Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.5114 del 16/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17566-2016 proposto da:

S.C., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FILIPPO PAGANO, EMILIA BONFIGLIO;

– ricorrente principale –

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DORA 2, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO RUSSO, rappresentato e difeso dall’avvocato BENEDETTO MANASSERI;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

contro

S.C.;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1141/2015 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 16/07/2016 R.G.N. 728/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/10/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO RITA, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

FATTI DI CAUSA

G.G. ha proposto appello, nei confronti di S.C., avverso la sentenza n. 1401/2014, emessa dal Tribunale di Messina il 22.4.2014, con la quale il G. era stato condannato a corrispondere al proprio dipendente S. la somma complessiva di Euro 106.313,29, a titolo di differenze retributive per lavoro ordinario e straordinario, per lo svolgimento di mansioni superiori riconducibili a quelle di operaio categoria D2 del CCNL laterizi e manufatti, oltre al pagamento di una somma a titolo risarcitorio, pari alla omessa contribuzione previdenziale ed assistenziale; inoltre, dichiarato inefficace, per difetto di forma scritta, l’intimato licenziamento, il datore di lavoro era stato altresì condannato al risarcimento del danno, in favore del S., in misura pari alle retribuzioni versate dal *****, data della ricezione della lettera raccomandata di impugnativa del licenziamento.

La Corte territoriale di Palermo, con sentenza pubblicata il 16.7.2015, in parziale riforma della sentenza gravata, ha condannato G.G. a corrispondere al S.: a titolo di differenze retributive, la somma di Euro 45.883,30, oltre accessori; a titolo di risarcimento del danno, per l’inefficacia del licenziamento intimato oralmente, l’indennità risarcitoria in misura pari alle retribuzioni dalla data del licenziamento sino alla riassunzione; ed altresì al risarcimento del danno corrispondente all’ammontare dei contributi previdenziali ed assicurativi non più riscuotibili dall’INPS, laddove non esigibili per il decorso del termine prescrizionale operante nella fattispecie.

Per la cassazione della sentenza il S. ha proposto ricorso affidato a cinque motivi.

G.G. ha resistito con controricorso ed ha spiegato ricorso incidentale articolando quattro motivi, cui ha resistito il S. con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale si censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 342 c.p.c., commi 1 e 2, ed in particolare, si lamenta che i giudici in seconda istanza avrebbero omesso di pronunziare sulla eccezione di inammissibilità dell’appello discendente dalla violazione del citato articolo.

2. Con il secondo motivo di deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 416 e 115 c.p.c., nonché degli artt. 2697 e 2709 c.c.; nella sostanza, si censura una pretesa errata valutazione delle prove e la rilevanza data dai giudici di secondo grado ad alcune dichiarazioni testimoniali rispetto ad altre, reputate invece inattendibili dal ricorrente principale.

3. Con il terzo motivo, articolato in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si assume la violazione degli artt. 416 e 437 c.p.c., e del CCNL, art. 6, per i dipendenti delle aziende produttrici di laterizi e manufatti in cemento del *****, perché i giudici di secondo grado non avrebbero considerato che il G. aveva contestato l’inquadramento del S. nella categoria D2, alla quale è stata parametrata la retribuzione inadeguata, soltanto con i rilievi alla c.t.u. contabile del giudizio di primo grado, per rilevare che il lavoratore, semmai, per le mansioni svolte, avrebbe potuto aspirare all’inquadramento nella categoria E2. Pertanto, erroneamente, gli stessi avrebbero pronunciato sull’impugnazione proposta, al riguardo, dal G..

4. Con il quarto motivo si denunzia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 416 e 437 c.p.c., perché i giudici di appello avrebbero erroneamente ritenuto che fosse provata “l’esistenza di periodi di disoccupazione per i quali il S. ha fruito dell’indennità di disoccupazione (come da allegato 2 della produzione del G.), donde l’esclusione del compenso per lavoro straordinario per detto periodo”, senza rilevare che, soltanto con i rilievi alla c.t.u. contabile del giudizio di primo grado, il datore di lavoro aveva sollevato questa eccezione.

5. Con il quinto motivo si censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per erronea valutazione della soccombenza, in quanto la Corte avrebbe dovuto porre le spese totalmente a carico del G., rimasto soccombente.

Infine, nelle conclusioni del ricorso principale, si chiede di disporre, “Ove ritenuta la rilevanza e la decisività delle questioni oggetto del presente ricorso, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea ex art. 267 T.U.E., sull’interpretazione delle norme comunitarie, indicate nella narrativa dell’odierno ricorso, nel paragrafo ad esso dedicato” (v. pagg. 31-34 del ricorso, in cui si chiede il detto rinvio pregiudiziale “sull’interpretazione della carta dei Diritti fondamentali dell’unione Europea, art. 47, e della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, art. 6: Roma, 4 novembre 1950”).

