Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32209 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28823/2019 R.G. proposto da:

A.A., + ALTRI OMESSI, rappresentati e difesi dall’Avv. Cristiano Castrogiovanni, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Va Antonio Bertoloni n. 55;

– ricorrenti –

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e Ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano ope legis in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma, n. 14/08/2019, depositata il 26 febbraio 2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 maggio 2021 dal Consigliere Dott. Iannello Emilio.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda dei medici indicati in epigrafe volta a ottenere la condanna della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero della Salute, del M.I.U.R. e del M.E.F., in solido, al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata attuazione della direttiva CEE 82/76/CEE, in tema di adeguata retribuzione spettante per la frequenza di corsi di specializzazione negli anni accademici compresi tra il 1979 ed il 2004.

Ha infatti ritenuto, conformemente al primo giudice, prescritto il relativo credito per essere decorso, alla data della domanda, il relativo termine decennale, dovendo questo farsi decorrere – ha affermato – dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, con il quale il legislatore aveva riconosciuto il diritto ad una borsa di studio unicamente in favore degli specializzandi medici ammessi alle scuole negli anni 1983 – 1991 e destinatari delle sentenze passate in giudicato del Tar Lazio nn. 601 del 1993, 279 del 1994, 280 – 283 del 1994.

Ha inoltre rilevato, quanto all’appello proposto dai dottori A., B. e C., che:

– “dalla lettura dell’originario atto di citazione emerge come la loro posizione non era in alcun modo distinta da quella degli altri medici richiedenti il risarcimento del danno per la tardiva attuazione della direttiva, così che il rilievo del giudice di primo grado secondo cui per essi non è neppure configurabile un danno risarcibile perché rientranti nelle previsioni del D.Lgs. n. 257 del 1991 appare del tutto corretto”;

– la deduzione poi contenuta nell’atto d’appello secondo la quale tali dottori non avrebbero percepito la borsa di studio per non essere la loro specializzazione prevista negli elenchi allegati alla direttiva, oltre ad essere domanda del tutto nuova per causa petendi e petitum e non provata, appare anche infondata non potendosi ipotizzare neppure in astratto quale responsabilità sia attribuibile allo Stato italiano per la mancata inclusione espressa della specializzazione negli elenchi allegati alla direttiva Europea.

2. Avverso tale sentenza i medici suelencati propongono ricorso per cassazione con due mezzi, cui resistono le amministrazioni intimate, depositando controricorso con il quale propongono anche ricorso incidentale condizionato affidato ad unico motivo.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione Direttive nn. 1975/362/CEE, 1975/363/CEE, 1982/76/CEE, 1993/16/CEE, 2005/36/CEE; del D.Lgs. n. 257 del 1991; della L. n. 370 del 1999; dell’art. 2935 c.c..

Rilevano, in sintesi, che la citata norma di cui alla L. n. 370 del 1999, art. 11 non costituisce adempimento dell’obbligo comunitario, ma integra una mera esecuzione spontanea di sentenze passate in giudicato e non poteva pertanto considerarsi tale da escludere, nella perdurante vigenza delle direttive comunitarie, un successivo intervento del legislatore di carattere generale e astratto relativamente all’intera platea dei medici specializzandi tra il 1983 e il 1991.

La situazione dei medici specializzandi – sostengono i ricorrenti – non poteva ritenersi cristallizzata con l’emanazione di detta legge, poiché l’inadempimento dello Stato italiano perdurò fino al 20 ottobre 2007 (data in cui cessa l’obbligo dello Stato Italiano di dare attuazione alle direttive comunitarie in esame) ovvero nel 17/5/2011 (data di pubblicazione della sentenza Cass. Civ. n. 10813 del 2011 che pone fine allo stato di incertezza creatosi circa la decorrenza del termine prescrizionale).

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5" nullità della sentenza per omessa pronuncia su parte del secondo motivo di appello proposto; violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ai sensi dell’art. 112 c.p.c.; omesso esame delle allegazioni proposte in ordine alla dedotta mancata corresponsione di alcuna remunerazione per la frequentazione dei corsi di specializzazione in discipline riconosciute conformi alle direttive comunitarie in virtù di provvedimenti amministrativi entrati in vigore successivamente al D.Lgs. n. 257 del 1991, con conseguente responsabilità dello Stato”.

Con riferimento alla posizione dei medici A. e B., specializzatisi all’esito di corsi iniziati successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991, la cui domanda era stata respinta in primo grado proprio a motivo di tale ultima circostanza, lamentano che la Corte d’appello ha confermato tale decisione senza tener conto del secondo motivo di gravame con il quale si era dedotta la tardività della eccezione sul punto opposta dai resistenti.

Sotto altro profilo lamentano omesso esame delle deduzioni con le quali si faceva rilevare che nonostante, per i medici predetti, i corsi di specializzazione fossero iniziati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991, agli stessi non era stata riconosciuta alcuna remunerazione; che non poteva essere posta a loro carico la relativa prova; che l’esclusione era erronea stante la equipollenza delle relative specializzazioni a quelle riconosciute con D.M. 31 ottobre 1991.

