LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 21456/2015 proposto da:
CIET PIEMONTE SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PORTUENSE 104, presso ANTONIA DE ANGELIS, rappresentata e difesa dall’avvocato PIETRO CORDA;
– ricorrente –
contro
NUCLEO TURISTICO RESIDENZIALE PORTO CODA DI CAVALLO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PORTUENSE 104, presso ANTONIA DE ANGELIS, rappresentato e difeso dagli avvocati MARCELLO VIGNOLO, MASSIMO CESARE OTTAVIO MASSA;
– controricorrente –
nonchè
sul ricorso proposto da:
NUCLEO TURISTICO RESIDENZIALE PORTO CODA DI CAVALLO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PORTUENSE 104, presso lo studio dell’avvocato ANTONIA DE ANGELIS, rappresentato e difeso dagli avvocati MARCELLO VIGNOLO, MASSIMO CESARE OTTAVIO MASSA;
– ricorrente incidentale –
contro
CIET PIEMONTE SRL;
– intimata –
avverso la sentenza n. 297/2014 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, SEZ. DIST. di SASSARI, depositata il 26/06/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/09/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, il quale ha concluso per l’accoglimento del sesto motivo del ricorso principale e del secondo motivo del ricorso incidentale, con rigetto dei restanti motivi.
uditi gli Avvocati Corda e Massa.
FATTI DI CAUSA
Con citazione dell’8 novembre 2007 il Nucleo Turistico Residenziale Porto Coda di Cavallo, *****, convenne davanti al Tribunale di Nuoro la CIET Piemonte s.p.a. (poi denominata CIET Piemonte s.r.l.), deducendo: di essere un supercondominio composto dall’insieme dei condomini e delle altre strutture e costruzioni ricadenti nel territorio di cui al piano di lottizzazione “Salina Samba” del Comune di S. Teodoro”; che la lottizzazione era stata promossa dalla CIET Piemonte S.p.A.; che parte delle aree del piano di lottizzazione erano state cedute all’attore, fra le quali, in particolare, quella denominata E/2, individuata nella tavola 1 allegata al regolamento condominiale; che tale area era stata preservata dall’edificazione, in quanto destinata alla realizzazione delle infrastrutture di un porto, che la CIET si riservava di costruire nella salina prospiciente la lottizzazione. Il Nucleo Turistico Residenziale Porto Coda di Cavallo espose che la disciplina pattizia dell’area E/2 nei rapporti con la CIET era contenuta nell’art. 4 del regolamento condominiale, il quale prevedeva: 1) “il diritto perpetuo di superficie a norma degli artt. 952 c.c. e segg., per fare e mantenere al di sopra e al di sotto del suolo, tutte quelle infrastrutture e servizi che a suo insindacabile giudizio potrebbero essere necessarie od anche utili direttamente o indirettamente al futuro porto”; 2) “il diritto di costituire tutte le servitù attive e passive a favore e contro di quanto si realizzerà in attuazione del predetto diritto di superficie, allo scopo di collegare il porto con i servizi e gli impianti generali realizzati o realizzandi”; 3) che le vie di accesso al porto eventualmente realizzate sarebbero rimaste soggette a perpetua servitù di passaggio e pedonale “per accedere e recedere dalla viabilità pubblica al porto e al mare e viceversa”; 4) “il diritto di utilizzare e sfruttare nel migliore dei modi la zona E/2 con facoltà di dismettere alle autorità competenti, qualora utile e necessaria per la realizzazione del porto, le porzioni di terreno da queste indicate… e che insistono su detta zona E/2”; 5) “detti terreni si intendono pertanto di proprietà comune del nucleo sotto la condizione risolutiva secondo cui quando si renderà necessario, e sempre al fine della realizzazione del porto, di dismettere e/o comunque trasferire detti terreni all’autorità competente o ai terzi da questa indicati, i predetti terreni torneranno di proprietà della CIET, la quale avrà l’obbligo di trasferire gli stessi a chi di competenza, sempre ai fini della realizzazione del porto”; “qualora la condizione non si sia verificata entro 19 anni dalla data del deposito del presente Regolamento, tutti i terreni costituenti la zona E/2 si avranno per acquisiti al nucleo”.
