LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11235/2019 proposto da:
D.L.I., S.V., S.P., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DEI PARIOLI, 76, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO DE MEDIO TERRA, rappresentati e difesi dagli avvocati GIUSEPPE GIALLORETO, VINCENZO SCARANO;
– ricorrenti e controricorrenti al ricorso incidentale –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, PREFETTURA UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO ISERNIA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 170/2018 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO, depositata il 11/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 31/03/2021 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI;
udito il Sostituto Procuratore Generale, Dott. CORRADO MISTRI;
uditi gli avvocati GIUSEPPE GIALLORETO e VINCENZO SCARANO.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza resa in data 11/10/2018, la Corte d’appello di Campobasso, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal Ministero dell’Interno, e in riforma per quanto di ragione della decisione di primo grado, ha rideterminato (in diminuzione) l’importo stabilito nella condanna pronunciata dal primo giudice a carico del Ministero dell’Interno, e in favore di D.L.I., S.P. e S.V. (la prima anche in proprio, e tutti e tre quali eredi di S.A.), al fine di risarcirli dei danni individuati quali conseguenze degli inadempimenti in cui era incorsa l’amministrazione pubblica nel corretto mantenimento e nella tempestiva restituzione, in favore delle controparti (quali locatori), dell’immobile concesso in godimento al Ministero dell’Interno.
2. A fondamento della decisione assunta, la corte territoriale, dopo aver ribadito la legittimità del rifiuto opposto dai locatori alla (pur tardiva) restituzione dell’immobile da parte del Ministero dell’Interno (in ragione dei gravi danneggiamenti arrecati all’immobile locato, tali da imporre l’esecuzione di opere di ripristino di notevole entità economica), ha rilevato l’eccessività degli importi determinati a titolo risarcitorio dal primo giudice, da essi detraendo ogni corrispettivo riferibile al periodo precedente la legittima cessazione del rapporto, nonché altre voci concernenti la perdita di chance connesse al ridotto indice di edificabilità dell’immobile dei locatori (disposto in sede amministrativa nelle more del procedimento di restituzione), oltre alla perduta agibilità di un locale mansardato.
3. Avverso la sentenza d’appello, D.L.I., S.P. e S.V. propongono ricorso per cassazione sulla base di tredici motivi d’impugnazione, illustrati da successiva memoria.
4. Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale sulla base di tre motivi d’impugnazione.
5. D.L.I., S.P. e S.V. resistono con controricorso al ricorso incidentale.
6. Il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha concluso per iscritto, invocando l’accoglimento del ricorso principale per quanto di ragione, con particolare riferimento al primo e all’undicesimo motivo di ricorso; e per la declaratoria di inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso incidentale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con i primi quattro motivi del ricorso principale, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 132,429,115,116 c.p.c.; degli artt. 1591,1218,1220,1223,1226,2043 e 2056 c.c., nonché per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente detratto, dagli importi risarcitori liquidati dal primo giudice, le somme riferite ai periodi precedenti la cessazione del rapporto, nonché riferite alla perdita di chance connesse al ridotto indice di edificabilità dell’immobile dei locatori, oltre alla perduta agibilità di un locale mansardato, e per avere omesso di considerare gli elementi di prova acquisiti al giudizio ai fini della corretta determinazione del danno da protratta occupazione sine titulo, discostandosi dalle indicazioni contenute nella consulenza tecnica d’ufficio (e riportata in modo analitico in ricorso), e senza indicare alcun criterio alternativo, suscettibile di dar conto dei calcoli operati al fine di pervenire alla definitiva determinazione dell’oggetto della condanna.
2. Tutti e quattro i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono fondati.
3. Osserva preliminarmente il Collegio come, pur non avendo i ricorrenti formalmente prospettato le doglianze in esame sotto il profilo della violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, dette doglianza appaiono tuttavia articolate, sul piano sostanziale, in termini tali da costituire un’inequivoca sollecitazione al controllo dell’effettiva congruenza logica della motivazione dettata dalla corte territoriale in relazione al punto concernente il corretto procedimento di calcolo delle decurtazioni operate dal giudice d’appello rispetto alla condanna pronunciata dal giudice di primo grado.
