Cade su una buca stradale, la disattenzione integra il caso fortuito?

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.36901 del 16/12/2022

La disattenzione di un pedone che cade su una buca stradale può integrare il caso fortuito di cui all'art. 2051 c.c.?

È il quesito a cui risponde la Cassazione con l'ordinanza n. 36901 del 16 dicembre 2022.

I giudici di legittimità ricordano che:

  • la responsabilità ex art. 2051 c.c., applicabile alla Pa custode dalla strada, ha natura oggettiva e discende dall'accertamento del rapporto causale fra la cosa in custodia;
  • l'onere probatorio gravante sul danneggiato si sostanzia nella duplice dimostrazione dell'esistenza (ed entità) del danno e della sua derivazione causale dalla cosa;
  • il custode ha l'onere di dimostrare la ricorrenza del caso fortuito, ossia di un elemento esterno che valga ad elidere il nesso causale e che può essere costituito da un fatto naturale e dal fatto di un terzo o della stessa vittima,
  • altri elementi, quali il fatto che la cosa avesse o meno natura "insidiosa" o la circostanza che l'insidia fosse o meno percepibile ed evitabile da parte del danneggiato, non rilevano nella previsione dell'art. 2051 c.c..

Ciò premesso la condotta colposa della vittima, come la disattenzione, può valere a integrare il caso fortuito ex art. 2051 c.c. solo se presenti caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, così da degradare la condizione della cosa al rango di mera occasione dell'evento di danno.

Qualora invece tale condotta colposa non integri il fortuito, essa comunque può assumere rilevanza ai fini della liquidazione del danno cagionato dalla cosa in custodia, ai sensi dell'art. 1227 c.c. (operante, ex art. 2056 c.c., anche in ambito di responsabilità extracontrattuale):

  • sia sotto il diverso profilo dell'accertamento del concorso colposo del danneggiato, valutabile sia nel senso di una possibile riduzione del risarcimento, secondo la gravità della colpa del danneggiato e le conseguenze che ne sono derivate (ex art. 1227 c.c., comma 1);
  • sia nel senso della negazione del risarcimento per i danni che l'attore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (ex art. 1227 c.c., comma 2), fatta salva, nel secondo caso, la necessità di un'espressa eccezione della controparte.

Responsabilità ex art. 2051, natura oggettiva, prova liberatoria del caso fortuito

La responsabilità ex art. 2051 c.c. ha natura oggettiva e discende dall'accertamento del rapporto causale fra la cosa in custodia e il danno, salva la possibilità per il custode di fornire la prova liberatoria del caso fortuito, ossia di un elemento esterno che valga ad elidere il nesso causale e che può essere costituito da un fatto naturale e dal fatto di un terzo o della stessa vittima.

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Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n. 36901 del 16/12/2022 

RILEVATO

che:

D.D., + Altri Omessi, quali eredi della madre D.C.M.A., convennero in giudizio l'Amministrazione Provinciale dell'Aquila per ottenere il risarcimento dei danni conseguiti al decesso della congiunta, avvenuto a causa di complicazioni intraoperatorie verificatesi durante l'intervento di riduzione delle fratture riportate il 4.9.1998, a seguito della caduta in una buca presente nella strada provinciale che attraversava il centro abitato di Civita D'Antino;

l'Amministrazione convenuta resistette alla domanda e chiamò in garanzia l'Assitalia s.p.a. (con cui aveva stipulato una polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile verso terzi);

a seguito della costituzione della terza chiamata (che aveva rilevato che la polizza era stata stipulata in forma di coassicurazione), il G.I. autorizzò la Provincia a chiamare in causa le coassicuratrici Toro Ass.ni s.p.a., Vittoria Ass.ni s.p.a., Unipol Ass.ni s.p.a., Fondiaria Ass.ni s.p.a., FATA Ass.ni s.p.a. e Axa Ass.ni s.p.a., le quali si costituirono tutte in giudizio (ad eccezione della FATA);