L’attore Nucleo Turistico Residenziale Porto Coda di Cavallo dedusse ancora: che il Regolamento era stato depositato il 30 luglio 1985, sicchè i diciannove anni stabiliti per l’avveramento erano trascorsi senza che neppure fosse stato avviato il procedimento amministrativo per la costruzione del porto; che, pertanto, doveva accertarsi il mancato avveramento della condizione risolutiva e il consolidamento della proprietà piena ed esclusiva delle aree in capo allo stesso attore; che, conseguentemente, dovevano dichiararsi estinti i diritti di superficie e di servitù di cui all’art. 4 del regolamento; che, peraltro, la realizzazione del porto non era più giuridicamente possibile in ragione di norme giuridiche, le quali escludevano il rilascio della relativa autorizzazione (in particolare, il D.M. Ambiente 12 dicembre 1997, istitutivo dell’area marina protetta “*****”); che i diritti di superficie e di servitù erano comunque da dichiarare estinti per non uso ventennale, ai sensi degli artt. 954 e 1073 c.c.; che, in ogni modo, ad intendere che il Regolamento contemplasse vincoli perpetui alla proprietà e conferisse alla CIET un mandato irrevocabile, le relative pattuizioni dovevano dichiararsi nulle o inefficaci; che dovesse accertarsi l’abusiva occupazione ad opera di CIET (e perciò condannare la stessa al rilascio) di alcune aree della zona E/2 apprese per fini del tutto estranei alla realizzazione del porto (con particolare riguardo ad un’area di circa mq. 260, recintata e destinata a prato verde con ombrelloni e sedie a sdraio al servizio dei clienti dell’albergo).
La convenuta CIET Piemonte replicò che il Regolamento del Nucleo Turistico Residenziale Porto Coda di Cavallo le accordasse il diritto di utilizzare e sfruttare nel migliore dei modi la zona E/2, nonchè il diritto perpetuo di superficie e la facoltà di dismettere la stessa area alle autorità competenti quanto necessario per la realizzazione del porto, facoltà comunque impregiudicata dalla mancata verificazione della condizione risolutiva; allegò l’esistenza di altri diritti che l’art. 13 del Regolamento le attribuiva; espose che la realizzazione del porto fosse tuttora giuridicamente possibile.
Il Tribunale di Nuoro, con sentenza dell’11 luglio 2011, accertò il mancato avveramento della condizione risolutiva, di cui al quartultimo comma dell’art. 4 del Regolamento; dichiarò, pertanto, che il Nucleo Turistico Residenziale Porto Coda di Cavallo avesse acquistato la proprietà piena ed esclusiva dei terreni dell’area E/2; dichiarò, ancora, risolte per impossibilità sopravvenuta ovvero per mutuo dissenso ex art. 1372 c.c., le clausole dell’art. 4, attributive dei diritti di superficie e di servitù, nonchè della procura irrevocabile a vendere; affermò che la costruzione del porto doveva ritenersi ormai impossibile alla stregua delle disposizioni normative sopravvenute (decreto ministeriale del 12 dicembre 1997 e norme tecniche di attuazione del Piano paesaggistico regionale); evidenziò che comunque la CIET Piemonte non avesse dimostrato nè che la realizzazione del porto fosse ancora giuridicamente possibile, nè di avere un permanente interesse ad essa; ordinò, infine, il rilascio dell’area occupata dalla convenuta.
La CIET Piemonte propose appello principale e il Nucleo Turistico Residenziale Porto Coda di Cavallo propose appello incidentale. Le impugnazioni vennero parzialmente accolte dalla Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, del 26 giugno 2014, che dichiarò prescritti per non uso ventennale i diritti di superficie, di usufrutto e di servitù contenuti nel Regolamento di Comunione del Nucleo Turistico Residenziale Porto Coda di Cavallo, ma rigettò la domanda del Nucleo Turistico Residenziale Porto Coda di Cavallo relativamente alla facoltà di dismettere alle autorità competenti, qualora necessario per la realizzazione del porto, le porzioni di terreno che insistono su detta zona E/2, nonchè relativamente al mandato a dismettere, trasferire o vendere le medesime porzioni di terreno sempre al fine della realizzazione del porto. La sentenza d’appello condannò, infine, la CIET Piemonte al risarcimento del danno per l’abusiva occupazione, da liquidare in separato giudizio.
La Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, ha ritenuto infondato il primo motivo dell’appello principale, secondo il quale il Regolamento doveva qualificarsi come donazione nulla per difetto di forma, ravvisando in esso, al contrario, un regolamento condominiale di natura contrattuale. Quanto al secondo motivo del gravame della CIET, i giudici d’appello hanno osservato come neppure la decisione del Tribunale avesse negato che la CIET Piemonte, originaria proprietaria esclusiva del complesso immobiliare, ben poteva riservarsi diritti su parte delle aree comuni. Peraltro, la Corte d’Appello è pervenuta alla dichiarazione di estinzione dei diritti che il costruttore si era riservato sulla base di diversa motivazione rispetto al Tribunale, ovvero argomentando dal non uso, visto che nessun porto o infrastruttura ad esso funzionale erano stati realizzati. In particolare, non potendosi intendere come perpetui i diritti di superficie della CIET Piemonte di “fare la costruzione”, attribuiti dall’art. 4 e dall’art. 13, come quello di usufrutto, contenuto nel medesimo art. 13, gli stessi dovevano intendersi prescritti. La Corte d’Appello accolse, invece, il profilo di censura circa la non ravvisabilità di una oggettiva ed assoluta impossibilità giuridica di realizzazione del programmato porto. Peraltro, pur avendosi per acquisiti definitivamente al Nucleo Turistico Residenziale i terreni costituenti la zona E/2, stante il decorso dei diciannove anni, il penultimo comma dell’art. 4 del Regolamento faceva pur sempre “salva la facoltà per la CIET di dismettere a favore delle Autorità competenti, qualora necessario per la realizzazione del porto, le porzioni di terreno da queste indicate, ancorchè ad oggi non individuate e che insistono su detta zona E/2”; mentre dell’art. 4, u.c., aggiungeva che “per la concretizzazione e l’attuazione di quanto previsto nel presente articolo è comunque conferito dalla comunione del Nucleo alla società CIET mandato irrevocabile, perchè conferito anche nell’interesse della mandataria stessa, consentendo ogni e qualunque atto, ivi compresa la dismissione, il trasferimento e vendita delle porzioni di terreno, ai fini della realizzazione del porto”. Ciò, per la sentenza impugnata, induceva a reputare “tuttora vigente” il mandato irrevocabile a vantaggio della CIET Piemonte.
La CIET Piemonte s.r.l. ha proposto ricorso articolato in sei motivi.
Il Nucleo Turistico Residenziale Porto Coda di Cavallo ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale articolato in due motivi.
Le parti hanno presentato memorie ex art. 378 c.p.c., in data 2 e 3 settembre 2019.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I. Il primo motivo di ricorso della CIET Piemonte s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1138 c.c.. La ricorrente principale sostiene che il “regolamento di condominio” disciplina i diritti e gli obblighi dei condomini, “tra i quali evidentemente non rientra il Nucleo”, sicchè avrebbe errato la Corte d’Appello a sostenere che il regolamento in esame aveva trasferito gratuitamente al Nucleo un diritto reale sull’area E/2, trattandosi, piuttosto, di donazione nulla per mancanza di forma e di bilateralità.
Il secondo motivo di ricorso della CIET Piemonte s.r.l. deduce la violazione dell’art. 1138 c.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo: si ribadisce la doglianza che il regolamento non potesse trasferire diritti reali immobiliari al Nucleo.
Il terzo motivo di ricorso della CIET Piemonte s.r.l. denuncia la violazione dell’art. 100 c.p.c. e il difetto di interesse e di legittimazione a proporre il giudizio del Nucleo (“inteso come soggetto autonomo”), ove si intendesse che con il regolamento era stato attribuito un diritto reale ai condomini.
I.1. I primi tre motivi del ricorso della CIET Piemonte s.r.l. vanno trattati congiuntamente perchè connessi e si rivelano del tutto infondati.
Non è oggetto di alcuno specifico motivo di ricorso, ed è perciò coperta da giudicato interno, la questione inerente alla qualificazione in termini di “supercondominio” del contesto proprietario denominato Nucleo Turistico Residenziale Porto Coda di Cavallo, composto dall’insieme dei condomini e delle altre strutture e costruzioni ricadenti nel territorio di cui al piano di lottizzazione “*****” del Comune di S. Teodoro”.
L’interpretazione di questa Corte sostiene abitualmente che il regolamento di un supercondominio, predisposto dall’originario unico proprietario del complesso di edifici, accettato dagli acquirenti nei singoli atti di acquisto e trascritto nei registri immobiliari, in virtù del suo carattere convenzionale, vincola tutti i successivi acquirenti senza limiti di tempo, non solo relativamente alle clausole che disciplinano l’uso ed il godimento dei servizi e delle parti comuni, ma anche per quelle che restringono i poteri e le facoltà sulle loro proprietà esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca (Cass. Sez. 2, 13/06/2013, n. 14898). Si tratta, in tali casi, di regolamenti di formazione unilaterale ad origine esterna, provenienti dall’autore dell’attribuzione ed antecedenti alla nascita della comunione, i quali danno luogo, in senso proprio, alle “convenzioni” che dell’art. 1138 c.c., comma 4, parifica agli “atti di acquisto” quali fonti dei “diritti di ciascun condomino”.
