Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.38325 del 03/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2340-2019 proposto da:

SACE BT SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268/A, presso lo studio dell’avvocato MARCO FILESI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

TECHNOIT SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA 4, presso lo studio dell’avvocato MARCO BALIVA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO ROMANO’;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6897/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/06/2021 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

lette le conclusioni scritte rassegnate dal P.M. Dott. FRESA Mario.

FATTI DI CAUSA

La Technoit s.p.a. convenne in giudizio la SACE BT s.p.a. per sentirla condannare al pagamento di indennizzi dovuti in forza di un contratto di assicurazione di crediti commerciali.

La convenuta resistette alla domanda deducendo che l’assicurata era tenuta, oltre al pagamento di un premio minimo fisso, anche al versamento di un conguaglio calcolato in base al fatturato annuo effettivo della medesima assicurata e rilevando che l’attrice aveva versato un conguaglio inferiore a quello dovuto, così violando il “principio di globalità” previsto dalle condizioni generali di polizza, con la conseguenza che si era determinata la risoluzione del contratto e la decadenza dell’assicurata da ogni indennizzo.

Il Tribunale rigettò la domanda rilevando che il pagamento di un premio inferiore al dovuto era stato riconosciuto dalla stessa attrice (che aveva dedotto un errore di funzionamento del proprio sistema gestionale comportante l’indicazione di un fatturato inferiore a quello effettivo) e affermando che la decadenza dall’indennizzo conseguiva dalla clausola di cui all’art. 9.1 delle condizioni generali, “dove la gravità dell’inadempimento è già prevista pattiziamente ed insita nel fatto stesso della violazione del principio di globalità”.

La Corte di Appello di Roma ha riformato la sentenza e ha condannato la SACE al pagamento di 282.697,26 Euro, rilevando che:

“il rifiuto opposto dalla appellata Compagnia alla richiesta di indennizzo della appellante assicurata (era) del tutto illegittimo, non potendo pretendere di avvalersi della clausola di cui all’art. 9 delle c.g.c. della polizza e non sussistendo né l’omissione di comunicazione rilevante né una omissione di pagamento del premio complessivamente inteso”;

“poiché l’assicurato adempie subito il pagamento del prezzo minimo (…), lasciando ad un secondo momento la sua integrazione (ove il fatturato reale sia maggiore del convenzionale), appare evidente che l’omissione relativa ai dati del fatturato reale – imputabile all’assicurato – debba rivestire caratteri di gravità e significatività tali da potersi trasformare in un inadempimento in termini civilistici ex art. 1218 c.c.”;

la Compagnia non aveva “spiegato e motivato come e perché l’asserita “omessa notifica del fatturato” (…) avesse potuto incidere in modo determinante sulla stabilità del rapporto assicurativo e sui successivi comportamenti delle parti”, “tanto più che risultava eseguito un pagamento di premio di Euro 59.062,50 + Euro 28.804,26 (…) a fronte del quale l’ulteriore ed asserito premio “non versato” sarebbe ammontato a circa 6.178,10 Euro”;

da ciò conseguiva che “il rifiuto della SACE BT di adempiere al contratto (doveva) ritenersi contrario a buona fede poiché la non significativa differenza del premio “omesso” (Euro 6.147,10) rispetto a quello determinato come “premio finale” (Euro 94.013,86(..)), non poteva avere inciso sul sinallagma contrattuale al punto da giustificare prima la sospensione e poi la risoluzione del contratto assicurativo”.

Ha proposto ricorso per cassazione la SACE BT s.p.a., affidandosi ad un unico articolato motivo.

La Technoit s.p.a. ha resistito con controricorso.

Il Collegio ha proceduto in camera di consiglio ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 – bis, convertito con L. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta di discussione orale.

Il P.M. ha depositato conclusioni ai sensi del citato art. 23, comma 8-bis, chiedendo il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo, la ricorrente denuncia “violazione di legge ed in particolare violazione degli artt. 1321 – 1322 – 1325 – 13261341 – 1372 – 1453 – 1456 – 1901 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Deduce che la polizza prevedeva l’obbligo dell’assicurata di conteggiare, al fine di determinare il premio da corrispondere alla società assicuratrice, ogni operazione a credito effettuata, “in applicazione del c.d. principio di globalità che è tipico dei rapporti di assicurazione del credito”; che, nel corso di un controllo di carattere amministrativo, la Compagnia aveva “accertato la omessa notifica del fatturato, rilevando irregolarità ed inadempienze contrattuali, tali da determinarne la decadenza dal diritto all’indennizzo assicurativo”; che “la condotta (…) assunta dalla Technoit spa costituiva palese inadempimento, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 7 e 9 delle Condizioni Generali di Polizza (…), configurando l’evasione del principio di Globalità”.

