Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.33458 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29667/2016 proposto da:

M.R., domiciliato in Lecce via dei Salesiani n. 45, da sé

stesso rappresentato;

– ricorrente –

P.F., elettivamente domiciliato in Roma, via Laura Mantegazza, n. 24, rappresentato e difeso dall’avv.to Raffaele Fatano;

– controricorrente –

e contro

CONDOMINIO *****;

– intimato –

avverso la sentenza n. 536/2016 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 25/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/06/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

FATTI DI CAUSA

1. In una controversia concernente le infiltrazioni d’acqua verificatesi in un deposito di proprietà di P.F., sito nel condominio *****, il locale Tribunale, in accoglimento della domanda proposta dal medesimo P., condannava il Condominio a rimuovere l’intercapedine dalla quale provenivano le infiltrazioni e a ricostruirla convenientemente. Inoltre, condannava il Condominio al risarcimento dei danni, quantificati in Lire 2.100.000 per costo delle opere, Lire 600.000 per deterioramento dei materiali ivi depositati e Lire 10.080.000 per mancata locazione del bene dal 1978 al 2000.

2. Il Condominio ***** proponeva appello avverso la suddetta sentenza.

3. La Corte d’Appello di Lecce accoglieva parzialmente l’appello quanto al risarcimento del danno, con conferma della sola prima voce di danni relativi al costo delle opere. La Corte rigettava anche l’appello incidentale del P.. Inoltre, il giudice del gravame dichiarava il Condominio carente di legittimazione in ordine alla riconvenzionale volta a far dichiarare la nullità del contratto di vendita del locale interrato dall’impresa ***** al P..

4. Il Condominio ***** proponeva ricorso per cassazione articolato su dieci motivi.

5. P.F. proponeva ricorso incidentale.

6. Questa Corte con sentenza n. 5144 del 2012 rigettava il ricorso principale del Condominio e il primo e il secondo motivo del ricorso incidentale del P., accoglieva, invece, il terzo motivo del ricorso incidentale che denunciava violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1224 c.c. e art. 112 c.p.c., per mancata pronuncia o comunque omessa motivazione circa la rivalutazione del danno all’immobile. La sentenza, infatti, aveva escluso gli accessori quanto alla voce di danno negata (fitto immobile), ma non aveva provveduto con riferimento ad analoga richiesta di interessi e rivalutazione che risultava formulata in sede di conclusioni di appello, quanto ai danni subiti dall’appellato.

Infatti, la rivalutazione monetaria e gli interessi costituiscono una componente dell’obbligazione di risarcimento del danno e possono essere riconosciuti dal giudice anche d’ufficio ed in grado di appello, pur se non specificamente richiesti, atteso che essi devono ritenersi compresi nell’originario petitum della domanda risarcitoria, ove non ne siano stati espressamente esclusi (Cass. 20943/09).

7. P.F. riassumeva il giudizio dinanzi la Corte d’Appello di Lecce chiedendo interessi e rivalutazione dal giorno della maturazione al soddisfo e il rimborso delle somme versate al CTU e al CTP pari complessivamente a Lire 4.064.000 (Euro 2099,09) oltre interessi.

8. Si costituiva nel giudizio di rinvio il condominio che chiedeva darsi atto dell’offerta reale di Euro 2000 e, in ogni caso, di dichiararsi inammissibile o infondata la domanda di risarcimento del danno per importi maggiori rispetto a quelli riconosciuti in appello, nonché il rigetto per l’illiceità del vano oggetto di causa.

7. Con istanza del 24 aprile 2016 l’Avvocato M., difensore del condominio, chiedeva la sostituzione del giudice relatore per incompatibilità ambientale ex art. 18 ordinamento giudiziario in considerazione dell’attività professionale di avvocato svolta dal coniuge. Il Presidente della sezione trasmetteva l’istanza al Presidente della Corte d’Appello che la respingeva, in data 28 aprile 2016, rilevando che la situazione di incompatibilità era stata già esclusa dal Consiglio Superiore della Magistratura con Delib. 2 dicembre 2015, su conforme parere del consiglio giudiziario. Con istanza del 30 aprile 2016 l’Avvocato M. chiedeva l’acquisizione della copia della Delib. 2 dicembre 2015, del CSM e la copia del parere del consiglio giudiziario. All’udienza del 3 maggio 2016 l’Avvocato M. preliminarmente insisteva nella richiesta di acquisizione atti formulata.

