LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17662/2015 proposto da:
Unicredit Leasing S.p.a. per incorporazione tra Unicredit Global Leasing S.p.a. e Locat s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Marianna Dionigi n. 57, presso lo studio dell’avvocato Bevilacqua Anna, rappresentata e difesa dall’avvocato Beretta Maria Donatella, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Fallimento ***** S.r.l., in persona del curatore fall.re Dott. F.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Gian Giacomo Porro n. 8, presso lo studio dell’avvocato Colombini David, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di SAVONA, depositato il 06/05/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/06/2021 dal Consigliere Dott. Paola VELLA.
FATTI DI CAUSA
1. Con decreto del 6 maggio 2015 il Tribunale di Alessandria ha rigettato l’opposizione allo stato passivo del Fallimento ***** S.r.l., proposto da Unicredit Leasing S.p.a. che, in relazione al contratto di locazione finanziaria avente ad oggetto un immobile commerciale, risolto in epoca antecedente il fallimento dell’utilizzatore, si era vista accogliere integralmente la domanda di rivendica, ed invece accogliere solo in minima parte – limitatamente ad Euro 26.037,88 a titolo di canoni scaduti – la domanda di ammissione al passivo, in via chirografaria, del credito per canoni di leasing e accessori insoluti (Euro 30.789,64) nonché per indennizzo risarcitorio (Euro 873.960,00).
1.1. Il tribunale, dopo aver dato atto che il giudice delegato aveva implicitamente escluso l’applicabilità analogica dell’art. 1526 c.c., nonostante si trattasse di un leasing traslativo, ha espressamente escluso l’applicabilità analogica sia di detta norma, sia della L. Fall., art. 72-quater (invocato dall’opponente) sul rilievo che le parti avevano convenzionalmente stabilito le conseguenze della risoluzione del contratto (pacificamente avvenuta prima del fallimento) e che pertanto erano le norme pattizie a doversi applicare alla fattispecie; di conseguenza, ha accolto parzialmente l’opposizione allo stato passivo, ammettendo Unicredit al passivo fallimentare per Euro 30.789,64 a titolo di canoni scaduti e interessi, nonché per Euro 460.810,32 a titolo di indennizzo (corrispondente ai canoni a scadere), dopo averlo ridotto equitativamente – eliminando il prezzo di riscatto, in quanto “privo di causa”, non essendo più possibile il trasferimento all’utilizzatore – ai sensi dell’art. 1384 c.c., ritenendo manifestamente eccessiva la penale stabilita contrattualmente; il tutto sotto condizione della decurtazione del valore di riallocazione del bene sul mercato (e con obbligo di pagamento alla curatela della eventuale eccedenza).
2. Il suddetto decreto è stato impugnato da Unicredit con ricorso affidato a cinque motivi, cui il fallimento intimato ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 21 e 23 delle condizioni generali di contratto, nonché degli artt. 1322 e 1384 c.c..
2.2. Il secondo lamenta “insufficiente e contraddittoria motivazione per la contestuale applicazione dell’art. 1384 c.c. e all’art. 21, punto IV delle condizioni generali di contratto (obbligo di decurtazione del credito dal prezzo di vendita dell’immobile e restituzione dell’eccedenza) benché la norma contrattuale sia stata ritenuta non idonea e in contrasto con l’art. 1384 c.c. stesso – Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia: sproporzione dell’indennizzo e conseguente presunto ingiustificato arricchimento della società concedente”.
2.3. Il terzo motivo denuncia l’errata applicazione in via analogica dell’art. 1526 c.c., con il combinato disposto degli artt. 21 e 23 delle condizioni generali di contratto, tenuto conto che, a differenza della norma codicistica, quella pattizia prevede che la società concedente “non acquisisce il valore del bene, pur risultandone proprietaria, dovendo restituire al momento della sua riallocazione qualsiasi eccedenza rispetto al credito vantato, e riducendosi in tal modo già da sé la penale”.