4. Sul punto, è appena il caso di richiamare l’insegnamento della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, ai sensi del quale, l’onere della specificità ex art. 366 c.p.c., n. 4 (secondo cui il ricorso deve indicare “i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano”) non dev’essere inteso quale assoluta necessità di formale ed esatta indicazione dell’ipotesi, tra quelle elencate nell’art. 360 c.p.c., comma 1, cui si ritenga di ascrivere il vizio, né di precisa individuazione degli articoli, codicistici o di alti testi normativi (nei casi di deduzione di violazione o falsa applicazione di norme sostanziali o processuali), comportando invece l’esigenza di una chiara esposizione, nell’ambito del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta, che consentano al giudice di legittimità di individuare la volontà dell’impugnante e stabilire se la stessa, così come esposta nel mezzo d’impugnazione, abbia dedotto un vizio di legittimità sostanzialmente, ma inequivocamente, riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui all’art. 360 cit. (cfr. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013, in motivazione).
5. Ferme tali premesse, varrà osservare come la motivazione dettata dalla Corte d’appello di Campobasso, sul punto concernente la riformulazione delle modalità di calcolo del danno effettivamente subito dai locatori, appare tale da porsi in insanabile e irriducibile contrasto con il principio che impone l’essenziale conformazione della giustificazione argomentativa dettata in sentenza a un elementare standard di congruità logico-giuridica, secondo i termini del c.d. “minimo costituzionale” della motivazione.
6. In thema, la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte ha espressamente evidenziato come la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, dev’essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguente denunciabilità in cassazione dell’anomalia motivazionale che si tramuti in una violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, là dove il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 – 01).
7. Nel caso di specie, la corte d’appello ha rideterminato gli importi posti ad oggetto della condanna pronunciata a carico del Ministero dell’Interno (rispetto a quelli calcolati dal primo giudice) senza riferirsi ad alcun criterio obiettivo suscettibile di rendere conto dei calcoli seguiti, sì da impedire ogni possibile controllo sul procedimento seguito ai fini della relativa individuazione.
8. In particolare, il giudice d’appello è giunto alla rideterminazione dell’entità dei danni dovuti agli originari attori (stabilendone l’importo nella complessiva somma di Euro 460.437,63 in luogo dell’importo di 1.646.184,25 indicato dal primo giudice), senza sviluppare alcun calcolo in relazione ai periodi di occupazione illegittima effettivamente riscontrati, e senza spiegare in alcun modo le ragioni per cui la perdita di chances dovuta alla riduzione dell’indice di edificabilità (nelle more della restituzione dell’immobile locato) non fosse ascrivibile alla colpa dell’amministrazione come, invece, positivamente riconosciuto dal giudice di primo grado.
9. Allo stesso modo, senza alcuna adeguata e congrua giustificazione deve ritenersi dettata l’affermazione, contenuta nel provvedimento impugnato, della riferibilità, agli oneri dei proprietari, delle opere necessarie per rendere nuovamente abitabile il locale mansardato, essendosi il giudice a quo limitato a valorizzare la mera circostanza del carattere straordinario delle opere necessarie al recupero dell’abitabilità del locale, sottraendosi totalmente all’onere di specificare se le ragioni della perdita di abitabilità fossero o meno dovute al fatto (contrattualmente) illecito dell’amministrazione conduttrice, indipendentemente dal relativo carattere ordinario o straordinario.
10. Varrà conseguentemente rimarcare come la sentenza impugnata sia stata ritenersi redatta, con riguardo ai punti qui in contestazione, in assenza di alcuna (adeguata) motivazione logica e, conseguentemente, in violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4.
11. Con il quinto motivo, i ricorrenti principali censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1591,1218,1220,1223,1226,2043 e 2056 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), là dove la decisione dovesse ritenersi interpretabile nel senso che la condanna pronunciata a carico della controparte non debba ritenersi estesa al risarcimento degli ulteriori danni per la protrazione dell’occupazione che dovesse permanere fino alla data effettiva del pagamento delle somme dovute.
12. Il motivo è inammissibile.
13. Osserva il Collegio come la censura in esame risulti logicamente strutturata in termini meramente condizionali e ipotetici, ovvero sul presupposto della condivisione di una determinata interpretazione della sentenza impugnata.
Nel quadro di tale doglianza, conseguentemente, appare determinante, rispetto alla dimensione critica dell’argomentazione, la mera rivendicazione di una sorta di “interpretazione autentica” della decisione impugnata: rivendicazione, come tale, non consentita in questa sede.
14. Con il sesto motivo, i ricorrenti principali censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1591,1218,1220,1223,1226,2043 e 2056 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che tutti i periodi precedenti la cessazione del rapporto di locazione fossero stati formalmente regolati sul piano contrattuale, escludendo la liquidabilità di danni (e non già dei soli canoni di locazione) per il periodo 29/6/1996 al 17/6/1998 in cui l’occupazione dell’immobile doveva ritenersi avvenuta sine titulo.
