LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9814/2020 proposto da:
Unicredit S.p.a., (incorporante la UNICREDIT BANCA DI ROMA S.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato De Simone Antonio, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Minale Giocattoli S.r.l. in Liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Ovidio n. 10, presso la Dott.ssa Bei Anna, – Studio Commercialista Rosati, rappresentata e difesa dagli avvocati Massara Domenico, Massara Filippo, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
E sul ricorso successivo:
doValue S.p.a., (già doBank s.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Vittorio Veneto n. 108, presso lo studio dell’avvocato Malizia Roberto, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Minale Giocattoli S.r.l. in Liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Ovidio n. 10, presso la Dott.ssa Bei Anna – Studio Commercialista Rosati, rappresentata e difesa dagli avvocati Massara Domenico, Massara Filippo, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
nonché contro Unicredit S.p.a. (incorporante la UNICREDIT BANCA DI ROMA S.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato De Simone Antonio, giusta procura in calce al controricorso.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 2291/2010 – nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla Minale Giocattoli s.r.l. avverso il decreto ingiuntivo n. 1172/2003 con il quale le era stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 47.562,48 in favore della Banca di Roma s.p.a., gruppo Capitalia, in relazione al rapporto di conto corrente bancario n. ***** – in parziale accoglimento dell’opposizione, previa declaratoria di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e previa revoca del decreto ingiuntivo opposto, ha condannato la società opponente al pagamento in favore di Aspra Finance s.p.a, quale cessionario del credito in oggetto, della minor somma di Euro 13.811,19, oltre interessi al saggio legale dalla domanda al soddisfo.
Il Tribunale di Napoli ha, altresì, rigettato le domande riconvenzionali proposte dalla parte opponente, finalizzate alla condanna dell’istituto bancario alla restituzione delle somme risultanti a credito, all’esito della rideterminazione del saldo del conto corrente con riferimento alle operazioni poste in essere fin dalla data di instaurazione del rapporto inter partes. Il rigetto di tali domande era stata la conseguenza delle conclusioni del ctu nominato nel giudizio di primo grado, il quale aveva evidenziato che la mancata produzione integrale degli estratti conto aveva impedito l’integrale ricostruzione del rapporto.
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 397/2020, depositata 30.01.2020, in accoglimento dell’appello principale proposto dalla Minale Giocattoli s.r.l., ha condannato Unicredit Banca di Roma s.p.a (già Banca di Roma s.p.a.) e Aspra Finance s.p.a., in solido tra loro, al pagamento in favore dell’appellante principale della somma di Euro 317.470,51 oltre interessi, rigettando l’appello incidentale proposto da Aspra Finance s.p.a.
Il giudice di secondo grado ha, preliminarmente, evidenziato che, essendo l’Aspra Finance s.p.a. successore a titolo particolare della posizione della Banca di Roma s.p.a. ed essendo intervenuta nel processo a norma dell’art. 111 c.p.c., in difetto di un provvedimento di estromissione dell’originario convenuto, quanto alle statuizioni relative alle spiegate domande riconvenzionali, la propria pronuncia sarebbe stata emessa tra le parti originarie sebbene i suoi effetti fossero destinati indubitabilmente a prodursi nella sfera giuridica del cessionario successore particolare.
Inoltre, previa valutazione della indispensabilità, a norma dell’art. 345 previgente c.p.c., comma 3, degli estratti conto mancanti prodotti dalla società correntista, ha provveduto al rinnovo della CTU, nel quale si è tenuto conto dei rapporti di anticipazione bancaria funzionalmente (estinti in epoca precedente al 1993) collegati al conto n. *****, il cui saldo finale in data 18 giugno 1993 era confluito nel rapporto ***** di cui è causa, con ciò influenzandone i saldi progressivi.
La Corte d’Appello, sulla scorta delle risultanze della CTU, ha rideterminato i saldi del conto corrente predetto, applicando, in primo luogo, in difetto di prova della pattuizione in forma scritta dei tassi degli interessi concretamente applicati dalla banca, l’interesse legale codicistico per tutta la durata del rapporto.