2.4. Il quarto mezzo prospetta la “nullità della sentenza per violazione all’art. 115 c.p.c. – principio dispositivo delle prove. Richiamo a fatti non oggetto di accertamento nel giudizio né accertati con sentenza passata in giudicato in altro giudizio”.
2.5. Con il quinto motivo si deduce “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione con riferimento ad un punto decisivo della controversia – richiesta di ammissione del credito avvenuta con riserva e/ soggetto a condizione”.
3. Il ricorso va accolto, nei termini di seguito illustrati.
4. La questione di diritto che viene in rilievo si inscrive nel dibattito circa le implicazioni del fallimento dell’utilizzatore sul contratto di leasing, sul quale si sono da ultimo pronunciate – con le sentenze n. 2061 del 28/01/2021 e n. 2142 del 29/01/2021 – le Sezioni Unite di questa Corte, disattendendo un indirizzo recentemente emerso (Cass. 8980/2019; conf. Cass. 18545/2019, 24438/2019, 27545/2019) in contrapposizione al pregresso orientamento (Cass. Sez. U., 65/1993; Cass. 8687/2015, 2538/2016, 21476/2017, 3945/2018, 11962/2018, 15975/2018, 3965/2019), costituente “diritto vivente di risalente formazione (…) ribadito anche da pronunce successive a quella portatrice di overruling”, che è stato perciò confermato.
4.1. In sostanza le Sezioni Unite, all’esito di ampia riflessione sulla “cogenza che esprime, per statuto, la fonte legale”, da interpretare (entro i confini segnati in particolare dagli artt. 11 e 12 preleggi) secondo i consueti canoni ermeneutici (letterale, teleologico, sistematico, evolutivo o storico-evolutivo), hanno innanzitutto affermato che la L. n. 124 del 2017, art. 1, commi da 136 a 140 – la quale ha introdotto una disciplina organica e unitaria del leasing, superando la tradizionale distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo (comma 136), tipizzando la misura della gravità dell’inadempimento dell’utilizzatore nel “mancato pagamento di almeno sei canoni mensili o due canoni trimestrali anche non consecutivi o un importo equivalente per i leasing immobiliari, ovvero di quattro canoni mensili anche non consecutivi o un importo equivalente per gli altri contratti di locazione finanziaria” (comma 137), prescrivendo le conseguenze di detto inadempimento in sintonia con le prassi del settore, per cui “il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a corrispondere all’utilizzatore quanto ricavato dalla vendita o da altra collocazione del bene, effettuata ai valori di mercato, dedotte la somma pari all’ammontare dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione, dei canoni a scadere, solo in linea capitale, e del prezzo pattuito per l’esercizio dell’opzione finale di acquisto, nonché le spese anticipate per il recupero del bene, la stima e la sua conservazione per il tempo necessario alla vendita. Resta fermo nella misura residua il diritto di credito del concedente nei confronti dell’utilizzatore quando il valore realizzato con la vendita o altra collocazione del bene è inferiore all’ammontare dell’importo dovuto dall’utilizzatore a norma del periodo precedente” (comma 138), regolando una specifica procedura per la vendita o la riallocazione del bene concesso in godimento, nel rispetto dei valori di mercato e in base a “criteri di celerità, trasparenza e pubblicità adottando modalità tali da consentire l’individuazione del migliore offerente possibile, con obbligo di informazione dell’utilizzatore” (comma 139) e facendo salva la disciplina settoriale del leasing immobiliare per abitazione principale, di cui alla L. n. 208 del 2015, nonché quella dettata dalla L. Fall., art. 72-quater (comma 140) – non ha carattere retroattivo e dunque ha efficacia solo “pro-futuro”, non potendo trovare applicazione, in mancanza di un’espressa previsione di retroattività o di altre disposizioni di diritto intertemporale, alle fattispecie nelle quali i presupposti – legali o convenzionali – della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore si siano verificati prima della sua entrata in vigore (in ossequio alla teoria c.d. del fatto compiuto).