1.1. Il primo motivo del ricorso principale non è meritevole di accoglimento. Ed invero, innanzitutto, il S. non ha indicato con precisione – ed in violazione del principio di specificità sotto il profilo dell’autosufficienza (arg. ex art. 366 codice di rito, comma 1, n. 6), – quali siano i punti dell’atto di gravame che non soddisfano i requisiti di cui all’art. 342 c.p.c., nn. 1) e 2), essendosi limitato ad affermare, senza altra precisazione, che tale atto “non soddisfa i requisiti di forma prescritti, a pena di inammissibilità, dall’art. 342 c.p.c., secondo cui la motivazione dell’appello deve contenere “1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata””. Al riguardo, si osserva, altresì, che, “in tema di appello, il requisito della specificità dei motivi, di cui all’art. 342 c.p.c., deve ritenersi sussistente, secondo una verifica da effettuarsi in concreto, quando l’atto di impugnazione consenta di individuare con certezza le ragioni del gravame e le statuizioni impugnate”, in modo da “consentire al giudice di comprendere con certezza il contenuto delle censure ed alle controparti di svolgere senza alcun pregiudizio la propria attività difensiva, mentre non è richiesta né l’indicazione delle norme di diritto che si assumono violate, né una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’impugnazione” (cfr., tra le molte, Cass. n. 22502/2014). E, nella fattispecie, è da ritenere che, implicitamente, i giudici di secondo grado, affrontando direttamente il merito della questione, abbiano considerato superata questa eccezione. Siamo, quindi, di fronte ad un rigetto implicito da parte della Corte di merito, pacificamente ammesso dagli arresti giurisprudenziali di legittimità (v. tra le altre, Cass. n. 1855/2020; n. 32258/2018; n. 29191/2017).

2.2. Il secondo motivo, che, nella sostanza, cela la pretesa di una rivalutazione complessiva degli elementi delibatori sottesa alla dedotta errata valutazione degli stessi da parte della Corte territoriale (v., ex plurimis, Cass. n. 17611/2018; n. 5900/2016; n. 13054/2014), è inammissibile, poiché “sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dai giudici di merito” (così Cass., SS.UU., n. 34476/2019), non ammessa in questa sede.

Inoltre, come correttamente osservato nella sentenza oggetto del presente giudizio, nel rito del lavoro, la mancata contestazione del fatto costitutivo del diritto, come è avvenuto nel caso di specie, rende inutile provare il fatto stesso, perché lo rende incontroverso (v, tra le altre, Cass. n. 1878/2012).

3.3. Il terzo motivo non può essere accolto, perché il ricorrente principale, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non riporta la comparsa di costituzione del G. in primo grado; pertanto, questa Corte non ha potuto apprezzare la veridicità delle doglianze mosse col mezzo di impugnazione in esame alla sentenza oggetto del presente giudizio. In ordine, poi, alle mansioni, la Corte di Appello ha motivato, condivisibilmente (v. pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata), anche confrontando le declaratorie contrattuali relative alle categorie E2 e D2, nel rispetto del procedimento c.d. trifasico, che prevede: l’accertamento in fatto dell’attività lavorativa svolta in concreto; l’individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal CCNL di categoria; il raffronto dei risultati delle suddette fasi (cfr., ex plurimis, Cass. n. 17163/2016).

4.4. Neppure il quarto motivo è meritevole di accoglimento, in quanto i giudici di appello hanno motivato correttamente ed adeguatamente al riguardo (v. pag. 7 della sentenza impugnata), sottolineando che il lavoratore, convenuto in riconvenzionale nel giudizio di primo grado, proprio sulla domanda di restituzione di somme a titolo retributivo, asseritamente erogate in più rispetto a quelle denunciate, con indicazione analitica degli importi mensili e con allegazione dei libri paga, attesa anche la specificità del rapporto edile e valutate altresì “le suindicate vicende lavorative, attinenti anche alle sospensioni del rapporto nei periodi di disoccupazione, avrebbe dovuto prendere specifica posizione e non assumere una posizione del tutto generica come da sua memoria depositata in difesa della domanda riconvenzionale del convenuto”.

