Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.26592 del 30/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6688/2016 proposto da:

A.M., e A.A., elettivamente domiciliati in Roma, Via Lima n. 15, presso lo studio dell’Avvocato Aldo Ferrari, rappresentati e difesi dall’Avvocato Francesco Mutarelli giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Comune di Ercolano, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato Miriam Chiummariello, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

nonché contro C.F.C., nella qualità di procuratore speciale e generale di Av.Ma., elettivamente domiciliato in Roma, Via A.

Baiamonti n. 4, presso lo studio dell’Avvocato Renato Amato, rappresentato e difeso dall’Avvocato Sabino Antonino Sarno, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Comune di Ercolano, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato Miriam Chiummariello giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente rispetto al ricorso incidentale –

nonché contro Presidenza del Consiglio dei Ministri, – Dipartimento per la Protezione Civile, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 3564/2015 della Corte d’appello di Napoli, depositata il 9/9/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/6/2021 dal cons. Dott. Alberto Pazzi.

RILEVATO

che:

1. Il Sindaco del Comune di Ercolano, con ordinanza del 23 dicembre 1980 e in virtù dei poteri delegatigli dal Commissario straordinario del Governo per le zone terremotate della Campania e della Basilicata, disponeva la requisizione di ventiquattro alloggi di proprietà di A.G. sino al *****.

Annullata dal T.A.R. della Campania la proroga di un anno della scadenza della requisizione successivamente disposta, le unità abitative venivano restituite al legittimo proprietario nei mesi di *****.

2. Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 10736/2008, in accoglimento della domanda di A.L., A.A., A.M. e C.F.C., procuratore speciale di Av.Ma., in qualità di eredi di A.G., condannava – fra l’altro e per quanto qui di interesse – la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in loro favore della somma di Euro 402.365,84, oltre accessori, a titolo di indennità di requisizione, ritenendola dovuta sino al 31 dicembre 1988, nonché il Comune di Ercolano a corrispondere ai medesimi l’importo di Euro 493.786,57, oltre accessori, a ristoro dei danni da occupazione abusiva.

3. La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 9 settembre 2015, in accoglimento dell’impugnazione proposta, rigettava invece la domanda presentata da A.L., A.A., A.M. e C.F.C., quale procuratore speciale di Av.Ma., nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e, nel contempo, accertava che la somma dovuta ai medesimi dal Comune di Ercolano era pari, alla data dell’ottobre 1995, a Euro 302.076,40, condannando di conseguenza gli appellati alla restituzione in favore dell’amministrazione municipale di Euro 173.813,79 ciascuno, oltre interessi.

4. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso A.M. e A.A. prospettando otto motivi di doglianza, ai quali hanno resistito con controricorso il Comune di Ercolano e C.F.C..

Quest’ultimo ha proposto ricorso incidentale, articolato anch’esso in otto motivi, a cui ha resistito il Comune di Ercolano.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per la protezione civile, si è costituita al di fuori dei termini di cui all’art. 370 c.p.c. al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

CONSIDERATO

che:

5. Occorre preliminarmente rilevare come il ricorso presentato da C.F.C. sviluppi argomenti del tutto coincidenti con quelli illustrati all’interno del ricorso principale.

Una simile impugnazione, non contestando il ricorso principale ma anzi aderendo ad esso, costituisce un ricorso incidentale di tipo adesivo che va preso in esame in contemporanea con il ricorso principale, di analogo tenore in tutte le censure proposte.

6. Il primo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale adesivo denunciano l’omesso esame dell’ordinanza di derequisizione emessa dal Comune di Ercolano in data 3 luglio 1995, al cui interno si certifica che l’occupazione legittima era venuta meno nel 1995, e la violazione degli artt. 1362 e 1366 c.c. nell’interpretazione del medesimo atto: il mancato esame di tale provvedimento ha condotto la Corte di merito – in tesi – ad emettere una statuizione errata e contraria alle risultanze probatorie acquisite agli atti di causa, laddove è stato stabilito che l’occupazione legittima era cessata in data *****.

