LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5952/2019 proposto da:
IRS INDUSTRIE RIUNITE SPALMATI SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 44, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELLO GIOIOSO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato URBANO BESSEGATO;
– ricorrente –
– contro GENERALI ITALIA SPA;
– intimata –
nonché da:
GENERALI ITALIA SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 49, presso lo studio dell’avvocato SVEVA BERNARDINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato IACOPO REBECCHI;
– ricorrente incidentale –
contro
IRS INDUSTRIE RIUNITE SPALMATI SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 44, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELLO GIOIOSO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato URBANO BESSEGATO;
– controricorrente all’incidentale –
avverso la sentenza n. 1919/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 12/12/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/2/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 12/12/2018 la Corte d’Appello di Brescia ha respinto il gravame interposto dalla società I.R.S. Industrie Riunite Spalmati s.r.l. in relazione alla pronunzia Trib. Mantova 19/7/2016, di rigetto della domanda dalla medesima proposta nei confronti della società Generali Italia s.p.a. di pagamento dell’indennizzo assicurativo per “i danni subiti dal suo capannone e dalle attrezzature ivi contenute a seguito di un evento atmosferico”.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la società I.R.S. Industrie Riunite Spalmati s.r.l. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso la società Generali Italia s.p.a., che spiega altresì ricorso incidentale sulla base di 3 motivi, cui resiste con controricorso la società I.R.S. Industrie Riunite Spalmati s.r.l..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1 motivo la ricorrente in via principale denunzia “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 1362 c.c. e segg., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole che la corte di merito abbia interpretato l’art. 6 del contratto, in tema di delimitazione della garanzia, non leggendolo in correlazione “con il testo dell’estensione di garanzia n. che “esplicita una deroga proprio alla clausola applicata dal(la) Corte d’Appello”, facendo “riferimento ai danni da fenomeno atmosferico di cui all’art. 6 delle delimitazioni di garanzia, anche se per un mero refuso è indicato il punto 5, che avendo ad oggetto i danni da terremoto non ha nessuna attinenza con la pioggia”.
Lamenta che “quand’anche si dovesse ritenere che il combinato disposto delle due clausole in esame (art. 6 limitazioni di garanzia e art. 7 estensioni di garanzia) possa creare dubbi interpretativi, la Corte d’Appello ha errato nel far prevalere la limitazione rispetto all’estensione. Per sciogliere il dubbio il giudice di merito avrebbe dovuto far ricorso all’ulteriore criterio di interpretazione dei contratti previsto dall’art. 1370 c.c.”.
Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.
Giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione del contratto è riservata al giudice del merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione (v. Cass., 22/10/2014, n. 22343; Cass., 21/4/2005, n. 8296).
Il sindacato di legittimità può avere cioè ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle partii bensì solamente l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (v. Cass., 12/5/2020, n. 8810; Cass., 22/10/2014, n. 22343; Cass., 29/7/2004, n. 14495).
Deve quindi porsi in rilievo che, pur non mancando qualche pronunzia di segno diverso (v., Cass., 10/10/2003, n. 15100; Cass., 23/12/1993, n. 12758), come questa Corte ha già avuto modo di affermare in tema di interpretazione del contratto, risponde ad orientamento consolidato che ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate.
Si è al riguardo peraltro precisato che il rilievo da assegnare alla formulazione letterale va invero verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, le singole clausole dovendo essere considerate in correlazione tra loro procedendosi al relativo coordinamento e attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto, giacché per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice ai sensi dell’art. 1363 c.c., collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (v. Cass., 28/8/2007, n. 828; Cass., 22/12/2005, n. 28479; 16/6/2003, n. 9626. E, da ultimo, Cass., 10/6/2020, n. 11092).
Va d’altro canto sottolineato che, pur assumendo l’elemento letterale funzione fondamentale nella ricerca della reale o effettiva volontà delle parti, il giudice deve invero a tal fine necessariamente riguardarlo alla stregua degli ulteriori criteri di interpretazione, e in particolare, oltre al comportamento delle parti anche dopo la conclusione del contratto (art. 1362 c.c., comma 2) (v., da ultimo, Cass., 30/8/2019, n. 21840), di quelli (quali primari criteri d’interpretazione soggettiva, e non già oggettiva, del contratto: v. Cass., 10/6/2020, n. 11092; Cass., 6/7/2018, n. 17718; Cass., 22/11/2016, n. 23701; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 27/6/2011, n. 14079; Cass., 23/5/2011, n. 11295; Cass., 19/5/2011, n. 10998; con riferimento agli atti unilaterali v. Cass., 6/5/2015, n. 9006) dell’interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c. e dell’interpretazione secondo buona fede o correttezza ex art. 1366 c.c., avendo riguardo allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto e quindi alla relativa causa concreta (cfr. Cass., 23/5/2011, n. 11295; e, da ultimo, Cass., Sez. Un., 8/3/2019, n. 6882).