7.1 La Corte d’Appello rigettava l’istanza di acquisizione della documentazione, rilevando che l’incompatibilità ambientale non poteva incidere in alcun modo sulla capacità del giudice in quanto, ai sensi dell’art. 158 c.p.c., il vizio di costituzione del giudice ricorre solo quando abbia partecipato alla decisione il giudice autorizzato ad astenersi o la cui ricusazione sia stata accolta, oppure quando il giudizio rescissorio si svolga davanti ad un collegio di cui almeno uno dei componenti abbia partecipato alla pronuncia della sentenza cassata. Nella specie non ricorreva nessuno di questi casi e, dunque, l’istanza doveva essere rigettata.

7.2 La Corte, inoltre, accoglieva la domanda di rivalutazione con decorrenza dal momento del verificarsi del danno fino al deposito della decisione in conseguenza della quale il debito si era convertito da debito di valore a debito di valuta. Gli interessi nella misura legale dovevano riconoscersi dalla pubblicazione della sentenza al soddisfo.

Nella specie il danno si era verificato per le infiltrazioni di acque provenienti dall’intercapedine e l’importo da rivalutare era stato quantificato in Lire 2.100.000 corrispondenti al costo dei lavori necessari per il ripristino del locale deposito. Il momento dal quale calcolare la rivalutazione doveva individuarsi nell’acquisto del locale da parte del P., trattandosi di un vizio costruttivo originario.

La somma di Euro 1084,54 (Lire 2.100.000) era stata valutata dal CTU in data 16 giugno 1993, sicché doveva essere “devalutata” al 16 febbraio 1978 con valore corrispondente ad Euro 252,28 e su tale importo dovevano riconoscersi la rivalutazione sino al passaggio in giudicato della sentenza e gli interessi compensativi. Infine, dovevano riconoscersi gli interessi legali sull’importo così calcolato dal passaggio in giudicato della sentenza sino al soddisfo.

Si doveva, poi, tener conto del pagamento parziale di Euro 2000,00 effettuato dal condominio ***** a favore del P. l’8 luglio 2013. A tale data la somma dovuta per la rivalutazione era di Euro 1495,33 e quella per gli interessi di Euro 1785,33 meno la somma di Euro 2000 già pagata dal condominio.

La Corte d’Appello, rilevato che il giudice del rinvio aveva dichiarato assorbita la questione relativa al quarto motivo del ricorso incidentale che aveva ad oggetto le spese di consulenza, procedeva alla liquidazione delle spese processuali comprese anche quelle di consulenza. Preliminarmente, il giudice del gravame rigettava l’eccezione di novità della domanda del P., evidenziando che con l’appello incidentale questi aveva lamentato che il giudice di primo grado non aveva disposto il rimborso delle somme versate al CTU e al CTP pari a Lire 4.604.000. Nessun rilievo poteva assumere peraltro la presunta abusività dell’immobile del P., trattandosi di questione in relazione alla quale era già stata dichiarata la mancanza di legittimazione del condominio e la decisione sul punto era passata in giudicato atteso che la Corte di Cassazione aveva rigettato tutti i motivi di ricorso del condominio *****.

Il rimborso delle spese di consulenza, pertanto, doveva essere riconosciuto al P. ex art. 91 c.p.c., nella misura di due terzi corrispondente al criterio di liquidazione delle spese di lite adottato dalla prima sentenza di appello e non oggetto di riforma dalla sentenza di rinvio.

8. M.R. nella qualità di condomino del condominio ***** ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi.

9. P.F. ha resistito con controricorso.

10. Il ricorso è stato trattato in Camera di consiglio in base alla disciplina dettata dal D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversione n. 176 del 2020, senza partecipazione delle parti che regolarmente avvisate non hanno fatto richiesta di discussione orale.

9. Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.

10. L’ufficio della Procura Generale ha presentato conclusioni scritte D.L. n. 137 del 2020, ex art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversione n. 176 del 2020, chiedendo il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del R.D. n. 12 del 1941, art. 18, come interpretato dalla circolare del CSM n. 12940 del 25 maggio 2007, modificata dalla circolare n. 8394 del 14 aprile 2009, in relazione all’art. 158 c.p.c.. Nullità della sentenza per irregolare composizione del collegio. Violazione e falsa applicazione dell’art. 210 c.p.c., per mancata acquisizione di documenti esistenti presso il CSM, il competente Consiglio Giudiziario e il Consiglio dell’Ordine Forense di Lecce, attinenti all’eccepita incompatibilità del consigliere relatore Dottor O. con la coniuge avvocato C.. Omessa pronuncia sull’eccezione di irregolare composizione del collegio. Omesso esame circa il fatto decisivo attinente all’accertamento dell’incompatibilità ambientale del Dottor O., connesso alla pronuncia sull’eccezione di irregolare composizione del collegio. Violazione art. 111 Cost. e dell’art. 6 della CEDU.

Il ricorrente ritiene erroneo il rigetto dell’istanza di acquisizione della documentazione inerente la pratica per incompatibilità ambientale di uno dei componenti del collegio, in quanto documenti indispensabili ai fini dell’esame dell’eccezione di incompatibilità sollevata ex art. 158 c.p.c..

A parere del ricorrente, infatti, l’incompatibilità ambientale rientrerebbe nella disciplina di cui all’art. 158 c.p.c., attenendo alla regolare composizione dell’organo giudicante. L’incompatibilità prevista dal R.D. n. 12 del 1941, art. 18, atterrebbe ai presupposti di terzietà ed imparzialità e all’equità della decisione cui ha diritto il cittadino Europeo ai sensi dell’art. 6 CEDU e il cittadino italiano ai sensi dell’art. 111 Cost..

L’istanza ex art. 210 c.p.c., di acquisizione degli atti e dei documenti sarebbe stata emessa dallo stesso magistrato che aveva interesse ad impedire la verifica di legittimità dei provvedimenti amministrativi evidente condizione di incompatibilità ai sensi dell’art. 51 c.p.c., u.c..

1.2 Il primo motivo di ricorso è infondato.

La motivazione della Corte d’Appello di Lecce di rigetto della richiesta di acquisizione degli atti della procedura per la verifica delle situazioni di incompatibilità è conforme ai principi espressi da questa Corte in materia di vizio di costituzione del giudice.

Deve preliminarmente evidenziarsi che il Consiglio Superiore della Magistratura con Delib. 2 dicembre 2015, ha escluso la sussistenza di una causa di incompatibilità “parentale” del Dottor O. per l’attività professionale svolta dal coniuge. Ne consegue l’evidente irrilevanza della documentazione inerente tale pratica, già definita dall’organo competente nel senso sopra indicato.

Inoltre, la dedotta incompatibilità parentale R.D. n. 12 del 1941, ex art. 18, oltre ad essere stata, nel caso di specie, esclusa in fatto, non è comunque motivo di nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice.

In proposito deve richiamarsi l’orientamento di questa Corte secondo il quale: “L’inosservanza, da parte di uno dei componenti del collegio giudicante dell’obbligo di astensione determina la nullità del provvedimento adottato solo nell’ipotesi in cui il componente dell’organo decidente abbia un interesse proprio e diretto nella causa, tale da porlo nella veste di parte del procedimento, mentre in ogni altra ipotesi di violazione dell’art. 51 c.p.c., assume rilievo solo quale motivo di ricusazione, rimanendo esclusa, in difetto della relativa istanza, qualsiasi incidenza sulla regolare costituzione dell’organo decidente e sulla validità della decisione, con la conseguenza che la mancata proposizione di detta istanza nei termini e con le modalità di legge preclude la possibilità di far valere tale vizio in sede di impugnazione quale motivo di nullità del provvedimento” (Sez. 2, Ord. n. 2270 del 2019; Sez. U., Sent. n. 10071 del 2011; Sez. 3, Sent. n. 12263 del 2009; Sez. 1, Sent. n. 26110 del 2008; Sez. U., Sent. n. 16615 del 2005). Nella specie non è dedotto alcun interesse proprio e diretto del membro del collegio e nel giudizio di rinvio la difesa del condominio ***** non ha avanzato alcuna richiesta di ricusazione nei suoi confronti.