4.2. Invero, sino all’entrata in vigore della predetta legge, il leasing è rimasto un contratto solo socialmente tipico, articolato dalla pratica commerciale in due principali figure della operazione di finanziamento volta a consentire ad un soggetto (cd. utilizzatore o lessee) il godimento di un bene – ora in via transitoria (leasing di godimento), ora in vista del suo definitivo acquisto (leasing traslativo) – attraverso la somministrazione delle risorse finanziarie di altro soggetto abilitato al credito (cd. concedente o lessor), che consente al primo di soddisfare un interesse non autonomamente realizzabile, “attraverso il pagamento di un canone che si compone, in parte, del costo del bene e, in parte, degli interessi dovuti al finanziatore per l’anticipazione del capitale” (Cass. Sez. U., 19785/2015).
4.3. Secondo il diritto vivente, mentre nel leasing di godimento la risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite, secondo quanto disposto dall’art. 1458 c.c., comma 1, secondo periodo, e in tema di contratti ad esecuzione continuata e periodica – sicché, stante la piena sinallagmaticità tra le reciproche prestazioni, l’utilizzatore è tenuto a restituire il bene, mentre il concedente ha diritto a mantenere le rate riscosse, oltre al risarcimento del danno per l’inadempimento verificatosi – nel leasing traslativo, invece, la risoluzione resta soggetta all’applicazione in via analogica delle disposizioni di cui all’art. 1526 c.c., con riguardo alla vendita con riserva della proprietà, sicché l’utilizzatore è obbligato alla restituzione del bene e il concedente alla restituzione delle rate riscosse, avendo, però, diritto ad un equo compenso (comprendente la remunerazione del godimento del bene, il suo deprezzamento e il logoramento per l’uso) e al risarcimento del danno (secondo la sua ordinaria configurazione di danno emergente e lucro cessante, ex art. 1223 c.c.).
4.4. La giustificazione di questa diversa disciplina degli effetti risolutori tra le due figure di leasing è stata ravvisata nell’opportunità di “far fronte, nel caso di leasing traslativo, all’esigenza di porre un limite al dispiegarsi dell’autonomia privata là dove questa venga, sovente, a determinare arricchimenti ingiustificati del concedente, il quale, seguendo lo schema da lui predisposto, si troverebbe a conseguire la restituzione del bene e l’acquisizione delle rate riscosse, oltre, eventualmente, il risarcimento del danno, ossia più di quanto avrebbe avuto diritto di ottenere per il caso di regolare adempimento del contratto da parte dell’utilizzatore stesso” (così, tra le molte, Cass. 6034/2017). Ed appunto, secondo le Sezioni Unite, l’art. 1526 c.c., rappresenta una norma “sorretta da una ratio giustificativa rispondente all’esigenza di dare equilibrato assetto alle posizioni delle parti di un contratto atipico, forgiato da una risalente prassi commerciale e al quale il formante giurisprudenziale ha fornito stabilità di assetto e certezza applicativa”.
4.5. E’ dunque a detta norma che occorre fare riferimento, in via analogica, per disciplinare gli effetti della risoluzione del contratto di leasing per inadempimento dell’utilizzatore, i cui presupposti si siano realizzati prima del 29 agosto 2017 (data di entrata in vigore della L. n. 124 del 2017), oltre che prima della dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore medesimo (venendo altrimenti in rilievo la specifica disciplina sullo scioglimento del contratto pendente, dettata dalla L. Fall., art. 72-quater, introdotto dalla riforma fallimentare del 2006).
4.6. In altri termini, con riguardo ai contratti di leasing per i quali i presupposti della risoluzione si siano verificati – come pacificamente nel caso in esame – prima di quella data, risultano fuori gioco sia la L. Fall., art. 72 quater (norma definita “di natura eccezionale, a valenza e portata endoconcorsuale”, che presuppone lo scioglimento, per volontà del curatore, del contratto ancora pendente), sia la nuova regolamentazione funzionale del rapporto di cui alla L. n. 124 del 2017 citata, art. 1, comma 137, che per un verso esclude la valutazione discrezionale del giudice circa la “non scarsa importanza” dell’inadempimento ex art. 1455 c.c., per altro verso imbriglia l’autonomia contrattuale rispetto alla fonte legislativa (stante l’inefficacia ex nunc della clausola risolutiva espressa, “ove calibrata in termini diversi e meno favorevoli per l’utilizzatore di quanto previsto dalla legge con norma imperativa”).