15. Il motivo è infondato, quando non inammissibile.
16. Osserva il Collegio come, al di là degli aspetti concernenti la pretesa (inammissibile) rivendicazione di una rilettura nel merito degli elementi di valutazione probatoria posti dalla giudice di merito a fondamento della decisione impugnata, varrà considerare come il giudice a quo abbia espressamente indicato, a fondamento della tesi dell’integrale regolazione del rapporto sul piano contrattuale (fino alla data di cessazione del rapporto), una sentenza del Tribunale di Campobasso resa nel 2010 (cfr. pag. 13 della sentenza impugnata): elemento di valutazione evidentemente dirimente sul punto contestato.
Rispetto a tale premessa deve ritenersi conseguente l’incontrovertibilità dell’accertamento ivi contenuto, in assenza di alcuna prova circa l’eventuale riforma di quella pronuncia di merito: si tratta, infatti, o del richiamo all’efficacia di un giudicato formatosi sul punto o, quantomeno, del richiamo a una fonte di prova discrezionalmente valutata dal giudice a quo, come tale non suscettibile di discussione, sul piano della rilettura dei fatti in sede di legittimità.
17. Con il settimo e l’ottavo motivo, i ricorrenti principali censurano la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi, nonché per violazione e falsa applicazione degli artt. 1591,1218,1220,1223,2043 e 2056 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto non ascrivibile, alla responsabilità dell’amministrazione dell’interno, la riduzione dell’indice di edificabilità disposta in sede amministrativa nelle more del procedimento di restituzione dell’immobile locato, senza alcuna considerazione degli elementi di fatto specificamente richiamati in ricorso, in tal modo pervenendo in modo scorretto all’individuazione delle premesse di fatto e di diritto utilizzate ai fini del giudizio espresso in sentenza.
18. Con il nono e il decimo motivo, i ricorrenti principali censurano la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi, nonché per violazione e falsa applicazione dell’art. 1587 c.c., n. 1, art. 1588 c.c., comma 1, art. 1590 c.c., commi 1 e 2, art. 1576 c.c., comma 1, art. 1577 c.c., comma 1, artt. 1575,1218,1223,2043 e 2056 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto non ascrivibile, alla responsabilità dell’amministrazione dell’interno, i danni relativi al locale man-sardato, in relazione al quale l’omessa esecuzione delle ordinarie opere di manutenzione gravanti sul conduttore aveva determinato uno stato di totale e assoluta inagibilità, con la conseguente insussistenza dei presupposti per l’individuazione dell’obbligo, in capo al locatore, di provvedere ad opere di straordinaria manutenzione al fine di ovviare a detta condizione, come erroneamente affermato dal giudice a quo al fine di escludere la risarcibilità dei corrispondenti danni.
19. Tutti e quattro i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono fondati.
20. Al riguardo, è appena il caso di richiamare quanto già argomentato in relazione al rigetto dei primi quattro motivi d’impugnazione.
Sul punto, è appena il caso di ribadire come le affermazioni fatte proprie dalla corte d’appello, circa la non ascrivibilità, alla responsabilità dell’amministrazione conduttrice, della riduzione della perdita di chances connesse alla riduzione dell’indice di edificabilità, o circa il carattere decisivo della natura di manutenzione straordinaria dei lavori necessari a rendere nuovamente abitabile il locale mansardato, rimangono, a fronte delle argomentazioni sostenute dal giudice di primo grado, del tutto apodittiche e immotivate, inidonee, in quanto tali, a fornire alcun elemento per la ricostruzione del percorso logico seguito ai fini della decisione.
Si tratta di un vizio logico, attinente alla struttura della motivazione, tale da inficiare irrimediabilmente la riconoscibilità come valido strumento di giustificazione della decisione resa.
21. Con l’undicesimo, il dodicesimo e il tredicesimo motivo, i ricorrenti principali si dolgono della nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento dei danni ex art. 345 c.p.c., comma 1, nonché per violazione degli artt. 112 e 99 c.p.c., art. 345 c.p.c., comma 1 e art. 426 c.p.c., in relazione all’art. 439 c.p.c. (con riguardo all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale totalmente trascurato di decidere sulla domanda risarcitoria connessa all’aggravamento dei danni connessi agli inadempimenti di controparte, non potendo ritenersi in ogni caso tardiva la proposizione, mediante la memoria integrativa autorizzata a seguito del mutamento del rito da ordinario o speciale, della domanda avente a oggetto l’accertamento dell’aggravamento dei danni all’immobile verificatosi nelle more della prosecuzione del giudizio, con l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio al fine di determinarne l’entità, essendosi nella specie trattato della proposizione di una domanda “non nuova” e consentita fino al momento della precisazione delle conclusioni.