7. I motivi sono inammissibili.

Il contenuto del provvedimento di derequisizione – per come riportato in ricorso, in applicazione del principio di autosufficienza – non attesta affatto la sua emissione al fine di porre termine allo stato di occupazione legittima, ma, ben diversamente, osserva che “la requisizione degli immobili in parola è venuta meno per lo scadere dei limiti temporali dettati dalle ordinanze stesse e dalle intervenute varie disposizioni di proroghe sia legislative sia amministrative”.

Il documento, quindi, è privo di alcuna decisività, dato che non dispone alcuna derequisizione, ma si limita a far riferimento alle ordinanze di requisizione e alle disposizioni normative di proroga al fine di registrare l’avvenuto venir meno, in data imprecisata, della condizione di occupazione legittima delle unità immobiliari appartenenti a A.G..

8.1 Il secondo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale adesivo lamentano la violazione e falsa applicazione, con riferimento all’art. 12 disp. gen., del D.L. n. 776 del 1980, art. 3D.L. n. 462 del 1983, art. 1-bis convertito con la L. n. 637 del 1983, artt. 2934, 2935 e 2945 c.c.: la Corte d’appello – osservano il ricorrente principale e quello incidentale – ha errato nella determinazione dell’esatto arco temporale del periodo di requisizione legittima, non tenendo conto della proroga sino al 31 dicembre 1984 disposta dal D.L. n. 462 del 1983, art. 1-bis, comma 2; per effetto di questo errore i giudici distrettuali hanno accolto l’eccezione di prescrizione sollevata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, omettendo di riconoscere natura di atto interruttivo della prescrizione alla diffida notificata il 14 giugno 1994 e all’atto di citazione notificato il 22 settembre 1998.

8.2 Il quarto motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale adesivo si dolgono dell’omessa valutazione degli atti interruttivi della prescrizione costituiti dall’atto di diffida notificato in data 14 giugno 1994 e dall’atto di citazione notificato in data 22 settembre 1998, con la conseguente violazione degli artt. 2943 e 2945 c.c..

9. I motivi, da esaminarsi congiuntamente, sono fondati.

La decisione impugnata dà espressamente atto (a pag. 6) che la requisizione, riguardante immobili destinati ad alloggio di terremotati, fu disposta a seguito del sisma del 1980 con ordinanza emessa dal Sindaco, quale ufficiale di governo, ai sensi del D.L. n. 776 del 1980, art. 3, comma 1, lett. a).

Il D.L. n. 462 del 1983, art. 1-bis, comma 2, convertito con modificazioni nella L. n. 94 del 1982, prevede espressamente che “i termini stabiliti dalle ordinanze di requisizione degli immobili destinati dai Comuni al ricovero temporaneo dei terremotati e dei senzatetto della Campania…. sono prorogati al 31 dicembre 1984”.

La constatazione compiuta dalla Corte di merito secondo cui “l’efficacia della requisizione fissata al 31.12.1981 non fu prorogata ex lege” si pone in chiara violazione di un simile disposto normativo, dovendosi invece ritenere che il termine stabilito dall’originaria ordinanza di requisizione fosse stato procrastinato ex lege sino al 31 dicembre 1984.

La scadenza del termine di efficacia della requisizione così rideterminata attribuiva rilievo decisivo – diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello della decisione impugnata (pag. 7) -, ai fini del computo della prescrizione decennale del credito per indennità di requisizione legittima, agli atti di costituzione in mora compiuti dal proprietario nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri con la diffida del 14 giugno 1994 e con l’atto di citazione notificato il 22 settembre 1998.

10. Il terzo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale adesivo assumono la violazione e falsa applicazione, con riferimento all’art. 12 disp. gen., del D.L. n. 776 del 1980, art. 3,D.L. n. 114 del 1985, art. 2.1 D.L. n. 313 del 1985, art. 1artt. 2934 e 2935 c.c. e del D.L. n. 450 del 1988, in quanto la Corte d’appello ha negato che questo coacervo normativo abbia disposto un’ulteriore proroga delle requisizioni post-terremoto al 31 dicembre 1988, ritenendo erroneamente che le stesse riguardassero la sola assistenza ai nuclei familiari colpiti dal terremoto del 1980 “alloggiati precariamente in alberghi o case requisite”.