4.7. Orbene, potendo il risarcimento del danno del concedente ben essere oggetto di determinazione anticipata attraverso una clausola penale ai sensi dell’art. 1382 c.c. (come si registra costantemente nei consueti modelli standardizzati elaborati nella prassi del settore), in simili fattispecie resta fermo il potere del giudice – di cui invero si sottolinea la consonanza di fondo con la ratio sottesa ai successivi interventi normativi, quello settoriale del 2006 e quello generale del 2017 – di ridurre in via equitativa, ai sensi del combinato disposto dell’art. 1526 c.c., comma 2 (sulla cd. clausola di confisca) e art. 1384 c.c. (di cui la prima disposizione è un portato specifico), la penale che, sebbene lecita, appaia manifestamente eccessiva (ad esempio consentendo al concedente di acquisire, oltre alla proprietà del bene, anche i canoni maturati fino al momento della risoluzione, stante l’indebito vantaggio che deriva dal cumulo della somma dei canoni e del residuo valore del bene), così da ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela e riequilibrando, quindi, la posizione delle parti, avendo pur sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento integrale (conf. Cass., Sez. U., 18128/2005).
4.8. Ed è proprio “attraverso lo spettro filtrante di detta disposizione”, proseguono le Sezioni Unite, “che la giurisprudenza di questa Corte ha potuto selezionare quali delle clausole standardizzate dall’autonomia privata fosse o meno meritevole di tutela alla luce della ratio di evitare indebite locupletazioni in capo al concedente e rispondente, quindi, ad un equilibrato assetto delle posizioni delle parti contrattuali”. In particolare: i) si è reputata coerente con la previsione contenuta dell’art. 1526 c.c., comma 2, la penale inserita nel contratto di leasing traslativo prevedente l’acquisizione dei canoni riscossi con detrazione, dalle somme dovute al concedente, dell’importo ricavato dalla futura vendita del bene restituito (Cass. 21762/2019, 25031/2019, 1581/2020); ii) si è esclusa locupletazione in mancanza di vendita o altra allocazione del bene sul mercato, fatto salvo il diritto dell’utilizzatore di ripetere l’eventuale maggior valore che da essa ricavi il concedente, rispetto alle utilità che avrebbe conseguito dal contratto in caso di riscatto del bene, con l’ulteriore precisazione che, ove la clausola penale non faccia riferimento ad una collocazione del bene a prezzi di mercato, essa “dovrà esser letta negli stessi termini alla luce del parametro della buona fede contrattuale, ex art. 1375 c.c.” (Cass. 15202/2018); iii) si è reputata manifestamente eccessiva la clausola penale che preveda contestualmente l’acquisizione dei canoni riscossi e il mantenimento della proprietà (c.d. clausola di confisca), con conseguente necessità di una sua riconduzione giudiziale ad equità – anche d’ufficio – attraverso una “valutazione comparativa tra il vantaggio che la penale inserita nel contratto di leasing traslativo assicura al contraente adempiente e il margine di guadagno che il medesimo si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto” (Cass. 4969/2007, 20840/2018).
4.9. A livello operativo, il giudice, tenuto conto delle circostanze concrete del caso portato alla sua cognizione, deve curare che, “ferma restando l’irripetibilità dei canoni già riscossi”, il valore conseguito dalla vendita o altra allocazione del bene sul mercato – o, in mancanza, il suo valore di mercato stimato al momento della restituzione – sia detratto dalle somme dovute al concedente, con eventuale residuo da attribuire (in fattispecie, come quella in esame, di fallimento dell’utilizzatore successivo alla intervenuta risoluzione contrattuale) alla curatela fallimentare. Correlativamente, nella domanda di insinuazione al passivo il concedente ha l’onere di mettere il giudice nelle condizioni di poter effettuare siffatta valutazione a norma dell’art. 1384 c.c., indicando la somma ricavata dalla diversa collocazione del bene medesimo o, in mancanza, allegando una perizia di stima del suo valore di mercato (negli stessi termini, Cass. Sez. U., 2142/2021).
