Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.10068 del 28/05/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano rel. Consiglie – –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28779-2018 proposto da:

GERO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI BETTOLO n. 6, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO CASTELLANO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANCARLO TORTORICI;

– ricorrente –

contro

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELL’ACCADEMIA AMBROSIANA n. 41, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO MARINI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6141/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/02/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 14.11.2006 G.A. evocava in giudizio Ge.Ro. S.r.l. innanzi il Tribunale di Tivoli, sezione distaccata di Castelnuovo di Porto, per sentir dichiarare la risoluzione del contratto preliminare intercorso tra le parti in data 13.4.2006 per inadempimento della società convenuta, promittente venditrice, nonchè la condanna della medesima al pagamento del doppio della caparra ed alla restituzione dell’ulteriore acconto percepito, per un totale di Euro 240.000.

Si costituiva la convenuta resistendo alla domanda e spiegando altresì domanda riconvenzionale per l’accertamento dell’intervenuta risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del promissario acquirente e del proprio diritto a trattenere la caparra e l’acconto percepito in esecuzione del predetto contratto.

Con sentenza n. 352/2009 il Tribunale, ritenendo non essenziale, anche alla luce del comportamento delle parti, il termine fissato dal contratto preliminare per la comunicazione della data del rogito di compravendita, rigettava la domanda riconvenzionale e, in parziale accoglimento di quella principale, dichiarava risolto il contratto stesso condannando Ge.Ro. S.r.l. alla restituzione della somma di Euro 140.000 complessivamente versata dal promissario acquirente.

Interponeva appello Ge.Ro. S.r.l. e si costituiva in seconde cure il G., resistendo al gravame.

Con la sentenza impugnata, n. 6141/2017, la Corte di Appello di Roma rigettava il gravame condannando l’appellante alle spese del grado.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione Ge.Ro. S.r.l. affidandosi a sei motivi.

Resiste con controricorso G.A..

Ambedue le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Con ulteriore atto depositato il 10.2.2020, il procuratore del controricorrente ha chiesto un colloquio, rappresentando la “preoccupazione” che la proposta del relatore potesse “portare da sola alla decisione”.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va rigettata l’istanza del procuratore del controricorrente, poichè l’adunanza prevista dall’art. 380-bis c.p.c. non è partecipata; di conseguenza; la difesa delle parti è assicurata, nello specifico procedimento descritto dalla norma appena richiamata, dalle sole difese scritte, senza possibilità di interlocuzione orale tra il difensore della parte ed il collegio, nè di comparizione dello stesso in adunanza. In ogni caso, va evidenziato che la proposta del relatore, prevista espressamente dall’art. 380-bis c.p.c., pur costituendo uno degli atti in cui si articola il procedimento innanzi la Corte di Cassazione, contiene soltanto l’anticipazione dell’opinione di uno dei componenti del collegio, viene notificata alle parti con finalità sollecitatorie del contraddittorio sui punti salienti della controversia, non sostituisce di certo la deliberazione collegiale del ricorso nè condiziona in alcun modo la decisione del collegio stesso.

Passando all’esame dei motivi di ricorso, vanno scrutinati innanzitutto il terzo, quarto, quinto e sesto, che meritano una trattazione congiunta. Con essi la società ricorrente lamenta, rispettivamente:

– la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. e dell’art. 2 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 (terzo motivo) perchè la Corte capitolina avrebbe dovuto ritenere tollerabile l’inadempimento di una delle parti perchè non idoneo, in ragione della sua scarsa importanza, a pregiudicare in modo apprezzabile l’interesse dell’altra parte;

– l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 (quarto motivo) perchè la Corte di Appello non avrebbe considerato il comportamento extraprocessuale del promissario acquirente, che aveva chiesto ed ottenuto uno slittamento della data inizialmente prevista per il rogito di compravendita in ragione delle sue difficoltà di reperire il finanziamento bancario necessario per perfezionare l’acquisto;

– la violazione e falsa applicazione dell’art. 1455 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 (quinto motivo) perchè il giudice di seconde cure avrebbe ravvisato la responsabilità di Ge.Ro. S.r.l. senza compiere alcuna valutazione in merito alla gravità dell’inadempimento;

– l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 (sesto motivo) perchè la Corte romana avrebbe dovuto ammettere la prova orale articolata da Ge.Ro. S.r.l., finalizzata alla dimostrazione dell’esistenza di un accordo per il differimento della data prevista per il rogito di compravendita.

Tutte le richiamate censure, che attingono il tema della valutazione dell’esistenza e della gravità dell’inadempimento e meritano quindi un esame congiunto, sono fondate.

