Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.18681 del 11/07/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21935-2015 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CALABRIA 56, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI BONARRIGO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONINO GAZZARA;

– ricorrente e c/ricorrente all’incidentale –

contro

D.L., rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE CINNERA MARTINO;

– controricorrente –

e contro

G.S., G.A., S.G.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 183/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 13/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/01/2019 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI CORRADO, che ha concluso per l’inammissibilità e in subordine rigetto del ricorso B.;

parziale inammissibilità dee nel resto rigetto del ricorso principale D. ed assorbimento del ricorso incidentale condizionato;

udito l’Avvocato Ugo SARDO con delega depositata in udienza dell’Avvocato Antonino GAZZARRA, difensore del ricorrente che si riporta agli atti depositati.

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2000 i germani R.T. e G.G. convennero D.L. dinanzi al Tribunale di Messina per ottenere il rilascio del fondo di loro proprietà, sito in *****, nonchè il risarcimento del danno da occupazione illegittima allegando che la D., già fidanzata di G.S. – figlio e nipote degli attori, nonchè comodatario del fondo – aveva continuato ad occupare il fondo senza titolo per molti anni dopo la conclusione della relazione sentimentale con il predetto S.. La convenuta propose domanda riconvenzionale per ottenere il pagamento delle migliorie apportate al fondo, assumendo di aver realizzato opere per 300 milioni di Lire.

1.1. Il Tribunale, con ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 186-quater c.p.c. accolse la domanda di rilascio, rimettendo la causa sul ruolo per la trattazione della domanda riconvenzionale. L’ordinanza fu confermata dalla Corte d’appello di Messina, con la sentenza n. 73 del 2005, a sua volta confermata dalla sentenza n. 2611 del 2011 della Corte di cassazione.

1.2. Con la sentenza n. 2956 del 2004, Il Tribunale di Messina rigettò la domanda riconvenzionale e condannò la convenuta D. al risarcimento del danno, liquidato in via equitativa nella somma di Euro 16.000, oltre interessi, nonchè alle spese di lite.

2. La Corte d’appello, decidendo sul gravame proposto da D.L. nei confronti di G.R.T., di G.S. e degli eredi di G.G. nel frattempo deceduto, con sentenza non definitiva pubblicata il 13 marzo 2014 ha dichiarato inammissibile l’appello nei confronti degli eredi di G.G., ha accertato il diritto dell’appellante D. a conseguire da G.R.T., ai sensi dell’art. 936 c.c., comma 2, l’importo corrispondente al valore delle opere realizzate, da quantificare previa istruttoria, ed ha rigettato la domanda risarcitoria proposta da G.R.T..

2.1. Con la sentenza definitiva, pubblicata il 28 aprile 2015, la Corte d’appello ha condannato G.R.T. e quindi i suoi eredi, ovvero B.A. – intervenuto nel giudizio in qualità di erede della predetta – al pagamento in favore di D.L. della somma di Euro 49.625,66, oltre rivalutazione monetaria dal 2002 alla data della decisione ed interessi legali dalla decisione al saldo, dichiarando compensate le spese di giudizio.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso B.A., sulla base di sei motivi. D.L. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale, affidato a cinque motivi, ai quali resiste B.A. con controricorso. Non hanno svolto difese in questa sede G.S., G.A., S.G.R..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente si deve procedere all’esame dell’eccezione di inammissibilità del ricorso incidentale avverso la sentenza non definitiva della Corte d’appello. Secondo il ricorrente principale la riserva di impugnazione fatta dalla D. al verbale d’udienza del 13 giugno 2014 sarebbe nulla, poichè subordinata ad eventuali profili di soccombenza, che al momento non erano stati ancora individuati, sicchè si sarebbe trattato di una riserva d’impugnazione condizionata a fronte di una soccombenza soltanto potenziale.

1.1. L’eccezione è infondata.

La questione della corretta formalizzazione della riserva d’impugnazione si può porre soltanto con riferimento al contenuto essenziale della riserva, che è costituito dalla rinuncia all’impugnazione immediata, e difatti, secondo la giurisprudenza consolidata, la riserva deve essere formulata in maniera tale da esprimere chiaramente, senza possibilità di equivoci, la volontà della parte di rinunciare all’impugnazione immediata (ex plurimis, Cass. 26/05/2005, n. 11198; Cass. 08/07/1996, n. 6194). Nella fattispecie in esame, il profilo rilevante neppure è contestato.

2. Nel merito, il ricorso principale è infondato.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia, con riferimento alla sentenza non definitiva, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 331 e 332 c.p.c. e contesta che la Corte d’appello ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dalla D. nei confronti degli eredi di G.G., contestualmente decidendo nel merito l’appello proposto nei confronti di G.R.T., senza tenere conto che si versava in ipotesi di litisconsorzio necessario processuale, sicchè l’inosservanza dell’ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi di G.G. comportava l’inammissibilità dell’impugnazione.