In conclusione, ribadita l’insussistenza in fatto della dedotta situazione di incompatibilità parentale, le deduzioni articolate dall’odierno ricorrente non inficiano le ragioni indicate dal giudice d’appello alla base del rigetto della richiesta di acquisizione della documentazione alla luce della giurisprudenza di questa Corte la quale ha chiarito anche che il difetto di costituzione del giudice, ai sensi dell’art. 158 c.p.c., è ravvisabile unicamente quando gli atti giudiziari siano posti in essere da persone estranee all’ufficio (Sez. L, Sent. n. 8174 del 2006; Sez. 2, Sent. n. 12012 del 2004; Sez. L, Sent. n. 14006 del 2001) ipotesi questa estranea alla fattispecie in esame.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione della L. n. 10 del 1977, art. 15,L. n. 765 del 1967, art. 18,L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies. Nullità del contratto di compravendita del 16 febbraio 1978 avente ad oggetto l’immobile abusivo oggetto di causa. Realizzato senza concessione edilizia con sottrazione di spazio vincolato a posti auto. Violazione dell’art. 1418,1346 e 1421 c.c.. Violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla domanda di inammissibilità di risarcimento del danno del P. per l’illiceità dell’oggetto del contratto e del contratto stesso riguardo all’immobile al quale sarebbe derivato danno dalle infiltrazioni provenienti dall’intercapedine condominiale. Nullità della sentenza per omessa pronuncia. Omesso esame circa il fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione attinente all’eccezione di inammissibilità della domanda di risarcimento del danno inerente ad un immobile illecitamente realizzato e acquistato.

La censura attiene alla presunta nullità del contratto di acquisto dell’immobile soggetto alle infiltrazioni per violazione del vincolo di necessaria destinazione della superficie a garage in vigore al momento della costruzione dell’edificio. In primo grado, con la consulenza, sarebbe risultato accertato che il locale interrato adibito a deposito di mattonelle non era previsto nel progetto ed era stato realizzato in assenza di concessione con sottrazione della superficie minima da destinare a posti auto. La pronuncia di nullità avrebbe dovuto essere effettuata d’ufficio al fine di negare la legittimazione alla domanda di risarcimento del danno.

Secondo il giudice del rinvio la questione sull’abusività degli immobili acquistati dal P. non aveva avuto riscontro nel processo. A parere del ricorrente, invece, il condominio ***** aveva proposto l’eccezione di carenza di titolarità legittimazione dell’attore per nullità del contratto.

2.1 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

Il ricorrente propone questioni estranee al giudizio di rinvio che era vincolato esclusivamente all’esame della domanda di rivalutazione ed interessi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno.

I poteri propri del giudice del rinvio, infatti, variano a seconda che l’annullamento della sentenza sia avvenuto per violazione di norme di diritto ovvero per vizi della motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, in quanto, nella prima ipotesi, egli è tenuto soltanto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti, già acquisiti al processo, mentre, nel secondo caso, la sentenza rescindente – indicando i punti specifici di carenza o di contraddittorietà della motivazione – non limita il potere del giudice di rinvio all’esame dei soli punti indicati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito.

Nella specie la sentenza di questa Corte aveva già esaminato tutte le questioni riproposte dalla difesa del condominio ***** nel giudizio di rinvio, sicché il loro esame era precluso alla Corte d’Appello che doveva limitarsi a pronunciarsi sulla domanda di rivalutazione ed interessi e sulle spese della consulenza tecnica.

