Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.34857 del 17/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15066/2016 R.G. proposto da:

DUSTY S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Eugenio della Valle, con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Roma via XX Settembre n. 1;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, costituita al solo fine di ricevere l’avviso di fissazione dell’eventuale udienza di discussione della causa;

– resistente –

nonché

RISCOSSIONE SICILIA S.P.A., AGENTE DELLA RISCOSSIONE PER LA PROVINCIA DI CATANIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Debora Maria Pettinato domiciliata presso la Cancelleria della Corte, costituita al solo fine di ricevere l’avviso di fissazione dell’eventuale udienza di discussione della causa;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sez. staccata di Catania, n. 5093/18/2015 depositata il 10 dicembre 2015, non notificata.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 25 giugno 2021 dal consigliere Pierpaolo Gori.

RILEVATO

che:

1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sez. staccata di Catania, veniva rigettato l’appello proposto dalla società Dusty S.r.l. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e di Riscossione Sicilia S.p.a., agente della riscossione per la Provincia di Catania avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Catania, n. 9212/5/2014 che, a sua volta, aveva rigettato il ricorso avente ad oggetto una cartella D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis emessa per il pagamento IRES, IRAP, IVA per il periodo di imposta 2011.

2. In particolare, la CTR confermava la decisione del giudice di prime cure, ritenendo tardiva la produzione di nuova documentazione da parte della società e legittima la notifica dell’atto impugnato. Il giudice d’appello inoltre non accoglieva l’eccezione preliminare di nullità del ruolo per difetto di sottoscrizione in quanto da un lato la sanzione era non prevista dal sistema e, dall’altro, la cartella impugnata indicava sia il nome del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo (oltre che di quello responsabile del procedimento di emissione e notificazione della cartella) cui far risalire la sottoscrizione, sia la sottoscrizione elettronica del documento D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 12 intervenuta in data 11.6.2013.

Per il resto, il giudice d’appello dichiarava non necessario nella fattispecie l’invio del c.d. avviso bonario, né sussistente un difetto di motivazione della cartella per non essere stato allegato il ruolo, trattandosi di accertamento automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis né in punto di interessi, essendo la loro misura esattamente determinabile secondo legge, né illegittima la misura del compenso di riscossione, determinato dal D.Lgs. n. 112 del 1999, novellato art. 17 e ritenuto costituzionalmente legittimo dalla Consulta con sentenza n. 158 del 2013.

3. Avverso tale decisione propone ricorso per Cassazione la contribuente affidato ad otto motivi, mentre l’agente della riscossione e l’Agenzia hanno depositato mera comparsa ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Il sostituto Procuratore Generale Stanislao De Matteis ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO

che:

4. Con il primo motivo di ricorso – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 -, la società denuncia la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, comma 1, art. 58, comma 2, artt. 61 e 62 per aver il giudice d’appello ritenuto tardiva la produzione documentale della contribuente attestante la sospensione della riscossione, trattandosi di documenti formati dall’Agenzia delle Entrate, parte nella controversia, e indirizzati all’agente della riscossione, a sua volta parte del processo e, conseguentemente, già da loro conosciuti e nella loro disponibilità.

5. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza in quanto indica i documenti che non sarebbero stati esaminati dal giudice d’appello, ma non ne precisa né sintetizza il contenuto (Sez. 5 -, Ordinanza n. 24340 del 04/10/2018, Rv. 651398 – 01) e, così facendo, non fornisce nemmeno elementi alla Corte idonei per ritenere la censura decisiva.

6. Con il secondo motivo – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. -, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e art. 148 c.p.c., oltre che del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 per aver il giudice d’appello ritenuto erroneamente la cartella impugnata ritualmente notificata, esaminando esclusivamente la copia della relata di notifica prodotta in giudizio dall’agente della riscossione ancorché palesemente discordante con quella prodotta in giudizio dal ricorrente.

7. Con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 -, la contribuente lamenta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 (ed inoltre art. 148 c.p.c., comma 1, della L. n. 890 del 1982, art. 3 e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 nel corpo del motivo), nonché l’omessa pronuncia sul motivo di appello circa l’assoluta incertezza sulla sottoscrizione della relata di notifica per aver il giudice d’appello dismesso la doglianza di mancanza e difetto di intelleggibilità della sottoscrizione apposta nella relata di notifica da parte del soggetto notificatore, che dev’essere soggetto a tal fine abilitato.

8. Il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili per più profili, innanzitutto per difetto di autosufficienza in quanto non vengono riprodotte le relate di notifica in contestazione per consentire alla Corte di poter apprezzare il fondamento o meno delle censure e la loro decisività.

Inoltre, la Corte rammenta che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, il che non si verifica quando la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti il rigetto di tale pretesa anche se manchi in proposito una specifica argomentazione (cfr ex multis, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17956 del 11/09/2015, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21612 del 20/09/2013).

9. Tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti, comunque, la reiezione anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20311 del 04/10/2011) e ciò, a maggior ragione, nel caso di sentenza di secondo grado che confermi la pronuncia del giudice di prime cure, come nel caso di specie.

10. Con il quarto motivo di ricorso – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 -, si prospetta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 (ed inoltre art. 137 c.p.c., del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 nel corpo del motivo), nonché l’omessa pronuncia sul motivo di appello circa il mancato coinvolgimento nelle operazioni di notifica di un agente notificatore abilitato, dovendo ritenersi inibito il ricorso da parte dell’agente della riscossione alla notifica postale.

11. Il motivo è infondato perché l’agente della riscossione ben può effettuare la notifica diretta a mezzo dell’agente postale per giurisprudenza della Corte di Cassazione ormai consolidata, secondo cui il concessionario si può avvalere della facoltà, prevista dal D.P.R. 29 settembre 1913, n. 602, art. 26, di provvedere alla notifica della cartella di pagamento mediante raccomandata con avviso di ricevimento (tra le molte, già Cass. n. 5397 del 18/03/2016; conforme, Cass. n. 19270 del 2018).

12. Con il quinto motivo – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. -, la società deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 4, del D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 5 ter, lett. e) per aver il giudice d’appello ritenuto che nel sistema tributario non esistesse una previsione generale comminante la nullità degli atti impositivi sforniti di sottoscrizione, previsione rinvenuta dalla contribuente nelle previsioni di legge summenzionate, dettate specificamente per il ruolo ai fini della riscossione.

13. Il motivo è infondato innanzitutto perché la materia tributaria è governata dal principio di tassatività delle cause di nullità degli atti fiscali che, a differenza di quanto ritiene la contribuente, non è comminata nel caso di specie (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 12243 del 18/05/2018, Rv. 648369 – 01), ma, in ogni caso, il ruolo è assistito da presunzione di legittimità e spetta al contribuente fornire la prova contraria e dunque è lui che, se del caso, è onerato a dare dimostrazione del presunto vizio eventualmente a seguito accesso agli atti (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 26546 del 21/12/2016, Rv. 642363 01).

14. Inoltre, in tema di requisiti formali del ruolo d’imposta, questa Corte ha già specificamente statuito (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 27561 del 30/10/2018, Rv. 651066 – 03), con una motivazione integralmente condivisa dal collegio e da cui non vi sono ragioni per discostarsi nel caso di specie, che il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12 non prevede alcuna sanzione per l’ipotesi della sua omessa sottoscrizione, sicché non può che operare la presunzione generale di riferibilità dell’atto amministrativo all’organo da cui promana, con onere della prova contraria a carico del contribuente, il quale non può limitarsi ad una generica contestazione dell’esistenza del potere o della provenienza dell’atto, ma deve allegare elementi specifici e concreti a sostegno delle sue deduzioni. D’altronde, la natura vincolata del ruolo, che non presenta in fase di formazione e redazione margini di discrezionalità amministrativa, comporta l’applicazione del generale principio di irrilevanza dei vizi di invalidità del provvedimento, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies.

15. Con la sesta censura la ricorrente – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 -, deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5 e art. 10, nonché del D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2 oltre che del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 per aver il giudice d’appello rigettato il motivo d’appello in cui la contribuente lamentava l’omessa notifica della preventiva comunicazione di irregolarità, c.d. “avviso bonario”, di cui alle previsioni di legge citate.

16. Il motivo è infondato perché la notifica della cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato per consolidata giurisprudenza della Corte è legittima, anche se non preceduta dall’invio del cosiddetto avviso bonario, nel caso di imposte dichiate e non versate per consolidata giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 33344 del 17/12/2019, Rv. 656408 – 01; conforme, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3154 del 17/02/2015, Rv. 634631 – 01). (adde, Cass. n. 18405/21).

17. Il settimo motivo di ricorso – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 -, prospetta la violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 e della L. n. 212 del 2000, art. 7 oltre che D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 dal momento che la CTR ha ritenuto inammissibile il motivo relativo al difetto di motivazione dell’atto impugnato in quanto asseritamente nuovo e dedotto in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 in quanto già in primo e secondo grado era stata sollevata la denuncia di mancanza di motivazione circa gli interessi liquidati.

18. Il motivo è inammissibile perché incongruente con la decisione, dal momento che la sentenza impugnata ha ritenuto nuova la censura di difetto di motivazione non con riferimento al calcolo degli interessi bensì quanto all’allegazione del ruolo sotteso alla cartella e, sul punto, in ricorso non si dimostra la tempestiva articolazione della censura in primo grado e la sua riproposizione in appello.

Quanto poi al distinto profilo di motivazione dell’atto impugnato circa gli interessi, è integralmente condivisibile la ratio espressa dal giudice d’appello secondo cui la cartella di pagamento reca i criteri per la determinazione del calcolo degli interessi attraverso parametri predeterminati ex lege, un’operazione matematica conseguente alla dichiarazione da cui deriva il debito di imposte (Cass. n 8508 del 2019).

