LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25412/2016 proposto da:
C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AURELIANA 63, presso lo studio dell’avvocato CRISTIANA MASSARO, rappresentato e difeso dall’avvocato NICOLA GIULIANO, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
CR.AU., rappresentata e difesa dall’avvocato ANDREA MANTOVANI, giusta procura speciale notarile allegata alla memoria;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 179/2016 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 21/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/05/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
lette le memorie delle parti.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Il 25/09/2000 i coniugi C.I. e A.P. stipularono un contratto con la figlia Cr.Au., avente ad oggetto il trasferimento della nuda proprietà di un appartamento e di un garage siti in *****, prevedendo che in luogo del prezzo il corrispettivo era costituito, in parte, dalla rinuncia ad un credito che la figlia vantava nei confronti degli alienanti, ed in altra parte, dall’assunzione da parte di quest’ultima di obblighi di assistenza a favore dei genitori.
Con l’atto di citazione del 31/07/2009 i coniugi convennero in giudizio davanti il Tribunale di Trento la figlia chiedendo: la risoluzione per inadempimento del contratto di cui sopra; la condanna al risarcimento dei danni sofferti a causa dell’inadempimento; la condanna alla restituzione di somme che la figlia aveva illegittimamente sottratto dai loro libretti bancari, previo rendiconto; la condanna alla restituzione di contributi previdenziali che le avevano versato in forza di un contratto con cui la figlia era stata assunta come collaboratrice domestica dalla madre.
Il Tribunale di Trento pronunciò la sentenza n. 1107/2014, con cui dichiarò la risoluzione del contratto, qualificandolo come vitalizio improprio, e condannò la convenuta alla restituzione della somma di Euro 91.474,28, per le ragioni di cui in motivazione; rigettò la domanda di risarcimento dei danni.
Cr.Au. propose appello nei confronti del fratello C.A., che aveva proseguito il giudizio di primo grado a seguito della morte dei genitori.
La Corte d’Appello di Trento con la sentenza n. 179/2016, accogliendo il gravame, ha rigettato tutte le domande originariamente proposte.
Condivisa la ricostruzione operata dal primo giudice del negozio stipulato come “contratto atipico di vitalizio alimentare”, la Corte distrettuale non ha però riscontrato l’inadempimento della convenuta, come invece ritenuto dal Tribunale, il quale lo aveva rinvenuto – non nell’assenza di assistenza materiale, visto che i coniugi “vitaliziati si trovavano in buone condizioni psicofisiche al rientro nel loro appartamento” (pag. 10 sent. appello), ma – nell’illegittimo prelievo delle consistenti somme di denaro da parte della figlia, sulle cui sole risorse economiche avrebbe dovuto gravare l’obbligo di prestare assistenza.
La Corte d’appello ha sostenuto che tali prelievi non ineriscono al sinallagma contrattuale: vi sarebbe stato inadempimento, invece, se la convenuta si fosse sottratta agli obblighi di assistenza previsti dal contratto, volti “al mantenimento dei genitori prestando loro alloggio, vitto vestiario, medicinali e quant’altro” (pag. 10 sent. appello); ciò, che, ha rilevato la Corte d’Appello, come detto supra, lo stesso giudice di primo grado non aveva riscontrato, né tale questione era stata fatta oggetto di censura in sede di gravame.
Inoltre, ha aggiunto il collegio, la gravità di tale inadempimento avrebbe dovuto essere apprezzata con riferimento all’intero negozio, che prevedeva anche la rinuncia ad un credito da parte della convenuta-appellante.
La Corte d’Appello ha rigettato anche la domanda di ripetizione delle somme sottratte dai libretti di deposito al portatore dei coniugi per non essere mai stata provata l’assenza di una giusta causa traditionis, prova necessaria per dimostrare il difetto di legittimazione della figlia a possederli e, quindi, a prelevare le somme ivi depositate, essendosi gli attori limitati ad allegare che la figlia avrebbe dovuto restituire loro le somme prelevate ed a rendicontare, deducendo una sorta di mandato asseritamente inadempiuto.
Il giudice di appello ha, inoltre, rigettato la domanda di restituzione dei contributi previdenziali, poiché, vista la formale e spontanea assunzione di quest’ultima come collaboratrice domestica, essi sono dovuti per legge.
C.A. propone ricorso per la cassazione della sentenza d’appello sulla scorta di quattro motivi.
Resiste con controricorso Cr.Au..
Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
2. Col primo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1453 c.c., per non avere la Corte d’appello riconosciuto l’inadempimento della convenuta-appellante.