Il collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: “Nel giudizio di rinvio è precluso alle parti di ampliare il thema decidendum e di formulare nuove domande ed eccezioni ed al giudice – il quale è investito della controversia esclusivamente entro i limiti segnati dalla sentenza di cassazione ed è vincolato da quest’ultima relativamente alle questioni da essa decisa – non e’, pertanto, consentito qualsiasi riesame dei presupposti di applicabilità del principio di diritto enunciato, sulla scorta di fatti o profili non dedotti, né egli può procedere ad una diversa qualificazione giuridica del rapporto controverso ovvero all’esame di ogni altra questione, anche rilevabile d’ufficio, che tenda a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione in contrasto con il principio della sua intangibilità – Nella fattispecie, la S.C. ha cassato la sentenza di rinvio che aveva rilevato la nullità del decreto di esproprio per carenza di potere, in contrasto con la sentenza di cassazione che aveva imposto di determinare l’indennità di esproprio. (Sez. 1, Sent. n. 5381 del 2011).

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 92 c.p.c., riguardo alle spese, alla loro entità e al contenuto della relazione del CTU, nonché alle spese del CTP. Omesso esame circa il fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione, attinente al contenuto della relazione di CTU sull’illiceità del locale oggetto di controversia, decisamente sfavorevole al P. ed all’importo anticipato dal P. rispetto all’intero liquidato dal giudice (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) Violazione del principio del giusto processo, in cui rientra quello della condanna alle spese per singoli atti della compensazione delle spese processuali.

La censura ha ad oggetto il fatto che il consulente tecnico di parte non aveva specificato e documentato l’attività svolta, mentre quello d’ufficio era già stato pagato dal condominio per ben due terzi, dunque, il giudice avrebbe dovuto compensare integralmente le spese delle consulenze o addebitarle a carico del P. tenuto conto del contenuto delle relazioni che erano complessivamente a lui sfavorevoli. In ogni caso non avrebbe certamente dovuto riconoscere il diritto al rimborso per attività non svolta e in mancanza di idonea documentazione.

3.1 Il terzo motivo di ricorso è in parte inammissibile in parte infondato.

La Corte d’Appello ha correttamente evidenziato che le spese della consulenza tecnica seguono la soccombenza e non possono essere liquidate in base ad un presunto esito favorevole dell’elaborato peritale rispetto alla parte risultata soccombente all’esito del giudizio. Nessun rilievo, pertanto, assume la pretesa abusività dell’immobile acquistato dal P. e oggetto della domanda di risarcimento del danno per infiltrazioni. Pertanto, con motivazione immune da vizi, la Corte d’Appello ha seguito il medesimo criterio della sentenza d’appello poi cassata, condannando il condominio ***** a rifondere le spese di consulenza per due terzi. Peraltro, già nella sentenza di rinvio a pag. 14 questa Corte aveva rigettato il motivo con il quale il condominio aveva lamentato la mancata compensazione integrale delle spese di lite, rilevando come il collegio di appello avesse applicato la regola della soccombenza conseguente al rigetto della domanda riconvenzionale relativa alla nullità contrattuale con accoglimento parziale, e solo in punto di quantificazione, del motivo relativo al danno arrecato al P..

La censura circa la mancanza di documentazione dell’attività del consulente di parte è inammissibile. Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, infatti, “In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio” (ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 6-1, Ord n. 15430 del 2018).

Nel motivo in esame il ricorrente non afferma di aver sollevato la presente questione nel giudizio di rinvio e non indica alcun atto nel quale sia possibile riscontrare una simile deduzione. Si impone pertanto una statuizione di inammissibilità per novità della censura (Cass. 02/04/2004, n. 6542; Cass. 10/05/2005, n. 9765; Cass. 12/07/2005, n. 14599; Cass. 11/01/2006, n. 230; Cass. 20/10/2006, n. 22540; Cass. 27/05/2010, n. 12992; Cass. 25/05/2011, n. 11471; Cass. 11/05/2012, n. 7295; Cass. 05/06/2012, n. 8992; Cass. 22/01/2013, n. 1435; Cass. Sez. U. 06/05/2016, n. 9138).