Inoltre, è stato depurato il conto da qualsiasi forma di capitalizzazione, e ciò in considerazione del fatto che, avendo l’adeguamento da parte della Banca alle prescrizioni della delibera CICR (che imponeva una pari periodicità nell’applicazione degli interessi attivi e passivi) dato luogo ad un peggioramento rispetto alle condizioni precedentemente applicate, non erano state rispettate le prescrizioni dell’art. 7 delibera CICR ai fini dell’adeguamento dei contratti in corso, non essendo la nuova disciplina contrattuale della Banca stata oggetto di specifica approvazione da parte del correntista, ma solo oggetto di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Avverso la predetta sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso principale la Unicredit s.p.a. (società incorporante la Unicredit Banca di Roma s.p.a.)” affidandolo a cinque motivi, nonché ha proposto ricorso incidentale la doValue s.p.a. (già Do Bank s.p.a.), mandataria della Aspra Finance s.p.a., affidandolo, a sua volta, a cinque motivi.
La Minale Giocattoli s.r.l. in liquidazione ha resistito in giudizio con controricorso sia nei confronti di Unicredit s.p.a., sia nei confronti di doValue s.p.a..
La ricorrente Unicredit s.p.a. e la controricorrente hanno depositato la memoria ex. 380 bis.1. c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso principale la Unicredit s.p.a. ha dedotto la nullità della sentenza o del procedimento per effetto della violazione dell’art. 163 c.p.c., comma 3, n. 3, art. 164 c.p.c., comma 3, n. 4, artt. 159 e 112 c.p.c., nonché (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) degli artt. 24 e 111 Cost., art. 163 c.p.c., comma 3, n. 3, art. 164 c.p.c., comma 3, n. 4, artt. 159,101,115 e 112 c.p.c..
Lamenta la Banca che la Corte d’Appello non ha erroneamente rilevato la nullità ex art. 164 c.p.c., comma 4 della domanda riconvenzionale proposta dalla Minale Giocattoli s.r.l., domanda che, costituendo un’azione di ripetizione di indebito avente ad oggetto la restituzione dei pagamenti effettuati sul conto corrente, postula la necessità della individuazione delle singole rimesse per le quali sarebbe avvenuta la indebita percezione a seguito di capitalizzazione degli interessi.
Nel caso di specie, la correntista ha omesso l’analitica descrizione dei rapporti dedotti in giudizio, provvedendo a “sanare” le proprie lacune allegatorie con la produzione in giudizio in grado di appello degli estratti conto afferenti a rapporti mai indicati nell’atto di citazione.
2. Il motivo è infondato.
Va preliminarmente osservato che questa Corte (vedi Cass. n. 5879/2005 e Cass. n. 1881/2018) ha già enunciato il principio – cui questa Corte intende dare continuità – secondo cui qualora nell’atto introduttivo non siano indicati – ex art. 163 c.p.c., n. 4 del codice di rito – gli elementi di fatto e di diritto posti alla base della domanda e il giudice non abbia provveduto alla fissazione di un termine perentorio per la rinnovazione del ricorso o per l’integrazione della domanda, ex art. 164 c.p.c., comma 4, atteso che i casi di nullità del procedimento e delle sentenze si traducono in motivi d’impugnazione, in mancanza della deduzione in appello di tale error in procedendo del giudice di primo grado – concernente la violazione dell’art. 164 cit. – il relativo vizio non è rilevabile in sede di legittimità, essendo intervenuto sulla questione il giudicato interno, dovendo ritenersi quali elementi di fatto e di diritto posti alla base della domanda quelli corrispondenti a tale giudicato.
Nel caso di specie, a prescindere dalla fondatezza o meno di tale doglianza, è pacifico in causa che la Banca, nel giudizio di primo grado, non mai dedotto la indeterminatezza della domanda riconvenzionale della società correntista per supposta violazione dell’art. 163 c.p.c., comma 3, n. 3, art. 164 c.p.c., comma 3, n. 4, difendendosi sempre nel merito, e, nel giudizio di secondo grado, ha scelto di non costituirsi in giudizio, rimanendo contumace. Ne consegue che sulla questione della determinatezza della domanda riconvenzionale si è formato il giudicato interno.