La Corte d’Appello di Sassari ha dunque inteso che, per effetto del Regolamento del supercondominio Nucleo Turistico Residenziale Porto Coda di Cavallo, la proprietà dell’area E/2 fosse stata trasferita a quest’ultimo. Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, il regolamento di condominio di contenuto convenzionale, predisposto dall’originario unico proprietario dell’intero edificio ed accettato dagli iniziali acquirenti dei singoli appartamenti, e perciò espressione di autonomia negoziale, ben può attribuire la comproprietà di cose, non incluse tra quelle elencate nell’art. 1117 c.c., ai condomini partecipanti al complesso, indipendentemente dalla sussistenza di fatto del rapporto di strumentalità che determina la costituzione ex lege del condominio edilizio (e dello stesso supercondominio) (cfr. Cass. Sez. 2, 10/02/1994, n. 1366; Cass. Sez. 2, 11/11/2002, n. 15794; Cass. Sez. 2, 21/02/2017, n. 4432; Cass. Sez. 2, 20/11/2018, n. 29908).
Sulla base di tali considerazioni, è agevole concludere che: 1) essendo un tale regolamento idoneo a modificare gli effetti giuridici traslativi derivanti dal contratto di acquisto delle unità immobiliari comprese nel supercondominio, giammai lo stesso è configurabile come atto di liberalità; 2) la “questione”, espressamente decisa nella sentenza impugnata, non dà comunque luogo ad un “fatto” non esaminato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; 3) trattandosi di azione reale esperita contro un terzo e diretta ad ottenere statuizioni relative alla tutela dei diritti reali dei condomini su un’area comune facente parte del supercondominio, essa rientra nel novero degli atti conservativi, al cui compimento l’amministratore del supercondominio è legittimato ex art. 1130 c.c., n. 4 (arg. da Cass. Sez. 2, 26/08/2013, n. 19558).
quarto motivo di ricorso della CIET Piemonte s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 952,954,2936 c.c., violazione dei principi generali di cui all’art. 1470 c.c., ed omesso esame di fatto decisivo.
La ricorrente principale critica la declaratoria di prescrizione per non uso dei diritti e delle facoltà che la costruttrice si era riservati negli artt. 4 e 13 del Regolamento, mancando prova della prescrizione, ed evidenzia come “molto diverso” dalla superficie ex art. 952 c.c., sia il caso di chi, essendo pieno proprietario di un terreno, decida di trasferirlo privandolo dall’origine, come avvenuto nella specie, di diritti e facoltà “trattenute per sè”, quali quello di superficie e di “utilizzare” o “sfruttare nel migliore dei modi la zona E/2”. Il Nucleo non avrebbe poi nemmeno provato per quanto tempo la CIET non aveva utilizzato i propri diritti.
II.1. Anche questo quarto motivo del ricorso principale risulta sprovvisto di qualsiasi fondamento.
Il contratto di vendita di un suolo con riserva, da parte del venditore, del diritto di costruire su un’area contiene due negozi reciproci, l’uno avente ad oggetto il trasferimento della proprietà del suolo dall’alienante allo acquirente, l’altro la costituzione, per l’appunto, di un diritto di superficie da parte del secondo in favore del primo (cfr. Cass. Sez. 1, 02/05/1983, n. 3021; Cass. Sez. 2, 15/06/1981, n. 3863).
Il diritto di fare una costruzione al di sopra del suolo alienato, che il venditore si sia riservato, si estingue poi certamente per non uso, ai sensi dell’art. 954 c.c., u.c., se, come nella specie accertato in fatto, entro il ventennio la costruzione non sia stata edificata quanto meno nella struttura essenziale. Il termine ventennale di prescrizione per non uso del diritto di superficie comincia a decorrere dal momento stesso della costituzione del diritto, e neppure rimane sospeso dal sopraggiungere di disposizioni urbanistiche sulla tutela del paesaggio, che abbiano inibito nuove costruzioni, stante la tassatività dei casi di sospensione previsti negli artt. 2941 e 2942 c.c. (arg. da Cass. Sez. 2, 07/04/2014, n. 8084; Cass. Sez. 2, 29/01/2018, n. 2092; Cass. Sez. 2, 20/07/1987, n. 6364).