3. Il primo motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1.

La decisione impugnata risulta, infatti, conforme ai principi di diritto costantemente affermati da questa Corte, che il ricorso non offre motivi idonei a rivedere, secondo i quali:

a) “in caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi), sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria; tale responsabilità – dovendosi considerare il comportamento omissivo dello Stato come antigiuridico anche sul piano dell’ordinamento interno e dovendosi ricondurre ogni obbligazione nell’ambito della ripartizione di cui all’art. 1173 c.c. – va inquadrata nella figura della responsabilità contrattuale, in quanto nascente non dal fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c., bensì dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, sicché il diritto al risarcimento del relativo danno è soggetto all’ordinario termine decennale di prescrizione” (Cass. nn. 10813 – 10814 del 17/05/2011; tra le molte successive conformi v. Cass. n. 17350 del 18/08/2011; n. 17066 del 10/07/2013);

b) “a seguito della tardiva ed incompleta trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari – realizzata solo con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 – è rimasta inalterata la situazione di inadempienza dello Stato italiano in riferimento ai soggetti che avevano maturato i necessari requisiti nel periodo che va dal 1 gennaio 1983 al termine dell’anno accademico 1990-1991; la lacuna è stata parzialmente colmata con la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, che ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore dei beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo; ne consegue che tutti gli aventi diritto ad analoga prestazione, ma tuttavia esclusi dalla citata L. n. 370 del 1999, art. 11, hanno avuto da quel momento la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento alla normativa Europea; nei confronti di costoro, pertanto, la prescrizione decennale della pretesa risarcitoria comincia a decorrere dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della menzionata L. n. 370 del 1999, art. 11” (oltre alle pronunce sopra indicate v. anche Cass. n. 1917 del 09/02/2012, la quale precisa che “in riferimento a detta situazione, nessuna influenza può avere la sopravvenuta disposizione di cui alla L. 12 novembre 2011 n. 183, art. 4, comma 43 – secondo cui la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da mancato recepimento di direttive comunitarie soggiace alla disciplina dell’art. 2947 c.c. e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato – trattandosi di norma che, in difetto di espressa previsione, non può che spiegare la sua efficacia rispetto a fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore, e cioè dal 1 gennaio 2012”; Cass. n. 1156 del 17/01/2013; n. 16104 del 26/06/2013; n. 17066 del 10/07/2013; n. 6606 del 20/03/2014; n. 23199 del 15/11/2016; n. 13758 del 31/05/2018; n. 16452 del 19/06/2019; n. 1589 del 24/01/2020; v. anche Cass. 29/04/2020, n. 8374 che ha disatteso un motivo sulla prescrizione vertente proprio sulla direttiva 2005/36/CE menzionata in ricorso).

4. Il secondo motivo è parimenti inammissibile.

4.1. Nella prima parte perché i ricorrenti omettono, in violazione dell’onere di specificità imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6 (v. ex multis Cass. 20/08/2015, n. 17049), di riportare il contenuto dell’atto di appello nella parte richiamata (secondo motivo di gravame) e comunque di localizzare l’atto nel fascicolo di causa così come pervenuto in questa sede processuale. Può comunque ad abundantiam rilevarsi la manifesta infondatezza di quella doglianza, riposando il vaglio di infondatezza della pretesa risarcitoria, per i medici predetti, su circostanze che, afferendo ai fatti costitutivi della domanda medesima, ben potevano e anzi dovevano essere rilevate dal giudice, indipendemente da eccezione di parte.

4.2. Nella seconda parte perché non si confronta in alcun modo con la principale e assorbente ratio decidendi rappresentata dal rilievo della novità della domanda fondata sulla mancata espressa inclusione della specializzazione ottenuta dai dottori A. e B. negli elenchi allegati alla direttiva.

5. Per le considerazioni che precedono deve quindi pervenirsi alla declaratoria di inammissibilità del ricorso principale.

6. Ne discende, ex art. 334 c.p.c., comma 2, l’inefficacia del ricorso incidentale condizionato, in quanto tardivo.

Lo stesso risulta infatti notificato a mezzo p.e.c. in data 4/11/2019, oltre un mese dopo la scadenza del termine lungo per impugnare decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza (26/2/2019), fissato in sei mesi dall’art. 327 c.p.c. (nel testo, applicabile ratione temporis, modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 17) e venuto pertanto a scadere, considerata la sospensione dei termini per il periodo feriale, pari a 31 giorni, il 26/9/2019.

7. Alla soccombenza segue la condanna dei ricorrenti principali al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità.

Mette conto al riguardo precisare che la soccombenza è interamente ravvisabile in capo ai ricorrenti principali e non anche a carico della ricorrente incidentale, non potendo di contro rilevare la dichiarata perdita di efficacia del ricorso da questa proposto.

Con la perdita di efficacia, infatti, il ricorso incidentale tardivo diviene tamquam non esset e non viene preso in esame dalla Corte, non potendosi pertanto neppure in astratto predicare una soccombenza valorizzabile ai fini del regolamento delle spese.

In tal senso, questa Corte ha già chiarito che, in caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, il ricorso incidentale tardivo è inefficace ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2, con la conseguenza che la soccombenza va riferita alla sola parte ricorrente in via principale, restando irrilevante se sul ricorso incidentale vi sarebbe stata soccombenza del controricorrente, atteso che la decisione della Corte di cassazione non procede all’esame dell’impugnazione incidentale e dunque l’applicazione del principio di causalità con riferimento al decisum evidenzia che l’instaurazione del giudizio è da addebitare soltanto alla parte ricorrente principale (Cass. 20/02/2014, n. 4074; conf. Cass. 04/11/2014, n. 23469; Cass. 12/06/2018, n. 15220; Cass. 26/09/2018, n. 22799; Cass. 28/09/2018, n. 23443).

8. Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente.

Condizioni invece, per le ragioni dette, non ravvisabili nei confronti della ricorrente incidentale, non essendo ad esse riconducibile la dichiarata perdita di efficacia (v. Cass. 25/07/2017, n. 18348).

PQM

dichiara inammissibile il ricorso principale; dichiara privo di efficacia il ricorso incidentale tardivo. Condanna i ricorrenti principali al pagamento, in favore delle controricorrenti, in solido, delle spese processuali, che liquida in Euro 6.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis,.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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