Ad avviso del ricorrente, l’inadempimento sarebbe da rinvenire nel fatto che la controparte non aveva mantenuto i genitori con le proprie risorse, dilapidando il loro patrimonio, sottraendo le somme giacenti sui libretti di deposito, facendosi assumere come assistente domestica della madre ed incassando l’indennità di accompagnamento di quest’ultima. Soggiunge il ricorrente che l’inadempimento della controparte, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’Appello, sarebbe grave: il valore delle prestazioni assistenzialistiche (calcolato tenendo conto degli anni di aspettativa di vita dei coniugi e di una prudenziale stima di Euro 1.000,00/mese/coniuge per il valore delle prestazioni) a cui la figlia avrebbe dovuto adempiere, egli sarebbe a sei volte il valore del credito da lei rinunciato.
Col secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c., per avere la Corte d’Appello affermato che non era stato oggetto di censura il giudizio operato dal Tribunale sull’assenza di inadempimento delle prestazioni assistenziali. Il ricorrente sostiene che non avrebbe dovuto proporre appello sul punto, essendo risultato vincitore, e che, avendo censurato quel passaggio della motivazione della sentenza di primo grado nella comparsa di costituzione e risposta in appello, aveva adempiuto all’onere di riproposizione sancito dall’art. 346 c.p.c.. Reitera quindi le argomentazioni spese in appello, secondo cui, in primo luogo, il fatto che i coniugi si trovassero in condizioni psicofisiche normali al rientro nell’appartamento sarebbe un giudizio errato, poiché parziale e focalizzato su di un unico momento, non potendo dirsi che l’appellata-convenuta avesse adempiuto ai suoi doveri di assistenza prima e dopo tale evento; in secondo luogo, altre circostanze come l’essersi fatta assumere, deporrebbero nel senso che quest’ultima non avrebbe adempiuto al diverso obbligo di sostenere economicamente i vitaliziati.
Col terzo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1218,1713,2697 c.c., art. 115 c.p.c..
Il motivo, che risulta articolato in due punti, nel primo lamenta che l’appellante non avrebbe mai provato di aver adempiuto agli obblighi di sostentamento, sia materiale che economico dei genitori, e ciò anche avuto riguardo all’indebito prelievo delle somme dalle giacenze dei genitori.
Nel secondo punto, e con specifico riferimento al rigetto della domanda di ripetizione delle somme prelevate dai libretti di deposito, rigetto motivato per l’assenza di prova di una giusta causa traditionis, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c., per non avere la Corte d’Appello tenuto conto del fatto che gli attori originari avevano allegato in primo grado (riproponendo il tutto in appello) un utilizzo non autorizzato dei libretti da parte della convenuta-appellata e avevano chiesto altresì il rendiconto. A fronte di tale allegazione, la convenuta non ha mai negato la titolarità dei libretti in capo ai genitori né avrebbe mai allegato di aver legittimamente operato su di essi; al contrario, inizialmente ha radicalmente negato di aver disposto di essi, disconoscendo le proprie firme presenti nella documentazione bancaria acquisita, salvo poi rinunciare al disconoscimento. Alla luce di tale condotta processuale, sarebbe evidente la prova dell’utilizzo illecito delle somme.
Col quarto motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., comma 2.
Ad avviso del ricorrente la Corte d’Appello avrebbe dovuto valutare la rinuncia al disconoscimento delle firme da parte della convenuta-appellante operato in primo grado come fonte di prova presuntiva dell’illegittima percezione delle somme contenute nei libretti bancari.
3. Per ragioni logiche, deve essere posposto l’esame del primo motivo di ricorso.
Il secondo motivo è fondato.
Bisogna ricordare che la parte che propone una domanda è onerata di impugnare il relativo capo di sentenza solo laddove essa venga rigettata; non invece laddove questa sia stata accolta ancorché sulla scorta della comprovata esistenza di alcuni, ma non di tutti gli argomenti ed i fatti dedotti.
Nel caso in specie, poiché la domanda di risoluzione fu accolta dal Tribunale, che ravvisò l’inadempimento degli obblighi di sostentamento economico cui era tenuta la convenuta, l’odierno ricorrente non era in parte qua soccombente, e non era quindi onerato dal dover proporre appello incidentale in relazione alla motivazione della sentenza che non aveva riconosciuto altresì un inadempimento degli obblighi assistenziali da parte della convenuta, essendo semplicemente tenuto a riproporre le difese e le eccezioni assorbite o non esaminate ex art. 346 c.p.c..