Anche l’usufrutto va soggetto a prescrizione estintiva a seguito del non uso da parte dello usufruttuario protratto per venti anni (art. 1014 c.c., n. 1), non essendo più previsto un usufrutto perpetuo dal Codice Civile vigente, il cui art. 979 c.c., comma 2, stabilisce altresì che l’usufrutto non può avere una durata maggiore di trent’anni se costituito a favore di una persona giuridica (arg. da Cass. Sez. 2, 21/11/1978, n. 5413; Cass. Sez. 2, 12/05/2011, n. 10453).
Il quarto motivo di ricorso fa altrimenti riferimento ad ulteriori facoltà di utilizzare la zona E/2 riservate alla CIET Piemonte, che non sarebbero state soggette a prescrizione. La generica prospettazione adombra la figura di un “utile dominio”, quale diritto reale a sè stante, corrispondente ad un ius in re aliena che non è configurato nella disciplina positiva come rapporto giuridico autonomo, essendo i diritti reali di godimento un numerus clausus e non potendosi consentire, al di fuori dei casi previsti dalla legge, rapporti di natura perpetua, giacchè contrari ad interessi di natura pubblicistica (cfr. Cass. Sez. 3, 26/09/2000, n. 12765; anche Cass. Sez. 2, 26/03/1968, n. 944).
Inoltre, quanto alle doglianze sulla mancata prova della prescrizione per non uso, deve considerarsi come, in tema di prescrizione di uno ius in re aliena, la ripartizione dell’onere della prova va risolto applicando il generale principio secondo cui, essendo quella di prescrizione una eccezione in senso proprio (art. 2939 c.c.), la prova dei fatti su cui l’eccezione si fonda (art. 2697 c.c., comma 2) deve darsi da chi l’abbia proposta, con la dimostrazione che il titolare non abbia esercitato il diritto per almeno un ventennio (arg. da Cass. Sez. 2, 12/06/1991, n. 6647). Avendo la Corte d’Appello, con accertamento proprio dei giudici del merito, appurato in fatto che la CIET Piemonte non aveva edificato entro il ventennio quanto meno le strutture essenziali delle costruzioni che aveva il diritto di fare nella zona E/2, spettava, all’inverso, proprio alla CIET Piemonte di dar prova di aver interrotto il decorso della prescrizione mediante un’attività edificatoria che esprimesse il “facere” in cui si sostanzia il diritto di superficie.
Il riferimento fatto nella rubrica del quarto motivo all’omesso esame di fatto decisivo non si attiene al vigente parametro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, n. 83, conv. in L. n. 134 del 2012: tale disposizione delinea un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo al solo omesso esame di un fatto storico, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), e che il ricorrente deve denunciare nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, fermo restando che mai può essere integrato il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
III. Il quinto motivo di ricorso della CIET Piemonte s.r.l. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2056 c.c., quanto alla condanna generica decretata dalla Corte d’Appello per l’occupazione abusiva dell’area E/2: assume la ricorrente che tale occupazione era in realtà avvenuta nel legittimo esercizio dei diritti riservati alla CIET negli artt. 4 e 13 del Regolamento, non potendosi comunque ritenere sussistente un danno in re ipsa.
111.1. L’infondatezza del quinto motivo del ricorso principale è in parte conseguenza diretta del rigetto del quarto motivo del ricorso.
La CIET Piemonte non aveva più alcun titolo ad occupare l’area E/2, in quanto i diritti reali, di fonte convenzionale, che vantava riguardo ad essa, si erano ormai estinti. E’, dunque, a far tempo dall’accertata estinzione di tali diritti – i quali avevano reso, viceversa, medio tempore legittima l’occupazione dell’area in questione – che risulta astrattamente configurabile il risarcimento del danno.
Questa Corte ha più volte sostenuto, sin da remoti precedenti, che il proprietario ha pieno diritto di usare e godere della cosa propria secondo la naturale destinazione della stessa, per cui qualsiasi intervento del vicino diretto a limitare tale uso e godimento costituisce turbativa del diritto di proprietà sul bene e legittima il proprietario a chiedere non solo la tutela in forma specifica, mediante cessazione di tale turbativa e ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, ma anche il risarcimento dei danni; arrivando spesso alla conclusione che il danno, in tale ipotesi, è in re ipsa, in quanto automatica conseguenza della limitazione del godimento e della diminuzione temporanea del valore della proprietà, senza neppure che vi sia necessità di una specifica attività probatoria, salva concreta determinazione del danno stesso in sede di liquidazione, cui eventualmente procedere anche in via equitativa. In tal senso, l’azione risarcitoria si dice volta a porre rimedio all’imposizione di una servitù di fatto, causa di un inevitabile perdita di valore del fondo che si produce per l’intero periodo di tempo anteriore all’eliminazione dell’abuso (cfr. indicativamente, di recente Cass. Sez. 2, 31/08/2018, n. 21501; Cass. Cass. Sez. 2, 16/12/2010, n. 25475; ed invece, in epoca ben più risalente, Cass. Sez. 2, 03/10/1974, n. 2576; Cass. Sez. 2, 23/02/1965, n. 299; Cass. Sez. 2, 21/07/1962, n. 2007).