il Tribunale di Avezzano rigettò la domanda con compensazione delle spese di lite;

la Corte di Appello ha rigettato l'impugnazione proposta dai D'Innocenzo, condannando gli appellanti al pagamento delle spese del grado in favore delle parti appellate;

la Corte ha affermato che:

il teste F. (le cui dichiarazioni apparivano "lacunose e poco credibili") non aveva "visto esattamente dove e come sia caduta la D.C."; né la mezzaluna priva di asfalto e posta sotto l'erba che cresceva sulla banchina, che lo stesso aveva riferito di aver visto sul luogo della caduta, sembrava poter "assumere le caratteristiche di una buca o di un'insidia di qualunque genere"; per di più, il teste non aveva "riferito che la donna era caduta per aver messo il piede in una buca";

neppure le dichiarazioni della teste F., che aveva affermato di avere visto una buca coperta da erba nei pressi del luogo ove era caduta la donna, consentivano "di ritenere provato l'esatto punto in cui si verificò la perdita di equilibrio";

anche le dichiarazioni del teste D.N. (collaboratore della Provincia), che aveva riferito dell'esistenza di un "piccolo avvallamento tra il piano bitumato della strada e la banchina in terra", "nulla aggiung(evano) per meglio comprendere la dinamica del fatto, ossia per individuare il punto esatto della caduta";

"ne deriva (...) che dubbia appare la dimostrazione del nesso di causalità tra le incerte condizioni della strada provinciale e il danno";

"in ogni caso, anche a voler presumerlo, si ha che la donna non avrebbe dovuto fare cieco affidamento sulla assenza di anomalie, non del manto stradale, per vero neanche dedotte, ma della banchina in terra posta al suo margine";

ciò in quanto il sinistro era "avvenuto in pieno giorno, con perfette condizioni di visibilità", e "dalla documentazione (era) emerso che la banchina al bordo strada percorsa dalla D.C. era caratterizzata dalla presenza di vegetazione, sassi e terra nonché connotata da evidenti disconnessioni del ciglio stradale ai margini della parte asfaltata derivandone una piena avvistabilità di qualsivoglia buca, mezzaluna o avvallamento che dir si voglia"; di talché la D.C. avrebbe potuto "avvistare tempestivamente ed evitare la situazione di pericolo" e "non la percepì a causa di un'inutile e repentina fuoriuscita dalla sede stradale asfaltata, non necessitata";

"la circostanza che (...) la donna percorresse la sede bitumata rende evidente come essa fosse consapevole del dissesto in cui si trovava la banchina", le cui condizioni "erano ben note alla D.C. in quanto la stessa, che abitava a 300 metri dal luogo del fatto, percorreva periodicamente quel tragitto", "almeno due volte al giorno";

"la condotta del danneggiato, quindi (...) appare indubbiamente tale da integrare ipotesi di caso fortuito idoneo a recidere il nesso causale tra la cosa e il danno";

"l'attribuibilità esclusiva dell'evento dannoso alla condotta colposa del danneggiato (in assenza della quale l'evento dannoso non si sarebbe verificato nonostante l'anomalia del manto stradale) non lascia spazio alla configurabilità di un "concorso di colpa" della Provincia custode della strada, o meglio: non consente di valutare la condotta colposa del danneggiato quale mera concausa del sinistro tale da ridurre, ma non escludere, la responsabilità oggettiva del custode";

hanno proposto ricorso per cassazione i fratelli D., affidandosi a tre motivi; hanno resistito, con distinti controricorsi, l'Amministrazione Provinciale dell'Aquila e la Generali Italia s.p.a. (già Ina Assitalia), anche quale incorporante di Alleanza Toro s.p.a.;

la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell'art. 380 bis.1. c.p.c.;

il P.M. ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile o, comunque, rigettato;