11. I motivi non sono fondati.

La Corte campana, nel riformare sul punto la decisione gravata, ha negato che l’efficacia della requisizione fissata al ***** fosse stata posticipata ex lege dal D.L. n. 114 del 1985 (e, di conseguenza, dal D.L. n. 450 del 1988, che aveva prorogato al 31 dicembre 1988 il termine fissato dal precedente decreto legge), in quanto questa disposizione normativa non riguardava l’efficacia delle requisizioni, ma soltanto l’assistenza ai nuclei familiari.

Una simile statuizione è coerente con l’interpretazione della norma offerta dalla giurisprudenza di questa Corte – a cui il collegio intende dare continuità – secondo cui, in tema di requisizione di alloggi nelle aree della Campania e della Basilicata colpite dal sisma del novembre 1980, il D.L. n. 114 del 1985, convertito nella L. 30 maggio 1985, n. 211, non ha prorogato l’efficacia di tali requisizioni, ma soltanto l’assistenza ai nuclei familiari alloggiati precariamente in alberghi, non potendosi ragionevolmente ammettere che proroghe di provvedimenti così pesantemente restrittivi della proprietà privata siano enunciabili al di fuori di precise disposizioni normative (Cass. 10473/1996).

La decisione, rispondendo proprio a perplessità similari a quelle espresse con i mezzi in esame (secondo cui la prima essenziale forma di assistenza che andava garantita ai terremotati era costituita dalla facoltà di continuare ad alloggiare nelle case requisite), ha osservato come non si possa “ragionevolmente ammettere che proroghe di provvedimenti così pesantemente restrittivi della proprietà privata, quali le requisizioni, siano interpretativamente enucleabili non da precise disposizioni, ma da generiche considerazioni di politica sociale apprezzabili, certo, ma non al punto da assumere, se non precettivizzate, valore normativo. In quest’ottica, non si presta ad essere enfatizzato l’accenno alle “case requisite” contenuto nell’art. 2; mentre l’introduzione dell’art. 1 bis rivela, con sufficiente chiarezza, l’intento del legislatore di fondare eventuali proroghe esclusivamente su norme espresse, sì che quell’accenno ben può essere inteso come riferimento a situazioni di fatto cristallizzate, ma ugualmente idonee, ancorché illegittime, a determinare la protrazione, con le modalità preesistenti, di forme assistenziali diverse non confliggenti con la proprietà privata, per modo da non disattendere il principio di bilanciamento tra interessi antagonisti parimenti garantiti e meritevoli di protezione”.

12.1 Il quinto motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale adesivo denunciano la violazione dell’art. 2945 c.c., comma 2, artt. 2934,2943,2944 e 2953 c.c. e art. 115 c.p.c.: la Corte di appello a dire del ricorrente principale e di quello incidentale – ha errato nell’accogliere l’eccezione di prescrizione quinquennale formulata dal Comune, in quanto, pur dando atto dell’esistenza del giudizio di annullamento davanti al giudice amministrativo, non ha tratto le consequenziali conclusioni rispetto all’interruzione del termine di prescrizione del risarcimento danni da occupazione illegittima, omettendo quindi di considerare che la prescrizione doveva ritenersi interrotta dalla notifica del ricorso al T.A.R. (6/1/1982) sino alla data della sentenza del Consiglio di Stato (1/8/1985).

Da tale epoca la prescrizione andava ritenuta di durata decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., dato che il ricorso al T.A.R. era funzionale all’esercizio immediato e diretto dei diritti dominicali spettanti ai proprietari degli alloggi requisiti.

