Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24052 del 26/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18985/2015 proposto da:

Banca Monte Dei Paschi Di Siena Spa, elettivamente domiciliato in Roma Via Antonio Bosio 2 presso lo studio dell’avvocato Luconi Massimo che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Z.A., elettivamente domiciliato in Roma Via G.B. Vico 31 presso lo studio dell’avvocato Scoccini Enrico che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Bosco Nicola;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 699/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/05/2019 da Dott. TRICOMI LAURA.

RITENUTO

CHE:

Il Monte dei Paschi di Siena propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma che ha confermato la prima decisione, con cui era stata accolta l’opposizione proposta da Z.A. e revocato il decreto ingiuntivo ottenuto dalla banca sulla considerazione che, avendo la banca, attrice in senso sostanziale, omesso di ridepositare il fascicolo di parte, comprendente anche il fascicolo della fase monitoria, e la annessa produzione documentale nel termine di cui all’art. 169 c.p.c., comma 2, non esisteva alcuna prova del credito ingiunto.

La Corte di appello, oltre a condividere e confermare la prima decisione, ha anche ritenuto che lo Z. avesse contestato esplicitamente tutti i titoli in ragione dei quali era stato richiesto il decreto ingiuntivo, e che l’originaria domanda della banca, riproposta con l’appello dovesse essere respinta perchè il deposito del fascicolo di parte compiuto da quest’ultima in sede di gravame era da ritenersi illegittimo, non già perchè introduceva nuove prove ex art. 345 c.p.c., ma perchè effettuato in violazione di un termine perentorio ex art. 169 c.p.c., comma 2 e ex art. 152 c.p.c. e ss..

La banca ricorre con tre mezzi; Z. replica con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

1. Preliminarmente va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente, atteso che l’atto introduttivo contiene una sufficiente esposizione dei fatti necessari alla disamina delle questioni sollevate, eminentemente processuali.

2.1. Va esaminato con priorità il terzo motivo in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., (Cass. Sez. U. n. 9936 del 08/05/2014; Cass. n. 363 del 09/01/2019; n. 11458 del 11/05/2018).

2.2. Il terzo motivo, con il quale si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 169, comma 2, art. 152 e ss., art. 245 c.p.c., art. 76 disp. att. c.p.c. e art. 24 Cost., ove la Corte ha escluso la possibilità per la banca di utilmente depositare il fascicolo di primo grado nel giudizio di appello ed affermato la tardività insanabile del relativo deposito, e si invoca il principio di acquisizione della prova (Cass. Sez. U. 23/12/2005, n. 28498), è fondato e va accolto.

2.3. Come già affermato da questa Corte, in fattispecie del tutto sovrapponibile, “La perentorietà del termine entro il quale, a norma dell’art. 169 c.p.c., comma 2, deve avvenire il deposito del fascicolo di parte ritirato all’atto della rimessione della causa al collegio, va riferita solo alla fase decisoria di primo grado e non può in alcun modo operare una volta che il procedimento trasmigri in appello, stante il riferimento dell’art. 345 c.p.c. alle sole prove nuove e, quindi, ai documenti che nel giudizio si pretenda di introdurre come “nuovi”, in quanto non introdotti prima del grado di appello, tra i quali non rientrano quelli contenuti nel fascicolo di parte di primo grado, ove prodotti nell’osservanza delle preclusioni probatorie di cui agli artt. 165 e 166 c.p.c. (Nella specie, la S.C., rigettando il ricorso, ha affermato che quando la parte che aveva omesso di ridepositare il fascicolo in una con la comparsa conclusionale in primo grado, produce in appello il detto fascicolo in cui i documenti erano stati prodotti nell’osservanza delle preclusioni probatorie previste in primo grado, compie un’attività che, riguardo alla reintroduzione nel processo dei documenti, non può in alcun modo considerarsi come di introduzione di nuove prove).” (Cass. n. 29309 del 06/12/2017; v. anche Cass. n. 26030 del 10/12/2014; Cass. n. 28462 del 19/12/2013).

Ne consegue che la decisione della Corte di appello è errata e va cassata, dovendosi ritenere ammissibile la produzione documentale in appello non trattandosi di prove nuove.