hanno depositato memoria i D. e la Generali Italia.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2051 e 2697 c.c. e dell'art. 40 c.p., assumendo che la Corte territoriale ha errato "nell'aver ritenuto che la condotta della vittima avesse integrato gli estremi del caso fortuito, ai sensi dell'art. 2051 c.c., quale esimente della responsabilità della P.A., nonostante quest'ultima non avesse fornito alcuna prova in merito"; rilevano che al custode "si richiede la prova positiva (...) della causa esterna che, per imprevedibilità, eccezionalità, inevitabilità, sia completamente estranea alla (sua) sfera di controllo" e che, quantunque "si fosse appalesata una condotta negligente, distratta, imperita, imprudente della vittima del danno da cose in custodia, ciò non basta di per sé ad escludere la responsabilità del custode";

lamentano che la Corte ha "inammissibilmente invertito l'onere della prova" laddove ha presunto che l'evento fosse evitabile con una condotta più prudente della vittima in "assenza di prova della imprudenza o negligenza della danneggiata";

il secondo motivo deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 c.c. e dell'art. 40 c.p. e censura la sentenza impugnata per aver preso in esame soltanto la natura colposa della condotta della vittima, senza verificare "se quella condotta potesse ritenersi imprevedibile, eccezionale od anomala, da parte del custode";

col terzo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2051 c.c. "per avere il giudice di secondo grado ritenuto che l'evento dannoso fosse da addebitare in maniera esclusiva alla vittima, presumendo che le condizioni della banchina fossero ben note alla (...) D.C., sulla base del fatto che la stessa abitasse a 300 mt dal luogo del fatto" e rilevano che l'argomento valorizzato dalla Corte territoriale "finisce per far gravare sul cittadino l'obbligo cautelare di conoscere e ricordare l'ubicazione delle buche che stanno nelle vicinanze dei luoghi che frequenta solitamente";

i motivi - che possono essere scrutinati congiuntamente - sono fondati nei termini e con le precisazioni che seguono;

deve preliminarmente rilevarsi - anche per rispondere ai rilievi contenuti alle pag. 6 e 7 del controricorso - che la sentenza impugnata non ha preso una chiara posizione in punto di nesso causale fra la presenza della buca e la caduta della D.C.; invero, pur avendo manifestato riserve sulla concludenza delle dichiarazioni testimoniali e pur essendosi espressa - in un passaggio - in termini dubitativi, la Corte di Appello ha mostrato di non escludere che la caduta sia stata causata dalla buca presente nella banchina stradale, dato che ha affermato la possibilità di presumere il nesso e ha sviluppato ampie considerazioni sul fatto che la caduta fosse imputabile esclusivamente alla condotta "disattenta, negligente o imperita della danneggiata" (per non aver avvistato tempestivamente ed evitato la situazione di pericolo determinata dal dissesto della banchina), che non avrebbe avuto ragione di svolgere ove avesse effettivamente ritenuto non provato il nesso causale;

tanto premesso e passando all'esame delle censure dei D., deve considerarsi che:

la responsabilità ex art. 2051 c.c. ha natura oggettiva e discende dall'accertamento del rapporto causale fra la cosa in custodia e il danno, salva la possibilità per il custode di fornire la prova liberatoria del caso fortuito, ossia di un elemento esterno che valga ad elidere il nesso causale e che può essere costituito da un fatto naturale e dal fatto di un terzo o della stessa vittima (cfr., da ultimo, Cass., S.U. n. 20943/2022);

tale essendo la struttura della responsabilità ex art. 2051 c.c., l'onere probatorio gravante sul danneggiato si sostanzia nella duplice dimostrazione dell'esistenza (ed entità) del danno e della sua derivazione causale dalla cosa, residuando, a carico del custode - come detto - l'onere di dimostrare la ricorrenza del fortuito; nell'ottica della previsione dell'art. 2051 c.c., tutto si gioca dunque sul piano di un accertamento di tipo causale (della derivazione del danno dalla cosa e dell'eventuale interruzione di tale nesso per effetto del fortuito), senza che rilevino altri elementi, quali il fatto che la cosa avesse o meno natura "insidiosa" o la circostanza che l'insidia fosse o meno percepibile ed evitabile da parte del danneggiato (trattandosi di elementi consentanei ad una diversa costruzione della responsabilità, condotta alla luce del paradigma dell'art. 2043 c.c.);