Nella specie, il ricorrente ha adempiuto all’onere di riproposizione, sostenendo in sede di comparsa di costituzione e risposta in appello come la convenuta-appellante non avesse adempiuto agli obblighi assistenziali che del pari scaturivano dal contratto di vitalizio.
Ne deriva che, l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui “il primo giudice, con argomentazioni che non sono state oggetto di censura, ha escluso qualsivoglia inadempimento riguardo al profilo dell’assistenza” (pag. 10 sentenza gravata) risulta apodittica e non si confronta con il contenuto della comparsa di risposta in appello, che, come visto, aveva inteso nuovamente sottoporre al giudice di appello la questione del mancato adempimento alle prestazioni di carattere infungibile derivanti dal contratto, e ciò proprio per l’ipotesi in cui le doglianze dell’appellante avessero trovato accoglimento.
Poiché quindi era necessario riesaminare, alla luce della sollecitazione dell’appellato, anche la questione circa l’effettivo adempimento delle prestazioni di carattere strettamente assistenziale cui era tenuta la C., ed essendo erronea l’affermazione circa l’assenza di censura da parte dell’appellato, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione a tale motivo, con rinvio alla Corte d’Appello di Trento, in diversa composizione, affinché verifichi anche l’adempimento o meno degli obblighi assistenziali dell’attuale controricorrente.
4. Il primo punto del terzo motivo è assorbito, stante l’accoglimento del secondo motivo, e la rimessione al giudice dl rinvio della valutazione in merito all’inadempimento del contratto di vitalizio.
5. Il secondo punto del terzo motivo nonché il quarto motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente data la stretta connessione, sono fondati.
L’attuale controricorrente, come statuì lo stesso Tribunale (pag. 8), non ha mai contestato l’allegazione di controparte secondo cui i libretti al portatore appartenevano ai genitori, né la circostanza che gli stessi le fossero stati validamente trasferiti.
Non è in discussione la correttezza del principio di diritto richiamato dalla Corte d’Appello per cui, essendo il libretto di deposito al portatore un titolo di credito che legittima il possessore a riscuotere le somme depositate, in quanto individua in tale soggetto la persona alla quale la banca può pagare con effetto liberatorio, il trasferimento avviene con la consegna, che costituisce un negozio astratto, con la conseguenza che non incombe sul possessore la prova circa il processo acquisitivo del titolo, spettando alla controparte dimostrare l’esistenza di una valida ragione giustificante la propria pretesa restitutoria (Cass. n. 19329/2013; Cass. n. 22328/2007; Cass. n. 18435/2003), ma piuttosto la sua corretta applicazione, in considerazione del tenore delle difese della convenuta, che, a fronte dell’allegazione da parte degli attori della titolarità dei libretti, e dell’affidamento della gestione alla convenuta per un rapporto di carattere meramente gestorio, ha negato di avere operato sugli stessi (salvo poi rinunciare al disconoscimento delle sottoscrizioni apposte sulla documentazione bancaria attestante i vari prelievi effettuati), assumendo quindi una linea difensiva che, oltre a rilevare come implicita conferma della perdurante titolarità dei libretti in capo ai genitori, risulta incompatibile con la tesi dell’autonoma legittimazione a disporre in capo alla stessa per effetto del possesso dei libretti.
In base al principio di non contestazione, ora espressamente previsto dall’art. 115 c.p.c., grazie alla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 14, ma che questa Corte ha ritenuto operante anche antecedentemente alla novella (Cass. 19896/2015; Cass. 26908/2020), la Corte d’Appello avrebbe dovuto porre a fondamento del proprio giudizio anche la mancata contestazione dell’attuale controricorrente, come manifestatasi in primo grado, circa la titolarità aliena dei libretti al portatore su cui ha operato.
Risulta quindi contrastante con l’art. 115 c.p.c. e con l’onere di specifica contestazione comunque ricavabile dal sistema, e rende necessaria anche in tale parte la cassazione con rinvio, la statuizione della Corte d’Appello secondo cui “la prova della mancanza della giusta causa traditionis (…) è sicuramente mancata” (pag. 12-13 sent.).
6. Il primo motivo è altrettanto assorbito, dovendo la Corte d’Appello in sede di rinvio verificare altresì la legittimità dei prelievi effettuati dalla convenuta dai libretti al portatore, e ciò anche in vista della loro incidenza sulla domanda di risoluzione del vitalizio.
7. Il giudice del rinvio, come sopra designato, provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo, terzo e quarto motivo, nei limiti di cui in motivazione e, assorbito il primo motivo ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte d’Appello di Trento, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 19 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021
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