In questa prospettiva interpretativa, tenuto conto dell’efficacia interruttiva della diffida risalente al 14 giugno 1994, nessuna prescrizione poteva ritenersi maturata rispetto al risarcimento del danno dovuto per illegittima occupazione.

12.2 Il sesto motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale adesivo lamentano la violazione degli artt. 2934,2935,2944,2945 e 2953 c.c., perché la Corte d’appello ha ritenuto che il termine di prescrizione fosse maturato die in die e non piuttosto dalla data di cessazione della sottrazione della disponibilità dei beni immobili al legittimo proprietario.

12.3 Il settimo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale adesivo assumono la violazione degli artt. 2934,2935 e 2944 c.c., in quanto la Corte d’appello non ha tenuto conto che la prescrizione non poteva decorrere che dalla cessazione dell’illecito, in conformità della giurisprudenza Europea secondo cui nella permanenza dell’illecito dell’occupazione sine titulo occorre salvaguardare l’affidamento del cittadino.

Il diritto al ristoro non può quindi che decorrere – pena l’indebita violazione del principio di affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico – solo da quando viene posto rimedio alla permanenza della situazione contra ius, vale a dire dalla data in cui si realizza l’effettiva restituzione degli immobili al proprietario.

13. I motivi, da esaminarsi congiuntamente in ragione della loro parziale sovrapponibilità, non sono fondati.

13.1 La Corte d’appello, nel prendere in esame la richiesta di ristoro del danno da occupazione illegittima, ha considerato che il pregiudizio così lamentato riguardava il periodo successivo alla scadenza del termine di occupazione temporanea e si ricollegava ad una condotta antigiuridica con carattere permanente.

Nessuna occupazione appropriativa sta quindi alla base della richiesta di ristoro, bensì una detenzione senza titolo protrattasi dalla scadenza del termine di efficacia della requisizione sino alla materiale riconsegna.

Si è così verificata una fattispecie costituente una detenzione senza titolo di un bene immobile altrui, costituente espressione di un’attività privatistica della Pubblica Amministrazione e disciplinata dall’art. 2043 c.c..

Una simile fattispecie da tempo è stata ricondotta dalla giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. 4522/1994, Cass. 1683/1984, Cass. 1464/1983, Cass. 6485/1980) fra i fatti illeciti permanenti, essendo caratterizzata dal protrarsi sine die della detenzione fino al perdurare della situazione contra ius e, quindi, dalla compressione rinnovantesi di momento in momento delle principali facoltà di godimento e di disposizione del diritto dominicale sull’immobile appreso (“in relazione ai quali” – precisa Cass. 5381/2011 – “al proprietario sono concesse non soltanto la tutela aquiliana onde essere ristorato dei danni subiti per la privazione della disponibilità e del godimento del fondo, ma anche tutte le azioni (ed i rimedi cautelari) esperibili nei confronti di un qualsivoglia occupante abusivo; ed è da decenni riconosciuto il suo diritto ad ottenere dal giudice ordinario un’ampia gamma di pronunzie a carattere restitutorio, inibitorio, o repressivo, idonee a riammetterlo nel godimento pieno del bene ed a conseguire il ripristino dello stato dei luoghi”).

Risulta così ultroneo il richiamo fatto dal ricorrente alla giurisprudenza della Corte E.D.U., dato che la fattispecie in esame si pone al di fuori di tutte le forme di espropriazione indiretta individuate dalla medesima Corte con la denominazione “espropriazione indiretta” (comprendenti non soltanto l’occupazione espropriativa e la c.d. acquisizione sanante prevista dal testo unico sulle espropriazioni, ma anche qualsiasi tipologia di espropriazione di fatto derivante da attività illegali, utilizzata a proprio vantaggio dall’amministrazione) e integra, invece, una fattispecie di illecito di diritto comune in cui il danno derivante dal mancato godimento dei frutti naturali dell’immobile per il periodo dell’illegittima occupazione si ricollega ad una condotta antigiuridica che ha carattere permanente in quanto si protrae nel tempo e dà luogo ad un riprodursi di fatti illeciti, a partire dall’iniziale apprensione del bene, con riferimento a ciascun periodo in relazione al quale si determina la perdita di detti frutti.