3. Con il secondo motivo del ricorso principale la Unicredit s.p.a. ha dedotto la nullità della sentenza o del procedimento per effetto della violazione degli artt. 112,345 c.p.c., e artt. 24,111 Cost., nonché (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) degli artt. 24 e 111 Cost., art. 345 c.p.c., commi 1 e 3, artt. 101,115 e 112 c.p.c..
Lamenta la Banca ricorrente che la Corte d’Appello ha omesso di rilevare l’inammissibilità, ex art. 345 c.p.c., delle domande “nuove” proposte in appello dalla società correntista, avendo quest’ultima con la nuova produzione documentale, di fatto, introdotto una domanda nuova, mai proposta in primo grado, senza alcun rispetto del contraddittorio, essendo stato esteso il thema decidendum a nuovi e diversi rapporti mai analiticamente descritti nell’atto di citazione.
4. Il motivo è inammissibile per genericità e difetto di autosufficienza.
Va, in proposito, osservato che, come anche recentemente affermato da questa Corte (vedi Cass. n. 23834 del 25/09/2019), in tema di ricorso per cassazione, l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla Suprema Corte ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell'”iter” processuale senza compiere generali verifiche degli atti.
Nel caso di specie, la Banca non ha assolto al proprio onere di allegazione. Infatti, al cospetto di una propria censura con cui ha denunciato la proposizione da parte della società correntista di domande nuove rispetto a quelle spiegate in primo grado, non ha indicato esattamente in che cosa sarebbe costituita la novità delle domanda proposte in appello rispetto a quelle proposte in primo grado, limitandosi a trascrivere integralmente l’atto di appello della correntista, senza nessuna illustrazione e precisazione dei punti in cui sarebbero state formulate le domande nuove, limitandosi alla generica deduzione dell’estensione del thema decidendum a nuovi e diversi rapporti mai indicati nell’atto di citazione, senza neppure specificare quali.
Non vi è dubbio che le modalità con cui la Banca ha allegato l’avvenuta formulazione in appello, da parte della correntista, di domande nuove, non consente in alcun modo di cogliere il significato e la portata di tale censura senza compiere verifiche generali sugli atti di causa.
5. Con il terzo motivo la Unicredit s.p.a. ha dedotto la nullità della sentenza o del procedimento per effetto della violazione dell’art. 342 c.p.c., art. 163 c.p.c., comma 3, n. 3, art. 164 c.p.c., comma 3, n. 4, artt. 159 e 112 c.p.c., nonché (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) degli artt. 24 e 111 Cost., art. 342 c.p.c., art. 163 c.p.c., comma 3, n. 3, art. 164 c.p.c., comma 3, n. 4, art. 159 c.p.c., artt. 101,115 e 112 c.p.c..
Lamenta la ricorrente che la Corte d’Appello ha omesso di rilevare l’inammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c., nella formulazione previgente ratione temporis. In particolare, l’appellante si è limitata censurare che la CTU in primo grado era errata ed andava rinnovata, senza alcuna indicazione ulteriore riguardante lo specifico capo della pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda riconvenzionale.
6. Il motivo presenta profili di infondatezza ed inammissibilità.
Come emerge dall’esame della pagine del ricorso di Unicredit s.p.a., da 3 a 7, riportanti alcuni passaggi integrali dell’atto di appello della società correntista, quest’ultima ha provveduto, con l’atto di appello, ad una critica analitica della sentenza di primo grado e della consulenza tecnico-contabile il cui contenuto è stato recepito dalla predetta pronuncia.
In particolare, è stato lamentato nell’atto di appello che il giudice di primo grado aveva accolto la prima soluzione prospettata (sulla base dei quesiti formulati dal giudice di primo grado) dal CTU, che prevedeva un saldo a credito della Banca, scartando la soluzione alternativa, che prevedeva un saldo a credito per il cliente, senza alcuna motivazione.
Veniva censurata l’applicazione del tasso-soglia a partire dal 1996 anziché quello legale (soluzione poi accolta dalla Corte d’Appello). Inoltre, nella parte dell’atto di appello principale che è stata riportata a pag. 6 del ricorso per cassazione di Unicredit s.p.a., sono state formulate critiche dettagliate alla CTU svolta in primo grado, censurandosi una pluralità di omissioni in cui sarebbe incorso il consulente, anche nei termini della mancata risposta alle censure sollevate alla CTU nella memoria autorizzata.