al cospetto dell'art. 2051 c.c., la condotta del danneggiato può rilevare unicamente nella misura in cui valga ad integrare il caso fortuito, ossia presenti caratteri tali da sovrapporsi al modo di essere della cosa e da porsi essa stessa all'origine del danno; al riguardo, deve pertanto ritenersi che, ove il danno consegua alla interazione fra il modo di essere della cosa in custodia e l'agire umano, non basti a escludere il nesso causale fra la cosa e il danno la condotta colposa del danneggiato, richiedendosi anche che la stessa si connoti per oggettive caratteristiche di imprevedibilità ed imprevenibilità che valgano a determinare una cesura rispetto alla serie causale riconducibile alla cosa (degradandola al rango di mera occasione dell'evento di danno);

nel caso specifico della caduta del pedone in corrispondenza di una buca stradale, non può evidentemente sostenersi che la stessa sia imprevedibile (rientrando nel notorio che la sconnessione possa determinare la caduta del passante) e imprevenibile (sussistendo, di norma, la possibilità di rimuovere il dislivello o, almeno, di segnalarlo adeguatamente); deve allora ritenersi che il mero rilievo di una condotta colposa del danneggiato non sia idoneo a interrompere il nesso causale, che è manifestamente insito nel fatto stesso che la caduta sia originata dalla (prevedibile e prevenibile) interazione fra la condizione pericolosa della cosa e l'agire umano;

ciò non significa, peraltro, che tale condotta - ancorché non integrante il fortuito - non possa assumere rilevanza ai fini della liquidazione del danno cagionato dalla cosa in custodia, ma questo non può avvenire all'interno del paradigma dell'art. 2051 c.c., bensì ai sensi dell'art. 1227 c.c. (operante, ex art. 2056 c.c., anche in ambito di responsabilità extracontrattuale), ossia sotto il diverso profilo dell'accertamento del concorso colposo del danneggiato, valutabile sia nel senso di una possibile riduzione del risarcimento, secondo la gravità della colpa del danneggiato e le conseguenze che ne sono derivate (ex art. 1227 c.c., comma 1), sia nel senso della negazione del risarcimento per i danni che l'attore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (ex art. 1227 c.c., comma 2), fatta salva, nel secondo caso, la necessità di un'espressa eccezione della controparte;

deve dunque ritenersi che, ove sia dedotta la responsabilità del custode per la caduta di un pedone in corrispondenza di una sconnessione o buca stradale, la condotta colposa della vittima può valere a integrare il caso fortuito richiesto dall'art. 2051 c.c. soltanto se presenti caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, così da degradare la condizione della cosa al rango di mera occasione dell'evento di danno; in difetto, tale condotta potrà - eventualmente - assumere rilevanza ai sensi dell'art. 1227 c.c., commi 1 o 2, ai fini della riduzione o dell'esclusione del risarcimento;

a siffatti criteri non si è attenuta la Corte territoriale che ha ritenuto di poter senz'altro individuare il fortuito nella condotta disattenta della D.C., del tutto prescindendo dall'accertamento della non prevedibilità e della non prevenibilità di tale condotta e della sua idoneità a sovrapporsi al modo di essere della cosa, elidendone l'efficienza causale e degradandola a mera occasione dell'evento di danno;

la sentenza va pertanto cassata con rinvio alla Corte territoriale che, in diversa composizione, dovrà procedere a nuovo esame, alla luce dei principi e delle considerazioni di cui sopra;

la Corte di rinvio provvederà anche sulle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di L'Aquila, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2022.

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