5. Per sintetizzare, i principi di diritto fissati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 2061 del 2021 (sostanzialmente conforme alla sentenza n. 2142 del 2021), sono stati così massimati:
i) in tema di leasing traslativo, nel caso in cui, dopo la risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, intervenga il fallimento di quest’ultimo, il concedente che, in applicazione dell’art. 1526 c.c., intenda far valere il credito risarcitorio derivante da una clausola penale stipulata in suo favore è tenuto a proporre apposita domanda di insinuazione al passivo L. Fall., ex art. 93, in seno alla quale dovrà indicare la somma ricavata dalla diversa allocazione del bene oggetto del contratto ovvero, in mancanza, allegare una stima attendibile del relativo valore di mercato all’attualità, onde consentire al giudice di apprezzare l’eventuale manifesta eccessività della penale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1526 c.c., comma 2;
ii) in tema di leasing finanziario, la disciplina di cui alla L. n. 124 del 2017, art. 1, commi 136-140, non ha effetti retroattivi, sì che il comma 138 si applica alla risoluzione i cui presupposti si siano verificati dopo l’entrata in vigore della legge stessa; per i contratti anteriormente risolti resta valida, invece, la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, con conseguente applicazione analogica, a quest’ultima figura, della disciplina dell’art. 1526 c.c. e ciò anche se la risoluzione sia stata seguita dal fallimento dell’utilizzatore, non potendosi applicare analogicamente la L. Fall., art. 72 quater (Cass. Sez. U., 2061/2021).
6. Passando all’esame del caso concreto, riguardante pacificamente un contratto di leasing traslativo, il Collegio ritiene che il Tribunale di Savona – nell’escludere l’applicabilità analogica tanto dell’art. 1526 c.c., quanto della L. Fall., art. 72-quater, in favore del regolamento pattizio inter partes, ricondotto però ad equità attraverso la riduzione della penale stabilita convenzionalmente dalle parti per l’ipotesi di risoluzione del contratto (pacificamente avvenuta prima del fallimento), in quanto manifestamente eccessiva, ai sensi dell’art. 1384 c.c. – non si sia attenuto al formante giurisprudenziale di questa Corte, come di recente avallato dalle Sezioni Unite.
7. Va però preliminarmente sgombrato il campo dai motivi di ricorso che appaiono inammissibili.
7.1. Lo è innanzitutto il primo, poiché discorre impropriamente di violazione delle norme contrattuali (segnatamente gli artt. 21 e 23 delle condizioni generali di contratto) come violazioni di legge, trascurando che nell’attività di ricostruzione dell’accordo negoziale da parte del giudice del merito possono ravvisarsi due fasi: la prima diretta ad interpretare la volontà delle parti e gli effetti da esse avuti di mira, che consiste in un accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo della motivazione (censura veicolata dal secondo motivo); la successiva volta a qualificare il negozio mediante l’attribuzione di un “nomee iuris” (riconducendolo ad un tipo legale o assumendo che sia atipico), che è sindacabile in cassazione per violazione di legge ma solo con riferimento ai criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., qui non evocati (Cass. 3590/2021, 23532/2017).
7.2. E’ altresì inammissibile il quarto, poiché la dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., in ragione del riferimento a ipotesi di reato che non erano oggetto del giudizio, non tiene conto che non si è di fronte ad un’autonoma ratio decidendi, bensì a mere argomentazioni di contorno, come tali non decisive.