Vanno altresì richiamate altre pronunce di questa Corte che, parallelamente all’analogo percorso seguito per i danni non patrimoniali, negano l’astratta risarcibilità in re ipsa dei danni subiti dal proprietario per la perdita o la diminuzione della disponibilità del bene, affermando la necessaria correlazione della medesima risarcibilità al rapporto causale intercorrente tra “condotta materiale”, “evento lesivo” e “conseguenza dannosa”, sicchè identiche risulterebbero le esigenze di prova sia per l’an che per il quantum – del danno non patrimoniale o patrimoniale (cfr. ad esempio, Cass. Sez. 3, 25/05/2018, n. 13071; Cass. Sez. 3, 04/12/2018, n. 31233).
In realtà, anche allorchè si confuta in giurisprudenza la configurabilità di un danno in re ipsa subito dal proprietario per l’indisponibilità della cosa, si riconosce comunque all’interessato la facoltà di darne prova mediante ricorso a presunzioni semplici o al fatto notorio, onerando lo stesso di indicare tutti gli elementi, le modalità e le circostanze della situazione, da cui quali, in presenza dei requisiti stabiliti dagli artt. 2727 e 2729 c.c., possa desumersi l’esistenza e l’entità del concreto pregiudizio patrimoniale subito.
Il danno patrimoniale correlato alla limitazione del godimento ed alla diminuzione temporanea del valore della proprietà imporrebbe, così, per scongiurare la meccanica identificazione del danno risarcibile con l’evento dannoso, quanto meno l’allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l’intenzione concreta del proprietario di impiegare l’immobile per finalità produttive nel periodo della sua illegittima occupazione, atteso che il consentito utilizzo in materia delle presunzioni attiene all’attività probatoria e non anche a quella assertiva. E’ al riguardo però difficile superare l’obiezione, diffusa in dottrina, secondo cui non vale, in concreto, a garantire la risarcibilità del danno-conseguenza da occupazione di immobile la sola imposizione di un onere di allegazione che consenta al giudice di far uso delle presunzioni semplici, divenendo comunque così in re ipsa la prova del pregiudizio.
Nel caso in esame, la Corte d’Appello ha tuttavia pronunciato una statuizione di condanna generica al risarcimento del danno, sicchè non ha ragione la ricorrente principale di dolersi che non sia stata data prova del pregiudizio effettivamente subito dal Nucleo.
La privazione del possesso conseguente all’abusiva occupazione di un immobile altrui – nella specie, come precisato, a far tempo dall’estinzione degli ius in re aliena che inizialmente avevano giustificato la disponibilità della area da parte della CIET Piemonte – costituisce un fatto potenzialmente causativo di effetti pregiudizievoli ed idoneo a legittimare la pronunzia di condanna generica al risarcimento del danno, la quale di per sè non esclude la possibilità di verificare, in sede di liquidazione, la insussistenza di un danno risarcibile (Cass. Sez. 6 – 2, 04/12/2018, n. 31353; Cass. Sez. 2, 05/06/2012, n. 9043; Cass. Sez. 2, 14/07/1979, n. 4129).
IV. Il sesto motivo di ricorso della CIET Piemonte s.r.l. denuncia la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., in quanto l’attore Nucleo Turistico Residenziale Porto Coda di Cavallo si era limitato a domandare la dichiarazione di estinzione del diritto di superficie e degli altri diritti sulla zona E/2 che la CIET Piemonte si era riservata in base all’art. 4 del Regolamento, senza citare gli ulteriori diritti, peraltro imprescrittibili, che la venditrice si era riservata con l’art. 13 del medesimo Regolamento e che tuttora legittimavano l’occupazione dell’area.
IV.1. Anche quest’ultimo motivo è infondato, in parte per conseguenza diretta del rigetto del quarto motivo dello stesso ricorso principale. I giudici del merito hanno accolto la domanda di rilascio dell’area E/2 avanzata dal Nucleo Turistico Residenziale Porto Coda di Cavallo dopo aver accertato che la CIET Piemonte non avesse titolo ad occupare la stessa, per l’estinzione dei diritti reali che quest’ultima si era riservata.
I diritti di cui all’art. 13 del Regolamento erano stati, peraltro, dedotti in lite dalla convenuta CIET Piemonte s.r.l..