2.1. La doglianza è infondata. In disparte la questione se nella specie sussistesse inscindibilità delle cause, risulta dirimente il rilievo – che sarà sviluppato nell’esame del terzo motivo del ricorso incidentale – che la Corte d’appello è incorsa in errore nel ritenere inammissibile la rinnovazione della notifica dell’appello effettuata dalla D. agli eredi di G.G. impersonalmente, nell’ultimo domicilio del defunto.

3. Con il secondo motivo è denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,113 e 345 c.p.c., art. 24 Cost., comma 2, artt. 6 e 7 CEDU, e si contesta la riqualificazione della domanda riconvenzionale della D. come domanda di indennizzo ai sensi dell’art. 936 c.c., comma 2, a fronte della mancata specificazione del titolo posto alla base della stessa riconvenzionale e della statuizione del giudice di primo grado che ha riconosciuto ai germani G. e G.R.T. il diritto al risarcimento del danno subito per l’occupazione senza titolo del terreno da parte della D..

3.1 La doglianza è inammissibile per genericità.

Si legge nella sentenza impugnata (pag. 12 e ss.) che la D., con la domanda riconvenzionale, intendeva ottenere il rimborso delle spese sostenute sul fondo o, quanto meno, l’incremento di valore conseguito agli interventi ivi realizzati; che non vi era stato mutamento dei fatti posti a sostegno della domanda; che, data la posizione di terzietà della D. – nè possessore nè detentore qualificato dei beni di proprietà G. – la domanda dovesse essere qualificata ai sensi dell’art. 936 c.c., essendo soltanto residuale il richiamo all’art. 2041 c.c.

A fronte di tale motivazione, il ricorrente denuncia la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato nonchè del divieto di nova in appello senza riportare le conclusioni formulate dalla D. in primo grado, nè le statuizioni della sentenza di primo grado, nè il contenuto dell’appello. Trova quindi applicazione la giurisprudenza consolidata di questa Corte che richiede anche in caso di denuncia di error in procedendo la specificazione degli elementi fattuali che, in concreto, condizionano gli ambiti di operatività della violazione (ex plurimis, Cass. 02/03/2018, n. 5001; Cass. 13/05/2016, n. 9888).

4. Con il terzo motivo è denunciata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 358 c.p.c. e art. 2909 c.c. Si assume che la Corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il gravame con il quale la D. aveva riproposto questioni coperte dal giudicato formatosi sulla sentenza n. 73 del 2005 della Corte d’appello, di conferma dell’ordinanza ex art. 186-quater c.p.c.

4.1. La doglianza è infondata.

Il giudicato formatosi sulla condanna della D. al rilascio dei beni ai proprietari G. non poteva precludere l’esame delle questioni riguardanti il riconoscimento dell’indennizzo per l’incremento di valore dei beni stessi, poichè tali questioni non erano affatto implicate dalla decisione sul rilascio, che ha escluso il possesso in capo alla D. e implicitamente ogni pretesa che presupponesse quel possesso. Manca pertanto l’inerenza tra i fatti costitutivi delle pretese sulle quali si è formato il giudicato implicito, e i fatti costitutivi della pretesa di indennizzo ex art. 936 c.c., e ciò esclude in radice la violazione denunciata (ex plurimis, Cass. 30/06/2009, n. 15343).

5. Con il quarto motivo è denunciata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e art. 113 c.p.c. e si contesta la riforma della sentenza di primo grado in punto risarcimento danni da occupazione illegittima.

5.1. La doglianza è inammissibile in quanto il ricorrente non si confronta con la ratio della decisione, che è espressa alle pagg. 16 e 17 della sentenza impugnata. In senso contrario al riconoscimento del danno da occupazione senza titolo, la Corte d’appello ha rilevato che il fondo oggetto di contestazione era inutilizzato dai proprietari, i quali l’avevano perciò concesso in uso a G.S. e alla D., all’epoca fidanzata di S., “per un impiego del tutto nuovo e consentito solo grazie all’intervento che recuperava dei ruderi, altrimenti non suscettibili di alcuna destinazione”.

L’argomentazione richiamata non è in alcun modo confutata dal ricorrente, che si diffonde in considerazioni irrilevanti e solo nella parte conclusiva del motivo evidenzia, senza peraltro sviluppare il tema, che l’occupazione dell’immobile era proseguita “per lungo tempo” dopo la fine del rapporto sentimentale tra la D. e G.S..

6. Con il quinto motivo è denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 936 e 2697 c.c., art. 24 Cost., comma 2, e si contesta la quantificazione dell’indennizzo a favore della D., in assenza di prova degli esborsi asseritamente sostenuti dalla predetta, come evidenziato anche dal CTU, il quale aveva poi erroneamente valutato l’aumento di valore del fondo.

6.1. Il motivo è inammissibile.

Benchè formulate con riferimento a pretesi errori di diritto ed a vizi di motivazione, le riferite obiezioni, nella misura in cui investono il modo nel quale la Corte territoriale ha apprezzato le risultanze istruttorie del processo, si risolvono in censure di merito, come tali non proponibili in questa sede (ex plurimis e da ultimo, Cass. 04/04/2017, 8758).