La Corte territoriale ha infatti affermato che “Nella fattispecie in esame è pacifica dalla ricostruzione delle circostanze, demandata dalla Suprema Corte (Cass. 22/10/2013 n. 22454) al giudice di merito, la non essenzialità del termine” (cfr. pag. 4). Una volta esclusa la natura essenziale del termine previsto dal contratto preliminare, art. 11, la Corte di Appello avrebbe dovuto procedere alla valutazione del comportamento delle parti, al fine di verificare la configurabilità dell’inadempimento colpevole di una di esse e di apprezzarne la gravità. Viceversa la Corte capitolina ha affermato, nella proposizione immediatamente successiva al passaggio motivazionale appena riportato, che “Pertanto il contratto preliminare non si risolve di diritto, ma l’inadempimento permane e deve porsi a carico dell’odierna appellante la quale non ha dimostrato l’esistenza di un accordo verbale per differire la data dai 30 giugno 2006, ritenuta correttamente dal Giudice di primo grado non essenziale, al 28 luglio 2006, mancando per quest’ultima data l’inoltro della prescritta comunicazione con raccomandata a.r., come disposto dal contratto preliminare, art. 11” (cfr. sempre pag. 4). In tal modo il giudice di merito, dopo aver escluso -con la prima proposizione- la natura essenziale del termine di 20 giorni rispetto alla data del 30,6,2006 inizialmente prevista per il rogito (fissato dall’art. 11 del preliminare), ha subito dopo affermato – con la seconda proposizione – la centralità di detto termine, ritenendo la società promittente venditrice inadempiente al contratto per il solo fatto di non averlo rispettato in riferimento alla data posticipata del 28.7.2006. In tale passaggio motivazionale si configura un irriducibile contrasto logico, in quanto se il termine non ha natura essenziale, il suo mancato rispetto – in relazione tanto alla prima che alla seconda data prevista per il rogito – non può essere ritenuto ex se decisivo ai fini del giudizio sull’inadempimento.

Inoltre, con la seconda proposizione la Corte capitolina ha omesso qualsiasi apprezzamento concreto circa l’esistenza e la gravità dell’inadempimento di una delle parti, poichè l’affermazione che “l’inadempimento permane” postula l’avvenuto accertamento dell’esistenza dell’inadempimento stesso, cosa che invece, anche nei successivi passaggi logici della sentenza impugnata, nel caso di specie manca del tutto. Così argomentando, il giudice di merito ha statuito in contrasto con il principio affermato da questa Corte, secondo cui “Nei contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in caso di inadempienze reciproche, il giudice di merito è tenuto a formulare un giudizio -incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato- di comparazione in merito al comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi ed all’oggettiva entità degli inadempimenti (tenuto conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche e soprattutto degli apporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della incidenza di queste sulla funzione economico-sociale del contratto), si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale. In difetto di prova sulla causa effettiva e determinante della risoluzione, il giudice non potrà dichiarare risolto il vincolo contrattuale per inadempienze equivalenti delle parti, ma dovrà limitarsi al rigetto di entrambe le domande per l’insussistenza dei fatti giustificativi posti a sostegno di esse” (Cass. Sez.3, Sentenza n. 13840 del 09/06/2010, Rv. 613278; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20614 del 24/09/2009, Rv. 609629).

La semplice affermazione secondo cui la società promittente venditrice aveva l’onere di dimostrare l’esistenza di un accordo per il differimento della data del rogito dal 30 giugno al 28 luglio 2006 non è appagante e non è idonea ad esaurire la valutazione complessivamente devoluta al giudice di merito, poichè quest’ultimo -come già affermato- aveva l’onere di verificare se, alla luce della condotta effettivamente tenuta dalle parti, si potesse configurare o meno un inadempimento grave a carico di una di esse. Solo all’esito di tale disamina la Corte capitolina poteva individuare le conseguenze di detto inadempimento. Viceversa, nel caso specifico tale operazione interpretativa è stata sostanzialmente omessa, proprio in base al “recupero” del carattere essenziale del termine di cui al preliminare, art. 11, che ab initio la stessa Corte romana aveva -invece- espressamente escluso.

La Corte capitolina avrebbe altresì dovuto tener conto dell’ulteriore principio – del pari affermato da questa Corte – secondo cui “Nei contratti con prestazioni corrispettive non è consentito al giudice del merito, in caso di inadempienze reciproche, di pronunciare la risoluzione, ai sensi dell’art. 1453 c.c., o di ritenere la legittimità del rifiuto di adempiere, a norma dell’art. 1460 c.c., in favore di entrambe le parti, in quanto la valutazione della colpa dell’inadempimento ha carattere unitario, dovendo lo stesso addebitarsi esclusivamente a quel contraente che, con il proprio comportamento prevalente, abbia alterato il nesso di interdipendenza che lega le obbligazioni assunte mediante il contratto e perciò dato causa al giustificato inadempimento dell’altra parte” (Cass. Sez.2, Sentenza n. 14648 del 11/06/2013, Rv.626586). Questa valutazione circa l’incidenza delle condotte delle parti sull’alterazione del sinallagma contrattuale è esattamente ciò che, nel caso di specie, è stato omesso dalla Corte di merito.

L’accoglimento dei motivi in esame implica l’assorbimento delle prime due censure e comporta il rinvio della causa alla Corte di Appello di Roma, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Il giudice del rinvio dovrà procedere al complessivo riesame della fattispecie, avendo cura di valutare la complessiva condotta delle parti al triplice fine di individuare l’eventuale inadempimento di una di esse, di apprezzarne la gravità rispetto al sinallagma contrattuale e di indicare le conseguenze di detto complessivo accertamento in relazione alle prestazioni già eseguite e ancora da eseguire. In tale operazione interpretativa il giudice di rinvio, oltre ad uniformarsi ai principi richiamati in precedenza, terrà altresì conto del criterio di riparto dell’onere della prova fissato da questa Corte in materia di inadempimento (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 13533 del 30/10/2001, Rv.549956; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15677 del 03/07/2009, Rv.609003).

P.Q.M.

la Corte accoglie per quanto di ragione il terzo, quarto, quinto e sesto motivo del ricorso e dichiara assorbiti il primo ed il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 13 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2020

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