2.4. L’accoglimento del terzo motivo comporta l’assorbimento del primo, con il quale è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 169c.p.c., comma 2, artt. 208 e 245 c.p.c., nonchè degli artt. 76 e 77 disp. att. c.p.c. e art. 104 disp. att. c.p.c., comma 1 e del principio del “giusto processo” ex art. 24 Cost. quanto alle affermazioni sulla libera disponibilità del fascicolo di parte, sulla preliminare prospettazione che il Tribunale, preso atto dell’avvenuto ritiro del fascicolo di parte della banca non seguito della restituzione, avrebbe dovuto ordinarne la restituzione prima di decidere e che erroneamente la Corte di appello aveva escluso che tale obbligo gravasse sul giudice di primo grado.

3.1. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. con riferimento alla contestazione da parte dell’opponente del credito di Euro 13.360,00= fondato su quattro effetti cambiari, ritenuta dalla Corte di appello.

La banca sostiene che il credito in questione non aveva costituito oggetto dell’opposizione proposta dallo Z. e che, quindi, su tale importo si era formato il giudicato, di talchè erroneamente il Tribunale aveva ritenuto anche tale importo oggetto dell’opposizione revocando interamente il decreto ingiuntivo.

In particolare assume, che l’opposizione formulata in merito a dette cambiali dallo Z. non era specifica, ma “di mero stile”, con l’effetto di rendere applicabile il principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c.

Sostiene infine, che la Corte di appello, all’esito dell’esame delle cambiali e dei documenti allegati al fascicolo di parte ridepositato in appello, avrebbe comunque dovuto accogliere l’appello.

Il controricorrente (fol. 9) sostiene che al giudizio (atto di opposizione notificato alla banca il 23/12/2005) non si applicava l’art. 115 c.p.c. come novellato dalla L. n. 69 del 2009.

3.2. Il motivo è fondato e va accolto.

3.3. Innanzi tutto va osservato che, contrariamente a quanto sostenuto dai controricorrenti, in applicazione del principio di non contestazione già elaborato dalla giurisprudenza di legittimità a seguito della sentenza delle Sezioni Unite n. 761 del 23/2/2002, “Il convenuto, ai sensi dell’art. 167 c.p.c., è tenuto, anche anteriormente alla formale introduzione del principio di “non contestazione” a seguito della modifica dell’art. 115 c.p.c., a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall’attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata a negare genericamente la “sussistenza dei presupposti di legge” per l’accoglimento della domanda attorea, senza elevare alcuna contestazione chiara e specifica.” (Cass. n. 19896 del 6/10/2015; cfr. anche Cass. n. 27596 del 20/11/2008; Cass. n. 26624 del 22/10/2018).

Tale principio si applica anche all’opponente a decreto ingiuntivo, atteso che l’atto di opposizione si configura, sotto il profilo del contenuto, come una comparsa di risposta, che deve dunque presentare i requisiti di cui all’art. 167 c.p.c. (cfr. in tema, Cass. n. 22528 del 20/10/2006).

3.4. Nel caso in esame, il giudice di merito riporta testualmente i termini in cui la contestazione (del debito basato su cambiali) era stata fatta dall’opponente al decreto ingiuntivo, il quale si era limitato a dire che “non era stata data prova della sussistenza in conformità a quanto richiesto ineludibilmente dagli artt. 633 c.p.c. e segg…..”, utilizzando una formula che, alla stregua di quanto trascritto nella sentenza impugnata, appare non solo generica, ma anche ambigua, laddove si focalizza sulla inesistenza di una prova ex art. 633 c.p.c., il che a rigore significa che non esisteva la speciale prova scritta richiesta dalla norma processuale per l’emissione del decreto ingiuntivo e non già che non esisteva la prova tout court e, tanto meno, che il fatto non fosse vero.

Ne consegue la fondatezza del motivo, che va accolto.

4. In conclusione vanno accolti i motivi secondo e terzo del ricorso, assorbito il primo; la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma in diversa composizione che provvederà al riesame ed alla liquidazione delle spese di giudizio anche del presente grado.

P.Q.M.

– Accoglie i motivi secondo e terzo del ricorso, assorbito il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019

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