8. I motivi secondo, terzo e quinto sono invece fondati e possono essere esaminati congiuntamente, poiché sono tutti riconducibili all’esercizio del potere di riduzione equitativa della clausola penale ex art. 1384 c.c. – che, in quanto volto a tutelare l’interesse generale dell’ordinamento di assicurare l’equilibrio contrattuale, può essere esercitato d’ufficio (Cass. 11439/2020), anche qualora le parti abbiano convenuto irriducibilità (Cass. 33159/2019) o segnatamente l’esclusione dell’applicabilità dell’art. 1526 c.c. (Cass. 25031/2019), fermi restando gli oneri di allegazione e prova, incombenti sulla parte, in ordine alle circostanze rilevanti per la relativa valutazione (Cass. 34021/2019) – e che, pur rientrando nella discrezionalità del giudice di merito, conserva un margine di sindacabilità in sede di legittimità, se non altro “negli aspetti relativi alla motivazione” (Cass. 23750/2018, 2231/2012, 6158/2007).
8.1. Al riguardo questa Corte ha più volte osservato che l’apprezzamento del giudice del merito sulla eccessività dell’importo fissato con clausola penale dalle parti contraenti, nonché la misura della riduzione equitativa dell’importo medesimo, si sottraggono al sindacato di legittimità solo in quanto correttamente fondati, a norma dell’art. 1384 c.c., “sulla valutazione dell’interesse del creditore all’adempimento alla data di stipulazione del contratto, avuto riguardo all’effettiva incidenza dell’adempimento sull’equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale, indipendentemente da una rigida ed esclusiva correlazione con l’effettiva entità del danno subito” (Cass. 17731/2015, 7180/2012, 11748/2003), ed anzi tenendo conto dell’interesse del creditore non solo con esclusivo riguardo al momento della stipulazione della clausola, ma “anche con riguardo al momento in cui la prestazione è stata tardivamente eseguita o è rimasta definitivamente ineseguita, poiché anche nella fase attuativa del rapporto trovano applicazione i principi di solidarietà, correttezza e buona fede, di cui all’art. 2 Cost., artt. 1175 e 1375 c.c., conformativi dell’istituto della riduzione equitativa” (Cass. 11908/2020); ed è per questo che il giudice del merito è tenuto ad esplicitare le ragioni di fatto e di diritto che lo hanno condotto a ritenere eccessiva la penale pattuita fra le parti.
9. Ebbene, nel caso di specie il giudice di merito, a fronte dell’integrale accoglimento della domanda di rivendica dell’immobile oggetto del leasing traslativo, ha tenuto ferma l’ammissione al passivo della somma dovuta a titolo di canoni scaduti e interessi, riducendo equitativamente l’indennizzo (corrispondente ai canoni a scadere) con eliminazione del prezzo di riscatto (ritenuto “privo di causa” per non essere più possibile il trasferimento all’utilizzatore), mantenendo però la condizione della decurtazione del valore di riallocazione del bene sul mercato (con conseguente obbligo di pagamento alla curatela della eventuale eccedenza).
9.1. Così facendo, la stessa riduzione della penale viene a subire l’indebita sommatoria degli effetti derivanti dalla elisione del prezzo di opzione e dalla decurtazione del prezzo ricavato dalla vendita (o altra allocazione sul mercato), con la conseguenza che l’equilibrio delle prestazioni, piuttosto che ripristinarsi, ha finito per risultare sbilanciato in favore dell’altra parte, senza tenersi conto dell’effettivo interesse del creditore all’adempimento del contratto, avuto riguardo alla sua incidenza sulla concreta situazione contrattuale.
10. Il decreto va quindi cassato, in accoglimento dei motivi nei termini esposti e con rinvio della causa al Tribunale di Alessandria, in diversa composizione, affinché riesamini la vicenda, in vista dell’esercizio del potere di riduzione equitativa ex art. 1384 c.c., tenendo conto dei principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, sopra richiamati, oltre a provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo, il terzo e il quinto motivo di ricorso, dichiara inammissibili il primo e il quarto, cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia al Tribunale di Savona, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2021
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