Veniva, infine, lamentato dall’appellante principale la mancata risposta a quesiti del giudice nonostante che fossero stati esibiti tutti gli estratti conto scalari idonei a ricostruire l’intera situazione dall’inizio del rapporto, offrendo, ove ritenuta indispensabile, l’esibizione degli estratti conto mancanti.
Anche con riferimento a tale motivo, Unicredit s.p.a. si è limitato a dedurre genericamente la violazione dell’art. 342 c.p.c. per difetto di specificità delle censure, senza provvedere ad un approfondito e critico esame dell’atto di appello, che pure aveva trascritto in gran parte nel proprio ricorso.
La ricorrente si duole che l’appellante non aveva provveduto ad una esposizione “allegatoria” dei documenti depositati, ma, in difetto del principio di autosufficienza, non ha inserito nel proprio ricorso l’ultima parte dell’atto di appello, da cui potesse desumersi la eventuale mancata indicazione nominativa dei documenti prodotti in grado d’appello e l’indicazione seppur riassuntiva del loro contenuto.
7. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 2697,2033 c.c., artt. 101 e 111 c.p.c..
Si duole Unicredit s.p.a. che la Corte d’Appello non aveva verificato l’assolvimento degli oneri probatori che sorgono in capo al correntista ove decida di proporre una domanda di restituzione dell’indebito.
In particolare, la Minale Giocattoli s.r.l. avrebbe dovuto produrre in giudizio i singoli contratti di accensione di ogni rapporto bancario (quali i contratti di anticipazione bancaria), provare l’eventuale omessa sottoscrizione e che il rapporto estinto il 18 giugno 1993 era confluito nel rapporto acceso il 12 febbraio 1993.
8. Il motivo è inammissibile, in primo luogo, perché non coglie e, conseguentemente, censura la ratio decidendi della sentenza impugnata.
In particolare, la Banca non ha colto, con riferimento sia al contratto di conto corrente bancario, sia ai contratti di anticipazione bancaria, che non era affatto in contestazione l’esistenza di tali rapporti contrattuali tra cliente e banca.
Quello che era stato contestato dal correntista è che i tassi applicati nell’ambito dei rapporti di anticipazione (anche superiori al 15-16%) trovassero la propria fonte di una pattuizione scritta tra le parti. Per questo motivo, la correntista aveva avanzato la pretesa che, in difetto di un accordo scritto sulle condizioni economiche, doveva applicarsi il tasso legale, e non quello superiore concretamente applicato dalla Banca.
E’ evidente che, avuto riguardo ad una tale allegazione, sarebbe stato semmai onere della banca produrre il regolamento contrattuale che giustificasse l’entità del tasso applicato (la Corte d’Appello ha evidenziato che, limitatamente al conto corrente n. *****, risultava versato in atto il benestare di apertura di conto corrente, recante la sottoscrizione del correntista, che era, tuttavia, privo di qualsiasi pattuizione economica).
Con riferimento alla doglianza riguardante la “confluenza” del rapporto estinto il 18 giugno 1993 nel rapporto acceso il 12 febbraio 1993, va osservato che la dedotta violazione dell’art. 2697 c.c. si appalesa sia infondata, sia inammissibile.
E’ infondata in quanto la violazione della predetta norma è configurabile, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove, come nel caso di specie, oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 13395/2018).
Ne consegue che tale doglianza si appalesa inammissibile in uin quanto finalizzata a sollecitare una diversa ricostruzione del fatto rispetto a quella operata dalla Corte d’Appello, non consentita in sede di legittimità.
9. Con il quinto motivo Unicredit s.p.a. ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 1832,1857 c.c. e del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119.
Lamenta la Banca che la sentenza impugnata si pone in contrasto con il meccanismo di tacita approvazione degli estratti conto da parte del correntista.
In particolare, evidenzia che l’annotazione di addebito sul conto n. ***** del saldo negativo del rapporto n. *****, confluito, all’atto della sua estinzione, nel conto n. *****, non avrebbe più potuto essere contestata dall’opponente a distanza di circa dieci anni dall’esecuzione di tale operazione.