7. Con il sesto motivo è denunciata violazione, errata e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e si contesta la disposta compensazione delle spese di lite.

7.1. La doglianza rimane assorbita nel rigetto del ricorso principale, essendo stata prospettata in via consequenziale.

8. Il ricorso incidentale è fondato, nei termini di seguito precisati.

9. Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 330 c.p.c., art. 139 c.p.c., comma 1 e art. 156 c.p.c., comma 3, e si assume la validità dell’originaria notifica dell’atto di appello all’avv. G.G., procuratore di se stesso e della sorella R.T., effettuata presso lo studio professionale del predetto G.G., che la Corte d’appello aveva ritenuto affetta da nullità senza spiegarne le ragioni.

10. Con il secondo motivo la ricorrente incidentale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 330 c.p.c. e art. 1362 c.c. e contesta, nella medesima prospettiva di cui sopra, la mancata verifica da parte della Corte d’appello della validità dell’elezione di domicilio dei germani G. presso l’abitazione di G.R.T..

11. Con il terzo motivo la ricorrente incidentale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 291 e 330 c.p.c., e contesta la ritenuta inammissibilità della notifica impersonale e collettiva agli eredi del defunto G.G.. Al contrario, la fattispecie concreta rientrava nel paradigma dell’art. 330 c.p.c., comma 2, giacchè la morte era avvenuta dopo la notifica della sentenza di primo grado, e la notifica dell’atto di appello era stata effettuata nel rispetto del termine assegnato ai sensi dell’art. 291 c.p.c., entro l’anno dalla morte.

12. Con il quarto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., artt. 111 e 331 c.p.c., art. 754 c.c., e si contesta la declaratoria di inammissibilità dell’appello nei confronti degli eredi di G.G. in ragione della presenza, nel giudizio di appello, di G.S., che era anche uno degli eredi di G.G., ciò che avrebbe comportato che la Corte d’appello disponesse l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri eredi.

13. Con il quinto motivo la ricorrente incidentale denuncia violazione dell’art. 331 c.p.c., per l’ipotesi che si ritenga sussistente il litisconsorzio processuale, secondo quanto prospettato dal ricorrente principale con il primo motivo. Se anche così fosse, non ne deriverebbe l’effetto invocato dal ricorrente principale, della inammissibilità dell’intero appello, bensì la necessità di integrare il contraddittorio con l’ordine ex art. 331 c.p.c.

14. I motivi terzo e quarto sono fondati e vanno accolti.

14.1. Dalla sentenza impugnata risulta quanto segue: D.L. aveva notificato l’appello in data 25 febbraio 2005 a G.R.T., G.G. e G.S.; quest’ultimo, costituitosi, aveva eccepito la nullità della notifica del gravame ai germani R.T. e G.G., in quanto non effettuata presso il domicilio eletto con la notifica della sentenza di primo grado; la Corte d’appello, all’udienza del 12 maggio 2005, aveva concesso termine fino al 30 settembre 2005 per la rinnovazione della notifica ai germani R.T. e G.G.; l’appellante D. aveva provveduto alla rinnovazione in data 21-23 settembre 2005, notificando l’atto di appello agli eredi di G.G., deceduto il *****, collettivamente ed impersonalmente nell’ultimo domicilio del defunto.

La Corte d’appello ha ritenuto nulla la notifica per violazione dell’art. 330 c.p.c., comma 2, sul rilievo che era ormai decorso il termine breve di impugnazione (la sentenza di primo grado era stata notificata il 27 gennaio 2005).

L’affermazione è evidentemente erronea.

L’assegnazione del termine (fino al 30 settembre 2005) per il rinnovo della notifica dell’appello ai germani G. consentiva all’appellante D. di utilizzare la modalità di notifica prevista dall’art. 330 c.p.c. – ovviamente nel domicilio indicato nell’atto di notificazione della sentenza di primo grado – non essendo decorso l’anno dalla pubblicazione della sentenza di primo grado (ex plurimis, Cass. Sez. U 18/06/2010, n. 14699).

Per principio generale, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice, la nullità dell’atto di notifica è sanabile con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ex art. 291 c.p.c. (Cass. Sez. U 20/07/2016, n. 14916).

14.2. Risulta poi altrettanto evidente che la costituzione nel giudizio di appello di G.S., che era anche uno degli eredi di G.G., comportava l’applicazione della disposizione contenuta nell’art. 331 c.p.c.

15. All’accoglimento del terzo e del quarto motivo del ricorso incidentale, nel quale rimangono assorbiti i rimanenti motivi, segue la cassazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da D.L. nei confronti degli eredi di G.G., ed il rinvio della causa al giudice designato in dispositivo, che procederà all’esame dell’appello anche provvedendo sulle spese del presente giudizio.

16. Al rigetto del ricorso principale segue la condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio, nella misura indicata in dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente principale.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo ed il quarto motivo del ricorso incidentale, assorbiti i rimanenti; rigetta il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata e rinvia, limitatamente ai motivi accolti, alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione; condanna il ricorrente principale a rimborsare alla resistente le spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 6.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2019

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