19. Con l’ottavo motivo – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. -, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17 e art. 107 del TFUE, oltre che del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62 con riferimento alla parte della decisione del giudice d’appello in cui ha ritenuto che il compenso di riscossione fosse non solo correttamente determinato sulla base della prima delle summenzionate previsioni di legge, ma anche costituzionalmente legittimo e non meritevole di ricorso pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

20. Anche il motivo in disamina è infondato. In generale, la natura non sanzionatoria dell’aggio e quindi accessoria è stata confermata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione più volte (cfr. anche da Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24020 del 2016). Inoltre, non sussiste la questione di costituzionalità larvatamente prospettata nel corpo del motivo, senza neppure una adeguata articolazione in relazione ai singoli parametri di costituzionalità ritenuti rilevanti, appena menzionati nel richiamo della decisione impugnata la quale ha fatto corretta applicazione della sentenza della Consulta n. 158 del 2013, la quale ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112, art. 17 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla L. 28 settembre 1998, n. 337), nel testo risultante dopo le modifiche apportate dal D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, art. 2, comma 3, lett. a), (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2006, n. 286, sollevata, in riferimento proprio agli artt. 3,53 e 97 Cost..

21. La Cassazione ha già affermato più volte (cfr. Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 1311 del 19/01/2018) la natura retributiva e non tributaria dell’aggio, e ciò esclude la rilevanza del parametro della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. nella fattispecie, oltre che dell’art. 25 Cost. sotto il profilo del divieto di retroattività, come condivisibilmente argomenta il P.G. nelle sue conclusioni. Prima facie non risulta poi fondata la rilevanza della questione sotto il profilo dell’art. 3 Cost. in quanto proprio le differenziazioni della misura dell’aggio, ad es. per provenienza geografica, consentono una valutazione circostanziata e specifica in relazione alle condizioni delle parti, idonea a salvaguardare il principio di uguaglianza secondo cui condizioni uguali vanno trattate in misura uguali e situazioni diverse in misura diversa. Infine, non è neppure allegato in ricorso il perché la previsione dell’aggio nella misura di cui al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17 comporterebbe un contrasto con l’art. 97 Cost. quanto al buon andamento dell’amministrazione.

22. Da ultimo, non sussistono neppure le condizioni per un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia con riferimento all’art. 107 TFUE dal momento che la misura adottata non si qualifica nel senso di aiuto di Stato sulla base dei dettami della giurisprudenza consolidata della Corte del Lussemburgo e della S.C..

Infatti, l’imposizione di un corrispettivo esattoriale è storicamente correlata all’esigenza di compensare la traslazione del rischio connessa all’affidamento del servizio di riscossione a soggetti privati nelle forme della concessione di pubblico servizio. La Corte (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 27650 del 03/12/2020) ha già statuito come l’elemento che vale a connotare tale modulo provvedimentale, differenziandolo dalla contigua figura dell’appalto pubblico di servizi, risiede proprio nell’assunzione, da parte del concessionario, del rischio gestorio (Cons. Stato, Sez. V, 6/6/2011, n. 3377; Cons. Stato, Sez. VI, 15/5/2002, n. 2634; Corte di Giust. Sez. III, 15/10/2009, C-196/2008), il quale è compensato dal diritto del medesimo concessionario di compartecipare ai proventi del servizio, rivalendosi sull’utenza mediante la riscossione di un corrispettivo nelle forme della tariffa, del canone o dell’aggio.

23. Al contrario, secondo consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia, la qualificazione come “aiuto di Stato”, ai sensi dell’art. 107, paragrafo 1, TFUE, esige che siano soddisfatte tutte le condizioni enunciate da tale disposizione. Così, in primo luogo, deve trattarsi di un intervento dello Stato o effettuato mediante risorse statali. In secondo luogo, tale intervento deve essere idoneo ad incidere sugli scambi tra gli Stati membri. In terzo luogo, deve concedere un vantaggio selettivo al suo beneficiario. In quarto luogo, esso deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza (sentenze del 21 dicembre 2016, Commissione/Hansestadt Liibeck, C-524/14 P, EU:C:2016:971, punto 40, nonché del 21 dicembre 2016, Commissione/World Duty Free Group SA e a., C-20/15 P e C-21/15 P, EU:C:2016:981, punto 53). Nessuno di questi requisiti è stato adeguatamente allegato e sostanziato in ricorso, con conseguente inammissibilità della questione prospettata.

24. In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato e nessuna statuizione dev’essere adottata in punto di spese di lite dal momento che sia l’agente della riscossione sia l’Agenzia delle entrate non hanno svolto difese effettive.

P.Q.M.

La Corte: rigetta il ricorso.

Si dà atto del fatto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2021

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