22. I tre motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono fondati.
23. Osserva il Collegio come la corte territoriale abbia totalmente trascurato di pronunciarsi sulla domanda in esame, così come riproposta nella memoria autorizzata in appello, riprodotta, per ragioni di autosufficienza, nella nota 6 a pag. 11 del ricorso.
Si tratta dell’evidente violazione dell’art. 112 c.p.c., nella parte in cui impone al giudice di pronunciarsi su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa.
24. Con il primo motivo del ricorso incidentale, il Ministero dell’Interno censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1209,1219,1175,1375 e 1216 c.c., nonché degli artt. 670 e 687 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di rilevare l’erroneità della decisione del primo giudice nella parte in cui ha subordinato la nomina del sequestratario – invocato nel contesto del procedimento di offerta formale dell’immobile locato – al risarcimento dei danni patiti dalla proprietà, non spettando all’autorità giudiziaria alcuna discrezionalità sul punto, esponendo l’amministrazione conduttrice a un ingiusto accollo di danni e indennità di occupazione pur dopo la definitiva liberazione dell’immobile locato.
25. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, il Ministero dell’Interno si duole della nullità della sentenza impugnata, per omessa pronuncia sull’istanza cautelare di immediata nomina di un sequestratario ex art. 1216 c.c. o ex artt. 670 c.p.c. e segg. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di pronunciarsi sulla domanda di nomina di un sequestratario, a fronte della rilevata illegittimità e contrarietà a buona fede del comportamento dei locatori, là dove avevano ingiustificatamente rifiutato la restituzione dell’immobile locato, pur in presenza degli eventuali, non significativi, danneggiamenti riscontrati.
26. Con il terzo motivo, i ricorrenti incidentali censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di rilevare l’applicabilità dell’art. 1227 c.c., al caso di specie, con particolare riguardo all’accertamento della concorrente responsabilità dei locatori nell’aggravamento dei danni dagli stessi denunciati in conseguenza del pretestuoso rifiuto dagli stessi opposto alla restituzione dell’immobile locato.
27. Tutti e tre i motivi – congiuntamente esaminabili per ragion connessione – sono infondati.
28. Osserva il Collegio come, la corte d’appello abbia correttamente affermato la condizionabilità dell’efficacia dell’offerta formale (e della conseguente nomina di un sequestratario) al pagamento delle somme necessarie al ripristino dell’immobile locato, una volta accertato il carattere giustificato del rifiuto del locatore di riceverne la restituzione per tali ragioni.
Si tratta dell’espressione di una valutazione dell’entità (grave) dei danni riscontrati come riconducibili alla responsabilità dell’amministrazione conduttrice, che il giudice a quo ha adottato nell’esercizio della propria discrezionalità, non censurabile in questa sede.
E’ appena il caso di ribadire, a riguardo, come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di locazione, allorché il conduttore abbia arrecato gravi danni all’immobile locato, o compiuto sullo stesso innovazioni non consentite, tali da rendere necessario per l’esecuzione delle opere di ripristino l’esborso di somme di notevole entità, in base all’economia del contratto e tenuto comunque conto delle condizioni delle parti, il locatore può legittimamente rifiutare di ricevere la restituzione del bene finché tali somme non siano state corrisposte dal conduttore, il quale, versando in mora, agli effetti dell’art. 1220 c.c., rimane tenuto altresì al pagamento del canone ex art. 1591 c.c., quand’anche abbia smesso di servirsi dell’immobile per l’uso convenuto (cfr. Sez. 3, ordinanza n. 7424 del 17 marzo 2021; Sez. 3, ordinanza n. 30960 del 27 dicembre 2017; Sez. 3, ordinanza n. 10394 del 27 aprile 2017; Sez. 3, Sentenza n. 12977 del 24/05/2013, Rv. 626376 – 01).
29. Sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la fondatezza del primo, secondo, terzo, quarto, settimo, ottavo, nono, decimo, undicesimo, dodicesimo e tredicesimo motivo del ricorso principale (disattese le restanti censure del ricorso principale e il ricorso incidentale), dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Campobasso, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo, secondo, terzo, quarto, settimo, ottavo, nono, decimo, undicesimo, dodicesimo e tredicesimo motivo del ricorso principale; dichiara inammissibile il quinto motivo del ricorso principale; rigetta il sesto motivo del ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte d’appello di Campobasso, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 31 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2021
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