in sostanza, tutti i motivi sono inammissibili, in quanto non si confrontano con la ratio decidendi, e, dunque, non soddisfano il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4;
– che a ciò si aggiunga come il ricorso miri, in ogni suo motivo, a ripetere un inammissibile accertamento in fatto;
– che le spese seguono la soccombenza, sulla base del valore della causa risultante dagli atti;
– che le gravi carenze del ricorso e la mancanza di riferibilità alla sentenza impugnata integrano un’azione giudiziale di colpa grave, palesando che la pretesa è azionata con la coscienza dell’infondatezza della domanda ovvero senza aver adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell’infondatezza della propria posizione; ciò è evidenziato dalla incongruenza dei motivi, dalla contrarietà ai numerosissimi precedenti in cui questa Corte ha ritenuto che il fatto non può essere riproposto in sede di legittimità, in giudizi del tutto identici al presente, e che non sussiste omesso esame, quando il fatto è stato compiutamente invece esaminato e deciso dal giudice del merito; pertanto, una condotta così distante da principi giuridici pacifici e risalenti, e ripetutamente affermati da questa corte; pertanto, la parte ricorrente va condannato d’ufficio, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, al pagamento in favore di controparte, di una somma equitativamente determinata a titolo di risarcimento del danno, ponendo a parametro il valore della controversia e l’entità della pretesa;
– che, infatti, la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., commi 1 e 2, e con queste cumulabile, volta alla repressione dell’abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro non dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’avere agito o resistito pretestuosamente (cfr. Cass. n. 29812/2019; Cass. n. 20018/2020; Cass. n. 3830/2021; nonché Cass. n. 24649/2019, non massimata).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 7.300,00, oltre ad Euro 100,00 per esborsi, alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori di legge.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, di una somma a titolo di risarcimento da lite temeraria, liquidata in Euro 7.300,00.
Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021
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