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione degli artt. 2043,2051,2056,2697,1223 e 1224 c.c.. Omesso esame circa il fatto decisivo per il giudizio attinente alla prova dell’epoca della liquidazione del danno emergente e della decorrenza della rivalutazione per le spese di ripristino del locale.

La censura attiene al criterio di calcolo della rivalutazione e degli interessi operato dalla Corte d’Appello. Il danno riconosciuto per la spesa di riduzione in pristino del locale non avrebbe alcuna attinenza con la data di acquisto dello stesso avvenuta nel 1978. La liquidazione di detta spesa è avvenuta con la sentenza di primo grado e, dunque, da tale data dovrebbe decorrere la rivalutazione. La data del 1978 di acquisto del locale non può farsi coincidere con quella del danno perché il risarcimento riguarda la spesa di ripristino e non il minor guadagno. Peraltro, il P. non avrebbe provato la data in cui aveva sostenuto le spese di ripristino, non coincidente certamente con quella di acquisto. Il giudice del rinvio avrebbe considerato la spesa per la ristrutturazione come lucro cessante e non come danno emergente, rivalutabile alla data del passaggio in giudicato della sentenza. La liquidazione del danno per spese di riduzione in pristino, avvenuta con la sentenza di primo grado confermata in appello, era già rivalutata a quella data in corrispondenza dei prezzi di mercato e solo da tale momento avrebbero dovuto decorrere gli interessi. Peraltro, nulla giustificava la rivalutazione per il periodo successivo alla sentenza di appello.

4.1 Il quarto motivo di ricorso è infondato.

La condanna del condominio ***** al pagamento di Lire 2100 a titolo di risarcimento del danno si è fondata sull’accertamento di una responsabilità extracontrattuale. Nella specie il danno si è verificato per le infiltrazioni di acque provenienti da un’intercapedine e l’importo da rivalutare è stato quantificato sulla base del costo dei lavori necessari per il ripristino del locale di proprietà del P..

In tal caso è pacifico che la rivalutazione operi dal momento del verificarsi del danno, trattandosi di un’obbligazione di valore, mentre il costo delle opere di ripristino ha costituito esclusivamente un criterio di quantificazione dell’entità del danno cagionato.

Deve ribadirsi in proposito che: “In tema di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, sulla somma riconosciuta al danneggiato a titolo di risarcimento occorre che si consideri, oltre alla svalutazione monetaria (che costituisce un danno emergente), anche il nocumento finanziario subito a causa della mancata tempestiva disponibilità della somma di denaro dovuta a titolo di risarcimento (quale lucro cessante). Qualora tale danno sia liquidato con la tecnica degli interessi, questi non vanno calcolati né sulla somma originaria, né sulla rivalutazione al momento della liquidazione, ma debbono computarsi o sulla somma originaria via via rivalutata anno per anno ovvero sulla somma originaria rivalutata in base ad un indice medio, con decorrenza sempre dal giorno in cui si è verificato l’evento dannoso” (Sez. 1, Ord. n. 8766 del 2018).

La Corte d’Appello di Lecce ha evidenziato che il momento dal quale calcolare la rivalutazione doveva individuarsi nell’acquisto del locale da parte del P., trattandosi di un vizio costruttivo originario. Inoltre, la Corte d’Appello ha ampiamente motivato il criterio di calcolo effettuato per la rivalutazione ed interessi e ha tenuto conto anche del pagamento parziale di Euro 2000,00 sia ai fini della rivalutazione della somma che di imputazione, ex art. 1194 c.c., al pagamento degli interessi compensativi.

In conclusione, la sentenza è immune dai vizi di violazione delle norme indicate dal ricorrente e non vi è stato alcun omesso esame di un fatto decisivo attinente al momento di decorrenza della rivalutazione della somma liquidata al P. a titolo di risarcimento del danno.

5. Il ricorso è rigettato.

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento al controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 700 di cui Euro 200 per esborsi;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 4 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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