In proposito, rileva la Banca che gli estratti conto sono assistiti da una presunzione di veridicità circa le risultanze del conto quando non sono contestati o impugnati nei termini previsti dall’art. 1832 c.c.
Nel caso di specie, si è trattato di addebiti risalenti al 1993 non contestati per iscritto dal correntista, con conseguente “cristallizzazione” di quella operazione a debito e legittimo affidamento della banca di regolare le reciproche obbligazioni univocamente sul nuovo corrente.
10. Il motivo è infondato.
Va preliminarmente osservato che è orientamento consolidato di questa Corte (vedi recentemente Cass. n. 30000/2018) che nel contratto di conto corrente, l’approvazione anche tacita dell’estratto conto, ai sensi dell’art. 1832 c.c., comma 1, preclude qualsiasi contestazione in ordine alla conformità delle singole annotazioni ai rapporti obbligatori dai quali derivano gli accrediti e gli addebiti iscritti nell’estratto conto, ma non impedisce di sollevare contestazioni in ordine alla validità ed all’efficacia dei rapporti obbligatori dai quali derivano i suddetti addebiti ed accrediti, e cioè quelle fondate su ragioni sostanziali attinenti alla legittimità, in relazione al titolo giuridico, dell’inclusione o dell’eliminazione di partite del conto corrente.
In particolare, questa Corte (vedi Cass. n. 17679/2009), proprio in relazione al tema di cui è causa, ha già enunciato il principio di diritto secondo cui la mancata contestazione degli estratti conto inviati al cliente dalla banca, oggetto di tacita approvazione in difetto di contestazione ai sensi dell’art. 1832 c.c., non vale a superare la nullità della clausola relativa agli interessi ultralegali, perché l’unilaterale comunicazione del tasso d’interesse non può supplire al difetto originario di valido accordo scritto in deroga alle condizioni di legge, richiesto dall’art. 1284 c.c..
Ne consegue che l’annotazione con cui è confluito il saldo negativo del conto n. ***** sul conto n. ***** non determina affatto “la cristallizzazione” di quella operazione a debito, non impedendo al correntista di far valere l’invalidità e l’inefficacia dei rapporti obbligatori dai quali deriva il suddetto addebito.
11. Con il primo motivo doValue s.p.a. ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., artt. 2033,1260 e ss., 1406 c.c., art. 58 T.U.B..
Deduce la ricorrente incidentale che, in virtù dell’atto di cessione del 29 agosto 2008 ex art. 58 T.U.B. (come da avviso pubblicato sulla G.U.R.I., foglio delle Inserzioni n. 109 del 13.09. 2008), è stato ceduto il solo credito, e non già il rapporto giuridico tra le parti da cui il credito è originato. Ne consegue che le conseguenze restitutorie in favore della parte correntista derivanti dalla condotta antigiuridica posta in essere dalla banca cedente non possono ricadere sulla società che abbia acquistato il (solo) credito dopo l’esaurirsi di quel rapporto.
Non si è quindi trattato di cessione del contratto ex art. 1406 c.c., ma di mera cessione del credito.
La doValue s.p.a. eccepisce dunque il difetto della titolarità dal lato passivo del rapporto controverso, eccezione rilevabile d’ufficio dal giudice e che è esaminabile anche in sede di legittimità, nonostante non fosse stata sollevata dall’odierna ricorrente nei precedenti gradi del giudizio.
12. Il motivo presenta profili di infondatezza ed inammissibilità.
E’ pur vero che, a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 2951/2016, è stato affermato che la questione della carenza della titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso appartiene alle eccezioni rilevabili d’ufficio, costituendo la titolarità della posizione soggettiva un elemento costitutivo del diritto fatto valere con la domanda, che l’attore ha l’onere di allegare e di provare, mentre l’impostazione difensiva con la quale il convenuto si limiti a dedurre, ed eventualmente argomentare (senza contrapporre e chiedere di provare fatti impeditivi, estintivi o modificativi), che l’attore non è titolare del diritto azionato, è una mera difesa. Tuttavia, nella predetta sentenza, le Sezioni Unite hanno, altresì, evidenziato che la titolarità della posizione soggettiva può essere provata dall’attore, oltre che in positivo, anche in forza del comportamento processuale del convenuto, qualora quest’ultimo riconosca espressamente detta titolarità oppure svolga difese che siano incompatibili con la negazione della titolarità (vedi punto 63).