Tanto premesso, assume che vi è stato un “palese sviamento da parte della Corte di Appello di Roma rispetto alle questioni giuridiche effettivamente portate alla trattazione”; contesta la pertinenza dei richiami alla giurisprudenza di legittimità operati dal giudice di appello (segnatamente a Cass., S.U. n. 4631/2007 e a Cass. n. 28472/2013) e rileva che “una cosa infatti è il pagamento in ritardo di una Appendice di Regolazione del Premio, altra cosa è invece la violazione di un principio costitutivo e sacramentale all’interno dei contratti di assicurazione del credito quale è il principio di globalità”; aggiunge che le “clausole di risoluzione espressa dei contratti, ai sensi e nelle forme di cui all’art. 1456 c.c. (…) non consentono alcun sindacato da parte del Giudice di merito, laddove espressamente convenute tra le parti del contratto, in punto di gravità o meno, scarsità o meno dell’inadempimento, di uno dei contraenti”; contesta, altresì, che la SACE fosse onerata della prova dei presupposti per potersi avvalere della risoluzione contrattuale; conclude che “nessun sindacato in merito all’importanza o meno dell’inadempimento è rimesso al Giudice di merito, laddove, come nel caso (…), vi è stata violazione del Principio fondamentale di Globalità, da parte del soggetto assicurato”.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Deve rilevarsi, in primo luogo, che l’illustrazione del motivo non contiene alcuna precisa enunciazione del come e del perché le norme indicate in rubrica sarebbero state violate dalla sentenza impugnata.

Tali norme sono, peraltro, del tutto eterogenee, dato che alcune riguardano criteri di esegesi dei contratti, una (l’art. 1341 c.c.) la previsione concernente le condizioni generali del contatto, altra ancora (l’art. 1372 c.c.) quella sugli effetti del contratto, altre due la risoluzione per inadempimento e la clausola risolutiva, una la norma sul pagamento del premio e l’ultima la norma sull’onere della prova.

L’illustrazione del motivo non contiene neppure specifici riferimenti alle norme richiamate, salvo una citazione dell’art. 1456 c.c. e una dell’art. 1341 c.c. (a pag. 42), una nuova citazione dello stesso art. 1456 cc. (a pag. 45) e una dell’art. 1372 c.c. (alla pagina seguente). Le ultime due citazioni si risolvono -rispettivamente- nella generica postulazione che una clausola di risolutiva espressa non consentirebbe alcun sindacato al Giudice e nella generica rivendicazione della forza vincolante del contratto. Siffatte indicazioni risultano pertanto del tutto generiche e, comunque, inidonee a somministrare un vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Sotto altro profilo, deve considerarsi che la ricorrente si limita a ribadire in ogni modo la rilevanza assorbente del principio di globalità, senza confrontarsi con le specifiche affermazioni della sentenza impugnata che, in conformità alla consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr., non solo Cass., S.U. n. 4631/2007 e Cass. n. 28472/2013, ma anche Cass. n. 26783/2011, secondo cui “nei contratti di assicurazione contro i danni che prevedano la determinazione del premio in base ad elementi variabili (cosiddetta assicurazione con la clausola di regolazione del premio), l’obbligo dell’assicurato di comunicare periodicamente all’assicuratore gli elementi variabili costituisce oggetto di un’obbligazione civile diversa da quelle indicate nell’art. 1901 c.c., il cui inadempimento non comporta l’automatica sospensione della garanzia, ma può giustificare un tale effetto, così come la risoluzione del contratto, solo in base ai principi generali in tema di importanza dell’inadempimento e di buona fede nell’esecuzione del contratto”), ha escluso che l’omissione nell’indicazione del fatturato presentasse, nel caso di specie, caratteri di gravità e significatività tali da potersi trasformare in un inadempimento rilevante ex art. 1218 c.c..

Ne’ la ricorrente prende specifica posizione sui rilievi della Corte relativi alla mancanza di prova circa i presupposti di legge che consentissero alla SACE di avvalersi della risoluzione (a fronte della genericità dell’addebito di inadempimento) e alla mancata spiegazione di come l’erronea notifica del fatturato avesse potuto incidere in modo determinante sull’equilibrio contrattuale; invero la SACE si limita a insistere sulla operatività della clausola risolutiva e sulla insindacabilità dei suoi presupposti senza curarsi di contrastare adeguatamente l’assunto della Corte circa l’inidoneità dell’omissione della Technoit a integrare un inadempimento rilevante.

Neppure viene specificamente censurata la rilevanza della buona fede che la Corte di Appello ha valorizzato, in linea con la giurisprudenza di legittimità, al fine di escludere l’operatività della risoluzione e della decadenza dall’indennizzo.

Per di più, con riferimento alla giurisprudenza evocata dalla sentenza impugnata, il ricorso argomenta (a p. 44) che essa non sarebbe pertinente evocando l’incidenza di un non spiegato principio di globalità, senza tuttavia indicarne – come pure nella prolissa esposizione del fatto – il preciso riferimento normativo.

Il motivo difetta, dunque, del necessario puntuale riferimento ai contenuti della sentenza impugnata e non illustra specificamente in quali termini la Corte sarebbe incorsa nella violazione delle numerose norme indicate nella rubrica, con ciò connotandosi di inammissibilità in relazione alla previsione dell’art. 366 c.p.c., n. 4.

Deve infine rilevarsi che l’esordio dell’illustrazione (pag. 38), come del resto l’esposizione del fatto, evoca circostanze (che definisce “irregolare ed inammissibile detrazione di fatture presso clienti con massimali cancellati” e di “fatture con modalità di pagamento anticipato”) delle quali non si fornisce l’indicazione specifica ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, e ciò al di là dell’oscurità della loro rilevanza e, prima ancora, del loro significato nell’assetto contrattuale.

2. Le spese di lite seguono la soccombenza.

3. Sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2021

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