5.5. Il quinto motivo non è fondato. Va, innanzitutto, osservato che la sentenza di secondo grado ha riformato parzialmente quella del primo giudice, in favore del datore di lavoro. Inoltre, è da sottolineare che la L. n. 263 del 2005, art. 2, ha introdotto l’obbligo per il giudice di indicare specificamente i motivi della compensazione solo per i procedimenti instaurati dopo la sua entrata in vigore, inizialmente fissata all’1.1.2006 e poi prorogata all’1.3.2006 ai sensi del D.L. n. 273 del 2005, art. 39-quater, convertito nella L. n. 51 del 2006, (cfr. Cass. n. 9262/2006), e che la controversia di cui si tratta è stata introdotta, in primo grado, con ricorso depositato il 10.2.2006; sicché la compensazione delle spese può essere disposta per giusti motivi ravvisabili anche nella peculiarità dell’andamento della vicenda processuale e delle questioni trattate, nonché tenendo conto della mancata costituzione in giudizio della controparte. E, nella fattispecie, le ragioni che hanno condotto alla disposta compensazione delle spese sono esplicitate, seppure sinteticamente, ed appaiono chiaramente ed inequivocabilmente desumibili dal complesso della motivazione adottata dalla stessa Corte di merito (v. pag. 8 della sentenza).

6. Quanto alla richiesta di disporre, “Ove ritenuta la rilevanza e la decisività delle questioni oggetto del presente ricorso, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea ex art. 267 T.U.E., sull’interpretazione delle norme comunitarie, indicate nella narrativa dell’odierno ricorso,, nel paragrafo ad esso dedicato” (v. pagg. 31-34 del ricorso, in cui si chiede il detto rinvio pregiudiziale “sull’interpretazione della carta dei Diritti fondamentali dell’unione Europea, art. 47, e della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, art. 6: Roma, 4 novembre 1950”), si osserva, innanzitutto, che la stessa non appare formulata nei termini adeguati e risulta priva dei caratteri della rilevanza e della decisività. Al riguardo, va sottolineato che, come è noto, il rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE, alla Corte di Giustizia è veicolato con una ordinanza del giudice nazionale relativa ad una questione interpretativa su una norma comunitaria, dovendo il predetto giudice interpretare ed applicare la norma comunitaria, che è fonte del diritto e, ove sorgano questioni di conflitto con una norma di diritto interno, disapplicare quest’ultima. Nel caso in cui vi fossero dubbi sull’esegesi della disposizione comunitaria, il giudice nazionale può risolverli o interpretando la norma comunitaria o sollevando la questione pregiudiziale sull’interpretazione dinanzi alla Corte di Giustizia. Tuttavia, alla stregua degli arresti giurisprudenziali di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. n. 50998/2017; n. 27165/2016), il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ai sensi del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, art. 267, “non costituisce un rimedio giuridico esperibile automaticamente a sola richiesta delle parti, spettando solo al giudice stabilirne la necessità” (cfr. Cass., SS.UU., n. 20701/2013; n. 16886/2013), poiché tale rinvio “ha la funzione di verificare la legittimità di una legge nazionale rispetto al diritto dell’Unione Europea e se la normativa interna sia pienamente rispettosa dei diritti fondamentali della persona, quali risultanti dall’evoluzione giurisprudenziale della Corte di Strasburgo e recepiti dal Trattato sull’Unione Europea; sicché il giudice, effettuato tale riscontro, non è obbligato a disporre il rinvio solo perché proveniente da istanza di parte…. quando non lo ritenga rilevante ai fini della decisione” (v. Cass. n. 50998/2017, cit.), dovendo sempre operare “una delibazione di fondatezza della questione proposta”. E, nella fattispecie, per tutto quanto in precedenza esposto – data anche la formulazione della richiesta in modo vago -, il Collegio reputa che non sussistano i presupposti per disporre il rinvio pregiudiziale.

7. Con il primo motivo del ricorso incidentale si deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, “motivazione apparente; contrasto irriducibile di motivazione; motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile; nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.”, perché, a parere del ricorrente incidentale, non si comprenderebbe sulla base di quali argomentazioni i giudici di appello abbiano deciso di liquidare al lavoratore “l’importo calcolato dal C.t.u. nella seconda ipotesi” (v. pag. 8 della sentenza).

8. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione ed erronea interpretazione degli artt. 1334, 1335, 1206, 1207, 1208, 1209, 1217 e 1220 c.c., nonché omesso esame circa un fatto decisivo, per asserita irrituale notifica dell’impugnativa stragiudiziale di licenziamento e per la connessa mancata offerta delle proprie prestazioni lavorative; ed altresì per la errata quantificazione del risarcimento dei danni.

9. Con il terzo motivo del ricorso incidentale si censura, in riferimento all’art. 360 codice di rito, comma 1, nn. 3, 4 e 5, “omesso esame circa un fatto decisivo; violazione dell’art. 112 c.p.c.; violazione ed erronea applicazione degli artt. 1218,1225 e 1227 c.c.”.