Il primo di tali criteri (art. 1369 c.c.) consente di accertare il significato dell’accordo in coerenza appunto con la relativa ragione pratica o causa concreta.
L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza ex art. 1366 c.c., quale criterio d’interpretazione del contratto (fondato sull’esigenza definita in dottrina di “solidarietà contrattuale”) si specifica in particolare nel significato di lealtà, sostanziantesi nel non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi, come pure nel non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella controparte (v. Cass., 6/5/2015, n. 9006; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 25/5/2007, n. 12235; Cass., 20/5/2004, n. 9628).
A tale stregua esso non consente di dare ingresso ad interpretazioni cavillose delle espressioni letterali contenute nelle clausole contrattuali, non rispondenti alle intese raggiunte (v. Cass., 23/5/2011, n. 11295) e deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta dell’accordo negoziale (cfr., con riferimento alla causa concreta del contratto autonomo di garanzia, Cass., Sez. Un., 18/2/2010, n. 3947).
Giusta principio recentemente suggellato dalle Sezioni Unite di questa Corte ne(superare il c.d. principio del gradualismo (v. Cass., Sez. Un., 8/3/2019, n. 6882, sul punto peraltro non massimata, e, da ultimo, Cass., 10/6/2020, n. 11092), il contratto deve essere dunque imprescindibilmente interpretato avuto riguardo alla sua ratio, alla sua ragione pratica, in coerenza con gli interessi che le parti hanno specificamente inteso tutelare mediante la stipulazione contrattuale (v. Cass., 6/7/2018, n. 17718; Cass., 19/3/2018, n. 6675; Cass., 22/11/2016, n. 23701), con convenzionale determinazione della regola volta a disciplinare il rapporto contrattuale (art. 1372 c.c.).
Orbene, la corte di merito è nel caso pervenuta ad un’interpretazione del negozio de quo in termini non consentanei con i suindicati principi.
E’ rimasto nel giudizio di merito accertato che il 23/7/2011, all’esito di un “evento atmosferico” (dall’odierna ricorrente originariamente indicato come “una tromba d’aria”), sono rimasti danneggiati il capannone dell’odierna ricorrente e le attrezzature ivi contenute.
Nel respingere le censure mosse dall’odierna ricorrente e allora appellante avverso la sentenza del giudice di prime cure di rigetto della domanda di pagamento dell’indennizzo assicurativo per ravvisata insussistenza nel caso del “nesso causale tra l’evento ed i danni lamentati”, la corte di merito ha sottolineato in particolare l’infondatezza dell’assunto secondo cui “la polizza coprirebbe tutti i danni indistintamente cagionati dalla pioggia” in ragione della circostanza che “come chiaramente indicato nelle delimitazioni della garanzia, i danni provocati dalla pioggia e dagli altri eventi atmosferici indicati sono risarcibili solo se le rotture, brecce, lesioni provocate al tetto, alle pareti, serramenti del fabbricato siano state provocate dalla violenza dei fenomeni riscontrabili da una pluralità degli enti assicurati”, laddove “e’ proprio ciò che il perito ha escluso” in quanto “il giorno dell’evento il vento soffiava ad una velocità di 19-24 km velocità in quanto tale del tutto inidonea a scardinare o semplicemente sollevare le lastre di copertura”.
Orbene, come dall’odierna ricorrente in via principale lamentato, la corte di merito ha al riguardo in effetti omesso di esaminare anche l’art. 7 del contratto medesimo (dal ricorrente debitamente riportato nel ricorso in ossequio al disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), del seguente tenore testuale: “7) Acqua piovana. A Parziale deroga di quanto previsto al punto 5), (rectius, 6) delle “Delimitazioni di garanzia”, la società risponde dei danni causati da acqua piovana anche se conseguente a otturazione dei pluviali in seguito ad accumulo di grandine e neve o di altri materiali nei limiti indicati alla voce “Limiti di risarcimento”.
Dopo avere escluso che i danni de quibus siano stati cagionati “dalla violenza dei fenomeni riscontrabili da una pluralità degli enti assicurati”, nell’avallare l’affermazione del giudice di prime cure secondo cui nella specie i danni sono stati cagionati “non già dalla forza intrinseca della pioggia e del vento di quel giorno”, ma “dall’insufficiente capacità di smaltimento delle acque piovane da parte dei sistemi di scarico intasati”, la corte di merito non ha invero idoneamente spiegato le ragioni della ravvisata inapplicabilità nella specie della copertura assicurativa de qua, pur in presenza dell’accertato “intasamento” dei sistemi di scarico.