Nel caso di specie, non vi è dubbio che le difese svolte dalla cessionaria ex art. 58 T.U.B. nel giudizio d’appello si palesassero come incompatibili con la negazione della titolarità dal lato passivo del rapporto controverso.
In particolare, per contrastare il motivo d’appello svolto dalla società correntista allo scopo di ottenere il ribaltamento della sentenza di primo grado con riferimento alla domanda riconvenzionale, la cessionaria ex art. 58 T.U.B. – come aveva già fatto in primo grado il procuratore della Banca di Roma con la nota del 15.12.2008 – ha sollevato (seppur non tempestivamente, come sarà approfondito nel prosieguo della trattazione) l’eccezione di prescrizione, difendendosi nel merito, svolgendo quindi difese incompatibili con la negazione della titolarità dal lato passivo del rapporto controverso.
La Aspra Finance s.p.a. (di cui l’odierna ricorrente incidentale è mandataria), inoltre, sempre al fine di contrastare il motivo d’appello principale riguardante la domanda riconvenzionale della correntista, a conclusione del proprio ragionamento, ha affermato nel proprio atto di costituzione in appello: “Si ribadisce per tutti i motivi esposti che unico legittimato passivo nel presente giudizio è la Aspra Finance s.p.a.”. Tale affermazione, che è stata fatta quando non era stata ancora ben chiarita in giurisprudenza la distinzione tra legittimazione passiva e titolarità del rapporto controverso dal lato passivo, è comunque inequivocabilmente espressione della volontà della cessionaria di considerarsi come unico interlocutore delle pretese della società correntista.
Deve, dunque, concludersi che sulla questione sollevata dalla ricorrente incidentale in sede di legittimità di difetto di titolarità dal lato passivo del rapporto controverso si fosse già precedentemente formata a carico della cessionaria una preclusione processuale.
13. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3 previgente in relazione all’art. 2697 c.c..
Lamenta la doValue s.p.a. che la Corte d’Appello, con il consentire la produzione in grado di appello degli estratti conto mancanti, ha operato una forzatura della nozione di indispensabilità dei documenti, non essendo stato valutato il profilo della negligenza della parte nel non aver introdotto tempestivamente la prova e non è stata armonizzata la nozione di indispensabilità con il regime di preclusioni istruttorie vigenti nel codice di rito.
14. Il motivo è infondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 10790/2017, hanno chiarito la nozione di indispensabilità dei documenti, enunciando il principio di diritto secondo cui nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (conf. Cass. n. 24164/2017).
Dunque, la nozione di indispensabilità dei documenti è stata ancorata esclusivamente all’attitudine dei documenti medesimi ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale della vicenda processuale ed a provare anche quello che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato (esattamente come avvenuto nel caso di specie), e ciò a prescindere anche dall’eventuale negligenza in cui fosse incorsa la parte nel non produrre quei documenti. Nessun dubbio residua quindi sulla correttezza della soluzione adottata dalla Corte d’Appello.
15. Con il terzo motivo la doValue s.p.a. ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c. e dell’art. 2935 c.c. nonché l’omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Si duole la ricorrente che l’eccezione di prescrizione, sollevata in primo grado e confermata in appello, sia stata ritenuta ingiustificatamente non ammissibile dalla Corte d’Appello.
16. Il motivo è infondato.
Il giudice di secondo grado ha ben evidenziato che l’eccezione di prescrizione dei crediti vantati dal correntista (avente natura di eccezione in senso stretto) è stata tardivamente sollevata dall’istituto di credito, in primo luogo, nel giudizio di primo grado, non essendo stata fatta valere né con la comparsa di costituzione e risposta, né con la memoria ex art. 180, comma 2, deputata, alla stregua della previgente norma processuale applicabile ratione temporis alle proposizione delle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio.
Come emerge dalla ricostruzione della ricorrente (pag. 16) è stata, infatti, sollevata in una fase avanzata del giudizio di primo grado, con le “brevi note” del 15.12.2008.