10. Con il quarto motivo del ricorso incidentale si denunzia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, “nullità della sentenza; omessa pronuncia; violazione dell’art. 112; omesso esame circa un fatto decisivo sull’aliunde perceptum”.

7.1. Il primo motivo del ricorso incidentale non può essere accolto, poiché, in realtà, nel secondo capoverso di pag. 8, i giudici di secondo grado spiegano la loro decisione, “in ragione delle contestazioni mosse, seppur tardivamente, dalla difesa del S. e volte a sottolineare la mancanza degli elementi di riscontro circa le maggiori retribuzioni in ipotesi dichiarate dal lavoratore, come da pag. 20 del ricorso in appello del G.”. Peraltro, la doglianza mossa in relazione all’art. 112 c.p.c., non viene svolta, né esplicitata in alcun modo; manca, quindi, la focalizzazione del momento di conflitto, rispetto alla censura sollevata, dell’accertamento operato dalla Corte territoriale all’esito delle emersioni probatorie (cfr., ex plurimis, Cass. n. 24374/2015; n. 80/2011).

Infine, è da rilevare che i giudici di secondo grado sono pervenuti alla decisione oggetto del presente giudizio attraverso un iter argomentativo del tutto condivisibile e scevro da vizi logico-giuridici; pertanto, non si configura, nella fattispecie, la lamentata motivazione apparente (al riguardo, tra le altre, v. Cass. n. 2220/2019).

8.1. Il secondo motivo – che, comunque, tende, nella sostanza, ad ottenere un nuovo esame del merito, non consentito in questa sede – appare pretestuoso, posto che l’indirizzo al quale il lavoratore ha inviato la raccomandata con cui ha impugnato il licenziamento è lo stesso che il datore di lavoro ha fornito nella comunicazione inviata al Centro per l’impiego di Messina (v. pagg. 19 e 20 del ricorso incidentale e pagg. 11-13 del controricorso al ricorso incidentale). Peraltro, il G. non ha contestato nulla che attenga al contenuto della lettera di impugnazione del licenziamento ed al fatto che la stessa costituisca atto di “messa in mora”.

9.1. Il terzo mezzo di impugnazione è inammissibile sotto diversi e concorrenti profili; innanzitutto, la parte ricorrente in via incidentale, in spregio alla prescrizione di specificità dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, non ha fornito specifiche argomentazioni intese motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. n. 187/2014; n. 635/2015; Cass. n. 19959/2014; n. 18421/2009); ed invero, nel caso in esame, manca la focalizzazione del momento di conflitto, rispetto alle censure sollevate, dell’accertamento operato dalla Corte territoriale all’esito delle emersioni probatorie (cfr., ex plurimis, Cass. n. 24374/2015; n. 80/2011) e, pertanto, le doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai giudici di seconda istanza si risolvono in considerazioni di fatto del tutto inammissibili e sfornite di qualsiasi delibazione probatoria. Inoltre, i mezzi di impugnazione contengono la contemporanea deduzione di violazioni di plurime disposizioni di legge, nonché di vizi di motivazione e di erronea valutazione delle risultanze istruttorie, oltre all’invocazione di non meglio precisati errores in procedendo, in violazione del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione, poiché nella parte argomentativa degli stessi non risulta possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e di sussunzione delle censure (al riguardo, tra le molte, Cass. n. 21239/2015; n. 23675/2013; n. 7394/2010, n. 20355/2008, n. 9470/2008). In particolare, va pure sottolineato che le Sezioni Unite di questa Corte, dinanzi ad un motivo di ricorso che conteneva censure astrattamente riconducibili ad una pluralità di vizi tra quelli indicati nell’art. 360 c.p.c., hanno ribadito la stigmatizzazione di tale tecnica di redazione del ricorso per cassazione, evidenziando “la impossibilità di convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da irrimediabile eterogeneità” (Cass., S.U., n. 17931/2013, n. 26242/2014).

10.1. Neppure il quarto mezzo di impugnazione può essere accolto e, per quest’ultimo, data l’assenza di specificità, valgano le considerazioni svolte in ordine al terzo motivo.

Il motivo non e’, comunque, meritevole di accoglimento anche perché, diversamente da quanto sostenuto, i giudici di secondo grado hanno tenuto conto dell’aliunde perceptum nella quantificazione della somma liquidata al lavoratore, con motivazione adeguata anche su questo punto (v., pure pag. 6 della sentenza impugnata).

11. Pertanto, per le considerazioni innanzi svolte, il ricorso principale e quello incidentale vanno rigettati.

12. Le spese del giudizio di legittimità sono da compensare interamente tra le parti, in considerazione della reciproca soccombenza.

13. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso principale, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale. Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022

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