Con la conseguenza che in ogni momento sorge per il proprietario il diritto al risarcimento per il danno già verificatosi e che nello stesso momento decorre il relativo termine di prescrizione quinquennale previsto dall’art. 2947 c.c..

Una simile modalità di computo della prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, comune a tutte le ipotesi di illecito permanente (Cass. 3314/2020, Cass. 9318/2018, Cass., Sez. U., 23763/2011), non può ritenersi in contrasto con il diritto d’accesso ai Tribunali garantito dall’art. 6 della Convenzione E.D.U., che non ricorre quando l’istituto della prescrizione rispetti il limite della ragionevolezza, tanto nella durata del termine quanto nell’individuazione del suo inizio (Corte E.D.U. 22 ottobre 1996, ric. n. 22083/93, Stabbings e altri vs. Regno Unito).

Ragionevolezza senza dubbio ravvisabile laddove, come nel caso di specie, la prescrizione sia ricollegata all’imputabilità soggettiva dell’inerzia al creditore, verificatasi pur in presenza di un’ampia gamma di rimedi posta a sua disposizione – come in precedenza ricordato – per reagire al protrarsi della detenzione sine titulo.

13.2 Va escluso poi che il termine di prescrizione dovesse essere computato in dieci anni, in applicazione dell’art. 2953 c.c..

In vero, poiché la ratio di questa norma si fonda sull’autonomia del titolo giudiziale che, formatosi, vive di vita propria e autonoma, non è possibile operare modificazioni al regime prescrizionale rispetto a diritti non riconducibili al titolo giudiziale (Cass. 5710/1999).

La sentenza del T.A.R. Campania, confermata dal Consiglio di Stato, con cui fu annullata l’ordinanza sindacale di proroga della requisizione, non costituisce titolo giudiziale che riconosce direttamente il diritto al risarcimento del danno per l’illegittima occupazione degli immobili requisiti.

Essa, quindi, non vale a modificare il termine di prescrizione breve previsto dall’art. 2947 c.c. per il diritto al risarcimento del danno.

13.3 Ne discende che non assumevano alcuna rilevanza in funzione dell’interruzione della prescrizione il preteso riconoscimento interruttivo del 20 gennaio 1987 e la diffida del 14 giugno 1994, perché comunque – come giustamente ha rilevato la Corte distrettuale – dopo l’atto interruttivo la prescrizione inizia a decorrere di nuovo ed era già interamente maturata alla data (1 febbraio 2000) della notifica dell’atto di citazione in giudizio.

14. L’ottavo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale adesivo prospettano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2943,2945 e 2947 c.c., in quanto la Corte d’appello, pur dando atto che dalla data della diffida del 14 giugno 1994 la prescrizione iniziava a decorrere nuovamente, ha omesso di valutare che il nuovo termine di prescrizione era stato un’altra volta interrotto dall’atto di citazione notificato il 22 settembre 1998.

15. I motivi non sono fondati.

L’atto di citazione in questione – il cui contenuto è stato trascritto in sintesi a pag. 22 del ricorso – è stato rivolto alla sola Presidenza del Consiglio dei Ministri, onde sentirla condannare al pagamento “di tutti i canoni dovuti a titolo di indennità di requisizione degli appartamenti in parola”.

Esso, dunque, non valeva a interrompere la prescrizione ai sensi dell’art. 2943 c.c., comma 1, nei confronti del Comune di Ercolano, poiché l’effetto interruttivo della prescrizione esige per la propria produzione che l’atto giudiziale del creditore sia rivolto al debitore e che quest’ultimo ne abbia conoscenza.

16. La sentenza impugnata andrà dunque cassata nei limiti in precedenza indicati, con rinvio della causa alla Corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il secondo e il quarto motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale adesivo, dichiara inammissibile il primo motivo degli stessi, rigetta gli altri mezzi, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 18 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021

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