Poichè l’azione proposta dal Nucleo Turistico Residenziale Porto Coda di Cavallo era volta a chiarire la reale situazione giuridica dell’area E/2, essa implicava sia l’accertamento positivo della proprietà del supercondominio attore sia quello negativo circa l’inesistenza dei diritti vantati dalla convenuta CIET Piemonte s.r.l., non incorrendo, perciò, nel vizio di ultrapetizione la sentenza che, nell’accertare il diritto dedotto dall’attore, abbia negato nel contempo espressamente i diritti (nella specie, quelli attribuiti altresì dall’art. 13 del Regolamento) pretesi dalla controparte sullo stesso bene, costituendo tale negazione la ragione giuridica dell’accoglimento della pretesa dell’attore (arg. da Cass. Sez. 2, 23/08/1978, n. 3930).
V. Il primo motivo del ricorso incidentale del Nucleo Turistico Residenziale Porto Coda di Cavallo denuncia la violazione degli artt. 115,167 c.p.c. e art. 345 c.p.c., comma 2, insistendo per la tardività della domanda e quindi l’inammissibilità del primo motivo di appello (inammissibilità invero esclusa dalla Corte di Sassari) attinente alla nullità del regolamento, in quanto qualificabile come donazione.
V.I. Il primo motivo del ricorso incidentale è proposto in via dichiaratamente condizionata rispetto all’accoglimento delle censure della CIET Piemonte sulle questioni poste con i tre motivi del ricorso principale. D’altro canto, si tratta di motivo di ricorso incidentale su questione pregiudiziale di rito oggetto esplicita di decisione (quale, nella specie, l’inammissibilità della domanda proposta in appello), proposto dalla parte vittoriosa sul merito in relazione al rispettivo capo di pronuncia. Tale primo motivo del ricorso incidentale non deve perciò essere esaminato per carenza dell’attualità dell’interesse, stante l’infondatezza dei primi tre motivi del ricorso principale (Cass. Sez. U, 25/03/2013, n. 7381).
VI.II secondo motivo del ricorso incidentale del Nucleo Turistico Residenziale Porto Coda di Cavallo deduce la violazione e falsa applicazione del D.M. 12 dicembre 1997 e della L. n. 979 del 1982, l’illogicità ed incongruità della motivazione e l’omessa pronuncia su un capo della domanda. La censura cita “un insieme di norme giuridiche” che rendono ormai impossibile la realizzazione del porto nell’area di *****, rendendo privo di ragione il mandato conferito alla CIET. Si lamenta, inoltre, la mancata pronuncia sul capo di domanda che ravvisava nella procura irrevocabile a vendere una violazione dell’art. 1379 c.c., il quale non ammette vincoli perpetui limitativi del diritto di proprietà, con conseguente nullità del mandato, dovendosi altrimenti quanto meno stabilire un termine congruo ex art. 1183 c.c., comma 2.
VI.1. Questo secondo motivo del ricorso incidentale del Nucleo Turistico Residenziale Porto Coda di Cavallo è fondato nei termini di seguito specificati.
La questione della oggettiva ed assoluta impossibilità giuridica di realizzare il porto nella zona E/2, esclusa dalla Corte d’Appello, suppone un accertamento di fatto riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità unicamente nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La sentenza impugnata, dato per “pacifico che nessun porto sia stato realizzato” (pagina 8) e confermata l’estinzione dei diritti vantati dalla CIET Piemonte (pagina 9), ha però ritenuto non soggetto a prescrizione nè “suscettibile di risoluzione” il “mandato irrevocabile” conferito con dell’art. 4, u.c., del Regolamento alla CIET, anche nell’interesse della mandataria stessa, in modo da consentirle “ogni e qualunque atto, ivi compresa la dismissione, il trasferimento e vendita delle porzioni di terreno, ai fini della realizzazione del porto”. Non essendo stata provata una “giusta causa idonea a determinare l’estinzione del mandato irrevocabile” convenuto a vantaggio della CIET Piemonte, lo stesso è stato ritenuto “tuttora vigente” dai giudici di secondo grado.
In tal modo, senza peraltro tener conto delle deduzioni proposte dal Nucleo Turistico Residenziale Porto Coda di Cavallo a sostegno delle proprie domande, la Corte d’Appello ha erroneamente desunto dall’interesse del mandatario al mandato, che incide sulla sua revocabilità agli effetti dell’art. 1723 c.c., comma 2, la natura “perpetua” dello stesso mandato a dismettere, trasferire o vendere le aree comprese nella zona E/2.