Atteso che la detta clausola ex art. 7 del contratto prevede che l'”otturazione” dei pluviali possa dipendere da “accumulo” (anche) di materiali, non risulta dalla corte di merito in particolare argomentato in ordine alla relativa portata allorquando come nella specie l’acqua piovana costituisca non già la causa dell'”otturazione” bensì abbia, come dalla medesima giustappunto previsto, cagionato danni in conseguenza dell'”otturazione dei pluviali in seguito ad accumulo” di (anche) “altri materiali”.
Limitandosi invero a un’interpretazione meramente atomistica e formalistica delle clausole contrattuali, non si è fatta in particolare carico di verificare la portata di quest’ultima espressione, omettendo invero di riguardarne il tenore letterale alla stregua dei richiamati primari criteri di interpretazione soggettiva dell’interpretazione globale (art. 1362 c.c., comma 2), sistematica (art. 1363 c.c.), funzionale (art. 1369 c.c.) e secondo buona fede (art. 1366 c.c.), avuto specificamente e primieramente riguardo alle esigenze che con la relativa stipulazione le parti hanno inteso in concreto salvaguardare, e cioè della ragione pratica o causa concreta del contratto assicurativo de quo (cfr. Cass., 19/2/2021, n. 4571; Cass., 30/8/2019, n. 21840; Cass., Sez. Un., 8/3/2019, n. 6882).
Con il 1 motivo la ricorrente in via incidentale denunzia “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 99,112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Con il 2 motivo denunzia “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 808 ter c.p.c., artt. 1349,1427,1428,1429,1439 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Con il 3 motivo denunzia “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 1362,1363 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Il ricorso è inammissibile.
Va anzitutto osservato che esso risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che la ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, all'”atto di citazione notificato l’11.10.14", al “contratto assicurativo”, alle “memorie istruttorie”, alla sentenza del giudice di prime cure, all'”atto di citazione notificato il 22.2.17", al “secondo motivo di appello (vd. pag. 28 ss.)”, alla “polizza assicurativa”, alla “perizia contrattuale”, alla “CTU dell’ing. Montiglia”, alla relazione del “CTP ing. S.M.”, al “corpo del testo” degli “atti” di controparte, alle “conclusioni” degli “atti introduttivi” di controparte) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente (per la parte strettamente d’interesse in questa sede) riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti (es., parte della “pag. 8” della “sentenza di primo grado”, parte della “pag. 8, comma 6 “delimitazioni e garanzie”” della “polizza de qua”, parte dell'”art. 7 della polizza”, l'”art. 16 delle Condizioni Generali di Contratto”), senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (v. Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).
A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).
Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).
L’accertamento in fatto e la decisione dalla corte di merito adottata e nell’impugnata decisione rimangono pertanto dall’odierna ricorrente in via incidentale non idoneamente censurati.
E’ al riguardo appena il caso di osservare come risponda a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che i requisiti di formazione del ricorso vanno sempre ed indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo.
Essi rilevano infatti ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilità del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 5 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).
Va per altro verso posto in rilievo (con particolare riferimento al 3 motivo) come al di là della formale intestazione dei motivi la ricorrente deduca in realtà doglianze (anche) di vizio di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie la “motivazione illogica ed inadeguata” (v. pag. 30 del ricorso incidentale) ovvero l’omessa e a fortiori l’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312).
Emerge evidente, a tale stregua, come l’odierna ricorrente in via incidentale in realtà inammissibilmente prospetti invero una rivalutazione del merito della vicenda comportante accertamenti di fatto invero preclusi a questa Corte di legittimità, nonché una rivalutazione delle emergenze probatorie, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, non potendo in sede di legittimità riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, atteso il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).
Rigettato il ricorso incidentale, l’accoglimento del 1 motivo del ricorso principale nei suesposti termini, con assorbimento del 2 (con il quale viene denunziata “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 1218,1711 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la corte di merito considerato che “Generali con il proprio comportamento processuale ha di fatto ratificato le valutazioni del suo perito e del terzo perito, per sfruttarne a proprio vantaggio l’operato e rifiutandosi, in virtù della asserita vincolatività della perizia contrattuale per le parti, di risarcire i danni subiti da IRS”), comporta la cassazione in relazione dell’impugnata sentenza, con rinvio alla Corte d’Appello di Brescia, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione. Segue il raddoppio del c.u. per la ricorrente incidentale.
PQM
La Corte accoglie il 1 motivo di ricorso principale nei termini di cui in motivazione, assorbito il 2. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Brescia, in diversa composizione.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente in via incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma 1 bis dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 ottobre 2021
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