Inoltre, in ogni caso, la cessionaria, unica che ha partecipato al giudizio di secondo grado, non ha comunque riproposto tempestivamente in sede di gravame l’eccezione di prescrizione (non esaminata in primo grado per effetto del rigetto della domanda riconvenzionale) con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, come avrebbe dovuto, invece, fare, trattandosi di fatti rientranti già nel “thema probandum” e nel “thema decidendum” del giudizio di primo grado. Ne consegue che tale eccezione è stata correttamente ritenuta dalla Corte d’Appello come rinunciata (vedi Cass. S.U. n. 7940/2019).
17. Con il quarto motivo si duole la doValue s.p.a. che la Corte d’appello avrebbe erroneamente applicato per il ricalcolo del saldo del conto corrente il tasso legale ex art. 1284 c.c. per l’intera durata del rapporto, e ciò anche in costanza della L. n. 154 del 1992, la cui entrata in vigore era sopravvenuta rispetto all’epoca di conclusione dei contratti di conto corrente e di affidamento convogliati nel rapporto oggetto di controversia. Si rileva che con l’entrata in vigore della legge sulla trasparenza bancaria, il giudice d’appello avrebbe dovuto applicare il tasso sostitutivo previsto all’art. 5, poi trasfuso nell’art. 117, comma 7 T.U.B..
18. Il motivo è infondato.
Anche recentemente questa Corte (vedi Cass. n. 34740/2019; vedi precedentemente Cass. n. 4853/2007 e Cass. n. 28302/2005) ha ribadito il principio di diritto secondo cui le norme che prevedono la nullità delle clausole negoziali che determinano gli interessi con rinvio agli usi, introdotte con la L. n. 154 del 1992, art. 4 poi trasfuso nel D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117 non sono retroattive, al pari di quelle in materia di interessi usurari, e tale irretroattività opera anche per la previsione della sostituzione della clausola nulla con la diversa disciplina legale dettata dal legislatore.
19. Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 120, commi 2 e 3 T.U.B., come introdotti dal D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25 e dell’art. 7 Delib. CICR 9 febbraio 2000.
Espone la ricorrente che la sola pubblicazione dell’avviso alla clientela di cui alla delibera CICR in G.U.R.I. è sufficiente ai fini della valida capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori e creditori, in ossequio a quanto stabilito dall’art. 7, comma 2 della delibera CICR. Ciò in quanto la modifica contrattuale contenente la previsione della pari periodicità trimestrale della capitalizzazione degli interessi attivi e passivi deve essere considerata favorevole al correntista, determinando il passaggio da un regime di capitalizzazione non paritetico favorevole alla banca ad un regime paritetico riequilibratore del rapporto tra interessi passivi ed attivi. Per contro, ritenere, come ha fatto la Corte d’Appello, che l’adeguamento alle disposizioni della delibera CICR del 2000 comporti in ogni caso – alla luce della nullità della clausola anatocistica preesistente – un peggioramento delle condizioni contrattuali dà luogo ad una radicale ed originaria inoperatività dell’art. 7, comma predetta delibera CICR.
20. Il motivo è infondato.
Va osservato che questa Corte (vedi Cass. n. 9140/2020, vedi anche Cass. n. 23853/2020, Cass. n. 29420/2020) ha recentemente, più volte, enunciato il principio di diritto – cui anche questo Collegio intende dare continuità – secondo cui, in ragione della pronuncia di incostituzionalità del D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, comma 3, le clausole anatocistiche inserite in contratti di conto corrente conclusi prima dell’entrata in vigore della delibera CICR 9 febbraio 2000 sono radicalmente nulle, con conseguente impraticabilità del giudizio di comparazione previsto dall’art. 7, comma 2 della delibera del CICR teso a verificare se le nuove pattuizioni abbiano o meno comportato un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, sicché in tali contratti perché sia introdotta validamente una nuova clausola di capitalizzazione degli interessi, è necessaria una espressa pattuizione formulata nel rispetto dell’art. 2 della predetta delibera.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta sia il ricorso principale proposto da Unicredit s.p.a., sia quello incidentale proposto da doValue s.p.a..
Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Condanna il ricorrente incidentale al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte di entrambe le parti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 2 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2021
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