Deve invece negarsi che le parti di un contratto di mandato siano vincolate all’impegno assunto per un tempo indefinito, spiegandosi lo stesso mandato “a tempo indeterminato”, contemplato dell’art. 1725 c.c., comma 2, non come mandato “senza termine” per il compimento di un dato atto, nella specie negoziale (come il mandato ad alienare), ma come mandato conferito per una serie indeterminata di atti. Ai sensi dell’art. 1722 c.c., n. 1, il mandato che abbia per oggetto il compimento di un determinato atto negoziale o giuridico in senso stretto si estingue con la scadenza del termine prefissato dalle parti o determinato, in mancanza, dal giudice, ai sensi dell’art. 1183 c.c., su istanza della parte che vi ha interesse (cfr. Cass. Sez. 1, 28/07/1995, n. 8243; Cass. Sez. 1, 16/01/1976, n. 145); l’art. 1722, n. 1, c.c. delinea, invero, il termine come modalità di adempimento ed è coerente con l’intera disciplina codiscistica in tema di mandato, incentrata sul potere-dovere del mandatario di agire per conto del mandante.
Nel caso di specie, la stessa Corte d’appello ha accertato che il mandato accordato alla CIET di dismettere, trasferire o vendere le porzioni di terreno in contesa fosse funzionale, nell’ambito del programma negoziale convenuto tra le parti, a quanto “necessario per la realizzazione del porto”, ovvero alla “concretizzazione” e “attuazione” di quanto appunto previsto nell’intero art. 4 del Regolamento, sicchè la durata di tale mandato, pur in difetto di un apposito termine di adempimento convenzionalmente fissato, non poteva non ritenersi ragionevolmente correlata ai medesimi limiti cronologici che connotavano i concorrenti diritti sull’area riservati alla società. Peraltro, un mandato a vendere in rem propriam (quale quello che la Corte d’Appello di Sassari ha ravvisato negli ultimi due commi dell’art. 4 del Regolamento oggetto di lite) preclude al mandante la stessa possibilità di alienare direttamente il bene (come si desume dall’art. 1723 c.c., comma 2 e art. 1724 c.c.). Ciò si risolverebbe, allora, in un divieto di alienazione, che, alla luce dell’art. 1379 c.c., rende essenziale, a pena altrimenti di nullità, la previsione di un termine ultimo di durata del mandato, decorso il quale l’incarico deve intendersi cessato. La Corte d’Appello avrebbe altrimenti dovuto prendere in considerazione la questione, riproposta dall’appellato Nucleo Turistico Residenziale Porto Coda di Cavallo e comunque rilevabile anche d’ufficio, della liceità o meno del mandato irrevocabile senza termine a dismettere, trasferire o vendere le porzioni di terreno, conferito nel Regolamento alla CIET Piemonte, alla luce del disposto di cui all’art. 1379 c.c., che limita gli effetti del divieto di alienare stabilito con contratto, stabilendo che tale divieto vincola solo le parti e non è valido se non è contenuto entro convenienti limiti di tempo e se non risponde ad un apprezzabile interesse di una delle parti. L’interpretazione consolidata di questa Corte spiega l’art. 1379 c.c., con riguardo alle sue condizioni di validità – limite temporale di durata e rispondenza ad apprezzabile interesse di una parte -, come norma espressione di un principio di portata generale, applicabile perciò anche a pattuizioni che, se pur non puntualmente riconducibili al paradigma del divieto di alienazione, comportino comunque limitazioni altrettanto incisive del diritto di proprietà (Cass. Sez. 2, 20/06/2017, n. 15240; Cass. Sez. 2, 17/11/1999, n. 12769; Cass. Sez. 1, 11/04/1990, n. 3082), quale, nella specie, l’attribuzione riservata al venditore del potere di disporre giuridicamente del bene senza limiti di tempo.
VII. Il ricorso principale della CIET Piemonte s.r.l. deve, pertanto, essere rigettato, mentre va accolto il secondo motivo del ricorso incidentale del Nucleo Turistico Residenziale Porto Coda di Cavallo e va dichiarato assorbito il primo motivo dello stesso ricorso incidentale.
La sentenza impugnata viene cassata, in relazione alla censura accolta del ricorso incidentale, con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in diversa composizione, la quale terrà conto dei rilievi svolti e si uniformerà ai richiamati principi, provvedendo anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione respinta.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale della CIET Piemonte s.r.l. deve, accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale del Nucleo Turistico Residenziale Porto Coda di Cavallo e dichiara assorbito il primo motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in diversa composizione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2019
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